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Full text of "Orlando furioso"

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ARTES      SCiENTIA      VERITAS 


fA 


^^ 


ORLANDO   FURIOSO. 


i: 


m'Tf 


ORLANDO    FURIOSO 


liODOVIC^     ARIIMiTO: 

PRECEDUTO 

DA   ALCGRI 

PBNSIBRI    DI   VIMCBIVXO   CIOBBRTI , 

K    CORREDATO    DI    NOTE    STOHICIIK 
E    riLOLOGICIIK. 

VOI.    Il- 


TersA  E«l»ioB«. 


FIRENZE. 

FELICE    LE  MONNIER. 


18S4. 


ORLANDO    FURIOSO. 


€MXTO   innirTESIlIOQVARXO. 


ProTC  furiose  d*  Orlando.  Zerbino  incontra  prigioniero  Odorico  traditore  d'Isa- 
bella; gli  perdona  la  vita,  ma  in  pena  del  fallo  gli  àk  in  guardia  Gabrina.  Va 
quindi  in  traccia  d*  Orlando,  e  ne  raccoglie  le  armi  disperse  sul  suolo.  Soprav- 
viene, insieme  con  Doralice,  Mandricardo  che,  per  la  spada  del  paladino,  viene 
a  battaglia  con  Zerbino;  questi  muore  per  le  riportate  ferite,  e  Isabella  si  ri- 
covera presso  un  romito.  Capita  poi  Rodomonte,  che  si  attacca  con  Mandri- 
cardo; ma  la  pugna  è  sospesa  da  un  messaggero  di  Agramante,  che  richiama 
i  due  guerrieri  sotto  Parigi. 


Chi  mette  il  pie  sa  T amorosa  pania, 
Cerchi  rìtrarlo,  e  non  v'inveschi  Tale; 
Che  non  è  in  somma  amor  se  non  insania, 
A  giudizio  de'  savi  universale: 
£  sebben  come  Orlando  ognun  non  smania, 
Suo  furor  mostra  a  qualch'  altro  segnale. 
E  quale  è  di  pazzia  segno  più  espresso, 
Che,  per  altri  voler,  perder  sé  stesso? 

Vari  gli  effetti  son;  ma  la  pazzia 
£  tutt'  una  però,  che  li  fa  uscire. 
Gli  è  come  una  gran  selva,  ove  la  via 
Conviene  a  forza,  a  chi  vi  va,  fallire: 
Chi  su  chi  giù ,  chi  qua  chi  là  travia. 
Per  concludere,  in  somma,  io  vi  vo'  dire  : 
A  chi  in  amor  s'invecchia,  oltr'ogni  pena, 
Si  convengono  i  ceppi  e  la  catena. 


K  •■ 


2  ORLANDO  FUaiOSO. 

3     fien  mi  si  potria  dir:  Frate,  lo  vai 
L' altrui  mostrando»  e  non  vedi  il  tao  fallo. 
Io  vi  rispondo  che  comprendo  assai, 
Or  che  di  mente  ho  lucido  intervallo; 
Ed  ho  gran  cura  (e  spero  farlo  ormai) 
Dì  riposarmi,  e  d' uscir  fuor  di  ballo  : 
Ma  tosto  far,  come  vorrei,  noi  posso; 
Ghò  '1  male  ò  penetrato  infin  air  osso. 

^  4      Signor,  neir  altro  Canto  io  vi  dicea 

Che  '1  forsennato  e  furioso  Orlando 
Trattesi  V  arme  e  sparse  al  campo  avea, 
Squarciati  i  panni,  vìa  gettato  il  brando, 
Svelte  le  piante,  e  risuonar  facea 
I  cavi  sassi  e  V  alte  selve  ;  quando 
Alcun'  pastori  al  suon  trasse  in  quel  lato 

^^  Lor  stella,  o  qualche  lor  grave  peccato. 

f^^  6     Viste  del  pazzo  V  incredibil  prove 

^^«  Poi  più  d'appresso,  e  la  possanza  estrema, 

V^^  Si  voltan  per  fuggir;  ma  non  sanno  ove. 

Si  come  avviene  in  subitana  tema. 
*  Il  pazzo  dietro  lor  ratto  si  muove  : 
Uno  ne  piglia,  e  del  capo  lo  scema 
Con  la  facilità  che  torria  alcuno 
Dall' arbor  pome,  o  vago  fior  dal  pruno. 

6      Per  una  gamba  il  grave  tronco  prese, 
£  quello  usò  per  mazza  addosso  al  resto. 
In  terra  un  paio  addormentato  stese, 
Ch'  al  novissimo  di  forse  Oa  desto  : 
Gli  altri  sgombrare  subito  il  paese, 
Ch'  ebbono  il  piede  e  il  buono  avviso  prestò. 
Non  saria  stato  il  pazzo  al  seguir  lento, 
5  Se  non  eh'  era  già  volto  al  loro  armento. 

^  7     Gli  agricoltori,  accorti  agli  altra'  esempli, 

Lascian  nei  campi  aratri  e  marre  e  falci: 
Chi  monta  su  le  case,  e  chi  sui  templi 
(Poiché  non  son  sicuri  olmi  nò  salci), 
Onde  r  orrenda  furia  si  contempli, 

k  Ch'a  pugni,  ad  urti,  a  morsi,  a  graffi,  a  calci, 

\  Cavalli  e  buoi  rompe,  fracassa  e  strugge; 

I  £  ben  è  corridor  chi  da  lui  fugge. 


CANTO  VENTESIMOQUARTO. 

8  Già  potreste  sentir  come  rìmbombe 

V  allo  ramor  nelle  propinque  ville 
D'urli  e  di  comi,  rusticane  trombe, 

E  più  spesso,  che  d'altro,  il  suon  di  squille: 
£  con  spuntoni  ed  archi  e  spiedi  e  frombe 
Veder  dai  monti  sdrucciolarne  mille; 
Ed  altri  tanti  andar  da  basso  ad  alto. 
Per  fare  al  pazzo  un  villanesco  assalto. 

9  Qual  venir  suol  nel  salso  lite  V  onda 
Mossa  dair Austro  eh'  a  principio  scherza. 
Che  maggior  della  prima  è  la  seconda, 

£  con  più  forza  poi  segue  la  terza  ; 
Ed  ogni  volta  più  l' umore  abbonda, 
E  noli'  arena  più  stende  la  sferza  : 
Tal  centra  Orlando  l' empia  turba  cresce. 
Che  giù  da  balze  scende,  e  di  valli  esce. 

^0     Fece  morir  diece  persone  e  diece, 

Che  senza  ordine  alcun  gli  andare  in  mano: 
E  questo  chiaro  esperimento  fece, 
Gh'  era  assai  più  sicur  starne  lontano. 
Trar  sangue  da  quel  corpo  a  nessun  lece, 
Che  Io  fere  e  percuote  il  ferro  invano. 
Al  conte  il  Re  del  ciel  tal  grazia  diede. 
Per  porlo  a  guardia  di  sua  Santa  Fede. 

11     Era  a  periglio  di  morire  Orlando, 
Se  fosse  di  morir  stato  capace. 
Potea  imparar  eh'  era  a  gittaré  il  brando, 
E  poi  voler  senz'  arme  essere  audace. 
La  turba  già  s' andava  ritirando, 
Vedendo  ogni  suo  colpo  uscir  fallace. 
Orlando,  poi  che  più  nessun  l' attende. 
Verso  un  borgo  di  case  il  cammin  prende. 

i2      Dentro  non  vi  trovò  piccol  nò  grande 
Che  '1  borgo  ognun  per  tema  avea  lasciato. 

V  erano  in  copia  povere  vivande. 
Convenienti  a  un  pastorale  stato. 
Senza  il  pane  discerner  dalle  glande, 
Dal  digiuno  e  dall'  impeto  cacciato. 

Le  mani  e  il  dente  lasciò  andar  di  botto 
In  quel  che  trovò  prima,  o  crudo  o  cotto. 


4  ORLANDO  rORIOSO. 

i3     E  qaindi  errando  per  tatto  il  paese , 
Dava  la  caccia  e  agli  uomini  e  alle  fere  ; 
£  scorrendo  pei  boschi,  talor  prese 
I  capri  snelli,  e  le  damme  leggere; 
Spesso  con  orsi  e  con  cingiai  contese , 
E  con  man  nodo  li  pose  a  giacere; 
E  di  lor  carne  con  totta  la  spoglia 
Più  volte  il  ventre  empi  con  fiera  voglia. 

ié     Di  qna  di  là,  di  sa  di  giù  discorre 

Per  tntta  Francia;  e  nn  giorno  a  un  ponte  arriva 

Sotto  cui  largo  e  pieno  d' acqua  corre 

Un  fiume  d' alta  e  di  scoscesa  riva. 

Edificato  accanto  avea  una  torre 

Che  d' ogn'  intomo  e  di  lontan  scopriva. 

Quel  che  fé  quivi»  avete  altrove  a  udire; 

Che  di  Zerbin  mi  convien  prima  dire. 

i6     Zerbin,  da  poi  ch'Orlando  fu  partito, 
Dimorò  alquanto,  e  poi  prese  il  sentiero 
^Xr  Che  '1  paladino  innanzi  gli  avea  trito, 

^;  •  E  mosse  a  passo  lento  il  suo  destriero. 

^V  Non  credo  che  duo  miglia  anco  fosse  ito, 

^  \^  Che  trar  vide  legato  un  cavaliere 

%}''*  Sopra  un  piccol  ronzino,  e  d'ogni  lato 

^' V  La  guardia  aver  d' un  cavaliere  armato. 

f  id     Zerbin  questo  prigion  conobbe  tosto 

^  '  Che  gli  fu  appresso,  e  cosi  fé  Isabella. 

^^  Era  Odorico  il  Bìscaglìn,  che  posto 

Fa  come  lupo  a  guardia  dell'  agnella. 
L'avea  a  tutti  gli  amici  suoi  preposto 
Zerbino  in  confidargli  la  donzella, 
Sperando  che  la  fede  che  nel  resto 
Sempre  avea  avuta,  avesse  ancora  in  questo. 

i7     Come  era  a  punto  quella  cosa  stata 
Venia  Isabella  raccontando  allotta: 
Come  nel  palischermo  fu  salvata,   . 
Prima  ch'avesse  il  mar  la  nave  rotta; 
La  forza  che  l' avea  Odorico  osata  : 
E  come  tratta  poi  fosse  alla  grotta. 
Nò  ginnt'  era  anco  al  fin  di  quel  sermone, 
Che  trarre  il  malfattor  vider  prigione. 


CINTO  VENTESIHOQUàRTO. 

iS     I  duo  cb'  in  mezzo  avean  preso  Odorìco, 
W  Isabella  notizia  ebbeno  vera; 
£  s' avvisaro  esser  di  lei  l' amico, 
£  '1  signor  lor,  colui  cb'  appresso  l' era  ; 
Ma  più,  cbe  nello  scudo  il  segno  antico 
Yider  dipinto  di  sua  stirpe  altiera  : 
£  trovar,  poi  cbe  guardar  meglio  al  viso, 
Che  s' era  al  vero  apposto  il  loro  avviso. 

i9     Saltare  a  piedi,  e  con  aperte  braccia 
Correndo  se  n'  andar  verso  Zerbino, 
£  l'abbracciare  ove  il  maggior  s'abbraccia, 
Col  capo  nudo,  e  col  ginocchio  chino. 
Zerbin,  guardando  Tuno  e  l'altro  in  faccia, 
Vide  esser  V  un  Corebo  il  Biscaglino, 
Almonio  l'altro,  ch'egli  avea  mandati 
Con  Odorico  in  sul  navilio  armati. 

so     Almonio  disse  :  Poiché  piace  a  Dio 
(La  sua  mercè)  che  sia  Isabella  teco. 
Io  posso  ben  comprender,  signor  mio, 
Che  nulla  cosa  nuova  ora  t'arreco; 
S' io  vo'  dir  la  cagion  che  questo  rio 
Fa  che  cosi  legato  vedi  meco; 
Che  da  costei,  che  più  senti  l' offesa, 
A  punto  avrai  tutta  l' istoria  intesa. 

31     Come  dal  traditore  io  fui  schernito 
Quando  da  sé  levommi,  saper  dei; 
£  come  poi  Corebo  fu  ferito, 
Ch'  a  difender  s' avea  tolto  costei. 
Ma  quanto  al  mio  ritorno  sia  seguito, 
Né  veduto  né  inteso  fu  da  lei, 
Che  te  r  abbia  potuto  riferire  : 
Di  questa  parte  dunque  io  ti  vo'  dire. 

22     Dalla  cittade  al  mar  ratto  io  veniva 
Con  cavalli  eh'  in  fretta  avea  trovati. 
Sempre  con  gli  occhi  intenti  s' io  scopriva 
Costor  che  molto  addietro  eran  restati. 
Io  vengo  innanzi,  io  vengo  in  su  la  riva 
Del  mare,  al  luogo  ove  io  gli  avea  lasciati: 
Io  guardo,  né  di  loro  altro  ritrovo. 
Che  neli'  arena  alcun  vestigio  nuovo. 


ORLANDO   FURIOSO. 


I 


/ii'7'Ì 


ORLANDO    FURIOSO 


LODOVICO     ARIOSTO: 

PRECEDUTO 

DA   ALCCm 

PBN9IBRI    DI   VINCBIVZO   OIOBBRTI , 

K    COBREDATO    Di    NOTE    STORICHE 
E    FILOLOGICHE. 

VOI.    Il- 


TeniM  Edisioav. 


FIRENZK. 

FELICE    LE  MONNIER. 


1854. 


10  ORLANDO  FURIOSO. 

43  Di  dover  servar  questo,  Zerbin  diede 
Ad  Odorico  an  giuramento  forte. 

Con  patto  che  se  mai  rompe  la  fede, 
E  eh'  innanzi  gli  capiti  per  sorte, 
Senza  udir  prieghi  e  averne  più  mercede, 
Lo  debba  far  morir  di  cruda  morte. 
Ad  Almonio  e  a  Gorebo  poi  rivolto, 
Fece  Zerbin  che  fu  Odorico  sciolto. 

44  Gorebo,  consentendo  Almonio,  sciolse 
Il  traditore  al6n,  ma  non  in  fretta; 

Gh'  air  uno  e  air  altro  esser  turbato  dolse 
Da  si  desiderata  sua  vendetta. 
Quindi  partissi  il  disleale,  e  tolse 
In  compagnia  la  vecchia  maledetta. 
Non  si  legge  in  Turpin  che  n'  avvenisse  ; 
Ma  vidi  già  un  autor  che  più  ne  scrisse. 

45  Scrive  Fautore,  il  cui  nome  mi  taccio, 
Ghe  non  furo  lontani  una  giornata, 

Ghe  per  torsi  Odorico  quello  impaccio, 
Gontra  ogni  patto  ed  ogni  fede  data. 
Al  collo  di  Gabrina  gittò  un  laccio, 
£  che  ad  un  olmo  la  lasciò  impiccata  ; 
£  eh'  indi  a  un  anno  (ma  non  dice  il  loco) 
Almonio  a  lui  fece  il  medesmo  gioco. 

46  Zerbin,  che  dietro  era  venuto  all'orma 
Del  paladin,  né  perder  la  vorrebbe, 
Manda  a  dar  di  sé  nuove  alla  sua  torma, 
Ghe  star  senza  gran  dubbio  non  ne  debbe  : 
Almonio  manda,  e  di  più  cose  informa, 
Ghe  lungo  il  tutto  a  ricontar  sarebbe  ; 
Almonio  manda,  e  a  lui  Gorebo  appresso; 
Nò  tien,  fuorchò  Isabella,  altri  con  esso. 

47  Tanf  era  l' amor  grande  che  Zerbino, 
£  non  minor  del  suo  quel  che  Isabella 
Portava  al  virtuoso  paladino; 

Tanto  il  desir  d'intender  la  novella, 
Gh'  egli  avesse  trovato  il  Saracino 
Ghe  del  destrier  lo  trasse  con  la  sella; 
Ghe  non  farà  all'  esercito  ritorno. 
Se  non  finito  che  sia  il  terzo  giorno; 


CANTO  VBNTESIMOQUÀRTO.  11 

4S     n  termine  eh'  Orlando  aspettar  disse 
Il  cavalier  eh'  ancor  non  porta  spada. 
Non  è  alcun  luogo  dove  il  conte  gisse, 
Che  Zerbin  pel  medesimo  non  vada. 
Giunse  alfin  tra  quegli  arbori  che  scrisse 
L'ingrata  donna,  un  poco  fuor  di  strada; 
E  con  la  fonte  e  col  vicino  sasso 
Tutti  li  ritrovò  messi  in  fracasso. 

49     Vede  lontan  non  sa  che  luminoso, 
E  trova  la  corazza  esser  del  conte  ; 
E  trova  Y  elmo  poi,  non  quel  famoso 
Ch'armò  già  il  capo  all'africano  Almonte; 
Il  destrier  nella  selva  più  nascoso 
Sente  a  nitrire,  e  leva  al  suon  la  fronte  ; 
E  vede  Brigliador  p&scer  per  l'erba, 
Che  dall'  arcion  pendente  il  freno  serba. 

60  Durindana  cercò  per  la  foresta, 
E  fuor  la  vide  del  fodero  starse. 
Trovò,  ma  in  pezzi,  ancor  la  sopravvesta 
Ch'  in  cento  lochi  il  miser  conte  sparse. 
Isabella  e  Zerbin  con  faccia  mesta 
Stanno  mirando,  e  non  san  che  pensarse: 
Pensar  potrian  tutte  le  cose,  eccetto 

Che  fosse  Orlando  fuor  dell'  intelletto. 

61  Se  di  sangue  vedessino  una  goccia. 
Creder  potrian  che  fosse  stato  morto. 
Intanto  lungo  la  corrente  doccia 
Yider  venire  un  pastorello  smorto. 
Costui  pur  dianzi  avea  di  su  la  roccia 
L'alto  furor  dell'infelice  scorto, 
Come  l'arme  gittò,  squarciossi  i  panni, 
Pastori  accise,  e  fé  mill' altri  danni. 

62  Costai,  richiesto  da  Zerbin,  gli  diede 
Vera  informazion  di  tatto  questo. 
Zerbin  si  maraviglia,  e  a  pena  il  crede; 
E  tuttavia  n'  ha  indizio  manifesto. 

.    Sia  come  vuole,  egli  discende  a  piede, 
Pien  di  pleiade,  lacrimoso  e  mesto, 
E  rìcogliendo  da  diversa  parte 
Le  reliquie  ne  va,  eh'  erano  sparte. 


12  ORLANDO  FURIOSO. 

S3     Del  palafren  discende  anco  Isabella, 
E  va  qaeir  arme  ridocendo  insieme. 
Ecco  lor  sopravviene  una  donzella 
Dolente  in  vista  ^  e  di  cor  spesso  geme. 
Se  mi  domanda  alcun  chi  sìa,  perch'olla 
Cosi  s' affligge,  e  che  dolor  la  preme  ; 
Io  gli  risponderò  eh'  è  Fiordiligi , 
Che  dell'  amante  suo  cerca  ì  vestigi. 

64  Da  Brandi  marte  senza  farle  motto 
Lasciata  fu  nella  città  di  Carlo, 
Dov'ella  l'aspettò  sei  mesi  ed  otto: 
E  quando  alGn  non  vide  ritornarlo. 
Da  un  mare  all'altro  si  mise,  fin  sotto 
Pirone  e  l'Alpe,  e  per  tutlo  a  cercarlo  : 
L'andò  cercando  in  ogni  parte,  fuore 
Gh'  al  palazzo  d' Atlante  incantatore. 

65  Se  fosse  stata  a  queir oslel  d'Atlante, 
Veduto  con  Gradasso  andare  errando 
L'avrebbe,  con  Ruggier,  con  Bradamante, 
E  con  Ferraù  prima ,  e  con  Orlando.   . 

Ma  poi  che  cacciò  Astolfo  il  necromante 
Col  suon  del  corno  orribile  e  mirando, 
Brandimarte  tornò  verso  Parigi  ; 
Ma  non  sapea  già  questo  Fiordiligi. 

66  Come  io  vi  dico,  sopraggiunta  a  caso 
A  quei  duo  amanti  Fiordiligi  bella, 
Conobbe  l'arme,  e  Brigliador  rimaso 
Senza  il  patrone,  e  col  freno  alla  sella. 
Vide  con  gli  occhi  il  miserabil  caso, 

E  n'  ebbe  per  udita  anco  novella  ; 
Che  similmente  il  pastorel  narrolle 
Aver  veduto  Orlando  correr  folle. 

67  Quivi  Zerbin  tutte  raguna  l' arme, 
£  ne  fa  come  un  bel  trofeo  s' un  pino  ; 
E  volendo  vietar  che  non  se  n'  arme 
Cavalier  paesan  né  peregrino, 

Scrive  nel  verde  ceppo  in  breve  carme  : 
Armatura  d*  Orlando  Paladino  ; 
Come  volesse  dir:  Nessun  la  mova. 
Che  star  non  possa  con  Orlando  a  prova. 


CANTO  YENTESIMOQCARTO.  |3 

6%     Finito  ch'ebbe  la  lodevol  opra, 
Tornava  a  rimontar  sul  suo  destriero  ; 
Ed  ecco  Mandricardo  arrivar  sopra, 
Che  visto  il  pin  di  quelle  spoglie  altiero , 
Lo  priega  che  la  cosa  gli  discopra  : 
£  quel  gli  narra ,  come  ha  inteso ,  il  vero. 
Allora  il  re  pagan  lieto  non  bada, 
Che  viene  al  pino,  e  ne  leva  la  spada, 

59  Dicendo:  Alcun  non  me  ne  può  riprendere: 
Non  è  pur  oggi  eh'  io  l' ho  fatta  mia  ; 

Ed  il  possesso  gfustamente  prendere 
Ne  posso  in  ogni  parte,  ovunque  sìa. 
Orlando,  che  temea  quella  difendere, 
S' ha  fìnto  pazzo,  e  l' ha  gittata  via  ; 
Ma  quando  sua  viltà  pur  cosi  scusi, 
Non  debbe  far  eh'  io  mia  ragion  non  usi. 

60  Zerbino  a  lui  gridava:  Non  la  torre > 
0  pensa  non  l' aver  senza  questione. 
Se  togliesti  cosi  l' arme  d' Ettorre, 

Tu  rhai  di  furto,  più  che  di  ragione. 
Senz'  altro  dir  V  un  sopra  V  altro  corre, 
D'animo  e  di  virtù  gran  paragone. 
Di  cento  colpi  già  rimbomba  il  suono  ; 
Né  bene  ancor  nella  battaglia  sono. 

61  Di  prestezza  Zejbin  pare  una  Gamma 
A  torsi,  ovunque  Durindana  cada: 

Di  qua  di  là  saltar  come  una  damma 

Fa  '1  sub  destrier ,  dove  è  miglior  la  strada. 

E  ben  convien  che  non  ne  perda  dramma  ; 

Ch'  andrà,  s'un  tratto  il  coglie  quella  spada, 

A  ritrovar  gì*  innamorati  spirti , 

Ch'  empion  la  selva  degli  ombrosi  mirti. 

62  Come  il  veloce  can  che  '1  porco  assalta. 
Che  fuor  del  gregge  errar  vegga  nei  campi, 
Lo  va  aggirando,  e  quinci  e  quindi  salta; 
Ma  quello  attende  eh' una  volta  inciampi: 
Cosi,  se  vien  la  spada  o  bassa  od  alta, 

Sta  mirando  Zerbin  come  ne  scampi  ; 
Come  la  vita  e  Toner  salvi  a  un  tempo, 
Tien  sempre  V  occhio,  e  fiere  e  fugge  a  tempo 
II.        -  2 


ORLANDO  FURIOSO. 

iZ     E  quindi  errando  per  tatto  il  paese, 
Dava  la  caccia  e  agli  uomini  e  alle  fere  ; 
£  scorrendo  pei  boschi,  talor  prese 
I  capri  snelli,  e  le  damme  leggere; 
Spesso  con  orsi  e  con  cingiai  contese, 
£  con  man  nude  li  pose  a  giacere; 
£  di  lor  carne  con  tutta  la  spoglia 
Più  volte  il  ventre  empi  con  fiera  voglia. 

14     Di  qua  di  là,  di  sa  di  giù  discorre 

Per  tutta  Francia;  e  un  giorno  a  un  ponte  arriva 

Sotto  cui  largo  e  pieno  d' acqua  corre 

Un  fiume  d' alta  e  di  scoscesa  riva. 

Edificato  accanto  avea  una  torre 

Che  d' ogn'  intomo  e  di  lontan  scopriva. 

Quel  che  fé  quivi,  avete  altrove  a  udire; 

Che  di  Zerbin  mi  convien  prima  dire. 

45     Zerbin,  da  poi  cb' Orlando  fu  partito, 
Dimorò  alquanto,  e  poi  prese  il  sentiero 
Che  '1  paladino  innanzi  gli  avea  trito, 
£  mosse  a  passo  lento  il  suo  destriero. 
Non  credo  che  duo  miglia  anco  fosse  ito, 
Che  trar  vide  legalo  un  cavaliere 
Sopra  un  piccol  ronzino,  e  d'ogni  lato 
La  guardia  aver  d' un  cavaliere  armato. 

ift     Zerbin  questo  prigion  conobbe  tosto 
Che  gli  fu  appresso,  e  cosi  fé  Isabella. 
Era  Odorico  il  Biscaglin,  che  posto 
Fu  come  lupo  a  guardia  dell'  agnella. 
L'avea  a  tutti  gli  amici  suoi  preposto 
Zerbino  in  confidargli  la  donzella. 
Sperando  che  la  fede  che  nel  resto 
Sempre  avea  avuta,  avesse  ancora  in  questo. 

il     Come  era  a  punto  quella  cosa  stata 

Venia  Isabella  raccontando  allotta: 

Come  nel  palischermo  fu  salvata. 

Prima  cb'  avesse  il  mar  la  nave  rotta  ; 

La  forza  che  V  avea  Odorico  usata  : 
k  E  come  tratta  poi  fosse  alla  grotta. 
^     Nò  giunt'  era  anco  al  fin  di  quel  sermone, 

Che  trarre  il  malfattor  vider  prigione. 


CANTO  VENTESIMOQCàRTO. 

i$     I  duo  eh'  in  mezzo  avean  preso  Odorico, 
D'Isabella  notìzia  ebbeno  vera; 
E  s' avvisaro  esser  di  lei  l' amico, 
E  '1  signor  lor,  colai  eh'  appresso  l' era  ; 
Ma  più,  che  nello  scodo  il  segno  antico 
Yider  dipinto  di  saa  stirpe  altiera  : 
E  trovar,  poi  che  guardar  meglio  al  viso, 
Che  s' era  al  vero  apposto  il  loro  avviso. 

i9     Saltaro  a  piedi,  e  con  aperte  braccia 
Correndo  se  n'  andar  verso  Zerbino, 
E  l'abbracciare  ove  il  maggior  s'abbraccia, 
Gol  capo  nudo,  e  col  ginocchio  chino. 
Zerbin,  guardando  V uno  e  l'altro  in  faccia, 
Vide  esser  l'nn  Gorebo  il  Biscagline, 
Almonio  l'altro,  ch'egli  avea  mandati 
Gon  Odorico  in  sul  navilio  armati. 

so     Almonio  disse  :  Poiché  piace  a  Dio 
(La  sua  mercè)  che  sia  Isabella  teco. 
Io  posso  ben  comprender,  signor  mio, 
Ghe  nulla  cosa  nuova  ora  t'arreco; 
S' io  vo'  dir  la  cagion  che  questo  rio 
Fa  che  cosi  legato  vedi  meco; 
Che  da  costei,  che  più  senti  l' offesa, 
A  punto  avrai  tutta  l' istoria  intesa. 

81     Geme  dal  traditore  io  fui  schernito 
Quando  da  sé  levommi,  saper  dei; 
E  come  poi  Gorebo  fu  ferito, 
Gh'  a  difender  s' avea  tolto  costei. 
Ma  quanto  al  mio  ritorno  sia  seguito, 
Né  veduto  né  inteso  fu  da  lei, 
Ghe  te  l'abbia  potuto  riferire: 
Di  questa  parte  dunque  io  ti  vo'  dire. 

32     Dalla  cittade  al  mar  ratto  io  veniva 
Gon  cavalli  eh'  in  fretta  avea  trovati. 
Sempre  con  gli  occhi  intenti  s' io  scopriva 
Gostor  che  molto  addietro  eran  restati. 
Io  vengo  innanzi,  io  vengo  in  su  la  riva 
Del  mare,  al  luogo  ove  io  gli  avea  lasciati: 
Io  guardo,  né  di  loro  altro  ritrovo, 
Ghe  neir  arena  alcun  vestigio  nuovo. 


1 


iO  ORLANDO  FUBI090. 

73  Fiordiligì ,  che  mal  vede  difesa 
La  buona  spada  del  misero  conte. 
Tacita  doolsi  ;  e  tanto  le  ne  pesa, 
Che  d' ira  piange,  e  battesi  la  fronte. 
Yorria  aver  Brandimarte  a  quella  impresa  ; 
E  se  mai  lo  ritrova  e  gli  lo  conte, 

Non  crede  poi  che  Mandrìcardo  vada 
Lunga  stagione  altier  di  quella  spada. 

74  Fiordiligi  cercando  pure  invano 
Va  Brandimarte  suo  mattina  e  sera  ; 
E  fa  cammin  da  lui  mollo  lontano, 
Da  lui  che  già  tornalo  a  Parigi  era. 
Tanto  ella  se  n'  andò  per  monte  e  piano. 
Che  giunse  ove,  al  passar  d' una  riviera, 
Vide  e  conobbe  il  miser  paladino  ; 

Ma  diciam  quel  che  avvenne  di  Zerbino  : 

76     Che  il  lasciar  Durindana  si  gran  fallo 

Gli  par,  che  più  d' ogni  altro  mal  gì*  incresce  ; 
Quantunque  appena  star  possa  a  cavallo. 
Pel  molto  sangue  che  gli  è  uscito  ed  esce. 
Or,  poiché  dopo  non  troppo  intervallo 
Cessa  con  Tira  il  caldo,  il  dolor  cresce: 
Cresce  il  dolor  sk  impetuosamente, 
Che  mancarsi  la  vita  se  ne  sente. 

76  Per  debolezza  più  non  pelea  gire  ; 
SI  che  fermossi  appresso*  una  fontana. 
Non  sa  che  far,  né  che  si  debba  dire, 
Per  aiutarlo,  la  donzella  umana. 

Sol  di  disagio  lo  vede  morire  ; 
Che  quindi  é  troppo  ogni  città  lontana , 
Dove  in  quel  punto  al  medico  ricorra. 
Che  per  pleiade  o  premio  gli  soccorra. 

77  Ella  non  sa,  se  non  invan  dolersi. 
Chiamar  fortuna  e  il  cielo  empio  e  crudele. 
Perché,  ahi  lassai  dicea,  non  mi  sommersi 
Quando  levai  nel!'  ocean  le  vele? 

Zerbin,  che  i  languidi  occhi  ha  in  lei  conversi. 

Sente  più  doglia  ch'ella  si  querele, 

Che  della  passion  tenace  e  forte 

Che  r  ha  condotto  omai  vicino  a  morte. 


CANtO  VENtESlMOQUÀRTO.  l7 

78  Cosi,  cor  mio,  vogliate  (le  diceva), 
Dopo  ch'io  sarò  morto,  amarmi  ancora, 
Come  solo  il  lasciarvi  è  che  m' aggreva 
Qai  senza  gaida,  e  non  già  perch'io  mora: 
Che  se  in  sicura  parte  m' accadeva 

Finir  della  mia  vita  V  ultima  ora. 
Lieto  e  contento  e  fortunato  appieno 
Morto  sarei,  poich'  io  vi  moro  in  seno. 

79  Ma  poiché  '1  mio  destino  iniquo  e  duro 
Vuol  ch'io  vi  lasci,  e  non  so  in  man  dì  cui; 
Per  questa  bocca  e  per  questi  occhi  giuro, 
Per  queste  chiome  onde  allacciato  fui. 

Che  disperato  nel  profondo  oscuro 
Yo  dello  'nferno,  ove  il  pensar  di  vni, 
Ch'  abbia  cosi  lasciata,  assai  più  ria 
Sarà  d' ogni  altra  pena  che  vi  sia. 

so     A  questo  la  mestissima  Isabella , 
Declinando  la  faccia  lacrimosa, 
E  congiungendo  la  sua  bocca  a  quella 
Di  Zerbin,  languidetta  come  rosa. 
Rosa  non  colta  in  sua  stagion,  si  ch'ella 
Impallidisca  in  su  la  siepe  ombrosa. 
Disse  :  Non  vi  pensate  già,  mia  vita^ 
Far  senza  me  quest'  ultima  partita. 

81  Di  ciò,  cor  mio,  nessun  timor  vi  tocchi  ; 
Ch'  io  vo'  seguirvi  o  in  cielo  o  nello  'nferno. 
Convien  che  1'  uno  e  V  altro  spirto  scocchi , 
Insieme  vada,  insieme  stia  in  eterno. 

Non  si  tosto  vedrò  chiudervi  g|^  occhi, 
0  che  m' ucciderà  il  dolore  interno, 
0,  se  quel  non  può  tanto,  io  vi  prometto 
Con  questa  spada  oggi  passarmi  il  petto. 

82  De*  corpi  nostri  ho  ancor  non  poca  speme» 
Che  mormorti,  che  vivi,  abbian  ventura. 
Qui  forse  alcun  capiterà,  eh'  insieme, 
Mosso  a  pietà,  darà  lor  sepoltura.  ^ 
Cosi  dicendo,  le  reliquie  estreme 

Dello  spirto  vilal  che  morte  fura. 
Va  ricogliendo  con  le  labbra  meste, 
Fin  eh'  una  minima  aura  ve  ne  reste. 

2* 


18  ORLANDO  FURIOSO. 

83      Zerbin,  la  debol  voce  rìforzando. 
Disse:  Io  vi  prìego  e  supplico,  mia  diva, 
Per  quello  amor  che  mi  mostraste,  quando 

^:  Per  me  lasciaste  la  paterna  riva  ; 

E  se  comandar  posso,  io  ve  '1  comando, 

":  Che,  finché  piaccia  a  Dio,  restiate  viva  ; 

^  Né  mai  per  caso  pogniate  in  obblio, 

^t  Che,  quanto  amar  si  può,  v'abbia  amato  io. 

fj<  84     Dio  vi  provvedere  d' aiuto  forse, 

li^  '  Per  liberarvi  d' ogni  atto  villano, 

^  Come  fé  quando  alla  spelonca  torse, 

Il  Per  indi  trarvi,  il  senator  romano. 

|:;  Cosi  (la  sua  mercè)  già  vi  soccorse 

^^  Nel  mare,  e  centra  il  fiiscaglin  profano  : 

ii|    '  '  E  se  pure  avverrà  che  poi  si  deggia 

^r  Morire,  allora  il  minor  mal  s' eleggia. 

^: .  85      Non  credo  che  quest'  ultime  parole 

1^  r  ^     Potesse  esprimer  si,  che  fosse  inteso; 

|if  E  fini  come  il  debol  lume  suole, 

^^  Cui  cera  manchi,  od  altro  in  che  sia  acceso. 

Chi  potrà  dire  appien  come  si  duole, 
Poiché  si  vede  pallido  e  disteso, 
La  giovanotta,  e  freddo  come  ghiaccio 
Il  suo  caro  Zerbin  restare  in  braccio? 

86  Sopra  il  sanguigno  corpo  s' abbandona, 
E  di  copiose  lacrime  lo  bagna  ; 
E  stride  si,  eh'  intorno  ne  risuona 
A  molte  miglia  il  bosco  e  la  campagna. 
Né  alle  guance  né  al  petto  si  perdona. 
Che  r  nnS  e  V  altro  non  percuota  e  fragna  ; 
E  straccia  a  torto  V  auree  crespe  chiome, 
Chiamando  sempre  invan  V  amato  nome. 

87  In  tanta  rabbia,  in  tal  furor  sommersa  * 
V  avea  la  doglia  saa,  che  facilmente 
Avria  la  spada  in  sé  stessa  conversa. 
Poco  al  suo  amante  in  questo  ubbidiente  ; 
S' uno  eremita,  eh'  alla  fresca  e  tersa 
Fonte  avea  usanza  di  tornar  sovente 
Dalla  sua  quindi  non  lontana  cella, 
Non  s' opponea,  venendo,  al  voler  d' ella. 


CANTO  VENTESIMOQUARTO.  19 

SS  II  venerabìl  nom,  eh'  alta  bontade 
Avea  coDgionta  a  naturai  pradenzia, 
Ed  era  tatto  pien  di  carìtadOt 

Di  baoni  esempi  ornato  e  d' eloqaenzìa,  ^ 

Alla  giovan  dolente  persuade  |! 

Con  ragioni  efiScaci  pazienzia  ; 
Ed  innanzi  le  pon,  come  ano  specchio, 
Donne  del  Testamento  e  nuovo  e  vecchio. 

89  Poi  le  fece  veder,  come  non  fusse 
Alcun,  se  non  in  Dio,  vero  contento  ; 
E  eh'  eran  V  altre  transitorie  e  flusso 
Speranze  umane,  e  di  poco  momento  : 
E  tanto  seppe  dir,  che  la  ridusse 
Da  quel  crudele  ed  ostinato  intento, 
Che  la  vita  seguente  ebbe  disio 
Tutta  al  servigio  dedicar  di  Dio. 

90  Non  che  lasciar  del  suo  signor  voglia  unque 
Né  '1  grande  amor,  né  le  reliquie  morte  : 
Gonvien  che  l' abbia  ovunque  stia ,  ed  ovunque 
Vada,  e  che  seco  e  notte  e  di  le  porte. 
Quindi  aiutando  V  eremita  dunque, 
Ch'  era  della  sua  età  valido  e  forte. 
Sul  mesto  suo  destrier  Zerbin  posare, 
E  molti  di  per  quelle  selve  andare. 

91  Non  volse  il  cauto  vecchio  ridnr  seco. 
Sola  con  solo,  la  giovane  bella 
Là  dove  ascosa  in  un  selvaggio  speco 
Non  lungi  avea  la  solitaria  cella  ; 
Fra  sé  dicendo  :  Con  periglio  arreco 
In  una  man  la  paglia  e  la  facella. 
Né  si  fida  in  sua  età  nò  in  sua  prudenziai 
Che  di  sé  faccia  tanta  esperienzia. 

92  Di  condurla  in  Provenza  ebbe  pensiero, 
Non  lontano  a  Marsilia  in  un  castello, 
Dove  di  sante  donne  un  monastero 
Ricchissimo  era,  e  di  edificio  bello  : 
E  per  portarne  il  morto  cavaliero. 
Composto  in  una  cassa  aveano  quello. 
Che  in  un  caslel,  eh'  era  tra  via,  si  fece 
Lunga  e  capace,  e  ben  chiusa  di  pece. 


20  ORLANDO  FURIOSO. 

93  Più  e  più  giorni  gran  spazio  di  terra 
Cercaro»  e  sempre  per  lochi  più  incaltiy 
Che  pieno  essendo  ogni  cosa  di  guerra, 
Yoleano  gir  più  che  poteano  occulti. 
Alfin  un  cavalier  la  via  lor  serra» 

Che  lor  fé  oltraggi  e  disonesti  insulti  ; 
Di  cui  dirò  quando  il  suo  loco  fia  : 
Ma  ritorno  ora  al  re  di  Tartaria. 

94  Avuto  eh'  ebbe  la  battaglia  il  fine 
Che  già  v'  ho  detto,  il  gìovin  si  raccolse 
Alle  fresche  ombre  e  air  onde  cristalline, 
Ed  al  destrier  la  sella  e  '1  freno  tolse, 

£  lo  lasciò  per  V  erbe  tenerine 
Del  prato  andar  pascendo  ov'  egli  volse  : 
Ma  non  stè  molto,  che  vide  lontano 
Calar  dal  monte  un  cavaliere  al  piano. 

95  Conobbel,  come  prima  alzò  la  fronte, 
Doralice,  e  mostrollo  a  Mandricardo, 
Dicendo:  Ecco  il  superbo  Rodomonte, 
Se  non  m' inganna  di  lontan  lo  sguardo. 
Per  far  teco  battaglia  cala  il  monte  : 

Or  ti  potrà  giovar  V  esser  gagliardo. 
Perduta  avermi  a  grande  ingiuria  tiene, 
Ch'  era  sua  sposa,  e  a  vendicar  si  viene. 

96  Qual  buono  astor  che  V  anitra  o  Tacceggia, 
Starna  o  colombo  o  simil  altro  augello 
Venirsi  incontra  di  lontano  veggia, 

Leva  la  testa,  e  si  fa  lieto  e  bello; 
Tal  Mandricardo,  come  certo  deggia 
Di  Rodomonte  far  strage  e  macello. 
Con  letizia  e  baldanza  il  destrier  piglia, 
Le  staffe  ai  piedi,  e  dà  alla  man  la  briglia. 

97  Quando  vicini  fur  si,  ch'udir  chiare 
Tra  lor  poteansi  le  parole  altiere. 
Con  le  mani  e  col  capo  a  minacciare 
Incominciò  gridando  il  re  d'Algiere, 
Ch'  a  penitenza  gli  farla  tornare. 
Che  per  un  temerario  suo  piacere   . 
Non  avesse  rispetto  a  provocarsi 

Lui  eh'  altamente  era  per  vendicarsi. 


1 


CANTO  VENTESIMOQUARTO.  2l 

98  Rispose  Mandricardo  :  Indarno  tenta 
Chi  mi  vuol  impaurir  per  minacciarme. 
Cosi  fanciulli  o  femmine  spaventa, 

0  altri  che  non  sappia  che  sieno  arme  ; 
Me  non,  cui  la  battaglia  più  talenta 
D' ogni  riposo;  e  son  per  adoprarme 
A  pie,  a  cavallo,  armato  e  disarmato. 
Sia  alla  campagna,  o  sia  nello  sleccato. 

99  Ecco  sono  agli  oltraggi,  al  grido,  all'ire. 
Al  trar  de'  brandi ,  al  crudel  suon  de'  ferri  ; 
Come  vento  che  prima  appena  spire. 

Poi  cominci  a  crollar  frassini  e  corri  ; 
Et  indi  oscura  polve  in  cielo  aggiro. 
Indi  gli  arbori  svelta,  e  case  atterri, 
Sommerga  in  mare,  e  porti  ria  tempesta 
Che  il  gregge  sparso  uccida  alla  foresta. 

iOO     De'  duo  pagani,  senza  pari  in  terra, 
Gli  audacissimi  cor,  le  forze  estreme 
Parturiscono  colpi  ed  una  guerra 
Conveniente  a  sì  feroce  seme. 
Del  grande  e  orribil  suon  trema  la  terra, 
Quando  le  spade  son  percosse  insieme  : 
Gettano  l' arme  insin  al  ciel  scintille , 
Anzi  lampadi  accese  a  mille  a  mille. 

iOi     Senza  mai  riposarsi  o  pigliar  fiato 
Dura  fra  quei  duo  re  l'aspra  battaglia. 
Tentando  ora  da  questo,  or  da  quel  lato 
Aprir  le  piastre,  e  penetrar  la  maglia. 
Né  perde  l' un,  né  l' altro  acquista  il  prato  ; 
Ma  come  intorno  sian  fosse  o  muraglia, 
0  troppo  costi  ogni  oncia  di  quel  loco, 
Non  si  parton  d' un  cerchio  angusto  e  poco. 

d02     Fra  mille  colpi  il  Tartaro  una  volta 
Colse  a  duo  mani  in  fronte  il  re  d'Algiere, 
Che  gli  fece  veder  girare  in  volta 
Quante  mai  furon  fiaccole  e  lumiere. 
Com'ogni  forza  all' African  sia  tolta, 
Le  groppe  del  destrier  col  capo  fere  : 
Perde  la  staffa,  ed  è,  presente  quella 
Che  cotant'  ama,  per  uscir  di  sella. 


22  ORLANDO  FURIOSO. 

i03     Ma  come  ben  composto  e  valido  arco 
Dì  fino  acciaio,  in  buona  somma  greve. 
Quanto  si  china  più,  quanto  è  più  carco 
E  più  lo  sforzan  martinelli  e  lieve, 
Con  tanto  più  furor,  quando  è  poi  scarco, 
Ritorna,  e  fa  più  mal  che  non  riceve  ; 
Cosi  quello  African  tosto  risorge, 
E  doppio  il  colpo  all'  inimico  porge. 

^k-  404     Rodomonte  a  quel  segno  ove  fu  colto, 

r>  Colse  appunto  il  figliool  del  re  Agrìcane. 

^^  Per  questo  non  potò  nuocergli  al  volto, 

^  Gh'  in  difesa  trovò  l' arme  troiane  ; 

%  Ma  stordi  in  modo  il  Tartaro,  che  molto 

1^;  Non  sapea  s' era  vespero  o  dimane. 

XY  L'irato  Rodomonte  non  s'arresta, 

^  <  Che  mena  l' altro,  e  pur  segna  alla  testa. 

'^. 

"^^  405     11  cavallo  del  Tartaro,  eh'  abborre 

^v  La  spada  che  fischiando  cada  d'alto, 

^-  Al  suo  signor,  con  suo  gran  mal,  soccorre  : 

1>  Perché  s' arretra  per  fuggir  d*  un  salto, 

"'-.  lì  brando  in  mezzo  il  capo  gli  trascorre, 

'^\  Ch'  al  signor,  non  a  lui,  movea  l' assalto. 

11  miser  non  avea  V  elmo  di  Troia, 
Come  il  patrone  ;  onde  convien  che  muoia. 

i06     Quel  cade,  e  Mandricardo  in  piedi  guizza. 
Non  più  stordito,  e  Durindana  aggira. 
Veder  morto  il  cavallo  entro  gli  adizza, 
E  fuor  divampa  un  grave  incendio  d' ira. 
L' African,  per  urtarlo,  il  deslrier  drizza; 
Ma  non  più  Mandricardo  si  ritira. 
Che  scoglio  far  soglia  dall'  onde:  e  avvenne 
Che  '1  destrier  cadde,  ed  egli  in  piò  si  tenne. 

107     L' African,  che  mancarsi  il  destrier  sente. 
Lascia  le  staffe,  e  su  gli  arcion  si  penta, 
E  resta  in  piedi  e  sciolto  agevolmente  : , 
Cosi  r  un  r  altro  poi  di  pari  affronta. 
La  pugna  più  che  mai  ribolle  ardente  ; 
E  r  odio  e  r  ira  e  la  superbia  monta  ; 
Ed  era  per  seguir  ;  ma  quivi  giunse 
In  fretta  un  messaggier  che  li  disgiunse. 


CANTO  VENTESIMOQUARTO.  23 

108     Vi  giunse  un  messaggier  del  popol  moro. 
Di  molti  che  per  Francia  eran  mandati 
A  richiamare  agli  stendardi  loro 
I  capitani  e  i  cavalier  privati; 
Perché  V  imperator  dai  gigli  d' oro 
Gli  avea  gli  alloggiamenti  già  assediati  ; 
£  se  non  è  il  soccorso  a  venir  presto , 
V  eccidio  suo  conosce  manifesto. 

i09     Riconobbe  il  messaggio  i  cavalieri, 
Oltre  all'insegne,  oltre  alle  sopravveste, 
Al  girar  delle  spade,  e  ai  colpi  fieri 
Ch'  altre  man  non  farebbono  che  queste. 
Tra  lor  però  non  osa  entrar,  che  speri 
Che  fra  tant'  ira  sicurtà  gli  preste 
L' esser  messo  del  re  ;  né  si  conforta 
Per  dir,  eh'  imbasciator  pena  non  porta  : 

110     Ma  viene  a  Dorallce,  ed  a  lei  narra 
Ch'Agramante,  Marsilio  e  Slordilano, 
Con  pochi  dentro  a  mal  sicura  sbarra 
Sono  assediati  dai  popol  cristiano. 
Narrato  il  caso,  con  prieghi  ne  inarra 
Che  faccia  il  tutto  ai  duo  guerrieri  piano , 
E  che  gli  accordi  insieme,  e  per  lo  scampo 
Del  popol  saracìn  li  meni  in  campo. 

IH     Tra  i  cavalier  la  donna  di  gran  core 
Si  mette,  e  dice  loro:  Io  vi  comando, 
Per  quanto  so  che  mi  portate  amvre. 
Che  riserbiate  a  miglior  uso  il  brando, 
E  ne  vegnate  subito  in  favore 
Del  nostro  campo  Saracino,  quando 
Si  trova  ora  assediato  nelle  tende, 
E  presto  aiuto  o  gran  ruina  attende. 

112      Indi  il  messo  soggiunse  il  gran  periglio 
Dei  Saracinì,  e  narrò  il  fatto  appieno; 
E  diede  insieme  lettere  del  figlio 
Del  re  Troiano  al  figlio  d' Ulieno. 
Si  piglia  finalmente  per  consìglio, 
Che  i  duo  guerrier,  deposto  ogni  veneno^ 
Facciano  insieme  triegna  infino  al  giorno 
Che  sia  tolto  l'assedio  ai  Mori  intorno; 


24  ORLANDO  FURIOSO. 

ii3      E  senza  più  dimora,  come  pria 
Liberato  d'assedio, abbian  lor  gente, 
Non  s'intendano  aver  più  compagnia, 
Ma  crudel  guerra  e  inimicizia  ardente. 
Finché  con  i'  arme  difiinito  sia 
Chi  la  donna  aver  de'  meritamente. 
Quella,  nelle  cai  man  giurato  fue, 
Fece  la  sicurtà  per  amendue. 

ii4      Quivi  era  la  Discordia  impaziente, 
Inimica  di  pace  e  d'ogni  tregua; 
£  la  Superbia  v'  è,  ohe  non  consente 
Né  vuol  patir  che  tale  accordo  segna. 
Ma  più  di  lor  può  Amor  quivi  presente, 
Di  cui  l'alto  valor  nessuno  adegua; 
£  fé  eh'  indietro,  a  colpi  di  saette, 
£  la  Discordia  e  la  Superbia  stette. 

u&     Fu  concluso  la  tregua  fra  costoro, 
Si  come  piacque  a  chi  di  lor  potea. 
Vi  mancava  uno  dei  cavalli  loro  ; 
Che  morto  quel  del  Tartaro  giacea: 
Però  vi  venne  a  tempo  Brigliadoro, 
Che  le  fresch'  erbe  lungo  il  rio  pascea. 
Ma  al  fin  del  Canto  io  mi  trovo  esser  giunto; 
Si  eh'  io  farò,  con  vostra  grazia,  ponto. 


VOTE. 


St.  19,  V.  Z.—El'abbracciaro  ove 
il  maggior  ^'abbraccia;  sotto  l'anca, 
come  fi  ^  veduto  nella  St.  69  del  Can- 
to XVI li  Grifone  aver  fatto  al  re  di 
Damasco. 

St,  23.  V.  1-8. — La  pesta:  le  or- 
me.— Greppi:  laoghi  dirupati,  scoscesi. 

St.  *òò.  V.  b,  —  Bignando,  da  W- 
gnare  o  ringhiare:  dicesi  propriamente 
de'eanij  ma  è  stato  anche  appropriato 
a'  cavalli,  invece  di  nitrire. 

St.  3S.  9.  S.—  Si  reiette:  fi  fa  ri- 
cadere. 


St.  39.  V.  5. — Bintesto:  perdonato. 

St.  47.  V.  6-6.  —  //  Saracino  ee.f 
Mandricardo. 

St.  49.  V.  3-4.— J^  trova  t  elmo 
poi,  non  quel  famoso  ec.j  perchè  di  quel 
famoso  se  n'  era  già  impadronito  i'erraù. . 
Vedi  Canto  XII,  St.  60. 

St.H.v.%.  —  La  selva  degli  om» 
brosi  mirti:  favoleggiata  da  Virgilio 
nel  VI  dell'Eneide,  per  sede  deir anime 
degli  uccisi  per  cagion  d*  amore. 

St.  64.  V.  4-8 — Piastra  :  arma, 
dura  di  dosso. -^  Panmiron  t  armadur» 


CANTO  VENTESIMOQCARTO. 


25 


della  pancia.  —  Corazza  :  armadnra 
tkl  basto,  aUrìmenti  coria/e<lo. — Ar^ 
ciane  :  parte  della  sella ,  fatta  a  guisa 
d*aTco.  —  Arnese  f  nome  generico  che 
può  adattarsi  ad  ogni  parte  dell' arma- 
dura. 

St,  65.  t^.  i.'  Gli  danna:  gli  dan- 

Si.  66.  P.  1-4. —  Così  talora  ee. 
Comparasione  cbe  il  Poeta  ha  tratta  da 
un  uastro  che,  attorniando  il  polso  della 
sua  donna  «  rendeva  distinta  la  di  lei 
roano  dalla  manica  di  drappo  ò'  argento 
die  TestÌTale  il  braccio. 

SL  69.  p.  6.-^Srac€iah  parte 


dell' armadura  cbe  difende  il  braccio. 

Si.  89.  <f.  9.-^  Flusso  f  labili, 
cadoche. 

St,  96.  vA.—'Àeeoggia:  beccaccia. 

Su  98.  p,  ò Talentai  aggrada, 

▼a  a  genio. 

Su  101 .  V.  8. — Poco:  di  poca  esten- 
sione. 

St,  103.  V,  A.^RrarUnellit  ordigni 
da  sollevar  pesi. 

St.  110.  p.  b.— rinarrai  qui  inu 
pegna. 

St,  111.  v.  6. —  Qnandùt  mentre. 

SI.  115.  V.  t.-—A  chi  di  lorpotear 
a  chi  era  signora  di  loro. 


CAISTO  TEJVTESIHOQIJIIVTOe 


Ruggiero ,  dopo  avere  gettato  nel  posso  lo  scudo  ipcantato,  libera  Ricciardetto 
fratello  di  Bradamante  dal  fuoco  a  cui  era  condannato;  e  ha  da  lui  la  storia 
dell' avventura  cbe  fu  cagione  della  condanna.  Passano  quindi  amendoe  in 
Agiismonte, dove  Ruggiero  dli  di  kè  notizia  a  Bradamante  per  lettera;  e  in 
compagnia  di  Ricciardetto  e  d'  Aldigiero  s' incammina  ad  impedire  cbe  Ma- 
lagigi  «  Viviano  sieno  dati  nelle  mani  dei  Magansesi.  Incontro  di  un  cava- 
liero  aol  luogo  ove  far  si  dovea  la  consegna. 


Oh  gran  contrasto  in  giovenìl  pensiero , 
Desir  di  lande,  ed  impeto  d'amerei 
N^,  chi  più  vaglia,  ancor  si  trova  il  vero; 
Che  resta  or  questo  or  quel  superiore. 
Neir  uno  ebbe  e  nell*  altro  cavaliere 
Quivi  gran  forza  il  debito  e  V  onore  ; 
Che  r  amorosa  lite  s' intermesse, 
Finché  soccorso  il  campo  lor  s' avesse. 

8 


20  ORLANDO  FCBIOSO. 

2  Ma  più  ve  Y  ebbe  Amor':  che  se  non  era 
Che  COSÌ  comandò  la  donna  loro, 

Non  si  sciogliea  quella  battaglia  fiera , 
Che  r  nn  n'  avrebbe  il  trionfale  alloro  ; 
Ed  Agramante  invan  con  la  sua  schiera . 
L' aiuto  avria  aspettato  di  costoro. 
Dunque  Amor  sempre  rio  non  si  ritrova  : 
Se  spesso  nuoce,  anco  talvolta  giova. 

3  Or  r  uno  e  V  altro  cavalier  pagano , 
Che  tutti  ha  differiti  i  suoi  litìgi , 
Va,  per  salvar  V  esercito  africano, 
Con  la  donna  gentil  verso  Parigi  ; 

£  va  con  essi  ancora  il  piccol  nano 
Che  seguitò  del  Tartaro  i  vestigi, 
Finché  con  lui  condotto  a  fronte  a  fronte 
Avea  quivi  il  geloso  Rodomonte. 

4  Capitare  in  un  prato,  ove  a  diletto 
Erano  cavalier  sopra  un  ruscello, 

Duo  disarmati,  e  duo  ch*avean  l'elmetto, 
E  una  donna  con  lor  di  viso  bello. 
Chi  fosser  quelli,  altrove  vi  fia  detto: 
Or  no,  che  di  Ruggier  prima  favello; 
Del  buon  Ruggier,  di  cui  vi  fu  narrato 
Che  lo  scudo  nel  pozzo  avea  gittate. 

6     Non  è  dal  pozzo  ancor  lontano  un  miglio. 
Che  venire  un  corrier  vede  in  gran  fretta. 
Di  quei  che  manda  di  Troiano  il  figlso 
Ai  cavalieri  onde  soccorso  aspetta  ; 
Dal  qual  ode  che  Carlo  in  tal  perìglio 
La  gente  saracina  tien  ristretta, 
Che  se  non  è  chi  tosto  le  dia  aita, 
Tosto  r  onor  vi  lascierà  o  la  vita. 

6     Fu  da  molti  pensier  ridutto  in  forse 
Ruggier,  che  tutti  V  assalirò  a  un  tratto  : 
Ma  qual  per  lo  miglior  dovesse  torse. 
Né  luogo  avea  né  tempo  a  pensar  atto. 
Lasciò  andare  il  messaggio,  e  '1  freno  torse 
Là  dove  fu  da  quella  donna  tratto, 
Ch'ad  or  ad  or  in  modo  egli  affrettava, 
Che  nessun  tempo  d' indugiar  le  dava. 


CANTO  VENTESIMOQOINTO.  27 

7  Qaindi  seguendo  il  cammin  preso,  venne 
(Già  declinando  il  Sole)  ad  una  terra 

Che  '1  re  Marsilio  in  mezzo  Francia  tenne, 
Tolta  di  man  di  Carlo  in  quella  guerra. 
Né  al  ponte  né  alla  porta  si  ritenne, 
Che  non  gli  nìega  alcuno  il  passo  o  serra, 
fiench'  intorno  al  rastrello  e  in  su  le  fosse 
Gran  quantità  d' uomini  e  d' arme  fosse. 

8  Perch'era  conosciuta  dalla  gente 
Quella  donzella  ch'avea  in  compagnia, 
Fu  lasciato  passar  liberamente. 

Né  domandato  pure  onde  venia. 
Giunse  alla  piazza,  e  di  fuoco  lucente, 
£  piena  la  trovò  di  gente  ria  ; 
E  vide  in  mezzo  star  con  viso  smorto 
il  giovine  dannato  ad  esser  morto. 

9  Rnggier,  come  gli  alzò  gli  occhi  nel  viso, 
Che  chino  a  terra  e  lacrimoso  stava. 

Di  veder  Bradamante  gli  fu  avviso  : 
Tanto  il  giovine  a  lei  rassimigliava. 
Più  dessa  gli  parea,  quanto  più  fiso 
Al  volto  e  alla  persona  il  riguardava; 
E  fra  sé  disse:  O  questa  è  Bradamante, 
0  ch'io  non  son  Ruggier,  com'era  innante. 

10  Per  troppo  ardir  si  sarà  forse  messa 
Del  garzon  condennato  alla  difesa; 

E  poiché  mal  la  cosa  Té  successa. 
Ne  sarà  stata,  come  io  veggo,  presa. 
Deh  perché  tanta  fretta,  che  con  essa 
lo  non  potei  trovarmi  a  questa  impresa? 
Ma  Dio  ringrazio  che  ci  son  venuto, 
Ch'  a  tempo  ancora  io  potrò  darle  aiuto. 

li      E  senza  più  indugiar,  la  spada  stringe 
(Ch'  avea  all'  altro  castel  rotta  la  lancia), 
E  addosso  il  vulgo  inerme  il  destrier  spinge 
Per  lo  petto,  pei  Oanchi  e  per  la  pancia. 
Mena  la  spada  a  cerco  ;  ed  a  chi  cinge 
La  fronte,  a  chi  la  gola,  a  chi  la  guancia. 
Fugge  il  popol  gridando  ;  e  la  gran  frotta 
Resta  0  sciancata,  o  con  la  testa  rotta. 


2S  OBLANDO  FURIOSO. 

12  Come  stormo  d'auge!,  ch'in  ripa  a  un  stagno 
Vola  sicuro,  e  a  sua  pastura  attende, 

S' improvviso  dal  elei  falcon  grifagno 

Gli  dà  nel  mez^o,  ed  un  ne  batte  o  prende, 

Si  sparge  in  fuga,  ognun  lascia  il  compagno, 

E  dello  scampo  suo  cura  si  prende  : 

Cosi  veduto  avreste  far  costoro. 

Tosto  che  '1  buon  Ruggier  diede  fra  loro. 

13  A  quattro  o  sei  dai  colli  i  capi  netti 
Levò  Ruggier,  ch'indi  a  fuggir  fur  lenti: 
Ne  divise  altrettanti  inOn  ai  petti. 

Fin  agli  occhi  infiniti  e  fin  ai  denti. 
Concederò  che  non  trovasse  elmetti, 
Ma  ben  dì  ferro  assai  cuffie  lucenti  : 
£  s'elmi  fini  anco  vi  fosser  stati. 
Cosi  gli  avrebbe,  o  poco  men,  tagliati. 

ié     La  forza  di  Ruggier  non  era  quale 
Or  si  ritrovi  in  cavalier  moderno. 
Né  in  orso  né  in  leon  né  in  .animale 
Altro  più  fiero,  o  nostrale  od  esterno. 
Forse  il  tremuoto  le  sarebbe  uguale. 
Forse  il  gran  diavol;  non  quel  dello  'nferno, 
Ma  quel  del  mìo  signor,  che  va  col  fuoco, 
Ch'  a  cielo  e  a  terra  e  a  mar  si  fa  dar  loco. 

i5     D' ogni  suo  colpo  mai  non  cadea  manco 
D' un  uomo  in  terra,  e  le  più  volte  un  paio; 
£  quattro  a  un  colpo,  e  cinque  n'  uccìse  anco  ; 
Si  che  si  venne  tosto  al  centinaio. 
Tagliava  il  brando  che  trasse  dal  fianco, 
Come  un  tenero  latte,  il  duro  acciaio. 
Falerina,  per  dar  morte  ad  Orlando, 
Fé  nel  giardin  d' Orgagna  il  crudel  brando. 

16     Averlo  fatto  poi  ben  le  rincrebbe, 
Che  '1  suo  giardin  disfar  vide  con  esso. 
Che  strazio  dunque ,  che  ruina  debba 
Far  or,  eh'  in  man  di  tal  guerriero  è  messo? 
Se  mai  Ruggier  furor,  se  mai  forza  ebbe, 
Se  mai  fu  l' alto  suo  valore  espresso, 
Qui  l'ebbe,  il  pose  qui,  qui  fu  veduto. 
Sperando  dare  alla  sua  donna  aiuto. 


CANTO  TENTESIUOQUINXO.  29 

i7     Qaal  fa  la  lepre  centra  i  cani  sciolti, 
Facea  la  torba  contra  lai  riparo. 
Qaei  che  restaro  uccisi,  foro  molti  ; 
Faro  inOniti  qaei  eh'  in  foga  andaro. 
ATea  la  donna  intanto  i  lacci  tolti , 
Gh'  ambe  le  mani  al  giovine  legare  ; 
E,  come  potè  meglio,  presto  armollo. 
Gli  die  una  spada  in  mano,  e  un  scado  al  collo. 

18  Egli  che  molto  è  offeso,  più  che  paote 
Si  cerca  vendicar  di  quella  gente  : 

E  quivi  son  si  le  sue  forze  note, 
Che  riputar  si  fa  prode  e  valente. 
Già  avea  attaffato  le  dorate  ruote 
Il  Sol  nella  marina  d'occidente, 
Quando  Ruggier  vittorioso  e  quello 
Giovine  seco  uscir  fuor  del  castello. 

19  Quando  il  garzon  sicuro  della  vita 
€on  Ruggier  si  trovò  fuor  delle  porte  i 
Gli  rendè  molta  grazia  ed  infinita 
Con  gentil  modi  e  con  parole  accorte, 
Che,  non  lo  conoscendo,  a  dargli  aita 
Si  fosse  messo  a  rischio  della  morte  : 
E  pregò  che  '1  suo  nome  gli  dicesse, 
Per  sapere  a  «hi  tanto  obbligo  avesse. 

20  Veggo,  dicea  Ruggier,  la  faccia  bella, 
E  le  belle  fattezze  e  '1  bel  sembiante  ; 
Ma  la  suavità  della  favella 

Non  odo  già  della  mia  Rradamante  ; 
Né  la  relazion  di  grazie  è  quella 
Ch'  ella  usar  debba  al  suo  fedele  amante. 
Ila  se  pur  questa  è  Rradamante,  or  come 
Ha  si  tosto  in  obblio  messo  il  mio  nome  ? 

21  Per  ben  saperne  il  certo,  accortamente 
Ruggier  le  disse  :  Io  v'  ho  veduto  altrove  ; 
Ed  ho  pensato  e  penso,  e  finalmente 
Non  so  né  posso  ricordarmi  dove. 
Ditemei  voi,  se  vi  ritorna  a  mente; 

£  fate  che  '1  nome  anco  udir  mi  giove. 
Acciò  che  saper  possa  a  cui  mia  aita 
Dal  fuoco  abbia  salvata  oggi  la  vita. 

3* 


35  ORLANDO  FURIOSO. 

22  Che  voi  m' abbiate  visto  esser  potrìa^ 
Rispose  quel,  che  non  so  dove  0  qoando. 
Ben  vo  pel  mondo  anch'  io  la  parte  mia. 
Strane  avventare  or  qaa  or  là  cercando. 
Forse  nna  mia  sorella  stata  fia» 

Che  veste  Tarme,  e  porta  a  lato  il  brando  ; 
Che  nacque  meco,  e  tanto  mi  somiglia. 
Che  non  ne  può  discerner  la  famiglia. 

23  Né  primo  né  secondo  né  beh  quarto 
Sete  di  quei  ch'errore  in  ciò  preso  hanno: 
Nò  '1  padre  nò  i  fratelli  nò  chi  a  un  parto 
Ci  produsse  ambi,  scernere  ci  sanno. 

Gli  é  ver  che  questo  crìn  raccorcio  e  sparto 
Ch'  io  porto,  come  gli  altri  uomini  fanno. 
Ed  il  suo  lungo  e  in  treccia  al  capo  avvolta. 
Ci  solea  far  già  differenzia  molta  : 

24  Ma  poi  eh'  un  giorno  ella  ferita  fa 
Nel  capo  (lungo  saria  a  dirvi  come), 
£  per  sanarla  un  servo  di  Gesù 

A  mezza  orecchia  le  tagliò  le  chiome  ; 
Alcun  segno  tra  noi  non  restò  più 
Di  differenzia,  fuorché  '1  isesso  e  '1  nome. 
Ricciardetto  son  io,  Bràdamante  ella  ; 
Io  fratel  di  Rinaldo,  essa  creila. 

26     E  se  non  v'  increscesse  l' ascoltarmi. 
Cosa  direi  che  vi  faria  stupire. 
La  qual  m^  occorse  per  assimigliarmi 
A  lei,  gioia  al  princìpio,  e  al  fin  martire. 
Ruggiero,  il  qual  più  graziosi  carmi, 
Più  dolce  istoria  non  potrebbe  udire, 
Che  dove  alcun  ricordo  intervenisse 
Della  sua  donna,  il  pregò  si ,  che  disse  : 

26     Accadde  a  questi  di,  che  piei  vicini 
Boschi  passando  la  sorella  mia, 
Ferita  da  ano  stuol  di  Saracini 
Che  senza  l'elmo  la  trovar  per  via, 
Fa  di  scorciarsi  astretta  i  lunghi  crini, 
Se  sanar  volse  d' una  piaga  ria 
Ch'  avea  con  gran  periglio  nella  testa^ 
E  cosi  scorcia  errò  peir  la  foresta. 


CANTO  VENTESIMOQUINTO.  3t 

27     Errando  giunse  ad  un'  ombrosa  fonte  ; 
£  perchè^  afflitla  e  stanca  ritròvosse ,' 
pài  de^trier  scese,  e  disarmò  la  fronte , 
£  su  le  tenére  erbe  addormentosse. 
Io  non  credo  che  favola  si  conte, 
Che  pia  di  questa  istoria  bella  fosse.  . 
Fiordispìna  di  Spagna  soprarriva, 
Che  per  caccjar  nel  bosco  né  veniva. 

ss     £  quando,  ri  trovò  la  mia  sìroccbia 
Tutta  coperta  d*  arme,  eccetto  il  viso, 
Ch'  avea  la  spada  in  luogo  di  conocchia, 
Le  fu  vedere  un  cavaliere  avviso. 
La  faccia  e  le  viril  fattezze  adocchia 
Tanto,  che  se  ne  sente  il  cor  conquiso. 
La  invita  a  caccia,  e  tra  T  ombrose  fronde 
Lange  dagli  altri  alfin  seco  s' asconde. 

39     Poi  che  r  ha  seco  in  solitario  loco , 
Dove  non  teme  d' esser  sopraggiunta, 
Con  atti  e  con  parole  a  poco  a  poco 
Le  scopre  il  fisso  cor  di  grave  punta. 
Con  gli  occhi  ardenti  e  coi  sospir  di  fuoco 
Le  mostra  V  alma  di  disio  consunta. 
Or  si  scolora  in  viso,  or  si  raccende  : 
Tanto  s' arrischia,  eh'  un  bàcio  ne  prende. 

30     La  mia  sorella  avea  ben  conosciuto 
Che  questa  donna  in  cambio  l' avea  tolta: 
Né  dar  poteale  a  quel  bisogno  aiuto, 
E  si  trovava  in  grande  impaccio  avvolta. 
Gli  è  meglio,  dicea  seco,  »'  io  rifiuto 
Questa  avuta  di  me  credenza  stolta, 
£  s' io  mi  mostro  femmina  gentile, 
Che  lasciar  riputarmi  un  nomo  vile. 

3i      £  dicea  il  ver  ;  eh'  era  viltade  espressa,    . 
Conveniente  a  un  nom  fatto  di  stocco. 
Con  cui  si  bella  donna  fosse  messa , 
Piena  di  dolce  e  di  nettareo  succo, 
£  tuttavia  stesse  a  parlar  con  essa. 
Tenendo  basse  l' ale  come  il  cucco. 
Con  modo  accorto  ella  il  parlair  ridusse^ 
Che  venne  a  dir  come  donzella  fusse, 


32  ORLANDO  FURIOSO. 

32     €he  gloria  9  qaal  già  Ippolita  e  CamiUa, 
Cerca  nell'  arme  ;  e  in  Africa  era  nata 
y..  In  lito  al  mar,  nella  città  d'Arzilla, 

.^  A  scado  e  a  lancia  da  fanciulla  osata. 

p  Per  questo  non  si  smorza  una  sclntillia 

•ì  Del  fuoco  della  donna  innamorata. 

"$'  ^  ^  Questo  rimedio  all'  alta  piaga  è  tardo  : 

Tant'  avea  Amor  cacciato  innanzi  il  dardo. 


|:^ 


33  Per  questo  non  le  par  men  bello  il  viso, 
Men  bel  lo  sguardo,  e  men  belli  i  costumi  ; 
Per  ciò  non  torna  il  cor  che,  già  diviso 
Da  lei,  godea  dentro  gli  amati  lumi. 
Vedendola  in  quell'abito,  l'è  avviso 

Che  può  far  che  '1  desir  non  la  consumi  ; 
£  quando  eh'  ella  è  pur  femmina  pensa. 
Sospira  e  piange,  e  mostra  doglia  immensa. 

34  Chi  avesse  il  suo  rammarico  e  '1  suo  pianto 
Quel  giorno  udito,  avria  pianto  con  lei. 
Quai  tormenti,  dicea,  furon  mai  tanto 
Crudel,  che  più  non  sian  crudeli  i  miei? . 
D'ogni  altro  amore,  o  scellerato  o  santo, 

Il  desiato  fin  sperar  potrei  ; 
Saprei  partir  la  rosa  dalle  spine  : 
Solo  il  mio  desiderio  è  senza  fine. 

35  Se  pur  volevi.  Amor,  darmi  tormento, 
Che  t' increscesse  il  mio  felice  stato, 

D' alcun  martir  dovevi  star  contento. 
Che  fosse  ancor  negli  altri  amanti  usato. 
Né  tra  gli  uomini  mai  né  tra  l'armento. 
Che  femmina  ami  femmina  ho  trovato  : 
Non  par  la  donna  all'altre  donne  bella. 
Né  a  cervie  cervia,  né  all'agnello  agnella. 

86     In  terra,  in  aria,  in  mar  sola  son  io 
Che  patisco  da  te  si  duro  scempio; 
E  questo  hai  fatto  acciò  che  l' error  mio 
Sia  nell'  imperio  tuo  l' ultimo  esempio. 
La  moglie  del  re  Nino  ebbe  disio. 
Il  figlio  amando,  scellerato  ed  empio, 
£  Mirra  il  padre,  e  la  Cretense  il  toro; 
Ma  gli  è  più  folle  il  mio,  eh'  alcun  dei  loro. 


.  CANTO  VENTESIMOOtlNTO.  33 

87     La  femmina  nel  maschio  fé  disegno, 
Speronne  il  fine,  ed  ehbelo,  come  odo: 
Pasife  nella  vacca  entrò  di  legno  ; 
Altre  per  altri  mezzi,  e  vario  modo. 
Ma  se  volasse  a  me  con  ogni  ingegno 
Dedalo,  non  potria  scioglier  quel  nodo, 
Che  fece  il  mastro  troppo  diligente^ 
Natura  d' ogni  cosa  più  possente. 

38      Cosi  si  daole,  e  si  consuma  ed  ange 
La  bella  donna,  e  non  s'accheta  in  fretla. 
Talor  si  batte  il  viso,  e  il  capei  frange, 
£  di  sé  centra  sé  cerca  vendetta. 
La  mia  sorella  per  pietà  ne  piange. 
Ed  è  a  sentir  di  quel  dolor  constretta. 
Del  folle  e  van  disio  si  studia  trarla  ;     N,,^ 
Ma  non  fa  alcun  profitto,  e  in  vano  parla.^^ 

30     Ella,  eh' aiuto  cerca  e  non  conforto, 
Sempre  più  si  lamenta  e  più  si  duole. 
Era  del  giorno  il  termine  ormai  corto, 
Che  rosseggiava  in  occidente  il  sole, 
.Ora  opportuna  da  ritrarsi  in  porto, 
A  chi  la  notte  al  bosco  star  non  vuole. 
Quando  la  donna  invitò  Bradamante 
A  questa  terra  sua  poco  distante. 

40  Non  le  seppe  negar  la  mia  sorella, 
E  cosi  insieme  ne  vennero  al  loco, 
Dove  la  turba  scellerata  e  fella 

Posto  m' avria,  se  tu  non  v'  eri,  al  fuoco. 
Fece  là  dentro  Fiordispina  bella 
La  mia  si  rocchi  a  accarezzar  non  poco  ; 
E  rivestita  di  femminil  gonna, 
Conoscer  fé  a  ciascun  eh'  ella  era  donna. 

41  Però  che  conoscendo  che  nessuno 
Util  traea  da  quel  virile  aspetto. 
Non  le  parve  anco  di  voler  eh'  alcuno 
fiiasmo  di  sé  per  questo  fosse  detto  : 

Fello  anco,  acciò  che  '1  mal  eh'  avea  dell'  uno 
Virile  abito,  errando,  già  concetto. 
Ora  con  l'altro,  discoprendo  il  vero. 
Provasse  di  cacciar  fuor  del  pensiero. 


34  ORLANDO  FURIOSO. 

42  Comune  il  Ietto  ebbon  la  notte  insieme, 
Ma  molto  differente  ebbon  riposo; 

Che  r  una  dorme,  e  V  altra  piange  e  gemo. 
Che  sempre  il  suo  dìsir  sia  più  focoso. 
£  se  '1  sonno  talor  gli  occhi  le  preme. 
Quel  breve  sonno  è  tutto  immaginoso: 
Le  par  veder  che  '1  ciel  V  abbia  concesso 
Bradamante  cangiata  in  miglior  sesso. 

43  Come  r  infermo  acceso  di  gran  sete, 
S'in  quella  ingorda  voglia  s'addormenta, 
Neir  interrotta  e  turbida  quiete, 

D' ogni  acqua  che  mai  vide  si  rammenta; 
Così  a  costei  di  far  sue  voglie  liete 
L*  immagine  del  sonno  rappresenta. 
Si  desta;  e  nel  destar  mette  la  mano, 
£  ritrova  pur  sempre  il  sogno  vano. 

44  Quanti  prieghi  la  notte,  quanti  voti 
Offerse  al  suo  Macone  e  a  tutt'i  Dei, 
Che  con  miracoli  apparenti  e  noti 
Mutassero  in  miglior  sesso  costei  ! 
Ma  tutti  vede  andar  d' effetto  voti  ; 

£  forse  ancora  il  ciel  ridea  di  lei. 
Passa  la  notte;  e  Febo  il  capo  biondo 
Traea  del  mare,  e  dava  luce  al  mondo. 

45  Poi  che  '1  dì  venne,  e  che  lasciare  il  letto. 
A  Fiordispina  s' augumenta  doglia  ; 

Che  Bradamante  ha  del  partir  già  detto, 

Ch'  uscir  di  questo  impaccio  avea  gran  voglia. 

La  gentil  donna  un  ottimo  ginetto 

In  don  da  lei  vuol  che  partendo  teglia, 

Guernito  d'oro,  ed  una  sopravvesta 

Che  riccamente  ha  di  sua  man  contesta. 

46  Accompdgnolla  un  pezzo  Fiordispina  ; 
Poi  fé,  piangendo,  al  suo  caste!  ritoriio. 
La  mia  sorella  sì  ratto  cammina. 

Che  venne  a  Montalbano  anco  quel  giorno. 
Noi  suoi  fratelli  e  la  madre  meschina 
Tutti  le  siamo  festeggiando  intorno  ; 
Che  di  lei  non  sentendo,  avuto  forte 
Dubbio  e  tema  avevam  della  sua  morte. 


1 


CANTO  VENTESIMOQUINTO.  35 

47  Mirammo  (al  trar  dell'  elmo)  al  mozzo  crine, 
Gh'  intorno  al  capo  prima  s' avvolgea  ; 

Cosi  le  sopravveste  peregrine 
Ne  fer  meravigliar,  eh'  indosso  avea. 
Ed  ella  il  tatto  dal  principio  al  fine 
Narronne,  come  dianzi  io  vi  dicea  : 
Come  ferita  fosse  al  bosco,  e  come 
Lasciasse,  per  guarir,  le  belle  éhiome; 

48  E  come  poi  dormendo  in  ripa  ali!  acque, 
La  bella  cacciatrìce  sopraggiunse, 

A  cui  la  falsa  sua  sembianza  piacque  ; 
E  come  dalla  schiera  la  disgiunse. 
Del  lamento  di  lei  poi  nulla  tacque, 
Che  di  pielade  r anima  ci  punse: 
E  come  alloggiò  seco,  e  tutto  quello 
Che  fece,  fin  che  ritornò  al  castello. 

49  Di  Fiordìspina  gran  notizia  ebb'  io, 
Ch'  in  Siragozza  e  già  la  vidi  in  Francia  ; 
E  pìacquer  molto  all'  appetito  mio 

I  suoi  begli  occhi  e  la  polita  guancia: 
Ma  non  lasciai  fermarvisì  il  disio.; 
Che  r  amar  senza  speme  è  sogno  e  ciancia. 
Or,  quando  in  tal  ampiezza  mi  si  porge, 
L' antiqua  fiamma  subito  risorge. 

60  Di  questa  speme  Amore  ordisce  i  nodi  ; 
Che  d' altre  fila  ordir  non  li  potea  : 
Onde  mi  piglia,  e  mostra  insieme  i  modi, 
Che  dalla  donna  avrei  quel  eh'  io  chìedea. 
A  succeder  saran  facil  le  frodi; 

Che,  come  spesso  altri  ingannato  avea. 
La  simìglianza  e'  ho  di  mia  sorella,. 
Forse  anco  ingannerà  questa  donzella. 

61  Faccio,  o  noi  faccio?  Alfin  mi  par  che  buono 
Sempre  cercar  quel  che  diletti,  sia.   . 

Del  mio  pensier  con  altri  non  ragiono, 
Né  vo'  eh'  in  ciò  consiglio  altri  mi  dia. 
Io  vo  la  notte  ove  queir  arme  sono, 
Che  s' avea  tratte  la  sorella  mia  : 
Tolgole,  e  col  destrìer  suo  via  cammino; 
Né  sto  aspettar  che  luca  il  mattutino. 


38  ORLANDO  FUBIOSO. 

68      Ed  ho  possanza  far  cose  stupende, 
E  sforzar  gli  elementi  e  la  natura. 
Chiedi  tu  quanto  il  mio  valor  s*  estende, 
Poi  lascia  a  me  di  satisfarti  cura. 
Dal  ciel  la  luna  al  mio  cantar  discende, 
S' agghiaccia  il  fuoco,  e  V  aria  si  fa  dura; 
Ed  ho  talor  con  semplici  parole 
Mossa  la  terra,  ed  ho  fermato  il  sole. 

63  Non  le  domando  a  questa  offerta  unire 
Tesor,  né  dominar  popoli  e  terre  ; 

Né  in  più  virtù  né  in  più  vigor  salire. 
Né  vincer  con  onor  tutte  le  guerre  ; 
Ma  sol  che  qualche  via ,  donde  il  desire 
Vostro  s'adempia,  mi  schiuda  e  dlsserre: 
Né  più  le  domando  un,  eh' un  altro  effetto, 
Ma  tutta  al  suo  giudicio  mi  rimetto. 

64  Ebbile  appena  mia  domanda  esposta, 
Ch' un' altra  volta  la  vidi  attuffata; 

Né  fece  al  mio  parlare  altra  risposta, 
Che  di  spruzzar  ver  me  l' acqua  incantata. 
La  qual  non  prima  al  viso  mi  s'accosta, 
Ch'io,  non  so  come,  son  tutta  mutata, 
lo'l  veggo,  io'l  sento;  e  appena  vero  parmi: 
Sento  in  maschio,  di  femmina,  mutarmi. 

66     E  se  non  fosse  che  senza  dimora 

Vi  potete  chiarir,  noi  credereste:  * 

E,  qual  nell'altro  sesso,  in  questo  ancora 
Ho  le  mie  voglie  ad  ubbidirvi  preste. 
Comandate  lor  pur;  che  fieno  or  ora, 
E  sempre  mai  per  voi  vigili  e  deste. 
Cosi  le  dissi  ;  e  feci  eh'  ella  istessa 
Trovò  con  man  la  veritade  espressa. 

66      Come  interviene  a  chi  già  fuor  di  speme 
Di  cosa  sia  che  nel  pensier  molt' abbia. 
Che,  mentre  più  d'esserne  privo  geme, 
Più  se  n'afiQigge  e  se  ne  strugge  e  arrabbia; 
Sebben  la  trova  poi,  tanto  gli  preme 
L'aver  gran  tempo  seminato  in  sabbia, 
E  la  disperazion  l' ha  si  male  uso. 
Che  non  crede  a  sé  stesso  ^  e  sta  confuso: 


Canto  ventesimoquìnto.  39 

67  Cosi  la  donna,  poiché  tocca  e  vede 
Quéi  di  ch'avuto  avea  tanto  desire, 

Agli  occhi,  al  tatto,  a  sé  stessa  non  crede^ 
£  sta  dubbiosa  ancor  di  non  dormire; 
E  buona  prova  bisognò  a  far  fede 
Che  sentìa  quel  che  le  parea  sentire. 
Fa,  Dio,  (diss'ella)  se  son  sogni  questi. 
Ch'io  dorma  sempre,  e  mai  più  non  mi  desti. 

68  Non  rumor  di  tamburi  o  suon  di  trombe 
Furon  principio  all'amoroso  assalto; 

Ma  baci  ch'ìmitavan  le  colombe, 
Davan  segno  or  di  gire,  or  di  fare  alto. 
Usammo  altr'arme,  che  saette  o  frombe. 
Io  senza  scale  in  su  la  rocca  salto, 
E  lo  stendardo  piantovi  di  botto, 
E  la  nimica  mìa  mi  caccio  sotto. 

69  Se  fu  quel  letto  la  notte  dinanti 
Pien  di  sospiri  e  di  querele  gravi. 
Non  stette  l' altra  poi  senz'  altreittanti 
Risi,  feste,  gioir,  giochi  soavi. 

Non  con  più  nodi  i  flessuosi  acanti 

Le  colonne  circondano  e  le  travi, 

Di  queUi  con  che  noi  legammo  stretti 

E  colli  e  fianchi  e  braccia  e  gambe  e  petti. 

70  La  cosa  stava  tacita  fra  noi, 

Si  che  durò  il  piacer  per  alcun  mese: 
Pur  si  trovò  chi  se  n'  accorse  poi, 
Tanto  che  con  mio  danno  il  re  lo  'ntese. 
Voi  che  mi  liberaste  da  quei  suoi 
Che  nella  piazza  avean  le  fiamme  accese, 
Comprendere  oggìmai  potete  il  resto; 
Ma  Dio  sa  ben  con  che  dolor  ne  resto. 

7i      Così  a  Ruggier  narrava  Ricciardetto, 
•  E  la  notturna  via  facea  men  grave , 
Salendo  tuttavia  verso  un  poggetto 
Cinto  di  ripe  e  di  pendici  cave. 
Un  erto  calle,  e  pien  di  sassi  e  stretto 
Apria  il  cammin  con  faticosa  chiave. 
Sedea  al  sommo  un  castel  detto  Agrismonte, 
Ch'  avea  in  guardia  Aldigier  di  Chiaramente. 


^^ 


io  ORLANDO  BORIOSO. 

72      Di  Baovo  era  costui  Ggliuol  bastardo, 
Fratel  di  Malagigi  e  di  Viviano: 
Chi  legittimo  dice  di  Gherardo, 
£  testimonio  temerario  e  vano. 
Fosse  come  si  voglia,  era  gagliardo, 
Prudente,  liberal,  cortese,  umano; 
£  facea  quivi  le  fraterne  mura 
La  notte  e  il  di  guardar  con  buona  cura. 


^.  73      Raccolse  il  cavalier  cortesemente, 

'r:\  Come  dovea,  il  cugin  suo  Ricciardetto, 

:f^'  Ch'amò  come  fratello;  e  parimente 

%  Fu  ben  visto  Ruggier  per  suo  rispetto. 

^-  Ma  non  gli  usci  già  incontra  allegramente, 

ti-  Come  era  usato,  anzi  con  tristo  aspetto, 

^;  Perch'  uno  avviso  il  giorno  avuto  avea , 
Che  nel  viso  e  nel  cor  mesto  il  facea. 

"j/  74      A  Ricciardetto,  in  cambio  di  saluto, 

Disse:  Fratello,  abbiam  nova  non  buona. 
Per  certissimo  messo  oggi  ho  saputo 
Che  Bertolagi  iniquo  di  Baiona 
Con  Lanfusa  crudel  s' è  convenuto. 
Che  preziose  spoglie  esso  a  lei  dona. 
Ed  essa  a  lui  pon  nostri  frati  in  mano, 
Il  tuo  buon  Malagigi  e  il  tuo  Viviano. 

76      Ella  dal  dì  che  Ferraù  li  prese, 

Gli  ha  ognor  tenuti  in  loco  oscuro  e  fello, 

Finché  '1  brutto  contratto  e  discortese 

N'  ha  fatto  con  costui  di  eh'  io  favello. 

Gli  de'  mandar  domane  al  Maganzese 

Nei  confin  tra  Baiona  e  un  suo  castello. 

Verrà  in  persona  egli  a  pagar  la  mancia 

Che  compra  il  miglior  sangue  che  sia  in  Francia. 

76      Rinaldo  nostro  n'  ho  avvisato  or  ora, 
Ed  ho  cacciato  il  messo  di  galoppo: 
Ma  non  mi  par  eh'  arrivar  possa  ad  ora 
Che  non  sia  tarda;  che  '1  cammino  è  troppo. 
Io  non  ho  meco  gente  da  uscir  fuora: 
L' animo  è  pronto,  ma  il  potere  è  zoppo. 
Se  gli  ha  quel  traditor,  li  fa  morire: 
Si  che  non  so  che  far,  non  so  che  dire. 


CANTO  VENTESIMOQUINTO.  41 

77  La  dura  naova  a  Ricciardetto  spiace; 
E  perchè  spiace  a  lui,  spiace  a  Ruggiero, 
Che  poiché  questo  e  quel  vede  che  tace, 
Né  tra'  proGtto  alcun  del  suo  pensiero. 
Disse  con  grande  ardir  :  Datevi  pace  : 
Sopra  me  quest'impresa  tutta  chero; 

E  questa  mia  varrà  per  mille  spade 
A  riporyi  i  fratelli  in  libertade. 

78  Io  non  voglio  altra  gente,  altri  sussidi; 
Gh'  io  credo  bastar  solo  a  questo  fatto. 

Io  vi  domando  solo  un  che  mi  guidi 
Al  luogo  ove  si  dee  fare  il  baratto. 

10  vi  farò  sin  qui  sentire  i  gridi 

Di  chi  sarà  presente  al  rio  contratto. 

Cosi  dicea;  né  dicea  cosa  nuova 

Air  un  de'  dui,  che  n'  avea  visto  pruova. 

79  L'altro  non  l'ascoltava,  se  non  quanto 
S'ascolti  un  ch'assai  parli,  e  sappia  poco: 
Ma  Ricciardetto  gli  narrò  da  canto. 
Come  fu  per  costui  tratto  del  foco, 

E  eh'  era  certo  che  maggior  del  vanto 
Farìa  veder  l' effetto  a  tempo  e  a  loco. 
Gli  diede  allor  udienza  più  che  prima, 
E  riverillo,  e  fé  di  lui  gran  stima. 

80  Ed  alla  mensa,  ove  la  Copia  fuse 

11  corno ,  r  onorò  come  suo  donno. 
Quivi  senz'  altro  aiuto  si  concluse 
Che  liberare  i  duo  fratelli  ponno. 
Intanto  sopravvenne  e  gli  occhi  chiuse 
Ai  signori  e  ai  sergenti  il  pigro  Sonno, 
Fuor  eh' a  Ruggier;  che,  per  tenerlo  desto. 
Gli  punge  il  cor  sempre  un  pensier  molesto. 

81  L' assedio  d' Agramante,  eh'  avea  il  giorno 
Udito  dal  corrier,  gli  sta  nel  core. 

Ben  vede  ch'ogni  minimo  soggiorno, 
Che  faccia  d' aiutarlo,  è  suo  disnore. 
Quanta  gli  sarà  infamia,  quanto  scorno, 
Se  coi  nemici  va  del  suo  signore  I 
Oh  come  a  {^ran  v iliade,  a  gran  delitto. 
Battezzandosi  allor,  gli  sarà  ascritto! 

4' 


iì  ORLANDO  FURIOSO. 

S2      Potria  in  ogni  altro  tempo  esser  creduto 
Che  ver§i  religion  V  avesse  mosso: 
Ma  ora  che  bisogna  col  suo  aiuto 
Agramante  d' assèdio  esser  riscosso, 
Piuttosto  da  ciascun  sarà  tenuto 
{  Che  timore  e  viltà  T  abbia  percosso, 

|f.  Gh' alcuna  opinion  di  miglior  fede. 

g  Questo  il  cor  di  Ruggier  stimola  e  fìede. 

tv  83      Che  s'abbia  da  partire  anco  lo  punge 

lo.  Senza  licenzia  della  sua  regina. 

ff^'  Quando  questo  pensier,  quando  quel  giunge, 

l^-v  Che  *1  dubbio  cor  diversamente  inchina. 

|ì>.  Gli  era  r  avviso  riuscito  lungo 

fe  Di  trovarla  al  Castel  di  Fiordispina, 

|-;>  Dove  insieme  dovean,  come  ho  già  detto, 

0^-:  In  soccorso  venir  di  Ricciardetto. 

^r  S4     Poi  gli  sovvien  ch'egli  le  avea  promesso 

1^  Di  seco  a  Vallombrosa  ritrovarsi. 

rfyr  Pensa  eh'  andar  v'  abbi'  ella,  e  quivi  d' esso, 

Che  non  vi  trovi  poi,  maravigliarsi. 
Potesse  almen  mandar  lettera  o  messo, 
Sì  eh'  ella  non  avesse  a  lamentarsi 
Che,  oltre  eh'  egli  mal  le  avea  ubbidito, 
Senza  far  motto  ancor  fosse  partito. 

8&     Poi  che  più  cose  immaginate  s'ebbe. 
Pensa  scriverle  alfin  quanto  gli  accada; 
E  bench'  egli  non  sappia  come  debbe 
La  lettera  inviar,  si  che  ben  vada. 
Non  però  vuol  restar;  che  ben  potrebbe 
Alcun  messo  fedel  trovar  per  strada. 
Più  non  s'indugia,  e  salta  delle  piume. 
Si  fa  dar  carta,  inchiostro,  penna  e  lume. 

86  .  I  camerier  discreti  ed  avveduti 
Arrecano  a  Ruggier  ciò  che  comanda. 
Egli  coniincia  a  scrivere,  e  i  saluti, 
Come  si  suol,  nei  primi  versi  manda: 
Poi  iiarra  degli  avvisi  che  venuti 
Son  dal  suo  re,  eh'  aiuto  gli  domanda; 
E  se  r  andata  sua  non  è  ben  presta, 
0  morto  0  in  man  degV  inimici  resta. 


?-.-.-, 


^.v 


CANTO  VENTESIMOQUINTO.  43 

S7      Poi  seguita,  ch'essendo  a  tal  partito, 
E  eh' a  ini  per  aiate  si  volgea, 
Yedess'ella,  che  '1  biasmo  era  inOnito 
S' a  qael  punto  negar  gli  lo  volea: 
E  ch'esso,  a  lei  dovendo  esser  marito, 
Guardarsi  da  ogni  macchia  si  dovea; 
Che  non  si  convenia  con  lei,  che  tutta 
Era  sincera,  alcuna  cosa  brutta. 

88      E  se  mai  per  addietro  un  nome  chiaro. 
Ben  oprando,  cercò  di  guadagnarsi; 
E  guadagnato  poi,  se  aVuto  caro, 
Se  cercato  l' avea  di  conservarsi; 
Or  lo  cercava,  e  n'  era  fatto  avaro. 
Poiché  dovea  con  lei  parttciparsi. 
La  qual  sua  moglie,  e  totalmente  in  dui 
Corpi  esser  dovea  un'  anima  con  lui. 

80     E  si  come  già  a  bocca  le  avea  detto, 
Le  ridicea  per  questa  carta  ancora: 
Finito  il  tempo  in  che  per  fede  astretto 
Era  al  suo  re,  quando  non  prima  muora, 
Che  si  farà  Cristian  cosi  d' effetto. 
Come  di  buon  voler  stato  era  ogni  ora; 
E  ch'ai  padre  e  a  Rinaldo  e  agli  altri  suoi 
Per  moglie  domandar  la  farà  poi. 

90  Voglio,  le  soggiungea,  quando  vi  piaccia ^ 
L' assedio  al  mio  signor  levar  d' intorno, 
Acciò  che  r  ignorante  vulgo  taccia, 

11  qual  direbbe,  a  mia  vergogna  e  scorno: 
Ruggier,  mentre  Agramante  ebbe  bonaccia, 
Mai  non  l' abbandonò  notte  né  giorno  ; 
Or  che  fortuna  per  Carlo  si  piega, 
Egli  col  vincitor  l' insegna  spiega. 

91  Voglio  quindici  di  termine,  o  venti, 
Tanto  che  comparir  possa  una  volta. 
Si  che  degli  africani  alloggiamenti 

La  grave  ossedion  per  me  sia  tolta. 
Intanto  cercherò  convenienti 
Cagioni,  e  che  sian  giuste^  di  dar  volta* 
Io  vi  domando  per  mio  onor  sol  questo; 
Tutto  poi  vostro  è  di  mia  vita  il  resto, 


44  OBLANDO  FORIOSO. 

92      In  simili  parole  si  diffuse 

Ruggier,  che  tutte  non  so  dirvi  appieno; 

E  segui  con  moli'  altre,  e  non  concluse, 

Finché  non  vide  tutto  il  foglio  pieno: 

E  poi  piegò  la  lettera  e  la  chiuse, 

E  suggellata  se  la  pose  in  seno, 

Con  speme  che  gli  occorra  il  di  seguente 

Chi  alla  donna  la  dia  secretamente. 

So      Chiusa  eh'  ebbe  la  lettera,  chiuse  anco 
Gli  ouchi  sul  letto,  e  ritrovò  quiete; 
Che  1  Sonno  venne,  e  sparse  il  corpo  stanco 
Cui  ramo  intinto  nel  liquor  di  Lete: 
£  [ìGÈò  fin  eh'  un  nembo  rosso  e  bianco 
Dì  imi  sparse  le  contrade  liete 
Del  lucido  oriente  d' ognintorno. 
Et  ìndi  usci  dell'aureo  albergo  il  giorno. 

94      E  pai  eh'  a  salutar  la  nova  luce 
Veì  verdi  rami  incominciar  gli  augelli, 
AUligier  che  voleva  essere  il  duce 
Di  lliiggiero  e  dell' altro,  e  guidar  quelli 
Ove  fac«in  che  dati  in  mano  al  truce 
Bertolagi  non  siano  i  duo  fratelli. 
Fu  1  primo  in  piede;  e  quando  sentir  lui. 
Del  IcUo  uscirò  anco  quegli  altri  dui. 

05      Poi  che  vestiti  furo  e  bene  armati. 
Coi  duo  cugin  Ruggier  si  mette  in  via. 
Già  mollo  indarno  avendoli  pregati 
Ctio  questa  impresa  a  lui  tutta  si  dia. 
M;i  essi,  pel  desir  c'han  de'lor  frati, 
E  [lerchè  lor  parea  discortesia, 
glurou  negando  più  duri  che  sassi, 
Né  i^onsentiron  mai  che  solo  andassi. 

m      Giunsero  al  loco  il  di  che  si  dovea 
Mala^igL  mutar  nei  carriaggi. 
Eia  un'ampia  campagna  che  giacea 
Tultti  scoperta  agli  apollinei  raggi. 
Quivi  né  allòr  né  mirto  si  vedea, 
Né  {:ipressi  né  frassini  né  faggi; 
Mu  tiuiia  ghiara,  e  qualche  umil  virgulto, 
K^in  mar  da  marra  o  mai  da  vomcr  cullo. 


CANTO  VBNTESIHOQUINTO. 

d7      I  tre  gaerrìeri  arditi  si  fermaro 
Dove  an  sentier  fendea  quella  pianura; 
£  giunger  quivi  un  cavalier  mirare, 
Ch'avea  d'oro  fregiata  Tannatura, 
£  per  insegna  in  campo  verde  il  raro 
£  bello  augel  che  più  d' un  secol  dura. 
Signor,  non  più  ;  che  giunto  al  fin  mi  veggio 
Di  questo  Canto,  e  riposarmi  chieggio. 


45 


irOTB. 


St,  14.  9,  ^%.'-'llgran  diavol  ee.: 

t  dato  ad  an  cannone  di  straordina- 
rio calibro  9  appartenente  al  duca  Al- 
fonso. 

St.\ò,  9,  l-^.-^FaUrina  ec.  Ve- 
dansi  nel  Boiardo  le  circostante  della 
fàbbricaiione  di  Baliiarda. 

St,  27.  V,  7. — Fiordispina  di  Spa^ 
gma  :eV  accennata  nella  Stansa  39  del 
Canto  XXII,  v.l-S. 

SL  89.  V.  A.— Fisso  :  traBtto.  — 
Punta  :  pantura  amorosa. 

St.  SS.  9, 1-3. —  Ippolita:  famosa 
amaisone  che  combattè  con  Ercole  e  con 
Tette—Camilla:  vedi  la  nota  alla  St.  1 

del  Canto  XX jitzilla  :  la  Zitia  di 

Plinio,  notata  sulle  odierne  mappe  col 
nome  di  Arxilia,  nel  regno  di  Fes. 

St.  36. 9.  ò-l.—La  moglie  di  Nino: 
Semiramide.— ilf/rra.'  figlia  di  Gioirò. 
—  Za  Cretense:  Pasifae,  moglie  di  Mi- 
Dos  re  di  Creta.  Vedi  in  Ovidio  le  fa- 
vole di  queste  due. 

St*  37.  9.  ^.'—Dedalo:  ingegnosis- 
simo artefice  ateniese,  a  cui  si  attribui- 
scono dai  poeti  diverse  invenaioni ,  fra 


le  quali  il  labirinto  di  Creta,  d'onde 
usci  volando,  con  Icaro  suo  figlio. 

St,  45. 9, 5. —  Ginettot  sorta  di  ca- 
vallo spagnuolo. 

Si.  49. 9,  S. — Siragona:  Saragoi* 
sa,  città  nel  regno  d'Aragona. 

St.  60.  9.  6.—  Un  Fauno:  nome 
di  una  famiglia  di  divinità  boscherecce, 
secondo  i  mitologi. 

St,  75.  9.  6.  — •  Baiona:  città  di 
Francia  non  lungi  dal  golfo  di  Guasco- 
gna, nel  dipartimento  dei  Bassi-Pirenei. 

St,  $i.9, 3.  —  Soggiorno:  dimorai 
qui  indugio. 

St.  83.  P.  5-6.—  G/i  ara  V  a9* 
piso  ec:  erasi  ingannato  nell'opinione 
dì  ritrovarla  ec. 

St.  91.  9. 4.  —  Ossedion  :  assedio. 

St.  93.  9.  4.  —  Col  ramo  ec.  Ram- 
menta il  ramo  con  cui  Virgilio  finge  che 
il  Sonno  bagnò  le  tempie  a  Palinuro  per 
farlo  dormire.  —  I.e<e.*  fiume  dell*  in- 
ferno, le  acque  del  quale  toglievano  I4 
memoria  del  passato. 

St.  97. 9.  5-6.—//  raro  e  bello  aum 
gel  ec. .'  la  fenice. 


46  OBLANDO  FURIOSO. 

CASTO   WEXTE»WBam»Em!0. 

Marfisa^  il  cavaliere  giunto  ove  i  dae  dt  Chiaramente  dovevano  esser  vendati 

ai  loro  nemici.  I  Magantesi,  uniti  a  numerosa  schiera  di  Morì,  sono  disfatti, 

^  e  i  due  prigioni  restano  liberi.  Malagigi  dichiara  il  signi6cato  delle  figure  aool- 

f':^  pitc  sulla  fontana  di  Merlino.  Arriva  Ippalca  sensa  Frontino,  e  Ruggiero'  va 

i^i.  con  lei  per  recuperarlo.  Mandricardo  giunge  alla  fontana.  Combattimento  tra 

^.~  lui  e  Marfisa,  interrotto  da  Rodomonte,  che  dispone  Marfisa  a  recarsi  al 

^<  .  campo  di  Agramante.  Ruggiero  viene  alla  fontana,  ed  ivi,  per  diverse  ragioni, 

y\-  accade  una  auffa  fra  i  guerrieri  pagani.  Malagigi  la  divide,  facendo  con  ìo- 

f'.  :  centesimi  allontanar  Dorico  dal  luogo*  I  quattro  guerrieri  muovono  verso 

P    *  Parigi. 

5' ■  ■ 
C' 

:^:  i     Cortesi  donne  ebbe  r  antiqua  etade, 

;'  Che  le  virtù,  non  le  ricchezze  amaro. 

^-  Al  tempo  nostro  si  ritrovan  rade 

^^  A  cai,  più  del  guadagno,  altro  sia  caro. 

^  Ma  qaelle  che  per  lor  vera  boutade 

l'  Non  seguon  delle  più  lo  stile  avaro, 

f  Vivendo,  degne  son  d' esser  contente; 
Gloriose  e  immortai  poi  che  fian  spente. 

t  2      Degna  d'eterna  lande  è  Bradamante, 

Che  non  amò  tesor,  non  amò  impero, 
Ma  la  virtù,  ma  l'animo  prestante» 
Ma  r  alta  gentilezza  di  Ruggiero; 
£  meritò  che  ben  le  fosse  amante 

'  Un  cosi  valoroso  cavaliere  ; 

£  per  piacere  a  lei  facesse  cose 
Nei  secoli  a  venir  miracolose. 

3     Ruggier,  come  di  sopra  vi  fu  detto, 
Coi  duo  di  Chiaramonte  era  venuto; 
Dico  con  Aldigier,  con  Ricciardetto, 
Per  dare  ai  duo  f ratei  prigioni  aiuto. 
■■:  Vi  dissi  ancor,  che  di  superbo  aspetto 

^- ,  Venire  un  cavaliere  avean  veduto, 

''  Che  portava  l'augel  che  si  rinnova, 

L  £  sempre  unico  al  mondo  si  ritrova. 


CANTO  VENTESIMOSBSTO.  47 

4      Come  di  qaesti  il  cavalier  s' accorse, 
Che  stavan  per  ferir  quivi  su  V  ale, 
In  prova  disegnò  di  voler  porse, 
S' alla  sembianza  avean  virtude  ugnale. 
£  di  voi,  disse  loro,  alcuno  forse 
Che  provar  voglia  chi  di  noi  più  vale 
A  colpi  o  della  lancia  o  della  spada. 
Finché  F  un  resti  in  sella,  e  V  altro  cada  ? 

)     Farei,  disse  Aldigier,  teco,  o  volessi 
Menar  la  spada  a  cerco,  o  correr  Tasta; 
Ma  un'altra  impresa  che,  se  qui  tu  stessi. 
Veder  potresti,  questa  in  modo  guasta, 
Ch'a  parlar  teco,  non  che  ci  traessi 
A  correr  giostra,  appena  tenapo  basta; 
Seicento  uomini  al  varco,  o  più,  attendiamo. 
Coi  qua'  d' oggi  provarci  obbligo  abbiamo. 

)     Per  tor  lor  duo  de'  nostri  che  prigioni 
Quinci  trarran,  pleiade  e  amor  n'  ha  mosso. 
E  seguitò  narrando  le  cagioni 
Che  li  fece  venir  con  l' arme  indosso* 
Si  giusta  è  questa  escusa  che  m' opponi , 
Disse  il  guerrier,  che  contraddir  non  posso  ; 
E  fo  «erto  giudicio  che  voi  siate 
Tre  cavalier  che  pochi  pari  abbiate. 

r     Io  chiedea  un  colpo  o  dui  con  voi  seontrarme, 
Per  veder  quanto  fosse  il  valor  vostro  ; 
Ma  quando  all'  altrui  spese  dimostrarme 
Lo  vogliate,  mi  basta,  e  più  non  giostro. 
Vi  priego  ben,  che  por  con  le  vostr'arme 
Quest'elmo  io  possa  e  questo  scudo  nostro; 
E  spero  dimostrar,  se  con  voi  vegno, 
Che  di  tal  compagnia  non  sono  indegno. 

Panni  veder  eh'  alcun  saper  desia 
Il  nome  di  costui,  che  quivi  giunto 
A  Ruggiero  e  a'  compagni  si  ofieria 
Compagno  d' arme  al  periglioso  punto. 
Costei  (non  più  costui  detto  vi  sia) 
Era  Marfisa,  che  diede  l' assunto 
Al  misero  Zerbin  della  ribalda 
Vecchia  Gabrina  ad  ogni  mal  si  calda. 


48  ORLANDO  FURIOSO. 

9      I  dao  dì  Ghiaramonte  e  il  boon  Ruggiero 
L' accettar  volentier  nella  lor  schiera , 
Ch'esser  credeano  certo  un  cavaliero, 
£  non  donzella,  e  non  quella  eh'  eli'  era. 
Non  molto  dopo  scoperse  Aldigiero, 
E  veder  fé  ai  compagni  una  bandiera 
Che  facea  l'aura  (remolare  in  volta, 
£  molta  gente  intomo  avea  raccolta. 

40      £  poi  che  più  lor  fur  fatti  vicini, 
E  che  meglio  notar  l' abito  moro, 
Conobbero  che  gli  eran  Saracini, 
E  videro  i  prigioni  in  mezzo  a  loro 
Legati,  e  tratti  su  piccol  ronzini 
A'Maganzesi,  per  cambiarli  in  oro. 
Disse  Marfisa  agli  altri:  Ora  che  resta, 
Poiché  son  qui ,  di  cominciar  la  festa  ? 

il      Ruggier  rispose:  Gl'invitati  ancora 
Non  ci  son  tutti,  e  manca  una  gran  parte. 
Gran  ballo  s' apparecchia  di  fare  ora, 
E  perchè  sia  solenne,  usiamo  ogni  arte: 
Ma  far  non  ponno  omai  lunga  dimora. 
Cosi  dicendo,  veggono  in  disparte 
Venire  i  traditori  di  Maganza  : 
Si  eh'  eran  presso  a  cominciar  la  danza. 

42  Giungean  dall' una  parte  i  Maganzesi, 
E  conducean  con  loro  i  muli  carchi 

D' oro  e  di  vesti  e  d' altri  ricchi  arnesi  ; 
Dall'altra,  in  mezzo  a  lance,  spade  ed  archi , 
Venìan  dolenti  i  duo  germani  presi, 
Che  si  vedeano  essere  attesi  ai  varchi  ; 
E  Bertolagi,  empio  inimico  loro, 
Udian  parlar  col  capitano  Moro. 

43  Né  di  Buovo  il  figliuol,  né  quel  d'Amene, 
Veduto  il  Maganzese,  indugiar  puote: 

La  lancia  in  resta  l' uno  e  V  altro  pone, 

E  r  uno  e  l' altro  il  traditor  percuote. 

L' un  gli  passa  la  pancia  e  '1  primo  arcione, 

E  r  altro  il  viso  per  mezzo  le  gote. 

Cosi  n'andasser  pur  tutti  i  malvagi. 

Come  a  quei  colpi  n'  andò  Bertolagi. 


CANTO  VENTESIM0SE8T0.  49 

U     Marfisa  con  Bqggiero  a  questo  segno 
Si  màove  e  non  aspetta  altra  trombetta  ; 
Né  prima  rompe  V  arrestato  legno, 
Che  tre,  Tun  dopo  V  altro,  in  terra  getta. 
Dell'  asta  di  Raggier  fa  il  pagan  degno, 
Che  guidò  gli  altri,  e  usci  di  vita  in  fretta; 
E  per  quella  medesima  con  lui 
Uno  ed  un  altro  andò  nei  regni  bai. 

15     Di  qai  nacque  un  error  tra  gli  assaliti^ 
Che  lor  causò  lor  ultima  ruina. 
Da  un  lato  i  Maganzesi  esser  traditi 
Credeansi  dalla  squadra  saracina; 
Dall'altro,  i  Mori  in  tal  modo  feriti 
V  altra  schiera  chiamavano  assassina: 
£  tra  lor  cominciar  con  fiera  clàde 
A  tirare  archi,  e  a  menar  lance  e  spade. 

^6     Salta  ora  in  questa  squadra  ed  ora  in  quella 
Ruggiero,  e  via  ne  toglie  or  dieci  or  venti: 
Altri  tanti  per  man  della  donzella 
Di  qua  e  di  là  ne  son  scemati  e  spenti. 
Tanti  si  veggon  gir  morti  di  sella. 
Quanti  ne  toccan  le  spade  taglienti, 
A  cui  dan  gli  elmi  e  le  corazze  loco, 
Come  nel  bosco  i  secchi  legni  al  fuoco. 

17     Se  mai  d' aver  vedalo  vi  raccorda, 
0  rapportato  v'  ha  fama  air  orecchie. 
Come,  allorché  'i  collegio  si  discorda, 
E  vansi  in  aria  a  far  guerra  le  pecchie, 
Entri  fra  lor  la  rondinella  ingorda, 
E  mangi  e  uccìda  e  guastine  parecchie; 
Dovete  immaginar  che  similmente 
Ruggier  fosse  e  Marfisa  in  quella  gente. 

i%     Non  cosi  Ricciardetto  e  il  suo  cagino 
Tra  le  due  genti  variavan  danza. 
Perché,  lasciando  il  campo  Saracino, 
Sol  tenean  V  occhio  air  altro  di  Maganza. 
Il  fratel  di  Rinaldo  paladino 
Con  molto  animo  avea  molta  possanza, 
E  quivi  raddoppiar  glie  la  facea 
L' odio  che  centra  ai  Maganzesi  avea. 
II.  5 


n     Fa 

Ub  Ibmì  fino  fl  1 

Oecoabsinda] 

Vtmàt  osw  da»,  •  lo  grfciacra  eame  m  oyo. 

Nm  sana  coaqariU  ■■  Etlor  Mava, 
Maifisa  aTOMla  ia  caiapagaia  e  Kaggiero, 
Cb'cfan  la  icdU  e  1  fior  d'ogaì  gaeniero? 

50  Marfisa  talUTotta  coorinUoMlo, 
Speno  ai  compagni  gii  oeehi  rÌTcllaTa; 
E  di  lor  forza  paragon  Tcdeado, 

Gm  BuraTìgiia  tatti  li  lodara  : 
Ma  di  Roggìer  por  il  Talor  stopeado 
E  Mina  pari  al  mondo  le  sembraTa; 
E  talor  8i  credea  che  foese  Marte 
Scesa  dal  quinto  cielo  in  quella  parte. 

51  Mirara  qoeDe  orrìbili  percosse, 
Mirayale  non  mai  calare  in  fallo: 
Psffea  che  cantra  Balisarda  fosse 
Il  ferro  carta,  e  non  doro  metallo. 
Gli  elmi  tagliava  e  le  corazze  grosse, 
£  gli  oomtni  fendea  fin  sol  cavallo, 

E  li  mandava  in  parti  ogoali  al  prato. 
Tanto  dall' on  qaanto  dall'altro  lato. 

22  Continuando  la  medesma  botta, 
Uccidea  col  signore  il  cavallo  anche. 
I  capi  dalle  spalle  alzava  in  frotta, 
E  spesso  i  basti  dipartia  dall'  anche. 
Cinque  e  più  a  un  colpo  ne  tagliò  talotta; 
E  se  non  che  pur  dubito  che  manche 
Credenza  al  ver,  e'  ha  faccia  di  menzogna. 
Di  più  direi;  ma  di  men  dir  bisogna. 

23  U  buon  Turpin,  che  sa  che  dice  il  vero, 
E  lascia  creder  poi  quel  ch'ali'  uom  piace, 
Narra  mirabil  cose  di  Ruggiero, 

Ch'  udendolo,  il  direste  voi  mendace. 
Cosi  parea  di  ghiaccio  ogni  guerriero 
Con  tra  Marfisa,  ed  ella  ardente  face  ; 
E  non  men  di  Ruggier  gli  occhi  a  sé  trasse^ 
Ch'  ella  di  lui  V  alto  valor  mirasse. 


CANTO  VENTESIMOSBSTO.  tti 

24  E  s'ella  lui  Marte  stimato  avea, 
Stimato  egli  avria  lei  forse  Bellona, 
Se  per  donna  cosi  la  conoscea, 
Come  parca  il  contrario  alla  persona. 
£  forse  emulazion  tra  lor  nascea 
Per  quella  gente  misera,  non  baona. 
Nella  cai  carne  e  sangue  e  nervi  ed  ossa 
Fan  prova  chi  di  loro  abbia  più  possa. 

25  Bastò  di  quattro  V  animo  e  il  valore 

A  far  eh'  un  campo  e  l' altro  andasse  rotto. 
Non  restava  arme,  a  chi  foggia,  migliore 
Che  quella  che  si  porla  più  di  sotto. 
Beato  chi  il  cavallo  ha  corridore  ; 
Ch'  in  prezzo  non  è  quivi  ambio  né  trotto  : 
E  chi  non  ha  destrier,  quivi  s' avvede 
Quanto  il  mestier  dell'arme  è  tristo  a  piede. 

26  Riman  la  preda  e  '1  campo  ai  vincitori, 
Che  non  è  fante  o  mulattier  che  resti. 
Là  Maganzesi,  e  qua  fuggono  i  Mori  ; 
Quei  lasciano  i  prigion ,  le  some  questi. 
Furon,  con  lieti  visi  e  più  coi  cori, 
Malagigi  e  Viviano  a  sciòglier  presti  : 
Non  fur  men  diligenti  a  sciorre  i  paggi, 
£  por  le  some  in  terra  e  i  carriaggi. 

27  Oltre  una  buona  quantità  d' argento 
Che  in  diverse  vasella  era  formato, 
Ed  alcun  muliebre  vestimento. 

Di  lavoro  bellissimo  fregiato, 
E  per  stanze  reali  un  paramento 
D'oro  e  di  seta  in  Fiandra  lavorato. 
Ed  altre  cose  ricche  in  copia  grande  ; 
Fiaschi  di  vin  trovar,  pane  e  vivande. 

28  Al  trar  degli  elmi,  tutti  vider  come 
Avea  lor  dato  aiuto  una  donzella. 

Fu  conosciuta  all'auree  crespe  chiome, 
Ed  alla  faccia  delicata  e  bella. 
L'onoran  molto,  e  pregano  che  '1  nome 
Di  gloria  degno  non  asconda  ;  ed  ella, 
Che  sempre  tra  gli  amici  era  cortese, 
A  dar  di  sé  notizia  non  contese. 


5*2  ORLAMOO  FURIOSO. 

29  Non  si  ponno  saziar  dì  rìgaardarla  ; 
Che  tal  vista  Y  avean  nella  battaglia. 
Sol  mira  ella  Ruggier,  sol  con  lui  parla  : 
Altri  non  prezza  ;  altri  non  par  che  vaglia. 
Vengono  i  servi  intanto  -ad  invitarla 

Coi  compagni  a  goder  la  vettovaglia, 
Ch'  apparecchiala  avean  sopra  una  fonte 
Che  difendea  dal  raggio  estivo  un  monte. 

30  Era  una  delle  fonti  di  Merlino, 
Delle  quattro  di  Francia  da  lui  fatte, 
D' intorno  cinta  di  bel  marmo  fino 
Lucido  e  terso,  e  bianco  più  che  latte. 
Quivi  d' intaglio  con  lavor  divino 
Avea  Merlino  immagini  ritratte: 
Direste  che  spiravano;  e,  se  prive 
Non  fossero  di  voce,  eh'  eran  vive. 

31  Quivi  una  bestia  uscir  della  foresta 
Parea,  di  crudel  vista,  odiosa  e  brutta, 
Ch'avea  l'orecchie  d'asino,  e  la  testa 

Di  lupo  e  i  denti,  e  per  gran  fame  asciutta: 
Branche  avea  di  leon;  l'altro  che  resta, 
ITutto  era  volpe  ;  e  parea  scorrer  tutta 
£  Francia  e  Italia  e  Spagna  ed  Inghilterra, 
L' Europa  e  V  Asi«,  e  alfin  tutta  la  terra. 

lì      Per  tutto  avea  genti  ferite  e  morte. 
La  bassa  plebe  e  i  più  superbi  capi: 
Anzi  nuocer  parea  molto  più  forte 
A  re,  a  sigùori,  a  principi,  a  satrapi. 
Peggio  facea  nella  romana  corte; 
Che  v'  avea  uccisi  cardinali  e  papi: 
Contaminato  avea  la  bella  sede 
Di  Pietro,  e  messo  scandol  nella  fede. 

33      Par  che  dinanzi  a  questa  bestia  orrenda 
Cada  ogni  muro,  ogni  ripar  che  tocca. 
Non  si  vede  città  che  si  difenda: 
Se  r  apre  incontra  ogni  castello  e  rocca. 
Par  che  agli  onor  divini  anco  s' estenda, 
E  sia  adorata  dalla  gente  sciocca, 
E  che  le  chiavi  s' arroghi  d' avere 
Del  ciclo  e  deir  abisso  in  suo  jQolere. 


CA!<tO  VBNTESIMOSESTO.  63 

34  Poi  si  vedea  d'imperiale  alloro 
Cinto  le  chiome  an  cavalier  venire 
Con  tre  giovini  a  par,  che  i  gìgli  d' oro 
Tessati  avean  nel  lor  real  vestire; 

E,  con  insegna  simile,  con  loro 
Parea  an  leon  centra  qael  mostro  ascire. 
Avean  lor  nomi  chi  sopra  la  testa, 
E  chi  nel  lembo  scritto  della  vesta. 

36     V  an  eh'  avea  fin  air  elsa  nella  pancia 
La  spada  immersa  alla  maligna  fera, 
Francesco  primo,  avea  scritto,  di  Francia: 
Massimigliano  d' Aastrìa  a  par  seco  era  ; 
E  Carlo  qainto,  imperator,  di  lancia 
Avea  passato  il  mostro  alla  gorgiera  ; 
E  r  altro  che  di  strai  gli  figge  il  petto  ^ 
L'ottavo  Enrigo  d'Inghilterra  è  detto. 

36     Decimo  ha  qael  leon  scrìtto'sal  dosso, 
Ch'  al  bratto  mostro  i  denti  ha  negli  orecchi  'r 
E  tanto  l'ha  già  travagliato  e  scosso,    ■ 
Che  vi  sono  arrivati  altri  parecchi. 
Parea  del  mondo  ogni  timor  rimesso  ; 
Ed  in  emenda  degli  errori  vecchi 
Nobil  gente  accorrea,  non  però  molta , 
Onde  alla  belv^  era  la  vita  tolta* 

87     I  cavalieri  stavano  e  Marfisa 
Con  desidarìo  di  conoscer  questi, 
Per  le  cui  mani  era  la  bestia  accisa, 
Che  fatti  avea  tanti  laoghi  atri  e  mestL 
Avvengachè  la  pietra  fosse  incisa 
Dei  nomi  lor,  non  eran  manifesti. 
Si  pregavan  tra  lor,  che,  se  sapesse 
L'istoria  alcuno,  agli  altri  la  dicesse. 

35  Voltò  Viviano  a  Malagigi  gli  occhi, 
Che  stava  a  udire,  e  non  facea  lor  motto: 
A  te,  disse,  narrar  l'istoria  tocchi, 
Ch'esser  ne  dei,  per  quel  ch'io  vegga,  dotto. 

•  Chi  son  eostor  che  con  saette  e  stocchi 
E  lance  a  morte  han  l'animai  condotto? 
Bispose  Malagigi  :  Non  è  Istoria 
Di  eh'  abbia  autor  fin  qui  fatto  memoria. 

5* 


B4  OBLÀNDO  PUBIOSO. 

m     Sappiate  che  costor  che  qui  scrìtto  hanno 
Nel  marmo  i  nomi,  al  mondo  mai  non  faro; 
Ma  fra  settecento  anni  vi  saranno. 
Con  grande  onor  del  secolo  futuro. 
Merlino,  il  savio  incantator  britanno. 
Fé  far  la  fonte  al  tempo  del  re  Arturo  ; 
£  di  cose  eh*  al  mondo  hanno  a  venire. 
La  fé  da  buoni  artefici  scolpire. 

40  Questa  bestia  crudele  usci  del  fondo 

.  Dello  'nfemo  a  quel  tempo  che  far  fatti 
Alle  campagne  i  termini,  e  fu  il  pondo 
Trovato  e  la  misura,  e  scrìtti  i  patti. 
Ma  non  andò  a  principio  in  tutto  '1  mondo: 
Di  sé  lasciò  fdolti  paesi  intatti. 
Al  tempo  nostro  in  molti  lochi  sturba  ; 
Ma  i  popularì  offende  e  la  vii  turba. 

41  Dal  suo'prìncipio  inin  al  secol  nostro 
Sempre  à  cresciuto,  e  sempre  andrà  crescendo  : 
Sempre  crescendo,  al  lungo  andar  fia  il  mostro 
U  maggior  (die  mai  fosse  e  lo  più  orrendo. 
Quel  Piton,  che  per  carte  e  per  inchiostro 

S' ode  che  fu  si  orrìbile  e  giopendo, 
Alla  metà  di  questo  non  fu  tutto, 
Né  tanto  abbominevol  nò  si  brutto. 

tì     Farà  strage  erode!,  né  sarà  loco 
Che  non  guasti,  contamini  ed  infetti: 
£  quanto  mostra  la  scultura,  è  poco 
De'  suoi  nefandi  e  abbominosi  effetti. 
Al  mondo,  di  grìdar  mercè  già  reco. 
Questi,  dei  quali  i  nomi  abbiamo  letti, 
Che  chiarì  splenderan  più  che  piropo. 
Verranno  a  dare  aiuto  al  maggior  uopo»' 

48     Alla  fera  crudele  il  più  molesto 
Non  sarà  di  Francesco  il  re  de'  Franchi  : 
£  ben  convien  che  molti  ecceda  in  questo, 
£  nessun  prima  e  pochi  n'  abbia  a'  fianchi  ; 
Quando  in  splendor  real,  quando  nel  reste 
Di  virtft  farà  molti  parer  manchi. 
Che  già  parver  compiati;  come  cede 
Tosto  ogni  altro  splendor,  che  '1  Sol  si  vede. 


CANTO  TENTESIMOSESTO.  bìi 

44  L'anno  primìer  del  fortunato  regno» 
Non  ferma  ancor  ben  la  corona  in  fronte , 
Passerà  l'Alpe,  e  romperà  il  disegno 

Di  chi  air  incontro  avrà  occupato  il  monte  ; 
Da  giusto  spinto  e  generoso  sdegno, 
Che  vendicate  ancor  non  sieno  l'onte 
Che  dal  furor  da  paschi  e  mandre  uscito 
L' esercito  di  Francia  avrà  patito. 

45  E  quindi  scenderà  nel  ricco  piano 

Di  Lombardia ,  col  fior  di  Francia  intorno  ; 
E  si  l'Elvezio  spezzerà,  ch'in  vano 
Farà  mai  più  pensier  d' alzare  il  corno. 
Con  grande  e  della  Chiesa',  «  dell'  ispano 
Campo  e  del  fiorentin  vergogna  e  scorno, 
Espugnerà  il  Castel  che  prima  stato 
Sarà  non  espugnabile  stimato. 

46  Sopra  ogni  altr'arme  ad  espugnarlo,  molto 
Più  gli  varrà  quella  onorata  spada. 

Con  la  qual  prima  avrà  di  vita  tolto 
Il  mostro  corruttor  d' ogni  contrada. 
Convien  eh'  innanzi  a  quella  sia  rivolto 
In  fuga  ogni  stendardo,  o  a  terra  vada; 
Nò  fossa  né  ripar  né  grosse  mura 
Possan  da  lei  tener  città  sicura. 

47  Questo  principe  avrà  quanta  eccellenza    - 
Aver  felice  imperator  mai  debbia: 

L' animo  del  gran  Cesar,  la  prudenza 
Di  chi  mostrolla  a  Trasimeno  e  a  Trebbia, 
Con  la  fortuna  d'Alessandro,  senza 
Cui  saria  fumo  ogni  disegno,  e  nebbia. 
Sarà  si  liberal,  eh'  io  lo  contemplo 
Qui  non  aver  né  paragon  né  esemplo. 

48  Cosi  diceva  Malagigi,  e  messe 
Desire  a'  cavalier  d' aver  contezza 
Del  nome  d' alcun  altro  eh'  uccidesse 

L' infornai  bestia,  uccider  gli  altri  avvezza. 
Quivi  un  Bernardo  tra'  primi  si  lesse. 
Che  Merlin  molto  nel  suo  scritto  apprezza* 
Fia  nota  per  costui,  dicea,  Bibiena, 
Quanto  Fiorenza  sua  vicina  e  Siena. 


M  ÒftLlUDO  FOUOSO. 

49     Non  mette  fnede  ionanzi  ivi  pertona 
A  SismoodOy  a  Giovanni,  a  Lodovico: 
Un  Goniaga,  on  Salviati,  vn  d' Aragona, 
Ciascono  al  bratto  mostro  aspro  nimico. 
V  è  Francesco  Gonzaga,  né  abliandona 
Le  sue  vestìgio  il  figlio  Federico  ; 
Ed  ha  il  cognato  e  il  genero  vicino, 
Quel  di  Ferrara,  e  qnel  doca  d*^  Urbino. 

fio     Deir  nn  di  questi  il  figlio  Goidobaldo 

Non  vuol  che  '1  padre  o  ch'altri  addietro  il  metta. 

Con  Ottobon  dal  Flisco,  Sinibaldo 

Caccia  la  fera,  e  van  di  pari  in  fretta. 

Luigi  da  Gazolo  il  ferro  caldo 

Fatto  nel  collo  le  ha  d' nna  saetta 

Che  con  l'arco  gli  die  Febo,  quando  anco 

Marte  la  spada  sua  gli  messe  al  fianco. 

M     Duo  Ercoli,  duo  Ippoliti  da  Este, 
Un  altro  Ereole,  un  altro  Ippolito  anco 
Da  Gonzaga,  de'  Medici,  le  peste 
Seguon  del  mostro,  e  Phan,  cacciando.  Bianco. 
Né  Giuliano  al  figliuol,  né  par  che  reste 
Ferrante  al  fratel  dietro  ;  né  che  manco 
Andrea  Boria  sia  pronto  ;  né  che  lassi 
Francesco  Sforza,  eh'  ivi  uomo  lo  passi. 

is     Bel  generoso,  illustre  e  chiaro  sangue 
B'  Avalo  vi  son  dui  e'  han  per  insegna 
Lo  scoglio,  che  dal  capo  ai  piedi  d' angue 
Par  che  l' empio  Tifeo  sotto  si  legna. 
Non  é  di  questi  duo,  per  fare  esangue 
L'orrìbil  mostro,  chi  più  innanzi  vegna: 
L'uno  Francesco  di  Pescara  invitto. 
L'altro  Alfonso  del  Vasto  ai  piedi  ha  scritto. 

63     Ma  Consalvo  Ferrante  ove  ho  lasciato, 
L' Ispano  onor,  ch'in  tanto  pregio  v'era, 
Che  fu  da  Malagigi  si  lodato. 
Che  pochi  il  pareggiar  di  quella  schiera  ? 
Guglielmo  si  vedea  di  Monferrato 
Fra  quei  che  morto  avean  la  brutta  fera  ; 
Ed  eran  pochi,  verso  gl'infiniti 
Ch'  ella  v'  avea  chi  morti  e  chi  feriti. 


CANTO  VENTESIUOSKSTO.  57 

54     In  giochi  onesti  e  parlamenti  lieti , 
Dopo  mangiar,  spesero  il  caldo  giorno, 
Corcati  su  Gn issimi  tappeti 
Tra  gli  arbuscelli  ond'  era  il  rivo  adorno. 
Malagigi  e  Yivian,  perchè  quieti 
Più  fosser  gli  altri,  tenean  l'arme  intorno; 
Quando  una  donna  senza  compagnia 
Yider,  che  verso  lor  ratto  venia. 

65     Questa  era  quella  Ippalca,  a  cai  fa  tolto 
Frontino,  il  buon  destrier,  da  Rodomonte. 
L' avea  il  di  innanzi  ella  seguito  molto, 
Pregandolo  ora,  ora  dicendogli  onte; 
Ma  non  giovando,  avea  il  cammin  rivolta 
Per  ritrovar  Ruggiero  in  Agrismonte. 
Tra  via  le  fu,  non  so  già  come,  detto 
Che  quivi  il  troveria  con  Ricciardetto. 

56  E  perchè  il  luogo  ben  sapea  (che  v'  era 
Stala  altre  volte) ,  se  ne  venne  al  dritto 
Alla  fontana  ;  ed  in  quella  maniera 

Ve  lo  trovò,  ch'io  v* ho  di  sopra  scritto. 
Ma  come  buona  e  cauta  messaggiera, 
Che  sa  meglio  eseguir  che  non  V  è  ditto, 
Quando  vide  il  f ratei  di  Bradamante, 
Non  conoscer  Ruggier  fece  sembiante. 

57  A  Ricciardetto  tutta  rivoltosse. 
Sì  come  drittamente  a  lui  venisse: 
E  quel,  che  la  conobbe,  se  le  mosse 
Incontra,  e  domandò  dove  ne  gisse. 
Ella,  eh'  ancora  avea  le  luci  rosse 
Del  pianger  lungo,  sospirando  disse; 
Ma  disse  forte,  acciò  che  fosse  espresso 
A  Ruggiero  il  suo  dir,  che  gli  era  presso. 

68     Mi  traea  dietro,  disse,  per  la  briglia, 
Come  imposto  m'avea  la  tua  sorella, 
Un  bel  cavallo  e  buono  a  maraviglia. 
Ch'ella  molto  ama,  e  che  Frontino  appella; 
E  r  avea  tratto  più  di  trenta  miglia 
"Verso  Marsilia,  ove  venir  debb'ella 
Fra  pochi  giorni,  e  dove  ella  mi  disse 
Ch'  io  r  aspettassi  finché  vi  venisse. 


58  ORLANDO  FURIOSO. 

59  Era  si  baldanzoso  il  creder  mìo, 
Ch'io  non  stimava  alcon  di  cor  si  saldo , 
Che  me  l'avesse  a  tor,  dicendogli  io; 
Ch'  era  della  sorella  di  Rinaldo. 

Ma  vano  il  mio  disegno  ier  m'ascio, 
Che  me  lo  tolse  nn  Saracin  ribaldo  ; 
Nò  per  adir  di  chi  Frontino  fasse, 
A  volermelo  rendere  s' indasse. 

60  Tati'  ieri  ed  oggi  l' ho  pregato  ;  e  qaando 
Ho  visto  ascir  prieghi  e  minacce  invano, 
Maledicendol  molto  e  bestemmiando , 
L'ho  lasciato  di  qai  poco  lontano, 

Dove  il  cavallo  e  sé  molto  affannando, 
S'alata,  qaanto  paò,  con  l'arme  in  mano 
Centra  an  guerrier  eh'  in  tal  travaglio  il  mette, 
Che  spero  eh'  abbia  a  far  le  mie  vendette. 

61  Baggiero  a  qael  parlar  salito  in  piede, 
Ch'avea  potato  appena  il  tatto  adire. 

Si  volta  a  Ricciardetto,  e  per  mercede 
E  premio  e  gaidardon  del  ben  servire, 
(Prieghi  aggiangendo  senza  fin)  gli  chiede 
Che  con  la  donna  solo  il  lasci  gire 
Tanto,  che  '1  Saracin  gli  sia  mostrato, 
Ch'  a  lei  di  mano  ha  il  baon  destrier  levato. 

62  A  Ricciardetto,  ancorché  discortese 
Il  conceder  altrai  troppo  paresse 

Di  terminar  le  a  sé  debite  imprese. 
Al  voler  di  Ruggier  par  si  rimesse  : 
E  quel  licenzia  dai  compagni  prese, 
E  con  Ippalca  a  ritornar  si  messe. 
Lasciando  a  qaei  che  rimanean  stapore, 
Non  maraviglia  par  del  sao  valore. 

63  Poi  che  dagli  altri  allontanato  alqaanto 
Ippalca  r  ebbe,  gli  narrò  eh'  ad  esso 
Era  mandata  da  colei  che  tanto 

Avea  nel  core  il  sao  valore  impresso  : 
E,  senza  finger  più,  segaitò  quanto 
La  saa  donna  al  partir  le  avea  commesso  : 
E  che  se  dianzi  avea  altrimente  detto, 
Per  la  presenzia  fa  di  Ricciardetto. 


CANTO  VBNTESIMOSESTO .  59 

64  Disse»  che  chi  le  avea  tolto  il  destriero, 
Ancor  detto  V  avea  con  molto  orgoglio: 
Perché  so  che  '1  cavallo  è  di  Ruggiero, 
Più  volentier  per  questo  te  lo  toglie. 

S' egli  di  racquistarlo  avrà  pensiero. 
Fagli  saper  (eh'  asconder  non  gli  voglio] 
Ch'io  son  quel  Rodomonte,  il  cui  valore 
Mostra  per  tutto  '1  mondo  il  suo  splendore. 

05      Ascoltando,  Ruggier  mostra  nel  volto 
Di  quanto  sdegno  acceso  il  cor  gli  sia; 
Si  perchè  caro  avrìa  Frontino  molto. 
Si  perchè  venia  il  dono  onde  venia, 
SI  perchè  in  suo  dispregio  gli  par  tolto. 
Vede  che  biasmo  e  disonor  gli  fia. 
Se  torlo  a  Rodomonte  non  s' affretta, 
E  sopra  lui  non  fa  degna  vendetta. 

66  La  donna  Ruggier  guida,  e  non  soggiorna; 
Che  por  lo  brama  col  pagano  a  fronte  : 

E  giunge  ove  la  strada  fa  dua  corna  ; 

L'un  va  giù  al  piano,  e  l'altro  va  su  al  monte: 

E  questo  e  quel  nella  vallea  ritorna, 

Dov*  ella  avea  lasciato  Rodomonte. 

Aspra ,  ma  breve  era  la  via  del  colle  ; 

L'altra  pia  lunga  assai,  ma  piana  e  molle. 

67  II  desiderio  che  conduce  Ippalca, 
D'aver  Frontino  e  vendicar  l' oltraggio. 
Fa  che  '1  sentier  della  montagna  calca. 
Onde  molto  più  corto  era  il  viaggio. 

Per  r  altra  intanto  il  re  d' Algier  cavalca 
Col  Tartaro  e  cogli  altri  che  detto  aggio  ; 
E  giù  nel  pian  la  via  più  facil  tiene, 
Né  con  Ruggiero  ad  incontrar  si  viene. 

65  Già  son  le  lor  querele  differite 
Finché  soccorso  ad  Ag ramante  sia 
(Questo  sapete)  ;  ed  han  d' ogni  lor  lite 
La  cagion,  Doralice,  in  compagnia. 
Ora  il  successo  dell'  istoria  udite. 

Alla  fontana  è  la  lor  dritta  via. 
Ove  Aldigier,  Marfisa,  Ricciardetto, 
Ualagigi  e  Vivian  stanno  a  diletto. 


M  OKLASCDO  FCUOSO. 

•     Maffisa  a'  pneghi  de*  compagni  ayea 
Teste  da  donna  ed  ornamenti  preà. 
Di  quelli  eh'  a  Lanfosa  à  credea 
Mandare  il  tradìtor  de'Maganzeà: 
E  benché  Teder  raro  à  soiea 
Senia  V  osbergo  e  gli  altri  boom  arnesi. 
Por  quel  di  se  lì  trasse  ;  e  come  donna,  V 
A'  prieghi  lor  lasciò  Tedersi  in  gonna. 

70  Tosto  che  yede  il  Tartaro  Marfisa, 
Per  la  credenza  e'  ha  di  goadagnarla. 

In  ricompensa  e  in  cambio  ugnai  s*  ayrisa 
IH  Doralice,  a  Rodomonte  darla  ; 
Si  come  amor  si  regga  a  questa  guisa. 
Che  Tender  la  sua  donna  o  permutarla 
Possa  ramante,  né  a  ragion  s'attrista. 
Se  quando  una  ne  perde,  una  n'acquista. 

71  Per  dunque  provredergli  di  donzella. 
Acciò  per  sé  quest'  altra  si  ritegna, 
Bfarfisa  che  gli  par  leggiadra  e  bella, 
E  d'ogni  cayalier  femmina  degna, 
Come  abbia  ad  aver  questa,  come  quella 
Subito  cara,  a  lui  donar  disegna  ; 

E  tutti  i  cavalier  che  con  lei  yede, 
A  giostra  seco  ed  a  battaglia  chiede. 

72  Malagigi  e  Vivian,  che  l'arme  aveano 
Come  per  guardia  e  sicurtà  del  resto, 

Si  mossero  dal  luogo  ove  sedeano, 
L' un  come  1'  2L\lfo  alla  battaglia  presto. 
Perchè  giostrar  con  amenduo  credeano  ; 
Ma  r  African,  che  non  venia  per  questo. 
Non  ne  fé  segno  o  movimento  alcuno: 
Si  che  la  giostra  restò  lor  contra  uno. 

73  Viviano  è  il  primo,  e  con  gran  cor  si  muove, 
E  nel  venir  abbassa  un'  asta  grossa  ; 

E  '1  re  pagan  dalle  famose  prove. 
Dall'  altra  parte  vien  con  maggior  possa. 
Dirizza  l' uno  e  V  altro,  e  segna  dove 
Crede  meglio  fermar  T  aspra  percossa. 
Viviano  indarno  all'  elmo  il  pagan  fere  ; 
Che  non  lo  fa  piegar,  non  che  cadere. 


^I"*lr!'- 


GANTQ  YENTESIMOSBSTO.  61 

74  II  re  pagan,  ch'avea  più  Fasta  darà, 
Fé  lo  scado  a  Vivian  parer  di  ghiaccio; 
£  fuor  di  sella  in  mezzo  alla  verdura, 
Air  eii)e  e  ai  fiori  il  fé  cadere  in  braccio. 
Vien  Malagigi,  e  pensi  in  avventura 

Di  vendicare  il  sao  fratello  avaccio  ; 

Ma  poi  d'andargli  appresso  ebbe  tal  fretta^ 

Che  gli  fé  compagnia  più  che  vendetta. 

75  L'altro  fratel  fo  prima  del  cugino 
Coir  arme  indosso,  e  sul  destrìer  salito; 
£  disfidato  centra  il  Saracino 

Venne  a  scontrarlo  a  tutta  briglia  ardito. 
Risonò  il  colpo  in  mezzo  ali'  elmo  fino 
Di  quel  pagan  sotto  la  vista  an  dito  : 
Volò  al  ciel  Fasta  in  quattro  tronchi  rotta  ; 
Ma  non  mosse  il  pagan  per  quella  botta. 

76  II  pagan  feri  lui  dal  Iato  manco; 

£  perchè  il  colpo  fu  con  troppa  forza, 
Poco  lo  scudo  e  la  corazza  manco 
Gli  valse,  che  s'aprir  come  una  scorza^ 
Passò  il  ferro  crudel  F  omero  bianco  : 
Piegò  Aldigier  ferito  a  poggia  e  ad  orza  ; 
Tra  fiori  ed  erbe  alfin  si  vide  avvolto, 
Rosso  sa  l'arme,  e  pallido  nel  volto. 

77  Con  molto  ardir  vien  Ricciardetto  appresso  : 
£  nel  venire  arresta  si  gran  lancia. 

Che  mostra  ben,  come  ha  mostrato  spesso, 
Che  degnamente  è  paladin  di  Francia  : 
£d  al  pagan  ne  facea  segno  espresso, 
Se.  fosse  stalo  pari  alla  bilancia  ; 
Ma  sozzopra  n'andò,  perchè  il  cavallo 
Gli  cadde  addosso,  e  non  già  per  suo  fallo. 

78  Poich'  altro  cavalier  non  si  dimostra. 
Ch'ai  pagan  per  giostrar  volti  la  fronte, 
Pensa  aver  guadagnato  della  giostra 

La  donna,  e  venne  a  lei  presso  alla  fonte, 
£  disse:  Damigella,  sete  nostra, 
S' altri  non  è  per  voi  eh'  in  sella  monte. 
Noi  potete  negar,  né  farne  scusa  ; 
Chò  di  ragion  di  guerra  cosi  s'usa. 
fi.  C 


62  ORLAKDO  FUIIOSO. 

79     Marfisaty  alzando  con  on  rìso  altiero 
La  faccia,  disse  :  D  too  parer  mollo  erra. 
Io  ti  concedo  che  diresti  il  vero, 
;  Ch*  io  sarei  tea  per  la  ragion  di  guerra, 

Quando  mio  signor  fosse  o  cavaliero 
Alcan  di  questi  e*  hai  gittate  in  terra. 
Io  sua  non  son  ;  né  d' altri  son ,  che  mia  : 
Dunque  me  tolga  a  me  chi  mi  desia. 

V  80     So  scudo  e  lancia  adoperare  anch'  io, 

l'  E  più  d'un  cavaliere  in  terra  ho  posto. 

Datemi  Tarme,  disse,  e  il  destrìer  mio, 
i  Agli  scudier  che  Tubbidiron  tosto. 

1^'  Trasse  la  gonna,  ed  in  farsetto  uscio  ; 

K  £  le  belle  fattezze  e  il  ben  disposto 

y\'  Corpo  mostrò,  eh' in  ciascuna  sua  parte, 

Fuorché  nel  viso,  assimigliava  a  Marte. 

^  Si     Poi  che  fu  armata,  la  spada  si  cinse, 

}  E  sul  destrìer  montò  d'un  leggìer  salto  ; 

E  qua  e  là  tre  volte  e  più  lo  spinse, 
E  quinci  e  quindi  fé  girare  in  alto  ; 
E  poi,  sfidando  il  Saracino,  strinse 
La  grossa  lancia,  e  cominciò  l'assalto. 
Tal  nel  campo  troian  Pentesilea 
Centra  il  tessalo  Achille  esser  dovea. 

S2      Le  lance  infin  al  calce  si  fiaccaro, 
A  quel  superbo  scontro,  come  vetro  ; 
Né  però  chi  le  corsero,  piegare, 
Che  si  notasse,  un  dito  solo  addietro. 
Marfisa,  che  volea  conoscer  chiaro 
S' a  più  stretta  battaglia  simil  metro 
Le  servirebbe  centra  il  fier  pagano. 
Se  gli  rivolse  con  la  spada  in  mano. 

83     Bestemmiò  il  cielo  e  gli  elementi  il  crudo 
Pagan,  poiché  restar  la  vide  in  sella: 
Ella,  che  gli  pensò  romper  lo  scudo, 
Non  men  sdegnosa  centra  il  ciel  favella. 
Già  l'uno  e  l'altro  ha  in  mano  il  ferro  nudo, 
£  su  le  fatai  arme  si  martella  : 
L'arme  fatali  han  parimente  intorno, 
Che  mai  non  bisognar  più  di  quel  giorno. 


I 


CANTO  VENTBSIMOSBSTO.  63 

84  Si  baona  è  quella  piastra  e  quella  maglia, 
Che  spada  o  lancia  non  le  taglia  o  fora  : 

Si  che  potea  seguir  l'aspra  battaglia 
Tnlto  quel  giorno,  e  l'altro  appresso  ancora. 
Ma  Rodomonte  in  mezzo  lor  si  scaglia, 
£  riprende  il  rivai  della  dimora, 
Dicendo  :  Se  battaglia  pur  far  vuoi , 
Finiam  la  cominciata  oggi  fra  noi. 

85  Facemmo,  come  sai,  triegua  con  patto 
IH  dar  soccorso  alla  milizia  nostra. 

Non  dobbiam,  prima  che  sia  questo  fatto, 

Incominciare  altra  battaglia  o  giostra. 

Indi  a  Matusa,  riverente  in  atto. 

Si  volta,  e  quel  messaggio  le  dimostra  ; 

E  le  racconta  come  era  venuto 

A  chieder  lor  per  Agramante  aiuto. 

86  La  priega  poi ,  che  le  piaccia  non  solo 
Lasciar  quella  battaglia  o  differire. 

Ma  che  voglia  in  aiuto  del  figliuolo 
Del  re  Troian  con  essi  lor  venire  ; 
Onde  la  fama  sua  con  maggior  volo 
Potrà  far  meglio  infin  al  ciel  salire. 
Che  per  querela  di  poco  momento 
Dando  a  tanto  disegno  impedimento. 

87  Marfisa,  che  fu  sempre  disiosa 

Di  provar  quei  di  Carlo  a  spada  e  a  lancia  ; 

Né  Tavea  indotta  a  venire  altra  cosa 

Di  si  lontana  regione  in  Francia, 

Se  non  per  esser  certa  se  famosa 

Lor  nominanza  era  per  vero  o  ciancia  ; 

Tosto  d'andar  con  lor  partilo  prese. 

Che  d' Agramante  il  gran  bisogno  intese. 

88  Ruggiero  in  questo  mezzo  avea  seguito 
Indarno  Ippalca  per  la  via  del  monte  ; 

E  trovò,  giunto  a  loco,  che  partito 
Per  altra  via  se  n'era  Rodomonte: 
E  pensando  che  lungi  non  era  ito, 
E  che  '1  sentier  tenea  dritto  alla  fonte. 
Trottando  in  fretta  dietro  gli  venia 
Per  l'orme  eh'  eran  fresche  in  sa  la  via. 


64  ORLANDO  FURIOSO. 

89  Volse  che  Ippalca  a  Montalban  pigliasse 
La  via,  ch'ana  gìoniala  era  vicino; 
Perchè  j'alla  fontana  ritornasse. 

Si  torria  troppo  dal  dritto  cammino. 
E  disse  a  lei,  che  già  non  dubitasse 
Che  non  s'avesse  a  ricovrar  Frontino  : 
Ben  le  farebbe  a  Montalbano,  o  dove 
Ella  si  troviy  udir  tosto  le  nuove. 

90  E  le  diede  la  lettera  che  scrìsse 

In  Agrismontè,  e  che  si  portò  in  seno; 
E  molte  cose  a  bocca  anco  le  disse , 
E  la  pregò  che  T  escasasse  appieno. 
Nella  memoria  Ippalca  il  tutto  Osse  ; 
Prese  licenzia,  e  voltò  il  palafreno  ; 
E  non  cessò  la  buona  messaggiera» 
Ch'in  Montalban  si  ritrovò  la  sera. 

9i     Seguia  Ruggiero  in  fretta  U  Saracino 
Per  l'orme  ch'apparian  nella  via  piana; 
Ma  non  lo  giunse  prima  che  vicino 
Con  Mandricardo  il  vide  alla  fontana. 
Già  promesso  s'avean  che  per  cammino 
L'un  non  farebbe  all'altro  cosa  strana, 
Né  fin  eh'  al  campo  si  fosse  soccorso, 
A  cui  Cario  era  appresso  a  porre  il  morso. 

9J      Quivi  giunto  Ruggìer,  Frontìn  conobbe, 
E  conobbe  per  lui  chi  addosso  gli  era  ; 
E  su  la  lancia  fé  le  spalle  gobbe, 
E  sfidò  l'African  con  voce  altiera. 
Rodomonte  quel  di  fé  più  che  Giobbe, 
Poiché  domò  la  sua  superbia  fiera, 
E  ricusò  la  pugna,  ch'avea  usanza 
Di  sempre  egli  cercar  con  ogni  istanza. 

v^      Il  primo  giorno  e  l'ultimo ,  che  pugna 
Mai  ricusasse  il  re  d'Algler,  fu  questo  ; 
Ma  tanto  il  desiderio  che  si  giugna 
In  soccorso  al  suo  re  gli  pare  onesto, 
Che  se  credesse  aver  Ruggier  nell'  ugna 
Più  che  mai  lepre  il  pardo  snello  e  presto, 
Non  si  vorria  fermar  tanto  con  lui. 
Che  fesse  un  colpo  della  spada  o  dui. 


CANTO  VEMTESIM0SB5T0.  Uti 

94  Aggiungi  che  sapea  eh'  era  Raggiere , 
Che  seco  per  Frontin  facea  battaglia, 
Tanto  famoso,  eh'  altro  cavaliere 

Non  è  eh' a  par  di  lui  di  gloria  saglia  ; 
L'uom  che  bramato  ha  di  saper,  per  vero 
Esperimento,  quanto  in  arme  vaglia: 
Eppur  non  vuol  seco  accettar  l'impresa  ; 
Tanto  l'assedio  dei  suo  re  gli  pesa. 

95  Trecento  miglia  sarebbe  ito  e  mine. 
Se  ciò  non  fosse,  a  comperar  tal  lite  ; 
Ma  se  l'avesse  oggi  sfidato  Achille, 
Più  fatto  non  avria  di  quel  eh'  udite  : 
Tanto  a  quel  punto  sAtto  le  faville 

Le  fiamme  avea  del  suo  furor  sopite. 
Narra  a  Ruggier  perchè  pugna  rifiuti  : 
Ed  anco  il  priega  che  l'impresa  aiuti  ; 

96  Che,  facendol,  farà  quel  ch0  far  deve 
Al  suo  signore  un  cavalier  fedele. 
Sempre  che  questo  assedio  poi  si  leve, 
AvraH  ben  tempo  da  finir  querele. 
Ruggier  rispose  a  lui  :  Mi  sarà  lieve 
Differir  questa  pugna  finché  de-le 
Forze  di  Carlo  si  traggia  Agramante  ; 
Purché  mi  rendi  il  mio  Frontino  innante. 

97  Se. di  provarti  e' hai  fatto  gran  fallo, 

E  fatto  hai  cosa  indegna  ad  un  uom  forte. 
D'aver  tolto  a  una  donna  il  mio  cavallo, 
Vuoi  ch'io  prolunghi  finché  siamo  in  corte, 
Lascia  Frontino,  e  nel  mio  arbìtrio  dallo. 
Non  pensare  altrimente  eh'  io  sopporto 
Che  la  battaglia  qui  tra  noi  non  segua, 
O  eh'  io  ti  faccia  sol  d' un'  ora  triegua. 

9S     Mentre  Ruggiero  all'  African  domanda 
O  Frontino,  o  battaglia  allora  allora , 
E  quello  in  lungo  e  l'uno  e  l'altro  manda, 
Né  vuol  dare  il  destrier,  né  far  dimora  ; 
Mandricardo  ne  vien  da  un'  altra  banda, 
E  mette  in  campo  un'  altra  lite  ancora, 
Poiché  vede  Ruggier  che  per  insegna 
Porta  l'augel  che  sopra  gli  altri  regna. 

6- 


66  ÒBLANOO  FURIOSO. 

99  Nel  campo  azzar  raqaila  bianca  avea. 
Che  de'  Troiani  fo  l'insegna  bella  : 
Perchè  Raggier  l'orìgine  traea 

Dal  fortissimo  Ettor,  portava  qaella. 
Ma  qaesto  Mandricardo  non  sapea. 
Nò  vaol  patirete  grande  ingiaria  appella, 
Che  nello  scado  nn  altro  debba  porre 
L'aqaila  bianca  del  famoso  Ettorre. 

100  Portava  Mandricardo  similmente 
L'aagel  che  rapi  in  Ida  Ganimede. 
Come  Tebbe  quel  di,  che  fu  vincente 
Al  Castel  periglioso,  per  mercede, 
Credo  vi  sia  con  l'altre  istorie  a  mente; 
E  come  qaella  fata  gli  lo  diede 

Con  tutte  le  beli'  arme  che  Vulcano 
Avea  già  date  al  cavalier  troiano. 

doi     Altra  volta  a  battaglia  erano  stati 
Mandricardo  e  Ruggier  solo  per  questo  : 
E  per  che  caso  fosser  distornati. 
Io  noi  dirò  ;  che  già  v'  è  manifesto. 
Dopo  non  s'eran  mai  più  raccozzati. 
Se  non  quivi  ora:  e  Mandricardo  presto. 
Visto  lo  scudo,  alzò  il  superbo  grìdo 
Minacciando,  e  a  Ruggier  disse:  Io  ti  sGdo. 

i02     Tu  la  mia  insegna,  temerario,  porti  : 
Nò  questo  è  il  primo  di  eh'  io  te  l'ho  detto. 
E  credi,  pazzo,  ancor  eh'  io  tei  comporti, 
Per  una  volta  eh'  io  t'ebbi  rispetto? 
Ma  poiché  nò  minacce  nò  conforti 
Ti  pòn  questa  follia  levar  del  petto. 
Ti  mostrerò  quanto  miglior  partito 
T'era  d'avermi  subito  ubbidito. 

d03     Come  ben  rìscaldato  arìdo  legno 
A  picciol  soffio  subito  s'accende; 
Cosi  s'avvampa  di  Ruggier  Io  sdegno 
Al  primo  motto  che  di  questo  intende. 
Ti  pensi,  disse,  farmi  stare  al  segno, 
Perchò  quest*  altro  ancor  meco  contende? 
Ma  mostrerotti  eh'  io  son  buon  per  tórre 
Frontino  a  lui,  lo  scudo  a  te  d'£ttorre« 


■^  Jf ,  J1  .■ 


CANTO  VENTEStUOSBSTd.  6*t 

404     Un'altra  volta  par  per  questo  venni 
Teco  a  battaglia,  e  non  è  gran  tempo  anco; 
Ma  d'accìderti  allora  mi  contenni, 
Perchè  ta  non  avevi  spada  al  fianco. 
Qaesti  fatti  saran ,  qaellì  fur  cenni  ; 
E  mal  sarà  per  te  queir aogel  bianco, 
Gh'  antiqua  insegna  é  stata  di  mia  gente  : 
Ta  te  r  usurpi  ;  io  '1  porto  giustamente. 

105  Anzi  t'usurpi  ta  l'insegna  mia, 
Rispose  Mandricardo;  e  trasse  il  brando. 
Quello  che  poco  innanzi  per  follia 
Avea  gittate  alla  foresta  Orlando. 

Il  buon  Ruggier,  che  di  sua  cortesia 
.  Non  può  non  sempre  ricordarsi,  qoando 
Vide  il  pagan  eh'  avea  tratta  la  spada, 
Lasciò  cader  la  lancia  nella  strada. 

106  E  tutto  a  un  tempo  Balisarda  strìnge. 
La  buona  spada,  e  me'  lo  scudo  imbraccia  : 
Ma  l'Africano  in  mezzo  il  destrier  spinge, 
E  Marfisa  con  lui  presta  si  caccia  ; 

E  l'uno  questo,  e  l'altro  quel  respinge, 
E  prìegano  amendui  che  non  si  faccia. 
Rodomonte  si  duol  che  rotto  il  patto 
Due  volte  ha  Mandricardo,  che  fu  fatto. 

107  Prima 9  credendo  d' acquistar  Marfisa, 
Fermato  s'era  a  far  più  d'una  giostra; 
Or,  per  privar  Ruggier  d'una  divisa. 
Di  curar  poco  il  re  Agramante  mostra. 
Se  pur,  dicea,  dèi  fare  a  questa  guisa, 
Finiam  prima  tra  noi  la  lite  nostra. 
Conveniente  e  più  debita  assai, 

Ch'  alcuna  di  quest'  altre  che  prese  hai. 

108  Con  tal  condizion  fu  stabilita 

La  triegaa  e  questo  accordo  eh'  è  fra  nui. 
Come  la  pugna  teco  avrò  finita , 
Poi  del  destrier  rìsponderò  a  costai. 
Tu  del  tuo  scudo,  rimanendo  in  vita, 
La  lite  avrai  da  terminar  con  lui  ; 
Ma  ti  darò  da  far  tanto,  mi  spero, 
Che  non  n'avanzerà  troppo  a  Ruggiero. 


88  ORLANDO  FURIÓSO. 

109     La  parte  che  ti  pensi,  non  n'avrai 
(Rispose  Mandricardo  a  Rodomonte): 
lo  te  ne  darò  più  che  non  vorrai, 
£  ti  farò  sadar  dal  pie  alla  fronte  : 
£  me  ne  rimarrà  per  darne  assai 
(Come  non  manca  mai  l'acqua  del  fonte) 
£d  a  Ruggiero,  ed  a  miir  altri  seco, 
£  a  tatto  il  mondo  che  la  voglia  meco. 

iiO     Moltiplicavan  Tire  e  le  parole 

Quando  da  questo  e  quando  da  quel  lato. 
Con  Rodomonte  e  con  Ruggier  la  vuole 
Tutto  in  un  tempo  Mandricardo  irato. 
Ruggier,  ch'oltraggio  sopportar  non  suole, 
Non  vuol  più  accordo,  anzi  litigio  e  piato. 
MarQsa  or  va  da  questo  or  da  quel  canto 
Per  riparar,  ma  non  può  sola  tanto. 

114     Come  il  villan,  se  fuor  per  Talte  sponde 
'  Trapela  il  fiume,  e  cerca  nuova  strada. 
Frettoloso  a  vietar  che  non  affondo 
I  verdi  paschi  e  la  sperata  biada. 
Chiude  una  via  ed  un'  altra ,  e  si  confonde  ; 
Che  se  ripara  quinci  che  non  cada. 
Quindi  vede  lassar  gli  argini  molli, 
£  fuor  r.acqua  spicciar  con  più  rampolli  : 

113      Cosi,  mentre  Ruggiero  e  Mandricardo 
£  Rodomonte  son  tutti  sozzopra, 
Ch' ognun  vuol  dimostrarsi  più  gagliardo, 
£d  ai  compagni  rimaner  di  sopra; 
Marfisa  ad  acchetarli  ave  riguardo, 
£  s'ffiatica,  e  perde  il  tempo  e  l'opra: 
Che,  come  ne  spicca  uno  e  lo  ritira, 
Gli  altri  duo  risalir  vede  con  ira. 

iis     Marfisa,  che  volea  porgli  d'accordo, 
Dìcea  :  Signori ,  udite  il  mio  consiglio  : 
Differnre  ogni  lite  è  buon  ricordo. 
Fin  eh'  Agramante  sia  fuor  di  periglio. 
S'ognun  vuole  al  suo  fatto  essere  ingordo, 
Anch'  io  con  Mandricardo  mi  ripiglio  ; 
£  vo'  vedere  alfin  se  guadagnarme, 
Com'  egli  ha  dello,  è  buon  per  forza  d'arme 


CANTO  VENTESIMOSESTO.  69 

ii4     Ma  se  si  de' soccorrere  Agramante, 
Soccorrasi,  e  tra  noi  non  si  contenda. 
Per  me  non  si  starà  d'andare  innante, 
Disse  Raggier,  purché  '1  destrier  si  renda. 
0  che  mi  dia  il  cavallo  (a  far  di  tante 
Una  parola),  o  che  da  me  il  difenda  : 
O  che  qui  morto  ho  da  restare,  o  ch'io 
In  campo  ho  da  tornar  sai  destrier  mio. 

il5     Rispose  Rodomonte  :  Ottener  questo 
Non  fia  cosi,  come  quell'  altro,  lieve. 
£  seguitò  dicendo  :  Io  ti  protesto 
Che,  s' alcun  danno  il  nostro  re  riceve, 
Fia  per  tua  colpa  ;  eh'  io  per  me  non  resto 
Di  fare  a  tempo  quel  che  far  si  deve. 
Ruggiero  a  quel  protesto  poco  bada  ; 
Ma,  stretto  dal  furor,  stringe  la  spada. 

116     Al  re  d'Algier  come  cingìal  si  scaglia, 
E  l'urta  con  lo  scudo  e  con  la  spalla  ; 
E  in  modo  lo  disordina  e  sbaraglia. 
Che  Ta  che  d'una  stafifk  il  pie  gli  falla. 
Mandrìcardo  gli  grida  :  0  la  battaglia 
Difierisci,  Ruggiero,  o  meco  falla  : 
E  crudele  e  fellon  più  che  mai  fosse, 
Ruggier  su  l'elmo  in  questo  dir  percosse. 

it7     Fin  sul  collo  al  destrier  Ruggier  s'inchina, 
Né,  quando  vuoisi  rilevar,  si  puote; 
Perchè  gli  sopraggiunge  la  ruina 
Del  figlio  d' Ulien ,  che  lo  percuote. 
Se  non  era  di  tempra  adamantina. 
Fesso  l'elmo  gli  avria  fin  tra  le  gote. 
Apre  Ruggier  le  mani  per  l'ambascia  ; 
E  runa  il  fren,  l'altra  la  spada  lascia. 

iìi     Se  lo  porta  il  destrier  per  la  campagna  ; 
.  Dietro  gli  resta  in  terra  fialisarda. 
Marfisa,  che  quel  dì  fatta  compagna 
Se  gli  era  d'arme,  par  ch'avvampi  ed  arda, 
Che  solo  fra  que'  duo  cosi  rimagna  : 
E  com'era  magnanima  e  gagliarda, 
Si  drizza  a  Mandrìcardo,  e  col  potere 
Gh'  aveà  maggior,  sopra  la  testa  il  fiere. 


70  ORLANDO  FOBIOSO. 

119  Rodomonte  a  Raggier  dietro  si  spinge  : 
Vinto  è  Frontin,  s'un'  altra  gli  n'  appicca  ; 
Ma  Ricciardetto  con  Yivian  si  ^inge, 

E  tra  Ruggiero  e  '1  Saraci  n  si  ficca. 
L'ano  urta  Rodomonte,  e  lo  rìspinge» 
£  da  Ruggier  per  forza  lo  dispicca  ; 
L'altro  la  spada  sua,  che  fu  Viviano, 
Pone  a  Raggier,  già  risentito,  in  mano. 

120  Tosto  che  '1  buon  Ruggiero  in  sé  ritorna, 
E  che  Vivian  la  spada  gli  appresenta, 

A  vendicar  l'ingiuria  non  soggiorna, 
E  verso  il  re  d'Algìer  ratto  s'avventa; 
Come  il  leon  che  tolto  su  le  corna 
Dal  bue  sia  stato,  e  che  '1  dolor  non  senta: 
Si  sdegno  ed  ira  ed  impeto  l'affretta, 
Stimola  e  sferza  a  far  la  sua  vendetta. 

i2i      Ruggier  sul  capo  al  Saracin  tempesta:       « 
E  se  la  spada  sua  si  ritrovasse. 
Che,  come  ho  detto,  al  cominciar  di  questa 
Pugna,  di  man  gran  fellonia  gli  trasse  ; 
Mi  credo  eh'  a  difendere  la  testa 
Dì  Rodomonte  l'elmo  non  bastasse. 
L'elmo  che  fece  il  re  far  di  Babelle, 
Quando  muover  pensò  guerra  alle  stelle. 

122  La  Discordia,  credendo  non  potere 
Altro  esser  quivi  che  contese  e  risse , 
Nò  vi  dovesse  mai  più  luogo  avere 

0  pace  0  trìegua,  alla  sorella  disse 
Ch'  omai  sicuramente  a  rivedere 

1  monachetti  suoi  seco  venisse. 
Lasciamle  andare,  e  stiam  noi  dove  in  fronte 
Ruggiero  avea  ferito  Rodomonte. 

123  Fu  il  colpo  di  Ruggier  di  si  gran  Terza, 
Che  fece  in  su  la  groppa  di  Frontino 
Percuoter  l'elmo  e  quella  dura  scorza       * 
Di  eh'  avea  armato  il  dosso  il  Saracino, 

E  lui  tre  volte  e  quattro  a  poggia  e  ad  orza 
Piegar  per  gire  in  terra  a  capo  chino  ; 
E  la  spada  egli  ancora  avria  perduta, 
Se  legata  alla  man  non  fusse  suta. 


CANTO  VBNTESIM08BST0.  71 

424     Avea  Marfisa  a  Mandricardo  intanto 
Fatto  sudar  la  fronte,  il  viso  e  il  petto  ; 
Ed  egli  avea  a  lei  fatto  altrettanto  : 
Ma  si  Tosbergo  d'ambi  era  perfetto. 
Che  mai  poter  falsarlo  in  nessun  canto, 
£  st^ti  eran  sin  qui  pari  in  effetto; 
Ma  in  un  voltar  che  fece  il  suo  destriero, 
Bisogno  ebbe  Marfisa  di  Ruggiero. 

125      n  destrier  di  Marfisa  in  un  voltarsi 
Che  fece  stretto,  ov'era  molle  il  prato. 
Sdrucciolò  in  guisa,  che  non  potè  aitarsi 
Di  non  tutto  cader  sul  destro  lato; 
£  nel  volere  in  fretta  rilevarsi, 
Da  Brigliador  fu  pel  traverso  urtato, 
Con  che  il  pagan  poco  corte3e  venne  ; 
Si  che  cader  di  nuovo  gli  convenne. 

426      Ruggìer,  che  la  donzella  a  mal  partito 
Vide  giacer,  non  differì  il  soccorso. 
Or  che  l'agio  n*avea,  poiché  stordito 
Da  sé  lontan  queir  altro  era  trascorso. 
Feri  su  Telmo  il  Tartaro  ;  e  partito 
Quel  colpo  gli  avria  il  capo  come  un  torso. 
Se  Ruggier  Balisarda  avesse  avuta, 
0  Mandricardo  in  capo  altra  barbuta. 

427  II  re  d'Algier,  che  si  risente  in  questo, 
Si  volge  intorno,  e  Ricciardetto  vede  ; 

£  si  ricorda  che  gli  fu  molesto 
Dianzi,  quando  soccorso  a  Ruggier  diede. 
A  lui  si  drizza  ;  e  saria  stato  presto 
A  dargli  del  ben  fare  aspra  mercede, 
Se  con  grande  arte  e  nuovo  incanto  tosto 
Non  se  gli  fosse  Malagigi  opposto. 

428  Malagigi,  che  sa  d'ogni  malia 

Quel  che  ne  sappia  alcun  mago  eccellente. 
Ancorché  '1  libro  suo  seco  non  sia. 
Con  che  fermare  il  sole  era  possente, 
Pur  la  scongiurazione,  onde  solia 
Comandare  ai  demoni,  aveva  a  mente: 
Tosto  in  corpo  al  ronzino  un  ne  constrìnge 
Di  Doralice,  ed  in  furor  lo  spinge. 


72  ORLANDO  FURIOSO. 

429     Nel  mansueto  ubino,  che  sai  dosso 
Avea  la  figlia  del  re  Stordilano, 
Fece  entrar  nn  degli  angel  dì  Minosso 
Sol  con  parole  il  frate  di  Viviano  : 
E  quel,  che  dianzi  mai  non  s'era  mosso. 
Se  non  quanto  ubbidito  avea  alla  mano, 
Or  d'improvviso  spiccò  in  aria  un  salto 
Che  trenta  piò  fu  lungo,  e  sedici  alto. 

130     Fu  grande  il  salto,  non  però  di  sorte. 
Che  ne  dovesse  alcun  perder  la  sella. 
Quando  sj  vide  in  alto,  gridò  forte 
(Chò  si  tenne  per  morta)  la  donzella. 
Quel  ronzin,  come  il  diavol  se  lo  porte. 
Dopo  un  gran  salto  se  ne  va  con  quella. 
Che  pur  grida  soccorso,  in  tanta  fretta. 
Che  non  l'avrebbe  giunto  una  saetta. 

i3i      Dalla  battaglia  il  figlio  d'Ulieno 
Si  levò  al  primo  suon  di  quella  voce  ; 
E  dove  furiava  il  palafreno  » 
Per  la  donna  aiutar,  n'andò  veloce. 
Mandricardo  di  lui  non  fece  meno  : 
Nò  più  a  Ruggier,  nò  più  a  Marfisa  nuoce  ; 
Ma,  senza  chieder  loro  o  paci  o  tregue, 
E  Rodomonte  e  Doralice  segue. 

132     Marfisa  intanto  si  levò  di  terra  ; 
E  tutta  ardendo  di  disdegno  e  d'ira, 
Credesi  far  la  sua  vendetta,  ed  erra  ; 
Chò  troppo  lungi  il  suo  nimico  mira. 
Ruggier,  ch'aver  tal  fin  vede  la  guerra, 
Rugge  come  un  leon,  non  che  sospira. 
Ben  sanno  che  Frontino  e  Briglìadoro 
Giunger  non  ponno  coi  cavalli  loro. 

433     Ruggier  non  vuol  cessar  finchò  decisa 
Col  re  d'Algier  non  l'abbia  del  cavallo  : 
Non  vuol  quietar  il  Tartaro  Marfisa  ; 
Chò  provato  a  suo  senno  anco  non  hallo. 
Lasciar  la  sua  querela  a  questa  guisa 
Parrebbe  all'  uno  e  all'  altro  troppo  fallo. 
Di  comune  parer  disegno  Tassi 
Di  chi  offesi  gli  avea  seguire  i  passi. 


CANTO  VENTESIMOSKSTO.  73 

434      Nel  campo  saracìn  lì  troveranno, 
Quando  non  possa  ritrovarli  prima; 
Che  per  levar  T  assedio  iti  saranno, 
Prima  che  'I  re  di  Francia  il  tutto  opprima. 
Cosi  direttamente  se  ne  vanno 
Dove  averli  a  man  salva  fanno  stima. 
Già  non  andò  Ruggier  cosi  di  botto, 
Che  non  facesse  ai  suoi  compagni  motto. 

iZb      Ruggier  se  ne  ritorna  ove  in  disparte 
Era  il  fratel  della  sua  donna  bella, 
£  se  gli  proflerisce  in  ogni  parte 
Amico,  per  fortuna  e  buona  e  fella: 
Indi  lo  priega  (e  lo  fa  con  bell'arte) 
Che  saluti  in  suo  nome  la  sorella  ; 
£  questo  cosi  ben  gli  venne  detto, 
Che  né  a  lui  die  né  agli  altri  alcun  sospetto. 

436  £  da  lui,  da  Vivian,  da  Malagigi, 
Dal  ferito  Aldigier  tolse  commiato. 
Si  profferirò  anch'  essi  alti  servigi 
Di  lui,  debitor  sempre  in  ogni  lato. 
Marfìsa  avea  si  il  cor  d*  ire  a  Parigi, 
Che  '1  salutar  gli  amici  avea  scordato; 
Ma  Malagigi  andò  tanto  e  Viviano, 
Che  pur  la  salutaron  di  lontano; 

437  £  cosi  Ricciardetto:  ma  Aldigiero 
Giace,  e  convien  che  suo  malgrado  resti. 
Verso  Parigi  avean  preso  il  sentiero 
Quelli  duo  prima,  ed  or  lo  piglian  questi. 
Dirvi,  signor,  nell'altro  Canto  spero 
Miracolosi  e  soprumani  gesti. 

Che  con  danno  degli  uomini  di  Carlo 
Ambe  le  coppie  fer,  di  ch'io  vi  parlo. 


KTOTE. 


St.  4.  V.  9.  — Su  l'aie  .*  pronti,  ap- 
parecchiati. 

Si.  14.  V.  3, —  L'  arrestato  legno: 
la  lancia  in  resta. 


St.  ih.  V,  l.^Ctades  voce  latina, 
strage, 

St.  i7.  V.  3.—  //  collegio:  Tadu- 
nania  delle  prccbie,  lo  sciame. 


II.  7 


74 


ORLANDO  FURIOSO. 


StA9,  V,  h^^.'-'Jusa:  latinismo, 
ardita.^  Un  Ettor:  Talente  guerriero, 
fijilio  di  Priamo  re  di  Troia. 

Si.  SO.  V,  7-8.  —  Marte  ec..'  favo- 
losa Dio  della  guerra,  e  nome  del  pia- 
ii«ia  riguardato  pel  quinto  dagli  astro- 
acmi  aaikbi. 

St.  E4,  V*  2.  —  Bellonat  sorella  di 
Martf,  e  Bea  essa  pure  della  guerra. 

Si.  31.  9.  i-8. —  Quivi  iuta  òe- 
jlia^  ec.  \n  questa  e  nelle  due  seguenti 
SLanic  Inombrasi  l*aTarizia« 

St,  33.  I».  4, —  Satrapi:  cosi  chia- 
ma va  osi  presso  i  Persiani  i  governatori 
dì  Provincie o d'eserciti. 

ò't.  33,  V.  7-8. —  Le  chiavi  ec,:  la 
podestà  di  sciogliere  e  di  legare,  data  a 
Sau  Pietro. 

St,  il.  V.  6.  —  Quel  Piton  ec.  .* 
DOtnt  di  uno  smisurato  serpente  che  i 
pdcii  ÈDiero  generato  dalla  Terra  dopo 
Il  ililuviop  e  ucciso  da  Apollo. 

SLk^.V.1'%. — Dal  furor  ec.t  al- 
WJe  agli  Sviiaeri,  che,  sebbene  allora 
pd&lorie  Ufolchi,  eransi  armati  contro 
le  fané  di  Francia. 

St.  45.  V,  1'%.-^  Espugnerà  il  ca^ 
ticl  ec'  quello  di  Milano. 

Si*  VI.  V.  4-5.  —  Di  chi  mostrai' 
la  te:  intende  di  Annibale,  che  scon- 
1ì  Kie  i  Homani  nei  luoghi  indicati,  come 
Bltiave  li  e  detto. — Con  lajoriuna  ec*.' 
pattuii  forse  della  fortuna  che  arrideva 
al  rt  Francesco  nel  4515, quando  salì  in 
tronoj  t  quando!' Autore  scriveva  questi 
vcrii^ 

St.  48.  V.  6-7.— Q«iVi  nn  Ber» 
nnriiù  te.:  il  cardinale  Bernardo  Divizio 


da  Bibbiena,  che  scrisse  una  commedia 
intitolata  la  Calandra. 

St.  49.  (^.  S-3 A  Sismomdo  ec: 

tre  cardinali,  Gismondo  Gontaga^Gio» 
vanni  Salviatij  Lodovico  d'Aragona, 

St.  50.  V.  3 Dal  Eliseo  t  dal 

Fiesco. 

St.  5S.  V,  3-4.  —  Lo  scoglio  ec.  : 
risola  d*  Ischia. — lyiedi  d' angue:  i 
poeti  finsero  che  i  giganti  avessero  i 
piedi  d*angue,  ossia  terminassero  in  av- 
volgimenti serpentini,  onde  li  dissero 
angttipedi, 

St.  81.  9.  7.8.—  Tal  nel  campo 
troian  Pentesilea  ec:  questa  regina 
delle  Amazsoni  fu  adtutrice  de'  Troiani 
contro  i  Greci,  e  più  volte  combattè  con 
Achille. 

St.2l.  V.  8. •—  Appresso  a  porre  il 
morso:  vicino  a  dare  l'estrema  scon- 
fitta. 

St.  95.  V.  5.  — Faville:  parti  mi- 
nutissime di  fuoco:  qui  s' intende  quella 
cenere  sottile  che  ricuopre  la  brace;  e 
metaforicamente  le  ragioni  che  impe- 
divano Rodomonte  di  accettare  la  tanto 
desiderata  1>attag1ia  con  Ruggiero. 

St.  100.  V.  2^8.  -^L'augel  ec: 
r  aquila. — Con  l' altre  istorie  ec:  ve- 
dasi tutto  questo  nel  Libro  III, Canto  II 
dtW  Orlando  Innamorato. 

St.  124.  V.  5. —  Falsarlo:  adulte, 
rarlo;  qui  guastarlo. 

St.  129.  V.  3.  —  Un  degli  angel  di 
Minosso:  un  diavolo  di  quelli  che 
ministrano  a  Minos,  costituito  da  Gio- 
ve ,  secondo  i  poeti ,  giudice  nell'  in- 
ferno. 


75 


CJUVTO  imnrarEsmosKirruiio. 


Mandricardo*  Rugi^iero,  Rodomonte  e  MaT6ta«  inseguendo  DoralicCi  giungono 
sotto  Parigi)  assalgono  l'esercilo  cristiano,  e  respingono  Carlo  dentro  le  mura. 
Ciò  fatto,  tornano  alle  precedenti  gare.  II  re  africano  rimette  aeH' arbitrio  di 
DoraUce  lo  scegliere  fra  Mandricardo  e  Rodomonte:  questi  è  rifiotalOi  onde  si 
parte  indispettito,  con  disegno  di  tornarsene  in  Africa  |  ed  alloggia  una  sera 
presso  un  albergatore  sulla  Saona. 


L     Molti  consìgli  delle  donne  sono 
Meglio  improvviso,  eh' a  pensarvi,  asciti; 
Che  questo  è  speziale  e  proprio  dono 
Fra  tanti  e  tanti  lor  dal  Giel  largiti; 
Ma  può  mal  quel  degli  uomini  esser  buono, 
Che  maturo  discorso  non  aiti , 
Ove  non  s' abbia  a  ruminarvi  sopra 
Speso  alcun  tempo,  e  molto  studio  ed  opra. 

Parve,  e  non  fu  però  buono  il  consiglio 
Di  Malagigì,  ancorché  (come  ho  detto) 
Per  questo  di  grandissimo  perìglio 
Liberasse  il  cugin  suo  Ricciardetto. 
A  levare  indi  Rodomonte  e  il  figlio 
Del  re  Agrican,  lo  spirto  avea  constretto. 
Non  avvertendo  che  sarebbon  tratti 
Dove  i  Cristian  ne  rimarrìan  disfatti. 

Ma  se  spazio  a  pensarvi  avesse  avuto. 
Creder  si  può  che  dato  similmente 
Al  suo  cugino  avria  debito  aiuto, 
Né  fatto  danno  alla  cristiana  gente. 
Comandare  allo  spirto  avria  potuto. 
Ch'alia  via  di  Levante  o  di  Ponente 
Si  dilungata  avesse  la  donzella, 
Che  non  n'  udisse  Francia  più  novella. 


70  OBLANDO  FURIOSO. 

4  Cosi  gli  amanti  suoi  Y  avrian  seguila, 
Come  a  Parigi,  anco  in  ogni  altro  loco; 
Ma  fu  quest'  avvertenza  inavvertita 

Da  Malagigi,  per  pensarvi  poco: 

E  la  Malignità  dal  ciel  bandita, 

Che  sempre  vorria  sangue  e  strage  e  fuoco, 

Prese  la  via  donde  più  Carlo  aflQisse, 

Poiché  nessuna  il  mastro  gli  prescrisse. 

5  II  palafren  eh'  avea  il  demonio  al  Oanco 
Portò  la  spaventata  Doralice, 

Che  non  potè  arrestarla  fiume ,  e  manco 
Fossa,  bosco,  palude,  erta  o  pendice. 
Finché  per  mezzo  il  campo  inglese  e  franco, 
£  l'altra  moltitudine  fautrice 
Deir  insegne  di  Cristo,  rassegnata 
Non  r  ebbe  al  padre  suo  re  di  Granata. 

6  Rodomonte  col  figlio  d'Agricane 

La  seguitare  il  primo  giorno  un  pezzo. 
Che  le  vedean  le  spalle,  ma  lontane. 
Di  vista  poi  perderonla  da  sezzo, 
£  venner  per  la  traccia,  come  il  cane 
La  lepre  o  il  capriol  trovare  avvezzo; 
Né  si  fermar,  che  furo  in  parte  dove 
Di  lei,  ch'era  col  padre,  ebbono  nuove. 

7  Guardati,  Carlo;  che  '1  ti  vien  addosso 
Tanto  furor,  eh'  io  non  ti  veggo  scampo; 
Né  questi  pur;  ma  '1  re  Gradasso  é  mosso 
Con  Sacripante  a  danno  del  tuo  campo. 
Fortuna,  per  toccarti  fin  all'osso. 

Ti  tolte  a  un  tempo  l' uno  e  l' altro  lampo 
Di  forza  e  di  saper,  che  vivea  teco; 
E  tu  rimase  in  tenebre  sei  cieco. 

8  Io  ti  dico  d' Orlando  e  di  Rinaldo  ; 
Che  r  un  al  tutto  furioso  e  folle. 

Al  sereno,  alla  pioggia,  al  freddo,  al  caldo, 
Nudo  va  discorrendo  il  piano  e  '1  colle: 
L'altro,  con  senno  non  troppo  più  saldo, 
D'appresso  al  gran  bisogno  ti  si  tolle; 
Che,  non  trovando  Angelica  in  Parigi, 
Si  parte,  e  va  cercandone  vestigi. 


CANTO   VENTESIMOSETTIHO.  77 

9      Un  fraudolente  vecchio  incantatore 
Gli  fé  (come  a  principio  vi  si  disse) 
Creder  per  un  fantastico  suo  errore, 
Che  con  Orlando  Angelica  venisse: 
Onde  di  gelosia  tocco  nel  core, 
Della  maggior  ch'amante  mai  sentisse, 
Venne  a  Parigi;  e  come  apparve  in  corte, 
D' ire  in  Bretagna  gli  toccò  per  sorte. 

40      Or,  fatta  la  battaglia  onde  portonne 
Egli  r  onor  d'aver  chiuso  Agramante, 
Tornò  a  Parigi,  e  monister  di  donne, 
E  case  e  rocche  cercò  tutte  quante. 
Se  murata  non  è  tra  le  colonne, 
V  avria  trovata  il  curioso  amante. 
Vedendo  alfin  ch'ella  non  v'è  né  Orlando, 
Amenduo  va  con  gran  disio  cercando. 

11  Pensò  che  dentro  Anglante  o  dentro  a  Brava 
Se  la  godesse  Orlando  in  festa  e  in  giuoco  ; 

E  qua  e  là  per  ritrovarla  andava, 

Né  in  quel  la  ritrovò  né  in  questo  loco. 

A  Parigi  di  nuovo  ritornava. 

Pensando  che  tardar  dovesse  poco 

Di  capitare  il  paladino  al  varco; 

Che  il  suo  star  fuor  non  era  senza  incarco. 

12  Un  giorno  o  duo  nella  città  soggiorna 
Rinaldo;  e  poich' Orlando  non  arriva, 
Or  verso  Anglante,  or  verso  Brava  torna 
Cercando  se  di  lui  novella  udiva. 

Cavalca  e  quando  annotta  e  quando  aggiorna, 
Alla  fresca  alba  e  all'ardente  ora  estiva; 
£  fa  al  lume  del  sole  e  della  luna 
Dugento  volte  questa  via,  non  eh'  una. 

iZ     Ma  l'antiquo  avversario,  il  qual  fece  Eva 
All'interdetto  pome  alzar  la  mano, 
A  Carlo  un  giorno  1  lividi  occhi  leva, 
Che  '1  buon  Rinaldo  era  da  lui  lontano  ; 
E  vedendo  la  rotta  che  poteva 
Darsi  in  quel  punto  al  popolo  cristiano. 
Quanta  eccellenzìa  d' arme  al  mondo  fusse 
Fra  tutti  i  Saracini,  ivi  condusse. 

7" 


98  ORLANDO  FURIOSO. 

H     Al  re  Gradasso  e  al  buon  re  Sacripante  ^ 
€h*  eran  fatti  compagni  all'  nscir  faore 
Della  piena  d'error  casa  d'Atlante, 
Di  venire  in  soccorso  messe  in  core 
Alle  genti  assediate  d'Agramante, 
E  a  distrnzion  di  Carlo  imperatore  : 
Ed  egli  per  V  incognite  contrade 
Fé  lor  la  scorta,  e  agevolò  le  strade. 

i&     Et  ad  an  altro  suo  diede  negozio 
D'affrettar  Rodomonte  e  Mandricardo 
Per  le  vestigio  donde  \*  altro  sozio 
A  condor  Doralice  non  è  tardo. 
Ne  manda  ancor  un  altro,  perchè  in  ozio 
Non  stia  MarGsa  né  Kaggier  gagliardo  : 
Ma  chi  guidò  V  ultima  coppia ,  tenne 
La  briglia  più;  né  quando  gli  altri,  venne. 

i%     La  coppia  di  MarGsa  e  di  Ruggiero 
Di  mezza  ora  più  tarda  si  condusse  ; 
Però  eh'  astutamente  V  angel  nero. 
Volendo  agli  Cristian  dar  delle  busse, 
Provvide  che  la  lite  del  destriero 
Per  impedire  il  suo  desir  aon  fosse  ; 
Che  rinnovata  si  saria,  se  giunto 
Fosse  Ruggiero  e  Rodomonte  a  un  punto. 

17      I  quattro  primi  si  trovare  insieme 
Onde  potean  veder  gli  alloggiamenti 
Deir  esercito  oppresso  e  di  chi  '1  preme, 
E  le  bandiere  in  che  feriano  i  venti: 
Si  consigliare  alquanto;  e  fur  l'estreme 
Conclosion  dei  lor  ragionamenti. 
Di  dare  aiuto,  mal  grado  di  Carlo, 
Al  re  Agramante,  e  dell'assedio  trarlo. 

is      Stringonsi  insieme,  e  prendono  la  via 
Per  mezzo  ove  s'alloggiano  i  Cristiani, 
Gridando,  Africa  e  Spagna  tuttavia; 
E  si  scoprirò  in  tutto  esser  pagani. 
Pel  campo.  Arme,  arme  risonar  s'udia; 
Ma  menar  si  sentir  prima  le  mani  : 
E  della  retroguardia  una  gran  frotta. 
Non  ch'assalita  sia,  ma  fogge  in  rotta. 


CANTO  VENTESlMOSETimO.  79 

19  L'esercito  Cristian,  mosso  a  tumolto» 
Sozzopra  va  senza  sapere  il  fatto. 
Estima  alcan  che  sia  un  usato  insulto 
Che  Svizzeri  o  Guasconi  abbino  fatto. 
Ma  perch'alia  più  parte  è  il  caso  occulto, 
S*  aduna  insieme  ogni  nazion  di  fatto, 
Altri  a  suon  di  tamburo,  altri  di  tromba  : 
Grande  è  '1  rumore,  e  fin  al  ciel  rimbomba. 

20  II  magno  imperator,  fuorché  la  testa, 
È  tutto  armato,  e  i  paladini  ha  presso; 
E  domandando  vien  che  cosa  è  questa. 
Che  le  squadre  in  disordine  gli  ha  messo; 
E  minacciando,  or  questi  or  quelli  arresta; 
E  vede  a  molti  il  viso  o  il  petto  fesso. 

Ad  altri  insanguinare  o  il  capo  o  il  gozzo, 
Alcun  tornar  con  mano  o  braccio  mozzo. 

21  Giunge  più  innanzi,  e  ne  ritrova  molti 
Giacere  in  terra ,  anzi  in  vermiglio  lago 
Nel  proprio  sangue  orribilmente  involti, 
Né  giovar  lor  può  medico  né  mago  ; 

E  vede  dagli  busti  i  capi  sciolti, 
E  braccia  e  gambe  con  crudele  imago  ; 
E  ritrova,  dai  primi  alloggiamenti 
Agli  ultimi ,  per  tutto  uomini  spenti. 

22  Dove  passato  era  il  piccol  drappello 
Di  chiara  fama  eternamente  degno, 
Per  lunga  riga  era  rimase  quello 

Al  mondo  sempre  memorabil  segno. 
Carlo  mirando  va  il  crudel  macello, 
Maraviglioso,  e  pien  d'ira  e  di  sdegno; 
Come  alcuno  in  cui  danno  il  fulgur  venne, 
Cerca  per  casa  ogni  sentier  che  tenne. 

23  Non  era  agli  ripari  anco  arrivato 
Del  re  african  questo  primiero  aiuto. 
Che  con  Marfisa  fu  da  un  altro  lato 
L' animoso  Ruggier  sopravvenuto. 

Poi  eh'  una  volta  o  due  l' occhio  aggirato 
Ebbe  la  degna  coppia,  e  ben  veduto 
Qual  via  più  breve  per  soccorrer  fosse 
L' assediato  signor,  ratto  si  mosse* 


L 


80  ORLANDO  FURIOSO. 

24  Come  quando  sì  dà  fuoco  alla  mina, 
Pel  lungo  solco  della  nostra  polve 
Licenziosa  fiamma  arde  e  cammina 

Si,  ch'occhio  addietro  a  pena  se  le  voi  ve; 

E  qual  si  sente  poi  l' alta  ruina 

Che  '1  duro  sasso  o  il  grosso  muro  solve  : 

Cosi  Ruggiero  e  Marfìsa  vanirò, 

E  tai  nella  battaglia  si  sentirò. 

25  Per  lungo  e  per  traverso  a  fender  teste 
Incominciaro,  e  tagliar  braccia  e  spalle 
Belle  turbe  che  mal  erano  preste 

Ad  espedire  e  sgombrar  loro  il  calle. 
Chi  ha  notato  il  passar  delle  tempeste, 
Ch'  una  parte  d' un  monte  o  d' una  valle 
Offende,  e  V  altra  lascia  ;  s' appresenti 
La  vìa  dì  questi  duo  fra  quelle  genti. 

26  Molti  che  dal  furor  di  Rodomonte 
E  di  quegli  altri  primi  eran  fuggiti. 
Dio  ringraziavan ,  eh'  avea  lor  sì  pronte 
Gambe  concesse,  e  piedi  sì  espediti; 

E  poi  dando  del  petto  e  della  fronte 
In  MarGsa  e  in  Ru^gier,  vedean,  scherniti, 
Come  r  uom  né  per  star  né  per  fuggire. 
Al  suo  Asso  destin  può  contraddire. 

27  Chi  fugge  l'un  pericolo,  rimane 

Neil'  altro,  e  paga  il  Go  d'ossa  e  dì  polpe. 
Cosi  cader  coi  Ggli  in  bocca  al  cane 
Suol,  sperando  fuggir,  timida  volpe, 
Poiché  la  caccia  dell'  antique  tane 
Il  suo  vicin  che  le  dà  mille  colpe, 
E  cautamente  con  fumo  e  con  fuoco 
Turbata  l' ha  da  non  temuto  loco. 

28  Negli  ripari  entrò  de'  Saracini 
MarGsa  con  Ruggiero  a  salvamento. 
Quivi  tutti  con  gli  occhi  al  ciel  supini 
Dio  ringraziar  del  buono  avvenimento. 
Or  non  v'é  più  timor  de' paladini; 

Il  più  tristo  pagan  ne  sGda  cento; 
Ed  é  concluso  che  senza  riposo 
Si  torni  a  fare  il  campo  sanguinoso. 


CANTO  VENTESIMOSETTIMO.  81 

29  Corni,  bussoni,  tìmpani  moreschi 
Empiono  il  ciel  di  formidabil  suoni: 
Neil*  aria  tremolare  ai  venti  freschi 
Si  veggon  le  bandiere  e  i  gonfaloni. 
Dall'altra  parte  i  capitan  Garleschi 
Stringon  con  Alamanni  e  con  Britoni 
Qaei  di  Francia,  d' Italia  e  d' Inghilterra; 
£  si  mesce  aspra  e  sanguinosa  guerra. 

30  La  forza  del  terribil  Rodomonte, 
Quella  di  Mandricardo  furibondo, 
Quella  del  buon  Ruggier,  di  virtù  fonte, 
Del  re  Gradasso  si  famoso  al  mondo, 

E  di  Marfisa  l'intrepida  fronte. 
Col  re  Circasso  a  nessun  mai  secondo, 
Feron  chiamar  San  Gianni  e  San  Dionigi 
Al  re  di  Francia,  e  ritrovar  Parigi. 

31  Di  questi  cavalieri  e  di  Marfisa 
L'ardire  invitto  e  la  mirabil  possa 

Non  fu,  signor,  di  sorte,  non  fu  in  guisa 
Ch'  immaginar,  non  che  descriver  possa. 
Quindi  si  può  slimar  che  gente  uccisa 
Fosse  quel  giorno,  e  che  crudel  percossa 
Avesse  Carlo.  Arroge  poi  con  loro 
Con  Ferraù  più  d' un  famoso  Moro. 

32  Molti  per  fretta  s' affogare  in  Senna 
(Che  '1  ponte  non  potea  supplire  a  tanti), 
E  desiar,  come  Icaro,  la  penna. 
Perchè  la  morte  avean  dietro  e  davanti. 
Eccetto  Uggieri  e  il  marchese  di  Vienna, 
1  paladin  fur  presi  tutti  quanti. 

Olivier  fitornò  ferito  sotto 

La  spalla  destra,  Uggier  col  capo  rotto. 

33  E  se,  come  Rinaldo  e  come  Orlando, 
Lasciato  Brandimarte  avesse  il  giuoco, 
Carlo  n'andava  di  Parigi  in  bando. 

Se  potea  vivo  uscir  di  si  gran  fuoco. 
Ciò  che  potè,  fé  Brandimarte;  e  quando 
Non  potè  più,  diede  alla  furia  loco. 
Cosi  Fortuna  ad  Agramante  arrise, 
Ch'  un'  altra  volta  a  Carlo  assedio  mise. 


82  ORLANDO  FURIOSO. 

34  Dì  vedovelle  i  gridi  e  le  querele, 

E  d'orfani  fanciulli,  e  di  vecchi  orbi, 
Neir  eterno  seren,  dove  Michele 
Sedea,  salir  fuor  di  questi  aer  terbi; 
£  gli  fecion  veder  come  il  fedele 
Popol  preda  de'  lupi  era  e  de'  cerbi , 
Di  Francia,  d' Inghilterra  e  di  Lamagna, 
Che  tutta  avea  coperta  la  campagna. 

35  Nel  viso  6'  arrossi  l' Angel  beato, 
Parendogli  che  mal  fosse  ubbidito 
Al  Creatore,  e  si  chiamò  ingannato 
Dalla  Discordia  perfida,  e  tradito. 
D' accender  liti  tra  i  pagani  dato 

Le  avea  l'assunto,  e  mal  era  eseguito; 
Anzi  tutto  il  contrario  al  suo  disegno 
Parea  aver  fatto,  a  chi  guardava  al  segno. 

36  Come  servo  fedel,  che  più  d'amore 
Che  di  memoria  abbondi,  e  che  s'avveggia 
Aver  messo  in  oblio  cosa  eh'  a  core 
Quanto  la  vita  e  l'anima  aver  deggia; 
Studia  con  fretta  d*  emendar  l' errore. 

Né  vuol  che  prima  il  suo  signor  lo  veggia: 
Cosi  l'Angelo  a  Dio  salir  non  volse. 
Se  dell'  obbligo  prima  non  si  sciolse. 

37  Al  monisler,  dove  altre  volte  avea 
La  Discordia  veduta,  drizzò  l'ali. 
Trovolla  eh'  in  capitolo  sedea 

A  nuova  elezion  degli  ufficiali  ; 
E  di  veder  diletto  si  prendea, 
Volar  pel  capo  a'  frati  i  breviali. 
Le  man  le  pose  l' Angelo  nel  crine, 
E  pugna  e  calci  le  die  senza  fine. 

3S      Indi  le  roppe  un  manico  di  croce 
Per  la  testa,  pel  dosso  e  per  le  braccia. 
Mercè  grida  la  misera  a  gran  voce, 
E  le  ginocchia  al  divin  nunzio  abbraccia. 
Michel  non  l'abbandona,  che  veloce 
Nel  campo  del  re  d'Africa  la  caccia; 
E  poi  le  dice:  Aspettati  aver  peggio» 
Se  fuor  di  questo  campo  più  ti  veggio. 


CANTO  VENTESIMOSETTIMO.  83 

SO      Gomechè  la  Discordia  avesse  rotto 
Tutto  il  dosso  e  le  braccia,  pur  temendo 
Uo'  altra  volta  ritrovarsi  sotto 
A  quei  gran  colpì,  a  quel  furor  tremendo, 
Corre  a  pigliare  i  mantici  di  botto. 
Ed  agli  accesi  fuochi  esca  aggiungendo, 
Ed  accendendone  altri ,  fa  salire 
Da  molti  cori  un  alto  incendio  d'ire. 

40  E  Rodomonte  e  Mandricardo  e  insieme 
Ruggier  n'  inGamma  si ,  che  innanzi  al  Moro 
Li  fa  tutti  venire,  or  che  non  preme 

Carlo  i  pagani,  anzi  il  vantaggio  è  loro. 
Le  differenzie  narrano,  ed  il  seme 
Fanno  saper,  da  cui  produtte  foro: 
Poi  del  re  si  rimettono  al  parere, 
Chi  di  lor  prima  il  campo  debba  avere. 

41  Marfisa  del  suo  caso  anco  favella, 
E  dice  che  la  pugna  vuol  finire. 

Che  cominciò  col  Tartaro;  perch'olla 
Provocata  da  lui  vi  fu  a  venire: 
Né,  per  dar  loco  air  altre,  volea  quella 
Un'ora^  non  che  un  giorno,  differire; 
Ma  d' esser  prima  fa  Y  instanzia  grande , 
Ch'  alla  battaglia  il  Tartaro  domande. 

42  Non  men  vuol  Rodomonte  il  primo  campo 
Da  terminar  col  suo  rivai  V  impresa 

Che,  per  soccorrer  l'africano  campo, 
Ha  già  interrotta,  e  fin  a  qui  sospesa. 
Mette  Ruggier  le  sue  parole  a  campo, 
E  dice  che  patir  troppo  gli  pesa , 
Che  Rodomonte  il  suo  destrier  gli  tenga, 
E  eh'  a  pugna  con  lui  prima  non  venga. 

43  Per  più  intricarla  il  Tartaro  viene  anche , 
E  niega  che  Ruggiero  ad  alcun  patto 
Debba  l' aquila  aver  dall'  ale  bianche  ; 

E  d'ira  e  dì  furore  è  cosi  matto. 
Che  vuol,  quando  dagli  altri  tre  non  manche, 
Combatter  tutte  le  querele  a  un  tratto. 
Nò  più  dagli  altri  ancor  saria  mancato , 
Se  '1  consenso  del  re  vi  fosse  stalo. 


84  ORLANDO  FORIOSO. 

44  Con  prìeghi  il  re  Agramante  e  buon  ricordi 
Fa  quanto  poò,  perchè  la  pace  segna: 

£  quando  alfin  tutti  li  vede  sordi 

Non  volere  assentire  a  pace  o  a  triegua. 

Va  discorrendo  come  almen  gli  accordi 

Si,  che  r  un  dopo  V  altro  il  campo  assegua; 

£  pel  miglior  partito  alfin  gli  occorre, 

Gh'  ognuno  a  sorte  il  campo  s' abbia  a  tórre. 

45  Fé  quattro  brevi  porre  :  un  Mandricardo 
£  Rodomonte  insieme  scritto  avea, 
Nell'altro  era  Ruggiero  e  Mandricardo; 
Rodomonte  e  Ruggier  T  altro  dicea; 
Dicea  r  altro  Marfìsa  e  Mandricardo. 

Indi  all'arbitrio  dell' instabil  Dea 

Lì  fece  trarre  ;  e  '1  primo  fu  il  signore 

Di  Sarza  a  uscir  con  Mandricardo  fuore. 

46  Mandricardo  e  Ruggier  fu  nel  secondo; 
Nel  terzo  fu  Ruggiero  e  Rodomonte  : 
Restò  Marfisa  e  Mandricardo  in  fondo  ; 
Di  che  la  donna  ebbe  turbata  fronte. 

Né  Ruggier  più  di  lei  parve  giocondo: 
Sa  che  le  forze  dei  duo  primi  pronte 
Han  tra  lor  da  finir  le  liti  in  guisa. 
Che  non  ne  fia  per  sé,  né  per  Marfìsa. 

47  Giacea  non  lungi  da  Parigi  un  loco, 
Che  volgea  un  miglio  o  poco  meno  intorno: 
Lo  cingea  tutto  un  argine  non  poco 
Sublime,  a  guisa  d'un  teatro  adorno. 

Un  Castel  già  vi  fu;  ma  a  ferro  e  a  fuoco 
Le  mura  e  i  tetti  ed  a  mina  andorno. 
Un  simil  può  vederne  in  su  la  strada, 
Qual  volta  a  Borgo  il  Parmigiano  vada. 

4S     In  questo  loco  fu  la  lizza  fatta. 
Di  brevi  legni  d' ogn'  intorno  chiusa. 
Per  giusto  spazio  quadra,  al  bisogno  atta. 
Con  due  capaci  porte,  come  s' usa. 
Giunto  il  dì  eh'  al  re  par  che  si  combatta 
Tra  i  cavalier  che  non  ricercan  scusa, 
Foro  appresso  alle  sbarre  in  ambi  i  Iati 
Contra  i  rastrelli  i  padiglion  tirati. 


CANTO  VENTESIMOSETTIMO.  85 

49     Nel  padiglion  eh'  è  più  verso  ponente 
Sta  il  re  d' Algier,  e' ha  membra  di  gigante. 
Gli  pon  lo  scoglio  indosso  del  serpente 
L'ardito  Ferraù  con  Sacripante. 
Il  re  Gradasso  e  Falsiron  possente 
Sono  in  quell'altro  al  lato  di  levante, 
E  metton  di  saa  man  l' arme  troiane 
Indosso  al  successor  del  re  Agricane. 

so     Sedeva  in  tribunale  ampio  e  sublime 
Il  re  d'Africa,  e  seco  era  l' Ispano; 
Poi  Stordilano,  e  l'altre  genti  prime 
Che  riveria  l' esercito  pagano. 
Beato  a  chi  pdn  dare  argini  e  cime 
D'arbori  stanza  che  gli  alzi  dal  piano I 
Grande  è  la  calca,  e  grande  in  ogni  lato 
Popolo  ondeggia  intorno  al  graa  steccato. 

51  Eran  con  la  regina  di  Castiglia 
Regine  e  principesse  e  nobil  donne 
D'Aragon,  di  Granata  e  di  Siviglia, 
E  fin  di  presso  all'  atlantee  colonne  : 
Tra  quai  di  Stordilan  sedea  la  figlia. 
Che  di  duo  drappi  avea  le  ricche  gonne  : 
L'nn  d'un  rosso  mal  tinto,  e  l'altro  verde; 
Ma  '1  primo  quasi  imbianca,  e  il  color  perde. 

52  In  abito  succinto  era  Marfisa, 

Qual  si  convenne  a  donna  ed  a  guerriera. 
Termoodonte  forse  a  quella  guisa 
Vide  Ippolita  ornarsi  e  la  sua  schiera. 
Già,  con  la  cotta  d' arme  alla  divisa 
Del  re  Agramante,  in  campo  venut'  era 
L'araldo  a  far  divieto  e  metter  leggi. 
Che  né  in  fatto  né  in  detto  alcun  parteggi. 

53  La  spessa  turba  aspetta  disiando 

La  pugna,  e  spesso  incolpa  il  venir  tardo 
Dei  duo  famosi  cavalieri  ;  quando 
S'ode  dal  padiglion  di  Mandricardo 
Alto  rumor,  che  vien  moltiplicando. 
Or  sappiate,  signor,  che  '1  re  gagliardo 
Di  Sericana  e  'i  Tartaro  possente 
Fanno  il  tumulto  e  '1  grido  che  si  sente. 

II.  8 


86  OBLANDO  FURIOSO. 

64     Avendo  armato  il  re  di  Sericana 
Di  8oa  man  tolto  il  re  di.Tartaria, 
Per  porgli  al  fianco  la  spada  soprana, 
Che  già  d' Orlando  fu,  se  ne  venia; 
Quando  nel  pome  scritto.  Durindana, 
Vide,  e  '1  quartier  eh*  Almonte  aver  solia, 
Gh'  a  quel  meschin  fu  tolto  ad  una  fonte 
Dal  giovanetto  Orlando  in  Aspramente. 

66     Vedendola,  fu  certo  eh'  era  quella 
Tanto  famosa  del  signor  d' Angiante, 
Per  coi  con  grande  armata,  e  la  più  bella 
Che  giammai  si  partisse  di  Levante, 
Soggiogato  avea  il  regno  di  Castella, 
£  Francia  vinta  esso  pochi  anni  innante  : 
Ma  non  può  immaginarsi  come  avvenga 
Ch'  or  Mandricardo  in  suo  poter  la  tenga. 

66  E  dimandògli  se  per  forza  o  patto 

L' avesse  tolta  al  conte,  e  dove  e  quando. 
£  Mandricardo  disse  eh'  avea  fatto 
Gran  battaglia  per  essa  con  Orlando  ; 
E  come  finto  quel  s'era  poi  matto. 
Cosi  coprire  il  suo  timor  sperando, 
Ch'  era  d'  aver  continua  guerra  meco, 
Finché  la  buona  spada  avesse  seco. 

67  E  dìcea  ch'imitato  avea  il  castoro, 
Il  qual  si  strappa  i  genitali  sui. 
Vedendosi  alle  spalle  il  cacciatore. 
Che  sa  che  non  ricerca  altro  da  lui. 
Gradasso  non  udì  tutto  il  tenore, 

Che  disse  :  Non  vo'  darla  a  te  nò  altrui. 
Tant'  oro,  tanto  afianno  e  tanta  gente 
Ci  ho  speso,  che  è  ben  mia  debitamente. 

68  Cercati  pur  fornir  d' un'  altra  spada  ; 
Ch'io  voglio  questa,  e  non  ti  paia  nuovo. 
Pazzo  0  saggio  ch'Orlando  se  ne  vada. 
Averla  intendo  ovunque  io  la  ritrovo. 
Tu  senza  testimoni  in  su  la  strada 

Te  l'usurpasti:  io  qui  lite  ne  muovo. 
La  mia  ragion  dirà  mia  scimitarra; 
E  faremo  il  giodicio  nella  sbarra. 


CANTO  VBNTESIMOSETTIMO.  87 

69      Prima,  di  gaadagnarla  t'apparecchia, 
Che  ta  r  adopri  contra  a  Rodomonte. 
Di  comprar  prima  Tarme  ò  usanza  vecchia, 
Gh'  alla  battaglia  il  cavalier  s' afifronte. 
Più  dolce  suon  non  mi  viene  all'  orecchia. 
Rispose  alzando  il  Tartaro  la  fronte. 
Che  quando  di  battaglia  alcan  mi  tenta  ; 
Ma  fa  che  Rodomonte  io  consenta. 

60  Fa  che  sia  taa  la  prima,  e  che  si  tolga 
Il  re  di  Sarza  la  tenzon  seconda  ; 

E  non  ti  dubitar  eh'  io  non  mi  volga, 
E  eh'  a  te  et  ad  ogni  altro  io  non  risponda. 
Ruggìer  gridò:  Non  vo'che  si  disciolga 
Il  patto,  o  più  la  sorte ^i  confonda: 
0  Rodomonte  in  campo  prima  saglìa, 
O  sia  la  sna  dopo  la  mia  battaglia. 

61  Se  di  Gradasso  la  ragion  prevale. 
Prima  acquistar  che  porre  in  opra  l'arme, 
Né  tu  r  aquila  mia  dalle  bianche  ale 
Prima  usar  dèi ,  che  non  me  ne  disarme  : 
Ma  poich'  è  stato  il  mio  voler  già  tale. 

Di  mia  sentenza  non  voglio  appellarme. 
Che  sia  seconda  la  battaglia  mia. 
Quando  del  re  d' Algier  la  prima  sia. 

62  Se  turberete  voi  V  ordine  in  parte. 
Io  totalmente  turberoUo  ancora. 

Io  non  intendo  il  mio  scudo  lasciarte, 
Se  contra  me  non  lo  combatti  or  ora. 
Se  l' uno  e  l' altro  di  voi  fosse  Marte, 
Rispose  Mandricardo  irato  allora. 
Non  saria  l' un  nò  l' altro  atto  a  vietarme 
La  buona  spada,  o  quelle  nobili  arme. 

63  E,  tratto  dalla  collera,  awentosse 
Gol  pugno  chiuso  al  re  di  Sericana  ; 

E  la  man  destra  in  modo  gli  percosse, 
Gh'  abbandonar  gli  fece  Durindana. 
Gradasso,  non  credendo  ch'egli  fosse 
Di  cosi  folle  audacia  e  cosi  insana. 
Gotto  improvviso  fu,  che  stava  a  bada. 
E  tolta  si  trovò  la  buona  spada. 


88  ORLANDO  FURIOSO. 

64  Cosi  scornalo,  di  vergogna  e  d' ira 
Nel  viso  avvampa,  e  par  che  getti  faoco; 
£  più  r  affligge  il  caso  e  lo  martira, 
Poiché  gli  accade  in  sì  palese  loco. 
Bramoso  di  vendetta  si  ritira, 

A  trar  la  scimitarra,  addietro  an  poco. 
Jdandricardo  in  sé  tanto  si  confida, 
Che  Ruggiero  anco  alla  battaglia  sfida. 

65  Venite  pure  innanzi  amenduo  insieme, 
£  vengane  pel  terzo  Rodomonte, 
Africa  e  Spagna  e  tutto  Tuman  seme; 
Ch'  io  son  per  sempre  mai  volger  la  fronte. 
Cosi  dicendo,  quel  che  nulla  teme. 
Mena  d'intorno  la  spada  d' Almonte; 

Lo  scudo  imbraccia,  disdegnoso  e  fiero. 
Centra  Gradasso  e  centra  il  buon  Ruggiero. 

66  Lascia  la  cura  a  me,  dicea  Gradasso, 
Ch'  io  guarisca  costui  della  pazzia. 

Per  Dio,  dicea  Ruggier,  non  te  la  lasso; 
Ch'  esser  convien  questa  battaglia  mia. 
Va  indietro  tu  ;  vavvi  pur  tu  :  né  passo 
Però  tornando,  gridan  tuttavia; 
£d  attaccossi  la  battaglia  in  terzo, 
£d  era  per  uscirne  un  strano  scherzo, 

67  Se  molti  non  sì  fossero  interposti 

A  quel  furor,  non  con  troppo  consiglio  ; 
Ch'a  spese  lor  quasi  imparar  che  costi 
Voler  altri  salvar  con  suo  periglio. 
Né  tutto  '1  mondo  mai  gli  avria  composti. 
Se  non  venia  col  re  d' Ispagna  il  figlio 
Del  famoso  Troiano,  al  cui  conspetto 
Tutti  ebboQ  riverenzia  e  gran  rispetto, 

68  Si  fé  Agramante  la  cagione  esporre 
Di  questa  nuova  lite  così  ardente  : 
Poi  molto  affaticossi ,  per  disporre 
Che  pir  quella  giornata  solamente 

A  Mandricardo  la  spada  d'  £ttorre 
Concedesse  Gradasso  umanamente, 
Tanto  eh'  avesse  fin  l' aspra  contesa 
Ch'  avea  già  incontra  a  Rodomonte  presa. 


CANTO  VENTESIMOSBTTIHO.  89 

69  Mentre  stadia  placarli  il  re  Agramanle, 
Ed  or  con  questo  ed  or  con  quel  ragiona  ; 
Dall'  altro  padiglion  tra  Sacripante 

E  Rodomonte  an'  altra  lite  suona. 
Il  re  Circasso,  come  è  detto  innante, 
Stava  di  Rodomonte  alla  persona  ; 
Ed  egli  e  Ferraù  gli  aveano  indotte 
L'arme  del  suo  progenitor  Nembrotte. 

70  Ed  eran  poi  venuti  ove  il  destriero 
Facea,  mordendo,  il  ricco  fren  spumoso  ; 

10  dico  il  buon  Frontin,  per  cui  Ruggiero 
Stava  iracondo  e  più  che  mai  sdegnoso. 
Sacripante  eh'  a  por  tal  cavaliere 

In  campo  avea,  mirava  curioso. 

Se  ben  ferrato  e  ben  guernito  e  in  punto 

Era  il  destrier,  come  doveasi  a  punto. 

71  E  venendo  a  guardargli  più  a  minuto 
I  segni ,  le  fattezze  isnelle  ed  atte, 
Ebbe,  fuor  d'ogni  dubbio,  conosciuto 
Che  questo  era  il  destrier  suo  Frontalatte, 
Che  tanto  caro  già  s'avea  tenuto, 

Per  cui  già  avea  mille  querele  fatte  ; 
E  poi  che  gli  fu  tolto,  un  tempo  volse 
Sempre  ire  a  piedi  :  in  modo  glie  ne  dolse. 

72  Innanzi  Albracca  gli  l'avea  firunello 
Tolto  di  sotto  quel  medesmo  giorno 
Ch'  ad  Angelica  ancor  tolse  l'anello. 
Al  conte  Orlando  Balisarda  e  '1  corno, 
E  la  spada  a  Marfisa;  ed  avea  quello, 
Dopo  che  fece  in  Africa  ritorno. 

Con  Balisarda  insieme  a  Ruggier  dato, 

11  qual  l'avea  Frontin  poi  nominato. 

73  Quando  conobbe  non  si  apporre  in  fallo, 
Disse  il  Circasso  al  re  d'Algier  rivolto  : 
Sappi,  signor,  che  questo  è  mio  cavallo, 
Ch'  ad  Albracca  di  furto  mi  fu  tolto. 
Bene  avrei  testimoni  da  provallo; 

Ma  perchè  son  da  noi  lontani  molto, 
S' alcun  lo  niega,  io  gli  vo' sostenere 
Con  l'arme  in  man  le  mie  parole  vere. 

8* 


-~m^gr^ 


90  ORLANDO  FORIOSO. 

74     fien  son  contento,  per  la  compagnia 
In  questi  pochi  dì  stata  fra  noi, 
Che  prestato  il  cavallo  oggi  ti  sia  ; 
Ch'  io  veggo  ben  ciie  senza  far  non  puoi  ; 
Però  con  patto,  se  per  cosa  mia 
E  prestata  da  me  conoscer  vuoi  : 
Altrimente  d'averlo  non  far  stima, 
O  se  non  lo  combatti  meco  prima. 

76      Rodomonte,  del  qaale  nn  più  orgoglioso 
Non  ebbe  mai  tatto  il  mestier  dell'  arme  ; 
Al  quale  in  esser  forte  e  coraggioso 
Alcuno  antico  d'uguagliar  non  parme  ; 
Rispose:  Sacripante,  ogni  altro  ch'oso, 
Fuorché  tu,  fosse  in  tal  modo  a  parlarme, 
Con  suo  mal  si  saria  tosto  avveduto 
Che  meglio  era  per  lui  di  nascer  muto. 

76  Ma  per  la  compagnia  che,  come  hai  detto, 
Novellamente  insieme  abbiamo  presa, 

Ti  son  contento  aver  tanto  rispetto, 

Ch'io  t'ammonisca  a  tardar  questa  impresa. 

Finché  della  battaglia  veggi  effetto. 

Che  fra  il  Tartaro  e  me  tosto  fia  accesa  ; 

Dove  porti  uno  esempio  innanzi  spero, 

Ch'  avrai  di  grazia  a  dirmi  :  Abbi  il  destriero. 

77  Gli  é  teco  cortesia  l'esser  villano. 
Disse  il  Circasso  pien  d'ira  e  di  sdegno  ; 
Ma  più  chiaro  ti  dico  ora  e  più  piano. 
Che  tu  non  faccia  in  quel  destrier  disegno  : 
Che  te  lo  difendo  io,  tanto  ch'in  mano 
Questa  vindice  mia  spada  sostegno  ; 

E  metterovvi  insino  l'ugna  e  il  dente. 
Se  non  potrò  difenderlo  altrimente. 

78  Yenner  dalle  parole  alle  contese. 
Ai  gridi,  alle  minacce,  alla  battaglia. 
Che  per  moli'  ira  in  più  fretta  s'accese , 
Che  s'accendesse  mai  per  fuoco  paglia. 
Rodomonte  ha  Tosbergo  ed  ogni  arnese  ; 
Sacripante  non  ha  piastra  né  maglia  ; 
Ma  par  (si  ben  con  lo  schermir  s'adopra) 
Che  tutto  con  la  spada  si  ricuopra. 


CANTO  VENTESIMOSETTIMO.  91 

79  Non  era  la  possanza  e  la  fierezza 
Di  Rodomonte,  ancorch'era  infinita, 
Più  che  la  provldenza  e  la  destrezza 
Con  che  soe  forze  Sacripante  aita. 
Non  voltò  ruota  mai  con  più  prestezza 
Il  macigno  sovran  che  '1  grano  trita, 
r4he  faccia  Sacripante  or  mano  or  piede 
Di  qaa  di  là,  dove  il  bisogno  vede. 

80  Ma  Ferraù,  ma  Serpentino  arditi 
Trasson  le  spade,  e  si  cacciar  tra  loro, 
Dal  re  Grandonio,  da  Isolier  seguiti. 
Da  molt'  altri  signor  del  popol  moro. 
Questi  erano  i  romori,  ì  quali  uditi 
Nell'altro  padiglion  fnr  da  costoro, 
Quivi  per  accordar  venuti  in  vano 

Col  Tartaro  Ruggiero  e  '1  Sericano. 

51  Venne  chi  la  novella  al  re  Agramante 
Riportò  certa,  come  pel  destriero 
Avea  con  Rodomonte  Sacripante 
Incominciato  un  aspro  assalto  e  fièro. 

Il  re,  confuso  di  discordie  tante. 
Disse  a  Marsilio  :  Abbi  tu  qui  pensiero 
Che  fra  questi  guerrier  non  segua  peggio, 
Mentre  all'  altro  disordine  io  provveggio*. 

52  Rodomonte,  che  '1  re  suo  signor  mira, 
Frena  l'orgoglio,  e  toma  indietro  il  passo  ; 
Né  con  minor  rispetto  si  ritira. 

Al  venir  d'Agramante,  il  re  Circasso. 
Quel  domanda  la  causa  di  tant'  ira 
Con  real  viso,  e  parlar  grave  e  basso  : 
E  cerea,  poi  che  n'  ha  compreso  il  tutto, 
Porli  d'accordo  ;  e  non  vi  fa  alcun  frntto. 

53  II  re  Circasso  il  suo  destrier  non  vuole 
Ch'ai  re  d'Algier  più  lungamente  resti, 
Se  non  s' umilia  tanto  di  parole. 

Che  lo  venga  a  pregar  che  glie  lo  presti. 
Rodomonte,  superbo  come  suole. 
Gli  risponde  :  Né  '1  ciel  né  tu  faresti 
Che  cosa  che  per  forza  aver  potessi , 
Da  altri,  che  da  me,  mai  conoscessi. 


92  oblàKìdo  furioso. 

84      II  re  chiede  al  Circasso,  che  ragione 
Ha  nel  cavallo,  e  come  gli  fa  tolto: 
E  qael  di  parte  in  parte  il  tutto  espone, 
Ed  esponendo  s'arrossisce  in  volto, 
Qaando  gli  narra  che  '1  sottil  ladrone. 
Ch'in  un  alto  pensier  l'aveva  colto, 
La  sella  su  quattro  aste  gli  suQblse, 
E  di  sotto  il  destrier  nudo  gli  tolse. 

S5      MarGsa  che  tra  gli  altri  al  grido  venne. 
Tosto  che  '1  furto  del  cavallo  udi. 
In  viso  si  turbò  ;  che  le  sovvenne 
Che  perde  la  sua  spada  ella  quel  di  : 
E  quel  destrier  che  parve  aver  le  penne, 
Da  lei  fuggendo,  riconobbe  qui: 
Riconobbe  anco  il  buon  re  Sacripante, 
Che  non  avea  riconosciuto  innante. 

86  Gli  altri  ch'erano  intorno,  e  che  vantarsi 
Brunel  di  questo  aveano  udito  spesso , 
Verso  lui  cominciare  a  rivoltarsi, 

E  far  palesi  cenni  eh'  era  desso  ; 
Marflsa,  sospettando,  ad  informarsi 
Da  questo  e  da  queir  altro  eh'  avea  appresso, 
Tante»  che  venne  a  ritrovar  che  quello 
Che  le  tolse  la  spada,  era  Brunello  : 

87  E  seppe  che  pel  furto,  ond'era  degno 
Che  gli  annodasse  il  collo  un  capestro  unto, 
Dal  re  Agramante  al  Tingitano  regno 

Fu,  con  esempio  inusitato,  assunto. 
Marfisa,  rinfrescando  il  vecchio  sdegno, 
Disegnò  vendicarsene  a  quel  punto, 
E  punir  scherni  e  scorni  che  per  strada 
Fatti  Tavea  sopra  la  tolta  spada. 

88  Dal  suo  scudier  l'elmo  allacciar  si  fece  ; 
Che  del  resto  dell'  arme  era  guernita. 
Senza  osbergo  io  non  trovo  che  mai  diece 
Volte  fosse  veduta  alla  sua  vita. 

Dal  giorno  eh' a  portarlo  assuefece 
La  sua  persona,  oltre  ogni  fede  ardila. 
Con  Telmo  in  capo  andò  dove  fra  i  primi 
Brunel  sedea  negli  argini  sublimi. 


CANTO  VENTESIMOSETTIMO.  93 

89  Gli  diede  a  prima  giunta  ella  di  piglio 
In  mezzo  il  petto,  e  da  terra  levollo, 
Come  levar  suol  col  falcato  artiglio 
Talvolta  la  rapace  aquila  il  pollo  ; 

E  là  dove  la  lite  innanzi  al  figlio 
Era  del  re  Troian,  cosi  portello, 
firunel,  che  giunto  in  male  nian  si  vede, 
Pianger  non  cessa  e  domandar  mercede. 

90  Sopra  tutti  i  rumor,  strepiti  e  gridi , 

Di  che  '1  campo  era  pien  quasi  ugualmente, 
Brune],  ch'ora  pietade,  ora  sussidi 
Domandando  venia,  cosi  si  sente, 
Ch'ai  suono  di  rammarichi  e  di  strìdi 
Si  fa  d' intorno  aocor  tutta  la  gente» 
Giunta  innanzi  al  re  d'Africa  Marfisa, 
Con  viso  altier  gli  dice  in  questa  guisa: 

91  Io  voglio  questo  ladro  tuo  vassadlo 
Con  le  mie  mani  impender  per  la  gola. 
Perchè  il  giorno  medesmo  che  '1  cavallo 
A  costui  tolle,  a  me  la  spada  invola. 

Ma  s'egli  è  alcun  che  voglia  dir  eh' lo  fallo, 
Facciasi  innanzi,  e  dica  una  parola; 
Ch'in  tua  presenzia  gli  vo' sostenere 
Che  se  ne  mente,  e  eh'  io  fo  il  mio  dovere. 

92  Ma  perchè  si  potria  forse  imputarme 
C  ho  atteso  a  farlo  in  mezzo  a  tante  liti , 
Mentre  che  questi,  più  famosi  in  arme, 
D' altre  querele  son  tutti  impediti  ; 

Tre  giorni  ad  impiccarlo  io  vo'  indngiarme. 
Intanto  o  vieni,  o  manda  chi  l' aiti  ; 
Che  dopo,  se  non  fia  chi  me  lo  vieti. 
Farò  di  lui  mille  uccellacci  lieti. 

93  Di  qui  presso  a  ire  leghe  a  quella  torre 
Che  siede  innanzi  ad  un  piccol  boschetto. 
Senza  più  compagnia  mi  vado  a  porre. 
Che  d' una  mia  donzella  e  d'  un  valletto. 
S' alcuno  ardisce  di  venirmi  a  torre 
Questo  ladron,  là  venga,  eh'  io  l'aspetto. 
Cosi  diss'ella,  e  dove  disse,  prese 
Tosto  la  via,  né  più  risposta  attese. 


94  ORLANDO  FURIOSO. 

94  Sol  collo  innanzi  del  destrìer  si  pone 
firunel,  che  tuttavia  tien  per  le  chiome. 
Piange  il  misero  e  grida,  e  le  persone, 
In  che  sperar  solia,  chiama  per  nome. 
Resta  Agramante  in  tal  confusione 

Di  questi  intrichi ,  che  non  vede  come 
Poterli  sciorre  ;  e  gli  par  via  più  greve 
Che  Marfisa  Bninel  cosi  gli  leve. 

95  Non  che  l'apprezzi,  o  che  gli  porti  amore, 
Anzi  più  giorni  son  che  l'odia  molto; 

E  spesso  ha  d' impiccarlo  avuto  in  core. 
Dopo  che  gli  era  stato  V  anel  tolto. 
Ma  questo  atto  gli  par  contra  il  suo  onore  ; 
Si  che  n'  avvampa  di  vergogna  in  volto. 
Vuole  in  persona  egli  seguirla  in  fretta, 
E  a  tutto  suo  poter  fame  vendetta. 

96  Ma  il  re  Sobrino,  il  quale  era  presente, 
Da  questa  impresa  molto  il  dissuade. 
Dicendogli  che  mal  conveniente 

Era  all'  altezza  di  sua  maestade, 
Sebben  avesse  d' esserne  vincente 
Ferma  speranza  e  certa  sicurtade: 
Più  ch'onor,  gli  fia  biasmo,  che  si  dica 
Gh'  abbia  vinta  una  femmina  a  fatica. 

97  Poco  r  onore,  e  molto  era  il  periglio 
D' ogni  battaglia  che  con  lei  pigliasse  ; 
E  che  gli  dava  per  miglior  consiglio. 
Che  Brunello  alle  forche  aver  lasciasse  ; 
£  se  credesse  eh'  uno  alzar  di  ciglio 

A  torlo  dal  capestro  gli  bastasse, 

Non  dovea  alzarlo,  per  non  contraddire 

Che  s' abbia  la  giustizia  ad  eseguire. 

98  Potrai  mandare  un  che  Marflsa  prieghi , 
Dicea,  ch'in  questo  giudice  ti  faccia, 
Con  promifision  eh'  al  ladroncel  si  leghi 

Il  laccio  al  collo,  e  a  lei  si  soddisfaccia  : 
E  quando  anco  ostinata  te  lo  nieghi , 
Se  l'abbia,  e  il  suo  desir  tutto  compiaccia  : 
Purché  da  tua  amicizia  non  si  spicchi, 
Brunello  e  gli  altri  ladri  tutti  impicchi. 


CANTO  VENTESlMOSBTTlBfO.  95 

99      II  re  Agramante  volentìer  s' altenne 
AI  parer  di  Sobrìn  discreto  e  saggio; 
E  Marfisa  lasciò,  che  non  le  venne, 
Né  pati  ch'altri  andasse  a  farle  oltraggio: 
Né  di  farla  pregare  anco  sostenne; 
E  tollerò.  Dio  sa  con  che  coraggio, 
Per  poter  acchetar  liti  maggiori, 
E  del  suo  campo  tor  tanti  romori. 

100  Di  ciò  si  ride  la  Discordia  pazza, 
Che  pace  o  triegua  ornai  più  teme  poco. 
Scorre  di  qua  e  di  là  tutta  la  piazza, 
Né  può  trovar  per  allegrezza  loco. 

La  Superbia  con  lei  salta  e  gavazza, 
E  legno  ed  esca  va  aggiungendo  al  fuoco  ; 
E  grida  si ,  che  fin  neir  alto  regno 
Manda  a  Michel  della  vittoria  segno. 

101  Tremò  Parigi,  e  turbidossi  Senna 
All'alta  voce,  a  queir orribil  grido; 
Rimbombò  il  suon  fin  alla  selva  Ardenna 
Si,  che  lasciar  tutte  le  fiere  il  nido. 
(Jdìron  1'  Alpi  e  il  monte  di  Gebenna, 
Di  Blaia  e  d' Arli  e  di  Roano  il  lido  ; 
Rodano  e  Senna  udi,  Garonna  e  il  Reno: 
Si  strinsero  le  madri  i  figli  al  seno. 

102  Son  cinque  cavalier  e'  han  fisso  il  chiodo 
D' essere  i  primi  a  terminar  sua  lite, 

L' una  neir  altra  avviluppata  in  modo. 
Che  non  Y  avrebbe  Apolline  espedite. 
Comincia  il  re  Agramante  a  sciorre  il  nodo 
Delle  prime  tenzon  eh'  aveva  udite, 
Che  per  la  figlia  del  re  Stordilano 
Eran  tra  il  re  di  Scizia  e  il  suo  Africano. 

103  II  re  Agramante  andò  per  porre  accordo 
Di  qua  e  di  là  più  volte  a  questo  e  a  quello  ; 
E  a  questo  e  a  quel  più  volte  die  ricordo 
Da  signor  giusto  e  da  fedel  fratello  : 

E  quando  parimente  trova  sordo 
L'un  come  l'altro,  indomito  e  rubello 
Di  volere  esser  quel  che  resti  senza 
La  donna,  da  cui  vien  lor  differenza, 


96  ORLANDO  FURIOSO. 

104     S'appiglia  aIGn,  come  a  miglior  parlilo 
(Di  che  amendui  si  coolenlàr  gli  amanli), 
Che  della  bella  donna  sia  marilo 
L' ano  de'  dao,  quel  che  voole  essa  innanli  ; 
E  da  quanto  per  lei  sia  stabilito, 
Più  non  si  possa  andar  dietro  né  avanti. 
All'uno  e  all'altro  piace  il  compromesso, 
Sperando  eh'  esser  debbia  a  favor  d' esso. 

i05     II  re  di  Sarza,  che  gran  tempo  prima 
Di  Mandricardo  amava  Doralice, 
Ed  ella  l' avea  posto  in  so  la  cima 
D' ogni  favor  eh'  a  donna  casta  lice; 
Che  debba  in  util  sao  venire  eslima 
La  gran  sentenzia  che  '1  può  far  felice  : 
Né  egli  avea  questa  credenza  solo, 
Ma  con  lui  tutto  il  barbaresco  stuolo. 

106     Ognun  sapea  ciò  eh'  egli  avea  già  fatto 
Per  essa  in  giostre,  in  torniamenli,  in  guerra; 
E  che  stia  Mandricardo  a  questo  patto, 
Dicono  tutti  che  vaneggia  ed  erra. 
Ma  quel,  che  più  fiate  e  più  di  piatto 
Con  lei  fu  mentre  il  Sol  stava  sotterra, 
E  sapea  quanto  avea  di  certo  in  mano, 
Ridea  del  popular  gìudicio  vano. 

407     Poi  lor  convenzion  ratificaro 

In  man  del  re  quei  duo  prochi  famosi , 
Et  indi  alla  donzella  se  n'  andare  ; 
Ed  ella  abbassò  gli  occhi  vergognosi, 
E  disse  che  più  il  Tartaro  avea  caro: 
Di  che  tulli  restar  maravigliosi  ; 
Rodomonte  sì  attonito  e  smarrito , 
Che  di  levar  non  era  il  viso  ardito. 

iog     Ma  poi  che  l' usata  ira  cacciò  quella 
Vergogna  che  gli  avea  la  faccia  tinta , 
Ingiusta  e  ffllsa  la  sentenzia  appella; 
E  la  spada  impugnando,  ch'egli  ha  cinta. 
Dice,  udendo  il  re  e  gli  altri,  che  vuol  ch'ella 
Gli  dia  perduta  questa  causa  o  vinta, 
E  non  r  arbitrio  di  femmina  lieve, 
Che  sempre  inchina  a  quel  che  men  far  deve. 


CANTO  VENTESIBfOSETTIHO.  07 

-109     Di  naovo  Mandricardo  era  risorto, 
Dicendo  :  Vada  pur  come  ti  pare. 
Sì  che  prima  che  '1  legno  entrasse  in  porlo, 
\*  era  a  solcare  un  gran  spazio  di  mare  : 
Se  non  che  '1  re  Agramaute  diede  torlo 
A  Rodomonte,  che  non  può  chiamare 
Più  Mandricardo  per  quella  querela; 
£  fé  cadere  a  quel  furor  la  vela. 

ilo      Or  Rodomonte  che  notar  si  vede 
Dinanzi  a  quei  signor  di  doppio  scorno, 
Dal  suo  re,  a  cui  per  riverenzia  cede, 
£  dalla  donna  sua,  tutto  in  un  giorno  ; 
Quivi  non  volse  più  fermare  il  piede: 
£  della  molla  turba  eh'  avea  intorno, 
Seco  non  tolse  più  che  duo  sergenti, 
£d  uscì  dei  moreschi  alloggiamenti. 

1(1      Come,  partendo,  aflElilto  tauro  suole, 
Che  la  giovenca  al  vincilor  cesso  abbia, 
Cercar  le  selve  e  le  rive  più  sole 
Lungi  dai  paschi,  o  qualche  arida  sabbia; 
Dove  muggir  non  cessa  air  ombra  e  al  sole, 
Né  però  scema  l'amorosa  rabbia: 
Così  sen  va  di  gran  dolor  confuso 
Il  re  d'Algier,  dalla  sua  donna  escluso. 

1 12  Per  riavere  il  buon  destrier  si  mosse 
Ruggier,  che  già  per  questo  s'era  armato; 
Ma  poi  dì  Mandricardo  ricordosse, 

A  cui  della  battaglia  era  ubblig'ato: 
Non  seguì  Rodomonte,  e  ritornosse 
Per  entrar  col  re  Tartaro  in  sleccato 
Prima  eh'  entrasse  il  re  di  Sericana, 
Che  l' altra  lite  avea  di  Durindana. 

113  Veder  torsi  Fronlin  troppo  gli  pesa 
Dinanzi  agli  occhi,  e  non  poter  vietarlo; 
Ma  dato  ch'abbia  fine  a  questa  impresa, 
Ha  ferma  intenzion  di  ricovrarlo. 

Ma  Sacripante  che  non  ha  conlesa, 
Come  Ruggier,  che  possa  distornarlo, 
£  che  non  ha  da  far  altro  che  questo. 
Per  r  orme  vien  di  Rodomonte  presto. 
II.  » 


OnLANDO  FURIOSO. 

il4     E  tosto  Tavria  giunto,  se  non  era 
Un  caso  strano  che  trovò  tra  via, 
Che  lo  fé  dimorar  fin  alla  sera, 
E  perder  le  vestigio  che  segnia. 
Trovò  una  donna  che  nella  riviera 
Di  Senna  era  caduta,  e  vi  peria, 
S*  a  darle  tosto  aiate  non  veniva  : 
Saltò  neir  acqua,  e  la  ritrasse  a  riva. 

US     Poi  quando  in  sella  volse  risalire , 
Aspettato  non  fu  dal  suo  destriero, 
Che  fin  a  sera  si  fece  seguire, 
E  non  si  lasciò  prender  di  leggiero. 
Preselo  alfin  ;  ma  non  seppe  venire 
Più  donde  s' era  tolto  dal  sentiero  : 
Ducente  miglia  errò  tra  piano  e  monte, 
Prima  che  ritrovasse  Rodomonte. 

1 16     Dove  trovollo,  e  come  fu  conteso 
Con  disvantaggio  assai  di  Sacripante; 
Come  perde  il  cavallo,  e  restò  preso. 
Or  non  dirò  ;  e'  ho  da  narrarvi  innante 
Di  quanto  sdegno  e  di  quanta  ira  acceso 
Centra  la  donna  e  centra  il  re  Agramante 
Del  campo  Rodomonte  si  partisse, 
E  ciò  che  centra  air  uno  e  all'  altro  disse. 

ii7     Di  cocenti  sospir  V  aria  accendea 
Dovunque  andava  il  Saracin  dolente. 
Eco,  per  la  pietà  che  gli  n'  avea, 
Da'  cavi  sassi  rispondea  sovente. 
Oh  femminile  ingegno,  egli  dicea, 
Come  ti  volgi  e  muti  facilmente, 
Contrario  oggetto  proprio  della  fede  ! 
Oh  infelice,  oh  miser  chi  ti  credei 

US     Né  lunga  servitù,  né  grand' amore. 
Che  ti  fu  a  mille  prove  manifesto , 
Ebbene  forza  di  tenerti  il  core, 
Che  non  fosse  a  cangiarsi  almen  si  presto. 
Non  perch'  a  Mandricardo  inferiore 
Io  ti  paressi,  di  te  privo  resto  ; 
Né  so  trovar  cagione  ai  casi  miei , 
Se  non  quest'una,  che  femmina  sei. 


CANTO  VENTESlMOSETTlMO.  Dì) 

119      Credo  che  l' abbia  la  Natura  e  Dio 
Produtlo,  0  scellerato  sesso,  al  mondo 
Per  una  soma,  per  an  grave  fio 
Deir  Qom,  che  senza  te  saria  giocondo: 
Come  ha  prodotto  anco  il  serpente  rio, 
E  il  lupo  e  r  orso  ;  e  fa  T  aer  fecondo 
E  di  mosche  e  di  vespe  e  di  tafani  ; 
E  loglio  e  avena  fa  nascer  tra  i  grani. 

^20     Perchè  fatto  non  ha  Y  alma  Natura, 
Che  senza  te  potesse  nascer  l'uomo. 
Come  s' innesta  per  umana  cura 
L'un  sopra  l'altro  il  pero,  il  sorbo  e  '1  pomo? 
Ma  quella  non  può  far  sempre  a  misura  : 
Anzi,  s'io  vo' guardar  come  io  la  nomo, 
Veggo  che  non  può  far  cosa  perfetta, 
Poiché  Natura  femmina  yien  detta. 

121  Non  siate  però  tumide  e  fastose, 
Donne,  per  dir  che  l' uom  sia  vostro  figlio; 
Che  delle  spine  ancor  nascon  le  rose, 
E  d'una  fetida  erba  nasce  il  gìglio: 
Importune,  superbe,  dispettose, 
Prive  d'amor,  di  fede  e  di  consiglio, 
Temerarie,  crudeli,  inique,  ingrate. 
Per  pestilenzia  eterna  al  mondo  nate. 

122  Con  queste  ed  altre  ed  infinite  appresso 
Querele  il  re  di  Sarza  se  ne  giva 
Or  ragionando  in  un  parlar  sommesso, 
Quando  in  un  suon  che  di  lontan  s'udiva, 
In  onta  e  in  biasmo  del  femmineo  sesso. 
E  certo  da  ragion  si  dipartiva; 
Che  per  una  o  per  due  che  trovi  ree, 
Che  cento  buone  sien  creder  si  dee. 

123  Sebben  di  quante  io  n'abbia  fin  qui  amate  » 
Non  n'  abbia  mai  trovata  una  fedele  ; 
Perfide  tutte  io  non  vo'  dir  né  ingrate, 
Ma  darne  colpa  al  mio  destin  crudele. 
Molte  or  ne  sono,  e  più  già  ne  son  state. 
Che  non  dan  causa  ad  uom  che  si  querele; 
Ma  mia  fortuna  vuol  che  s' una  ria 
Ne  sia  tra  cento,  io  di  lei  preda  sia. 


10^  ORLANDO  FURIOSO. 

d34     Indi  roppe  il  silenzio,  e  con  sembianti 
Più  dolci  un  poco,  e  viso  men  turbato , 
Domandò  all'  oste  e  agli  altri  circostanti , 
Se  d' essi  alcuno  avea  moglìere  a  lato. 
Che  r  oste  e  che  quegli  altri  tutti  quanti 
L'aveano,  per  risposta  gli  fu  dato. 
Domanda  lor  quel  che  ciascun  si  crede 
Della  sua  donna  nel  servargli  fede. 

i35     Eccetto  Toste,  fer  tutti  risposta. 
Che  si  credeano  averle  e  caste  e  buone. 
Disse  r  oste  :  Ognun  pur  creda  a  sua  posta  ; 
Ch'  io  so  eh'  avete  falsa  opinione. 
Il  vostro  sciocco  credere  vi  costa 
Gh'  io  stimi  ognun  di  voi  senza  ragione  ; 
£  cosi  far  questo  signor  deve  anco. 
Se  non  vi  vuol  mostrar  nero  per  bianco. 

i36     Perché,  si  come  è  sola  la  fenice. 

Né  mai  più  d' una  in  tutto  il  mondo  vive  ; 

Cosi  né  mai  più  d' uno  esser  si  dice. 

Che  della  moglie  i  tradimenti  schive. 

Ognun  si  crede  d'esser  quel  felice, 

D' esser  quel  sol  eh'  a  questa  palma  arrìve. 

Com'  é  possìbil  che  v'  arrivi  ognuno, 

Se  non  ne  può  nel  mondo  esser  più  d' uno? 

i37    •  Io  fui  già  neir  error  che  siete  voi. 
Che  donna  casta  anco  più  d' una  fusse. 
Un  gentiluomo  di  Vinegia  poi. 
Che  qui  mia  buona  sorte  già  condusse, 
Seppe  far  si  con  veri  esempi  suoi. 
Che  fuor  dell'  ignoranza  mi  ridusse. 
Gian  Francesco  Valerio  era  nomato  ; 
Che  'i  nome  suo  non  mi  s' é  mai  scordato. 

i38     Le  fraudi  che  le  mogli  e  che  l' amiche 
Sogliono  osar,  sapea  tutte  per  conto: 
£  sopra  ciò  moderne  istorie  e  antiche, 
E  proprie  esperienze  avea  si  in  pronto. 
Che  mi  mostrò  che  mai  donne  pudiche 
Non  si  trovare,  o  povere  o  di  conto  ; 
£  s' una  casta  più  deli'  altra  parse, 
Venia,  perché  più  accorta  era  a  celarse. 


CàNTO  VENTESIHOSETTIUO. 

i39      E  fra  V  altre  (che  tante  me  ne  disse, 
Che  non  ne  posso  il  terzo  ricordarmi) 
Sì  nel  capo  una  istoria  mi  si  scrisse, 
Che  non  si  scrisse  mai  più  saldo  in  marmi  ; 
£  ben  parria  a  ciascuno  che  l' udisse, 
Di  queste  rie  quel  eh'  a  me  parve  e  parmi. 
E  se,  signor,  a  voi  non  spiace  udire, 
A  lor  confusion  ve  la  vo'  dire. 

440     Rispose  il  Saracin:  Che  puoi  tu  farmi. 
Che  più  al  presente  mi  diletti  e  piaccia, 
Che  dirmi  istoria,  e  qualche  esempio  darmi. 
Che  con  V  opinion  mia  si  confacela? 
Perch'io  possa  udir  meglio,  e  tu  narrarmi. 
Siedimi  incontra,  eh'  io  ti  vegga  in  faccia. 
Ma  nel  Canto  che  segue  io  v'  ho  da  dire 
Quel  che  fé  l' oste  a  Rodomonte  udire. 


103 


VOTE. 


Sl  4.  V.  5.  —  La  Malignità  dal 
citi  bandita:  il  diavolo  cacciato  dal  pa- 
radiso. 

St.  11.  V,  8.  —  Senta  incarco: 
•enaa  biasimo. 

St.  15.  V.  ^.^L'altro  sonio:  l'altro 
compagno,  1*  altro  diavolo. 

St.  M.  V,  6. — Maraviglioso  :  qui 
maravigliato,  pieno  di  maraviglia. 

.S«.27.  p.  J.  —  Paga  itjio  d'ossa  e 
di  polpe*  paga  il  60,  lasciandovi  lavila. 

St.  S9.  ir.  1. — Bussoni  :  stromenti 
da  suonarci  nsati  dagli  antichi. 

St.  31.  9.  7.  —  Arrogo:  da  arro» 
gen,  aggiungi. 

St,  3S.  V,  3-5. — E  desiar,  come 
Icaro,  /«penna. Icaro, Bglìo  di  Dedalo, 
altra  volta  ricordato,  usci  con  lui  dal 
labirinto,  merce  dell*  ali  fabbricategli 
dal  padre. —  Uggierit  il  danese,  men- 
tovato pi&  addietro.  -—  //  marchese  di 
Vienna  s  Oliviero,  che  il  Poeta  ha  detto 
ciier  padre  di  Aquilante  e  di  Grifone. 


St.  34.  V.  3.4. — NelPeterno  sereni 
nel  cielo. —  Torbi:  torbidi. 

St.  44.  P.  6— -W,  che  Vun  dopo 
r altro  il  campo  assegua:  abbia,  otten- 
ga il  campo. 

Si.  47.  f.  7-8.—  Un  simil  ee.: 
Castel  Guelfo,  situato  fra  Parma  e  la 
piccola  citt^  di  Borgo  San  Donnino, 

St.  51.  V.  6-8 Che  di  duo  drap- 
pi ec.  Sono  i  colori  dei  drappi  a  dimo- 
strazione dell'  amore  di  Doralice,  in- 
tiepidito per  Rodomonte  I  e  vivo  per 
Mandricardo. 

St.  53.  V.  3.5. -~  Termoodonte: 
fiume  di  Cappadocia,  che  mette  nel- 
1*  Eàsino,  presso  cui  abitavano  le  Amai- 
soni  ;  e  probabilmente  quello  che  vcdesi 
notato  nelle  odierne  mappe  col  nome  di 
Thermeh.  Dissentono  i  critici  suU*  or> 
tografia  di  quel  nome,  volendo  alcuni 
che  debba  leggersi  Termodoontej  ma 
noi,  senta  entrare  nella  contesa,  stiama 
all*edisione  del  1516^  che  legge  Ter* 


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A.  7S.  r.  S.—  0«».-  «Cu 


A.77.r.  ».  — Tci^ 


Jt  SA.  r.  7.  —  AlUife.- sMtcì 
A.t9.  r.i. —  Cmrmfgi»:  fai 


felkggia  per  alkfrà. 

A.  101.  r.  d^  _  Cr*c»M.- 
idiaMMtiad 


A»  r«aafe£  Afd«adriMb  di  Od- 
fa»  cddbm»  «n  v«i&  fcr  k  MB  ràpo- 


SL  107.  r.  1. — Pirtki,  m  prwei  . 

AL  117.  r.  !.—&».•  nilà  &to. 
elei 


AL  1&  r.  7. — ^«y— ff.  Ve- 
di h  Mto  alh  SI.  S3,Cwlo  11. 

A.l».r.S^ir«r«Ac  JTcFVM  si- 


A.  137.  r.  7.— Gta  Frmmeesco 
VmteH»:  ■eaéco  ddDe  doaac,  e  uoico 
del  Feda  che  feSage  vivente  ai  tenpi 
diCarfollagML 

A.  138w  r.  S.  ~  Ar  c^mtm:  ad  ona 
adau. 


105 


CAlIfTO    TEIVXSISIIIIOTTATO. 


L' albergatore  di  Rodomonte  gli  narra  la  novella  di  Fiammetta,  in  biasimo  delle 
donne.  Bodomonle  si  parte  di  la;  e  mutato  il  pensiero  d*  andare  in  Africa 
lerma  sUnsa  in  una  chiesetta  abbandonata,  alla  quale  giunge  Isaliella  col 
romito,  e  con  le  spoglie  mortali  dell*  ucciso  Zerbino.  Il  pagano  vuol  distogliere 
Isabella  dalla  presa  risoluzione  di  ritirarsi  dal  mondo,  e  impazientisce  alle 
rimostranze  del  romito. 


i      Donne,  e  voi  che  le  donne  avete  in  pregio, 
Per  Dio,  non  date  a  questa  istoria  orecchia, 
A  questa  che  l'ostier  dire  in  dispregio 
E  in  vostra  infamia  e  biasmo  s'apparecchia; 
Benché  né  macchia  vi  può  dar  né  fregio 
Lingua  sì  vile  ;  e  sia  T usanza  vecchia, 
Che  '1  volgare  ignorante  ognun  riprenda, 
£  parli  più  di  quel  che  meno  intenda. 

2  Lasciate  questo  Canto  ;  che  senz'  esso 
Può  star  ristoria,  e  non  sarà  men  chiara. 
Mettendolo  Turpino,  anch'io  Tho  messo. 
Non  per  malivolenzia  né  per  gara. 

Ch'io  v'ami,  oltre  mia  lingua  che  l'ha  espresso, 
Che  mai  non  fu  di  celebrarvi  avara. 
N'ho  fatto  mille  prove;  e  v'ho  dimostro 
Ch'  io  son ,  né  potrei  esser  se  non  vostro. 

3  Passi,  chi  vuol,  tre  carte  o  quattro,  senza 
Leggarne  verso  ;  e  chi  pur  legger  vuole. 
Gli  dia  quella  medesima  credenza 

Che  si  suol  dare  a  Gnzioni  e  a  fole. 
Ma,  tornando  al  dir  nostro,  poi  ch'udienza 
Apparecchiata  vide  a  sue  parole, 
£  darsi  luogo  incontra  al  cavaliere, 
Cosi  r  istoria  incominciò  Tosliero. 


^^  OB  LANDÒ  FintlOSO. 

4     Astolfo,  re  de'  Longobardi,  quello 
A  cai  lasciò  il  fratel  monaco  il  regno. 
Fu  nella  giovinezza  saa  si  bello. 
Che  mai  poch'  aUri  gionsero  a  qod  segno. 
N'avria  a  fatica  no  tal  fatto  a  pennello 
Apollo  o  Zeasi,  o  se  v'é  alcon  più  degno. 
Bello  era,  ed  a  ciascan  cosi  parea; 
Ma  di  molto  egli  ancor  più  si  tenea. 

6     Non  stimava  egli  tanto  per  l'altezza 
Del  grado  suo,  d'avere  ognun  minore; 
Né  tanto,  che  di  genti  e  di  ricchezza. 
Di  tatti  i  re  vicini  era  il  maggiore  ; 
Quanto,  che  di  presenzia  e  di  bellezza 
Avea  per  tutto  '1  mondo  il  primo  onore. 
Godea,  di  questo  udendosi  dar  loda. 
Quanto  di  cosa  volentier  più  s'oda. 

6  Tra  gli  altri  di  sua  corte  avea  assai  grato 
Fausto  Latini,  un  cavalier  romano; 

Con  cui  sovente  essendosi  lodato 
Or  del  bel  viso,  or  della  bella  mano, 
Ed  avendolo  un  giorno  domandato 
Se  mai  veduto  avea,  presso  o  lontano. 
Altro  uom  di  forma  cosi  ben  composto  ; 
Contra  quel  che  credea,  gli  fu  risposto. 

7  Dico  (rispose  Fausto)  che,  secondo 
Ch'io  veggo,  e  che  parlarne  odo  a  ciascuno. 
Nella  bellezza  hai  pochi  pari  al  mondo  ; 

E  questi  pochi  io  lì  restringo  in  uno. 
Quest'uno  è  un  fratel  mio,  detto  Giocondo. 
Eccetto  lui,  ben  crederò  ch'ognuno 
Di  beltà  molto  addietro  tu  ti  lassi  ; 
Ma  questo  sol  credo  t'adegui  e  passi. 

^  rà^  '®  ^^^^  impossibil  cosa  udire. 
Che  sua  la  palma  infin  allora  tenne; 
E  d'aver  conoscenza  alto  desire 
Di  si  lodalo  giovene  gli  venne. 
Fé  si  con  Fausto,  che  di  far  venire 
Quivi  il  fralel  prometter  gli  convenne; 
Bench'a  poterlo  indur  che  ci  venisse 
^aria  fatica,  e  la  cagion  gli  disse: 


CANTO  VENTBSIMOTTAVO.  107 

9     Che  '1  suo  fratello  era  upm  che  mosso  il  piede 
lilai  non  avea  di  Roma  alla  sua  vita. 
Che,  del  ben  che  fortuna  gli  concede, 
Tranquilla  e  senz'affanni  avea  notrita; 
La  roba  di  che  '1  padre  il  lasciò  erede  y 
Né  mai  cresciuta  avea  né  minuita; 
E  che  parrebbe  a  lui  Pavia  lontana 
Più  che  non  parria  a  un  altro  ire  alla  Tana 

10     E  la  difficoltà  saria  maggiore 
A  poterlo  spiccar  <l alla  mogliere, 
Con  cui  legato  era  di  tanto  amore. 
Che  non  volendo  Jei ,  non  può  volere. 
Pur,  per  ubbidir  lui  che  gli  è  signore. 
Disse  d'andare,  e  fare  oltre  il  potere. 
Giunse  il  re  a'  prieghi  tali  offerte  e  doni. 
Che  di  negar  non  gli  lasciò  ragioni. 

a     Partisse,  e  in  pochi  giorni  ritrovosse 
Dentro  di  Roma  alle  paterne  case. 
Quivi  tanto  pregò,  che  'l  fratel  mosse 
Si,  eh' a  venire  al  re  gli  persuase: 
E  fece  ancor  (benché  diflìcil  fosse), 
Che  la  cognata  tacita  rimase. 
Proponendole  il  ben  che  n'uscirla. 
Oltre  eh'  obbligo  sempre  egli  l' avria. 

12     Fisse  Giocondo  alla  partita  il  giorno: 
Trovò  cavalli  e  servitori  intanto; 
Vesti  fé  far  per  comparire  adomo; 
Che  talor  cresce  una  beltà  un  bel  manto. 
La  notte  a  lato,  e  'i  dì  la  moglie  intorno. 
Con  gli  occhi  ad  or  ad  or  pregni  di  pianto. 
Gli  dice  che  non  sa  come  patire 
Potrà  tal  lontananza,  e  non  morire; 

i3     Che  pensandovi  sol,  dalla  radice 
Sveller  si  sente  il  cor  nel  lato  manco. 
Deh,  vita  mia,  non  piagnere,  le  dice 
Giocondo  ;  e  seco  piagne  egli  non  manco. 
Cosi  mi  sia  questo  cammin  felice. 
Come  tornar  vo'  fra  duo  mesi  almanco  : 
Né  mi  faria  passar  d' un  giorno  il  segno. 
Se  mi  donasse  il  re  mezzo  il  suo  regno. 


%  ai  mmaoL  : 
QìcB  :ae  TOBDm 


^^Wl^^ 


Ck'  m  smrsf.Ui  rv^  z^-ra.  ÌL  ^'■'■'■■■" 
E  n  ante  ^miinue  me  :ar!rjis» 
il  amili  nttLjni  ut  i*?*;::^*!!  MesBimr: 
Iit  X  laups  n  i5^  :a  Ji  rea  X  lufie 
TifaaitXD  juÈzaiii  à.  sensuesme. 


fi      E  ife  la.  i«iri  ler  àou  mnic»  j£  ^ 
Lj  ^w,i.#,  &  .rat»  jtrriir  ziL  aif  ««^ 

^m  ywrrite*  far  rirjriu  zi  •lua.'reiiizx: 

Ollfr  Bf  tksnOtf  XK  Misawr.ra  mcm    few-  CTsBl 

^  biHHa  4  ra  iir^ma  loe  zìi.  zvxssBay 
F4(xa  s  i^iEìl;!  aissnacui  suiu.  e  Siete 

fi      La  iHO?  c&'  2ai5j  -ntiMiTT  a  ^(Kf  j 
Che  fi  :!  thsmzie  estremi}  ila  ;  ar^axi, 
Al  SB»  GiociKii^  par  ck'  a  fcraeò*  ■»«» 
La  mat^x^  tius  a'  óa  t«<C>j  li  star  «aia. 
Mai  aaa  a  ^rase:  e  Ivuuui  ai  xNcaa  aira  a 
Vksc  fl  mar,:*  au'  alL^oia  boccia. 
ll«c.!r>  a  cavillo,  e  s  (arti  lb  cOeUd; 
E  la  BAf'jijcr  a  rk«rcb  ad  letto. 

tf      Gi€C4>Biio  aocor  dm  mìziia  ito  bob  era. 
Che  gli  Teoae  la  croce  raccorJala, 
Ch'area  sotto  3  goancial  messo  la  sera» 
Poi  per  obblì>  ion  T  area  laàctala. 
Lajào!  dicea  tra  sé,  di  che  maniera 
Troverò  scosa  che  mi  sia  acceltata. 
Che  mia  moglie  non  creda  che  gradilo 
Poco  da  me  &ia  r  amor  suo  infinito? 


CANTO  YENTESIMOTTATO.  109 

i9     Pensa  la  scusa  ;  e  poi  gli  cade  in  mente. 
Che  non  sarà  accettabile  né  buona, 
Mandi  famìgli,  mandivi  altra  gente, 
S' egli  medesmo  non  vi  va  in  persona. 
Si  ferma,  e  al  fratel  dice:  Or  pianamente 
Fin  a  Baccano  al  primo  albergo  sprona  ; 
Che  dentro  a  Roma  è  forza  eh'  io  rivada  : 
E  credo  anco  di  giugnerti  per  strada. 

iO     Non  potria  fare  altri  il  bisogno  mio  : 
Nò  dubitar,  ch'io  sarò  tosto  teco. 
Voltò  il  ronzin  di  trotto  e  disse:  Addio; 
Nò  de'  famigli  suoi  volse  alcun  seco. 
Già  cominciava,  quando  passò  il  rio, 
Dinanzi  al  sole  a  fuggir  l'aer  cieco. 
Smonta  in  casa  ;  va  al  letto  ;  e  la  consorte 
Quivi  ritrova  addormentata  forte. 

SI     La  cortina  levò  senza  far  motto, 
£  vide  quel  che  men  veder  credea  ; 
Chò  la  sua  casta  e  fedel  moglie,  sotto 
La  coltre,  in  braccio  a  un  giovene  giacea. 
Riconobbe  l'adultero  di  botto. 
Per  la  pratica  lunga  che  n'  avea  ; 
Ch'era  della  famiglia  sua  un  garzone, 
Allevato  da  lui,  d'umil  nazione. 

22     S' attonito  restasse  e  mal  contento. 
Meglio  ò  pensarlo  e  farne  fede  altrui, 
Ch'  esserne  mai  per  far  l'esperimento 
Che  con  suo  gran  dolor  ne  fé  costui. 
Dallo  sdegno  assalito,  ebbe  talento 
Di  trar  la  spada,  e  ucciderli  ambedui  ; 
Ma  dall'  amor  che  porta,  al  suo  dispetto. 
All'  ingrata  moglier,  gli  fu  interdetto. 

83     Nò  lo  lasciò  questo  ribaldo  amore 
(Vedi  se  si  l'avea  fatto  vassallo) 
Destarla  pur,  per  non  le  dar  dolore, 
Che  fosse  da  lui  colta  in  si  gran  fallo. 
Quanto  potò  più  tacito  usci  fuore, 
Scese  le  scale,  e  rimontò  a  cavallo  ; 
E  punto  egli  d'amor,  cosi  lo  punse. 
Ch'air  albergo  non  fu,  che  '1  fratel  giunse. 

II.  40 


liO 


91     Cambiato  a  tatti  panr«  esser  nei  toUo  ; 
Tìder  totti  ebe  1  cor  b<hì  area  fieto  : 
ila  non  t*  è  cbi  s^appooga  già  éi  molto, 
E  possa  pcBOtfar  nd  suo  secreto. . 
Credeano  cbe  da  lor  à  fiisse  tolto 
Per  gire  a  Roma,  e  gito  era  a  Corneto. 
Ch'amor  sia  del  mai  ca«a  ogmm  s'arrisa  ; 
Ma  non  è  già  chi  dir  sappia  in  che  gnisa. 

»     Estimasi  fl  fratd  che  dolor  ahbia 
D'aTer  la  moglie  sua  soia  lasciata  ; 
E  pel  contrario  doolsi  egli  ed  arrabbia 
Che  rimasa  era  troppo  accompagnata. 
Con  fronte  crespa  e  con  gonfiate  labbia 
Sta  rinfdice,  e  sol  la  terra  guata. 
Fausto  eh'  a  confortarlo  usa  ogni  prora , 
Perchè  non  sa  la  causa,  poco  gioTa. 

»      Di  contrario  liquor  la  piaga  gli  unge, 
E  dorè  tor  dorria,  gli  accresce  doglie  ; 
Doto  dorria  saldar,  più  Fapre  e  punge: 
Questo  gli  fa  col  ricordar  la  moglie. 
Né  posa  <fi  né  notte  :  il  sonno  longe 
Fugge  col  gusto,  e  mai  non  si  raccoglie; 
E  la  faccia»  che  diami  era  si  beDa, 
Si  cangia  si,  che  più  non  sembra  quella. 

27  Par  che  gli  occhi  si  ascondan  nella  lesta; 
Cresciuto  il  naso  par  nel  viso  scarno: 
Delia  beltà  si  poca  gli  ne  resta. 

Che  ne  potrà  far  paragone  indarno. 
Col  dool  venne  una  febbre  si  mdesta. 
Che  lo  fé  soggiornar  all' Arbia  e  all'Amo  : 
E  se  di  bello  avea  serbata  cosa, 
Tosto  restò  come  al  Sol  colta  rosa. 

28  Oltre  eh' a  Fausto  incresca  del  fratello, 
Che  veggia  a  simìl  termine  condotto, 
Via  più  gì'  incresce  che  bugiardo  a  quello 
Prìncipe,  a  chi  lodoUo,  parrà  in  tutto. 
Mostrar  di  totti  gli  uomini  il  più  bello 

Gli  avea  promesso,  e  mostrerà  il  più  brutto 
Ma  par  continuando  la  sua  via. 
Seco  lo  trasse  alfin  dentro  a  Pavia. 


1 


CANTO  VENTESIMOTTAVO.  Ut 

29  Già  non  vuol  che  lo  vegga  il  re  improvviso , 
Per  non  mostrarsi  di  giudicio  privo  : 

Ma  per  lettere  innanzi  gli  dà  avviso, 
Che  '1  sao  fratel  ne  viene  appena  vivo  ; 
E  eh'  era  stato  air  aria  del  bel  viso 
Un  affanno  di  cor  tanto  nocivo, 
Accompagnato  da  una  febbre  ria, 
Che  più  non  parea  quel  eh'  esser  solia. 

30  Grata  ebbe  la  venuta  di  Giocondo, 
Quanto  potesse  il  re  d'amico  avere; 
Che  non  avea  desiderato  al  mondo 
Cosa  altrettanto,  òhe  di  lui  vedere. 
Né  gli  spiace  vederselo  secondo, 

E  di  bellezza  dietro  rimanere  ; 
Benché  conosca,  se  non  fosse  il  male. 
Che  gli  saria  superiore  o  uguale. 

31  Giunto,  lo  fa  alloggiar  nel  suo  palagio  ; 
Lo  visita  ogni  giorno,  ogni  ora  n'ode  ; 
Fa  gran  provvision  che  stia  con  agio, 

E  d'onorarlo  assai  si  studia  e  gode. 
Langue  Giocondo  ;  che  '1  pensier  malvagio 
G'ha  della  ria  moglier,  sempre  lo  rode: 
Né  '1  veder  giochi,  né  musici  udire. 
Dramma  del  suo  dolor  può  minuire. 

32  Le  stanze  sue,  che  sono  appresso  al  tetto 
L'ultime,  innanzi  hanno  una  sala  antica. 
Quivi  solingo  (perchè  ogni  diletto, 
Perch'  ogni  compagnia  prova  nimica) 

Si  ritraea,  sempre  aggiungendo  al  petto 
Di  più  gravi  pensier  nuova  fatica  ; 
E  trovò  quivi  (or  chi  Io  crederla?) 
Chi  lo  sanò  della  sua  piaga  ria. 

33  In  capo  della  sala,  ove  è  più  scaro 
(Che  non  vi  s'usa  le  Gnestre  aprire), 
Vede  che  '1  palco  mal  si  giunge  al  muro, 
E  fa  d'aria  più  chiara  un  raggio  uscire. 
Pon  l'occhio  quindi,  e  vede  quel  che  duro 
A  creder  fora  a  chi  l'udisse  dire  : 

Non  l'ode  egli  d'altrui,  ma  se  lo  vede  ; 
Ed  anco  agli  occhi  suoi  propri  non  crede. 


112  ORLANDO  FURIOSO. 

34     Quindi  scoprìa  della  regina  latta 
La  più  secreta  stanza  e  la  più  bella, 
Ove  persona  non  veiria  introdotta, 
Se  per  molto  fedel  non  l'avess'  ella. 
Quindi  mirando  vide  in  strana  latta 
Ch'an  nano  avviticchiato  era  con  quella; 
Ed  era  quel  piccin  stato  si  dotto. 
Che  la  regina  avea  messa  di  sotto. 

36      Attonito  Giocondo  e  stupefatto, 
E  credendo  sognarsi,  un  pezzo  stette; 
E  quando  vide  pur,  eh'  egli  era  in  fatto, 
E  non  in  sogno,  a  sé  stesso  credette. 
A  uno  sgrignuto  mostro  e  contraffatto 
Dunque,  disse,  costei  si  sottomette, 
Che  i  maggior  re  del  mondo  ha  per  marito, 
Più  bello  e  più  cortese?  Oh  che  appetito! 

36  E  della  moglie  sua,  che  cosi  spesso 
Più  d'ogni  altra  biasmava,  ricordosse, 
Perchè  '1  ragazzo  s'avea  tolto  appresso  ; 
Ed  or  gli  parve  che  scusabil  fosse. 
Non  era  colpa  sua  più  che  del  sesso. 
Che  d'un  solo  uomo  mai  non  contentosse  : 

E  s'han  tutte  una  macchia  d'uno  inchiostro, 
Almen  la  sua  non  s'avea  tolto  un  mostro. 

37  II  di  seguente,  alla  medesima  ora. 
Al  medesimo  loco  fa  ritorno  ; 

E  la  regina  e  il  nano  vede  ancora. 
Che  fanno  al  re  pur  il  medesmo  scorno. 
Trova  l'altro  di  ancor  che  si  lavora, 
E  l'altro  ;  e  alfin  non  si  fa  festa  giorno  : 
£  la  regina  (che  gli  par  più  strano) 
Sempre  si  duol  che  poco  l'ami  il  nano. 

38  Stette  fra  gli  altri  un  giorno  a  veder,  ch'ella 
Era  turbata  e  in  gran  malenconia, 

Ghò  due  volte  chiamar  per  la  donzella 
Il  nano  fatto  avea,  nò  ancor  venia. 
Mandò  la  terza  volta  ;  et  udi  quella, 
Che:  Madonna,  egli  giuoca;  riferia; 
E  per  non  stare  in  perdita  d'un  soldo, 
A  voi  niega  venire  il  manigoldo. 


CANTO  VENTESlMotTAVO.  ll^ 

39  A  8i  Strano  spettacolo  Giocondo 
Rasserena  la  fronte  e  gli  occhi  e  il  viso; 
E,  quale  in  nome,  diventò  giocondo 
D'effetto  ancora,  e  tornò  il  pianto  in  riso. 
Allegro  torna  e  grasso  e  rubicondo, 

Che  sembra  on  chembin  del  paradiso; 
Che  '1  re,  il  fratello  e  tutta  la  famiglia 
Di  tal  motazion  si  maraviglia. 

40  Se  da  Giocondo  il  re  bramava  odire 
Onde  venisse  il  subito  conforto. 

Non  men  Giocondo  lo  bramava  dire, 
£  fare  il  re  di  tanta  ingiuria  accorto. 
Ma  non  vorrìa  che  più  di  sé,  punire 
Volesse  il  re  la  moglie  di  quel  torto; 
Si  che  per  dirlo,  e  non  far  danno  a  lei, 
11  re  fece  giurar  su  ì*  agnusdei. 

41  Giurar  lo  fé,  che  né  per  cosa  detta, 
Né  che  gli  sia  mostrata  che  gli  spiaccia, 
Ancorch'  egli  conosca  che  diretta- 
Mente  a  sua  Maestà  danno  si  faccia. 
Tardi  o  per  tempo  mai  farà  vendetta: 

£  di  più,  vuol  ancor  che  se  ne  taccia; 
Si  che  né  il  malfattor  giammai  comprenda 
In  fatto  0  in  detto,  che  '1  re  il  caso  intenda. 

43     II  re,  ch'ogni  altra  cosa,  se  non  questa, 
Creder  potria,  gli  giurò  largamente. 
Giocondo  la  cagion  gli  manifesta, 
Ond' era  molti  di  stato  dolente: 
Perchè  trovata  avea  la  disonesta 
Sua  moglie  in  braccio  d' un  suo  vii  sergente; 
£  che  tal  pena  alfin  l'avrebbe  morto, 
Se  tardato  a  venir  fosse  il  conforto. 

43     Ma  in  casa  di  sua  Altezza  avea  veduto 
Cosa  che  molto  gli  scemava  II  duolo  ; 
Che  sebbene  in  obbrobrio  era  caduto. 
Era  almen  certo  di  non  v'  esser  solo. 
Cosi  dicendo,  e  al  bucolin  venuto, 
Gli  dimostrò  il  bruttissimo  omicciuolo. 
Che  la  giumenta  altrui  sotto  si  tiene, 
Tocca  di  sproni,  e  fa  giuocar  di  schene. 

40* 


Il4  OBLÀNDa  FURIOSO. 

44      Se  parve  al  re  vitaperoso  V  allo , 
Lo  crederete  ben,  senza  ch'io  '1  giurì. 
Ne  fa  per  arrabbiar,  per  venir  matto  ; 
Ne  fa  per  dar  del  capo  in  tutti  i  muri: 
Fa  per  gridar,  fa  per  non  stare  al  patto  ; 
Ma  forza  é  che  la  bocca  alfin  si  turi, 
E  che  r  ira  trangugi  amara  ed  aera , 
Poiché  giurato  avea  sa  l'ostia  sacra. 

46     Che  debbo  far,  che  mi  consigU,  frate, 
Disse  a  Giocondo,  poiché  tu  mi  tolli 
Che  con  degna  vendetta  e  crudeltate 
Questa  giustissima  ira  io  non  satolli? 
Lasciam,  disse  Giocondo,  queste  ingrate, 
£  proviam  se  son  V  altre  cosi  molli  : 
Facciam  delle  lor  femmine  ad  altrui 
Quel  eh'  altri  delle  nostre  han  fatto  a  noi. 

46  Ambi  gioveni  siamo ,  e  di  bellezza 
Che  facilmente  non  troviamo  pari. 
Qual  femmina  sarà  che  n'  usi  asprezza, 
Se  contra  i  brutti  ancor  non  han  ripari? 
Se  beltà  non  varrà  né  giovinezza, 
Varranno  almen  V  aver  con  noi  danari. 
Non  vo'che  torni,  che  non  abbi  prima 
Di  mille  mogli  altrui  la  spoglia  opima. 

47  La  lunga  absenzia,  il  veder  varj  luoghi. 
Praticare  altre  femmine  di  fuore. 

Par  che  sovente  disacerbi  e  sfoghi 
Deir  amorose  passioni  il  core. 
Lauda  il  parer,  né  vuol  che  si  proroghi 
Il  re  l'andata;  e  fra  pochissime  ore 
Con  duo  scudieri,  oltre  alla  compagnia 
Del  cavalìer  roman,  si  mette  in  via. 

48  Travestiti  cercare  Italia,  Francia, 

Le  terre  de'  Fiamminghi  e  degl'  Inglesi  ; 
E  quante  ne  vedean  di  bella  guancia, 
Trovavan  tutte  ai  prieghi  lor  cortesi. 
Davano,  e  data  loro  era  la  mancia; 
E  spesso  rimetteano  i  danar  spesi. 
Da  lor  pregate  foro  molte,  e  foro 
Anch'  altrettante  che  pregaron  loro. 


CANTO  VENTESntOTTATO.  IIÉJ 

49      In  questa  terra  un  mese,  in  quella  dui 
Soggiornando,  accertarsi  a  vera  prova 
Che  non  men  nelle  lor,  che  nell'altrui 
Femmine,  fede  e  castità  si  trova. 
Dopo  alcun  tempo  increbbe  ad  ambedui 
Di  sempre  procacciar  di  cosa  nuova; 
Che  mal  poteano  entrar  neir  altrui  porte. 
Senza  mettersi  a  rischio  della  morte. 

hO     Gli  ò  meglio  una  trovarne,  che  di  faccia 
£  di  costumi  ad  ambi  grata  sìa. 
Che  lor  comunemente  soddisfaccia, 
E  non  n'  abbin  d' aver  mai  gelosia. 
E  perchè,  dicea  il  re,  vuo'che  mi  spiacela 
Aver  più  te  eh'  un  altro  in  compagnia? 
So  ben  eh'  in  tutto  il  gran  femmineo  stuolo 
Una  non  è  che  stia  contenta  a  un  solo. 

51      Una  (senza  sforzar  nostro  potere, 
Ma  quando  il  naturai  bisogno  inviti) 
In  festa  goderemoci  e  in  piacere  ; 
Che  mai  contese  non  avrem,  né  liti. 
Né  credo  che  si  debba  ella  dolere  ; 
Che  s'anco  ogni  altra  avesse  duo  mariti. 
Più  eh' ad  un  solo,  a  duo  saria  fedele; 
Né  forse  s' udirian  tante  querele. 

62  Di  quel  che  disse  il  re,  molto  contento 
Rimaner  parve  il  giovine  romano. 
Dunque  fermati  in  tal  proponimento, 
Cercar  molte  montagne  e  molto  piano. 
Trovaro  alfin,  secondo  il  loro  intento. 
Una  Ogliuola  d' uno  ostiere  Ispano, 

Che  tenea  albergo  al  porto  di  Valenza, 
Bella  di  modi  e  bella  di  presenza. 

63  Era  ancor  sul  fiorir  di  primavera 
Sua  tenerella  e  quasi  acerba  etade. 
Di  molti  figli  il  padre  aggravat*era, 
£  nimico  mortai  di  povertade  : 

Si  eh' a  disporlo  fu  cosa  leggiera. 
Che  desse  lor  la  figlia  in  potestade; 
Ch'ove  piacesse  lor  potesson  ti  aria. 
Poiché  promesso  avean  di  ben  trattarla. 


Ii6  omLAmo  fubioso. 

M     Pigliano  la  fancialla,  e  piacer  n'  hanno 
Or  r  ono  or  V  altro,  in  caritade  e  in  pace. 
Come  a  vicenda  i  mantici  che  danno. 
Or  r  ano  or  V  altro,  fiato  alla  fornace. 
Per  veder  tutta  Spagna  indi  ne  vanno , 
E  passar  poi  nel  regno  di  Siface: 
£  *ì  dk  che  da  Valenza  si  partirò. 
Ad  albergare  a  Zattiva  veniro. 

55     I  patroni  a  veder  strade  e  palazzi 
Ne  vanno,  e  lochi  pubblici  e  divini; 
Ch'  usanza  han  di  pigliar  simil  sollazzi 
In  ogni  terra  ov'enlran  peregrini; 
E  la  fanciulla  resta  coi  ragazzi. 
Altri  i  letti,  altri  acconciano  i  ronzini; 
Altri  hanno  cura  che  sia  alla  tornata 
Dei  signor  lor  la  cena  apparecchiata» 

66  Neir  albergo  un  garzon  slava  per  fante, 
Ch'  in  casa  della  giovene  già  stette 

A'  servigi  del  padre,  e  d' essa  amante 
Fu  da'  primi  anni,  e  del  suo  amor  godette. 
Ben  s'adocchiar,  ma  non  ne  fer  sembiante; 
Ch'esser  notato  ognun  di  lor  temette: 
Ma  tosto  eh'  i  patroni  e  la  famiglia 
Lor  dieron  luogo,  alzar  ira  lor  le  ciglia. 

67  II  fante  domandò  dov'  ella  gisse, 
E  qual  dei  duo  signor  l' avesse  seco. 
A  punto  la  Fiammetta  il  fatto  disse 

(Cosi  avea  nome,  e  quel  garzone  il  Greco). 
Quando  sperai  che  '1  tempo,  oimè!  venisse 
(Il  Greco  le  dicea)  di  viver  teco, 
Fiammetta,  anima  mia,  tu  te  ne  vai, 
E  non  so  più  di  rivederti  mai. 

68  Fannosi  i  dolci  miei  disegni  amari, 
Poichò  sei  d'altri,  e  tanto  mi  ti  scosti. 
Io  disegnava,  avendo  alcun'  danari 
Con  gran  fatica  e  gran  sudor  riposti, 
Ch'  avanzato  m' avea  de'  miei  salari 

E  delle  bene  andate  di  molti  osti. 
Di  tornare  a  Valenza,  e  domandarti 
Al  padre  tuo  per  moglie,  e  di  sposarti. 


CANTO  VENTESIMOTTAVO.  117 

69     La  fanciDlla  oegli  omeri  si  stringe, 
E  risponde  che  fa  tardo  a  venire. 
Piange  il  Greco  e  sospira,  e  parte  finge. 
Vuommi,  dice,  lasciar  cosi  morire? 
Con  le  tue  braccia  i  fianchi  almen  mi  cinge  ; 
Lasciami  disfogar  tanto  desire: 
Ch'  innanzi  che  ta  parta,  ogni  momento 
Che  teco  io  stia,  mi  fa  morir  contento. 

eo     La  pietosa  fanciulla  rispondendo  : 
Credi,  dicea,  che  men  di  te  noi  bramo; 
Ma  né  luogo  né  tempo  ci  comprendo 
Qui,  dove  in  mezzo  di  tanti  occhi  siamo. 
Il  Greco  soggiungea:  Certo  mi  rendo. 
Che  s'un  terzo  ami  me  di  quel  ch'io  t'amo, 
In  questa  notte  almen  troverai  loco 
Che  ci  potrem  godere  insieme  nn  poco. 

M     Come  potrò,  diceagli  la  fanciulla. 

Che  sempre  in  mezzo  a  duo  la  notte  giaccio? 
E  meco  or  l'uno  or  T altro  si  trastulla, 
E  sempre  all'  un  di  lor  mi  trovo  in  braccio? 
Questo  ti  fìa,  soggiunse  il  Greco,  nulla  ; 
Che  ben  ti  saprai  tor  di  questo  impaccio, 
E  uscir  di  mezzo  lor,  purché  tu  voglia  : 
E  dèi  voler,  quando  di  me  ti  doglia. 

62  Pensa  ella  alquanto,  e  poi  dice  che  vegna 
Quando  creder  potrà  eh'  ognuno  dorma  ; 

E  pianamente  come  far  convegna, 
E  dell'andare  e  del  tornar  l'informa. 
Il  Greco,  si  come  ella  gli  disegna. 
Quando  sente  dormir  tutta  la  torma. 
Viene  all'uscio  e  lo  spinge,  e  quel  gli  cede: 
Entra  pian  piano,  e  va  a  tenton  col  piede. 

63  Fa  lunghi  i  passi ,  e  sempre  in  quel  di  dietro 
Tutto  si  ferma,  e  l'altro  par  che  muova 

A  guisa  che  di  dar  tema  nel  vetro  ; 

Non  che  '1  terreno  abbia  a  calcar,  ma  l'uova  : 

E  tien  la  mano  innanzi  simil  metro  ; 

Va  brancolando  infìn  che  '1  letto  trova  ; 

E  di  là  dove  gli  altri  avean  le  piante. 

Tacito  si  cacciò  col  capo  innante. 


Chètaaa 


e  yr*  ti  ìk«k 


[  carak  jfa»  a 


1 1  re.  sBua  ala 
i  il  Bj»  caa  cOTTCìe  ■■  tnlto, 
Se  ■'arcsB  praslato  n  p»*  il  cavaBo, 
Taala  cke  1  bìo  btsoeao  avessi  6Mol 
Gìmmmìo  replicò:  Sob  taa  vassallo, 
E  pMÌ  far  meco  e  ronpoe  osai  paUo, 
Si  die  aoB  cooTeaìa  lai  ccaai  asue; 
Bea  flu  poCefì  dir:  Lasciala  stare. 

Tanto  replica  r  oa,  tanto  soggiunge 
V  altro,  che  sono  a  grave  lite  insieme. 
Vengon  da'  motti  ad  un  parlar  clie  punge; 
Cb'ad  amendoo  Tesser  beffiaito  preme. 
Cbiaman  Fiammetta  (che  non  era  tango, 
E  della  fraade  esser  scoperta  teme), 
Per  fare  io  viso  Fono  all'altro  dire 
Qoel  che  negando  ambi  parean  mentire. 


CANTO  YENTESIMOTTATO.  119 

09     Dimmi,  le  disse  il  re  con  fiero  sguardo, 
£  non  temer  di  me  nò  di  costai  ; 
Chi  tatta  notte  fa  quel  si  gagliardo. 
Che  ti  godè  senza  Tar  parte  altrui?  / 

Credendo  V  un  provar  V  altro  bugiardo, 
La  risposta  aspettavano  ambedui. 
Fiammetta  a'  piedi  lor  si  gittò  incerta 
Di  viver  più,  vedendosi  scoperta. 

70  Domandò  lor  perdono,  chò  d'amore, 
Gh'  a  un  giovinetto  avea  portato,  spinta, 

•  E  da  pietà  d'un  tormentato  core. 
Che  molto  avea  per  lei  patito,  vinta, 
Caduta  era  la  notte  in  quello  errore: 
£  seguitò,  senza  dir  cosa  finta. 
Come  tra  lor  con  speme  sì  condusse, 
Ch'  ambi  credesson  che  '1  compagno  fusse. 

71  II  re  e  Giocondo  si  guardare  in  viso, 
Di  maraviglia  e  di  stupor  confusi  ; 

Né  d' aver  anco  udito  lor  fu  avviso, 
Ch'  altri  duo  fusson  mai  cosi  delusi  : 
Poi  scoppiaro  ugualmente  in  tanto  riso, 
Che,  con  la  bocca  aperta  e  gli  occhi  chiusi, 
Potendo  a  pena  il  fiato  aver  del  petto. 
Addietro  si  lasciar  cader  sol  letto. 

72  Poi  ch'ebbon  tanto  riso,  che  dolere 

Se  ne  sentiano  il  petto,  e  pianger  gli  occhi, 
Disson  tra  lor:  Come  potremo  avere 
Guardia,  che  la  moglier  non  ne  l'accocchi. 
Se  non  giova  tra  duo  questa  tenere, 
£  stretta  sì,  che  l'uno  e  l'altro  tocchi? 
Se  più  che  crini  avesse  occhi  il  marito. 
Non  potria  far  che  non  fosse  tradito. 

73  Provate  mille  abbiamo,  e  tutte  belle; 
Nò  di  tante  una  è  ancor  che  ne  contraste. 
Se  proviam  l'altre,  fian  simili  anch'elle; 
Ma  per  ultima  prova  costei  baste. 
Dunque  possiam  creder  che  più  felle 

Non  sien  le  nostre,  o  men  dell'altre  caste; 
£  se  son  come  tutte  l' altre  sono. 
Che  torniamo  a  godercile  fia  buono. 


i     QwìcnM  MB  d*clà,cfc-aTM  pia  retta 
OpmioB  desìi  aAbrì,  e  m^egno  e  ardire; 
E  MB  polc^  ^nÈai^  cbe  sk  aeglelU 
0|su  leamiBa  fosse,  pia  patire; 
Si  ▼ohe  a  qad  ck'aTta  r  isloffìa  daUa, 
K  ^  disse:  Assai  cose  adiamo  dire, 
Cke  Terìlade  m  sé  aoa  Iobbo  akma; 
E  beo  di  queste  è  b  toa  fiiTola  ima. 


77     A  chi  te  la  narrò  BOB  do  ( 
S'eran^dista  bea  fosse  nel  resto; 
Ch'opinione,  piò  ch'esperienza 
Ch'  ^itiia  di  donne,  lo  focea  dir  qneslo. 
L'avere  ad  una  o  doe  malivolenza. 
Fa  eh'  odia  e  biasma  r  altre  oltre  ali*  onesto; 
Ma  se  gU  passa  l'ira,  io  to' tu  l'oda. 
Pio  ch'ora  biasmo,  anco  dar  lor  gran  loda. 

n     E  se  Torrà  lodarne,  avrà  maggiore 
D  campo  assai,  eh' a  dime  mal  non  ebbe: 
Di  cento  potrà  dir  degne  d' onore. 
Verso  ana  trista  che  biasmar  si  debbe. 
Non  biasmar  latte,  ma  serbarne  fuore 
La  bontà  d' infinite  si  doTrebbe; 
E  se  '1  Valerio  tuo  disse  altrimente. 
Disse  per  ira,  e  non  per  quel  che  sente. 


CANTO  VENTESIMOTTAVO.  121 

79  Ditemi  an  poco:  è  di  voi  forse  alcano 
Ch*  abbia  servato  alla  saa  moglie  fede? 
Che  nieghi  andar,  quando  gli  sia  opportano. 
All'  altrai  donna,  e  darle  ancor  mercede? 
Credete  in  tatto  '1  mondo  trovarne  ono? 

Chi  '1  dice,  mente;  e  folle  è  ben  chi  '1  crede. 
Trovatene  vo'  alcuna  che  vi  chiami? 
(Non  parlo  delle  pubbliche  ed  infami.) 

80  .  Conoscete  alcun  voi,  che  non  lasciasse 
La  moglie  sola,  ancorché  fosse  bella, 
Per  seguire  altra  donna,  se  sperasse 

In  breve  e  facilmente  ottener  quella  ? 
Che  farebb'egli,  quando  lo  pregasse, 
0  desse  premio  a  lui  donna  o  donzella? 
Credo,  per  compiacere  or  queste  or  quelle, 
Che  tutti  lascieremmovì  la  pelle. 

81  Quelle  che  i  lor  mariti  hanno  lasciati, 
Le  più  volte  cagione  avuta  n'  hanno. 
Del  suo  di  casa  li  veggon  svogliati , 

E  che  fuor  dell'  altrai  bramosi  vanno. 
Dovriano  amar,  volendo  essere  amati; 
£  tor  con  la  mianra  eh'  a  lor  danno, 
lo  farei  (se  a  me  stesse  il  darla  e  torre) 
Tal  legge,  eh'  uom  non  vi  potrebbe  opporre. 

82  Saria  la  legge,  ch'ogni  donna  colta 
In  adulterio,  fosse  messa  a  morte. 

Se  provar  non  potesse  eh'  ana  volta 
Avesse  adulterato  il  sao  consorte; 
Se  provar  lo  potesse,  andrebbe  asciolta, 
Né  temerla  il  marito  né  la  corte. 
Cristo  ha  lasciato  nei  precelti  suoi: 
Non  far  altrai  quel  che  patir  non  vuoi. 

83  La  incontinenza  é  quanto  mal  si  puote 
Imputar  lor,  non  già  a  tutto  lo  stuolo. 

Ma  in  questo,  chi  ha  di  noi  più  brutte  note? 
Che  continente  non  si  trova  un  solo. 
£  molto  più  n'  ha  ad  arrossir  le  gote. 
Quando  bestemmia,  ladroneccio,  dolo, 
Usura  ed  omicidio,  e  se  v'é  peggio, 
Raro,  se  non  dagli  uomini ,  far  veggio. 
IL  4à 


122  OftLATSDO  Fcaioso. 

S4     Appresso  alle  ragioni  avea  il  sincero 
E  giosto  yecchio  in  pronto  aleuno  esempio 
Di  donne  ehe  né  in  fatto  né  in  pensien) 
Mai  di  lor  castità  patiron  scempio. 
Ma  il  Saracin,  che  foggia  ndire  il  Tero, 
Lo  minacciò  con  viso  erodo  ed  empio, 
Si  che  lo  fece  per  timor  tacere; 
Ma  già  non  lo  moto  di  suo  parere. 

86     Posto  eh'  ebbe  alle  liti  e  alle  oantes^ 
Termine  il  re  pagan,  lasciò  la  mensa: 
Indi  nel  letto,  per  dormir,  si  stese 
Fin  al  partir  dell' aria  scora  e  densa; 
Ma  della  notte,  a  sospirar  Y  offese 
Più  della  donna,  eh' a  dormir,  dispensa. 
Quindi  parte  air  uscir  del  nooYO  raggio, 
E  far  disegna  in  nave  il  soo  viaggio. 

56  Però  eh'  avendo  tatto  quel  rispetto 
Gh'  a  baon  cavallo  dee  buon  cavaliere, 
A  quel  SQO  bello  e  boono,  eh' a  dispetto 
Tenea  di  Sacripante  e  di  Ruggiero; 
Vedendo  per  duo  giorni  averlo  stretto 
Più  che  non  si  dovria  al  buon  destriero, 
Lo  pon,  per  riposarlo,  e  lo  rassetto 

In  una  barca,  e  per  andar  più  in  fretto. 

57  Senza  indugio  al  nocchìer  varar  la  barca, 
E  dar  fa  i  remi  all'  acqua  dalla  sponda» 
Quella,  non  molto  grande  e  poco  carca. 

Se  ne  va  per  la  Senna  giù  a  seconda. 
Non  fogge  il  suo  pensier,  nò  se  ne  scarca 
Rodomonte  per  terra  nò  per  onda: 
Lo  trova  in  so  la  proda  e  in  so  la  poppa; 
E  se  cavalea,  il  porta  dietro  in  groppa. 

88      Anzi  nel  capo,  o  sia  nel  cor  gli  siede, 
E  di  fuor  caccia  ogni  conforto  e  serra. 
Di  ripararsi  il  misero  non  vede, 
Dappoichò  gli  nìmicì  ha  nella  terra. 
Non  sa  da  chi  sperar  possa  mercede. 
Se  gli  fanno  i  domestici  suoi  guerra: 
La  notte  e  '1  giorno  e  sempre  ò  combattolo 

.   Da  quel  crude!  che  dovria  dargli  aiuto. 


CANTO  VBNTBSIMOTTAVO.  123 

89  Naviga  il  giorno  e  la  notte  segaente 
Rodomonte  col  cor  d' affanni  grave; 

£  non  si  paò  T  ingiuria  tor  di  mente , 
Che  dalla  donna  e  dal  suo  re  avnto  have; 
£  la  pena  e  il  dolor  medesmo  sente, 
Che  sentiva  a  cavallo,  ancora  in  nave: 
Né  spegner  pnò,  per  star  nell'acqua,  il  fuoco; 
Né  può  stato  mutar,  per  mutar  loco. 

90  Come  r infermo  che,  dirotto  e  stanco 
Di  febbre  ardente,  va  cangiando  Iato; 

0  sia  su  r  ano,  o  sia  su  l' altro  fianco. 
Spera  aver,  se  si  volge,  miglior  stato; 
Né  sul  destro  riposa  né  sul  manco, 

£  per  tutto  ugualmente  é  travagliato: 
Cosi  il  pagano  al  male,  ond'era  infermo. 
Mal  trova  in  terra  e  male  in  acqua  schermo. 

91  Non  puote  in  nave  aver  più  pazienza, 
£  si  fa  porre  in  terra  Rodomonte. 
Lion  passa  e  Vienna,  indi  Valenza» 

£  vede  in  Avignone  il  ricco  ponte; 
Che  queste  terre  ed  altre  ubbidienza, 
Che  son  tra  il  fiume  e  '1  celtibero  monte, 
Rendean  al  re  Agramante  e  al  re  di  Spagna 
Dal  di  che  far  signor  della  campagna. 

98     Verso  Acquamorta  a  man  dritta  si  tenne, 
Con  animo  in  Algier  passare  in  fretta; 
£  sopra  un  fiume  ad  una  villa  venne 
£  da  Racco  e  da  Cerere  diletta*. 
Che  per  le  spesse  ingiurie  che  sostenne 
Dai  soldati,  a  votarsi  fu  costretta. 
Quinci  il  gran  mare,  e  quindi  nell'  apriche 
Valli  vede  ondeggiar  le  bionde  spiche. 

93     Quivi  ritrova  una  piccola  chiesa 
Di  nuovo  sopra  un  monticel  murata. 
Che,  poich'  intomo  era  la  guerra  accesa, 

1  sacerdoti  vota  avean  lasciata. 
Per  stanza  fu  da  Rodomonte  presa; 
Che  pel  sito,  e  perch'era  sequestrata 

Dai  camipi,  onde  avea  in  odio  udir  novella. 
Gli  piacque  si,  che  mutò  Algieri  in  quella. 


124  OBLANDO  FORIOSO. 

94     Mutò  d'andare  in  Africa  pensiero: 
SI  comodo  gli  parve  il  luogo  e  bello. 
Famìgli  e  carriaggi  e  il  suo  destriero 
Seco  alloggiar  fé  nel  medesmo  ostello. 
Vicino  a  poche  leghe  a  Mompoliero, 
E  ad  alcun  altro  ricco  e  buon  castello 
Siede  il  villaggio  a  Iato  alla  riviera; 
Si  che  d' avervi  ogni  agio  il  modo  v'  era. 

96     Standovi  un  giorno  il  Saracin  pensoso 
(Come  pur  era  il  più  del  tempo  usato), 
Vide  venir  per  mezzo  un  prato  erboso, 
Che  d' un  pìccol  sentiero  era  segnato , 
Una  donzella  di  viso  amoroso 
In  compagnia  d' un  monaco  barbatp  ; 
£  si  traeano  dietro  un  gran  destriero 
Sotto  una  soma  coperta  di  nero. 

96  Chi  la  donzella,  chi  '1  monaco  sia, 
Chi  portin  seco,  vi  debb'  esser  chiaro. 
Conoscere  Isabella  si  dòvria, 

Che  '1  corpo  avea  del  suo  Zerbino  caro. 
Lasciai  che  per  Provenza  ne  venia 
Sotto  la  scorta  del  vecchio  preclaro , 
Che  le  avea  persuaso  tutto  il  resto 
Dicare  a  Dio  del  suo  vivere  onesto. 

97  Comecché  in  viso  pallida  e  smarrita 
Sia  la  donzella,  ed  abbia  i  crini  inconti; 
E  facciano  i  sospir  continua  uscita 

Del  petto  acceso,  e  gli  occhi  sien  duo  fonti; 

Ed  altri  testimoni  d' una  vita 

Misera  e  grave  in  lei  stveggan  pronti; 

Tanto  però  di  bello  anco  le  avanza. 

Che  con  le  Grazie  Amor  vi  può  aver  stanza. 

98  Tosto  che  '1  Saraciq  vide  la  bella 
Donna  apparir,  messe  il  pensiero  al  fondo, 
Ch'  avea  di  biasmar  sempre  e  d' odiar  quella 
Schiera  gentil  che  pur  adorna  il  mondo. 

E  ben  gli  par  dignissima  Isabella, 
In  cui  locar  debba  il  suo  amor  secondo, 
E  ^penger  totalmente  il  primo,  a  modo 
Che  dair  asse  si  trae  chiodo  con  chiodo. 


Canto  vBNTEsiMOTtAVo.  i2li 

99     Incontra  se  le  fece,  e  col  più  molle 
Parlar  che  seppe,  e  col  miglior  sembiante, 
Di  sua  condizione  domandone: 
Ed  ella  ogni  pensier  gli  spiegò  innante; 
Come  era  per  lasciare  il  mondo  folle, 
Er  farsi  amica  a  Dio  con  opre  sante. 
Ride  il  pagano  altier,  eh'  in  Dio  non  crede, 
D' ogni  legge  nimico  e  d' ogni  fede  : 

iOO     E  chiama  intenzione  erronea  e  lieve  ; 
E  dice  che  per  certo  ella  troppo  erra  ; 
Né  men  biasm.ar  che  l'avaro  si  deve, 
Che  '1  suo  ricco  tesor  metta  sotterra: 
Alcuno  util  per  sé  non  ne  riceve, 
E  dall'  uso  degli  altri  uomini  il  serra. 
Chiuder  leon  si  donno,  orsi  e  serpenti, 
E  non  le  cose  belle  ed  innocenti. 

101     II  monaco  eh' a  questo  avea  l'orecchia, 
E  per  soccorrer  la  giovane  incauta, 
Che  ritratta  non  sia  per  la  via  vecchia, 
Sedea  al  governo  qual  pratico  nauta; 
Quivi  di  spiritual  cibo  apparecchia 
Tosto  una  mensa  sontuosa  e  lauta. 
Ma  il  Saracin,  che  con  mal  gusto  nacque, 
Non  pur  la  saporò,  che  gli  dispiacque: 

(02     E  poi  eh'  invano  il  monaco  interroppe, 
E  non  potè  mai  far  si  che  tacesse, 
E  che  di  pazienza  il  freno  roppe. 
Le  mani  addosso  con  furor  gli  messe. 
Ma  le  parole  mìe  parervi  troppe 
Potriano  omai,  se  più  se  ne  dicesse: 
Si  che  finirò  il  Canto;  e  mi  fia  specchio 
Quel  che  per  troppo  dire  accadde  al  vecchio. 


itròTz. 

Si.k,9,ì^%-^AMtof/otmoòìBct'  I   monaùóf  Bachi,  cbe  aMicò  la  corona, 
di  jiitUtf/o,  come  nelle  tlorie  si  t  e  abbracciò  la  vita  monastica. 
quel  «  longobardo.  —  IlfraUl  \  St.  9. 9. 8.— ^//«  Tana:  al  Tanai, 

ir 


lld  ORLANDO  FURIOSO. 

54     Pigliano  la  fanciulla,  e  piacer  n'  hanno 
Or  r  ano  or  V  altro,  in  carìtade  e  in  pace. 
Come  a  vicenda  i  mantici  che  danno, 
Or  r  uno  or  V  altro,  fiato  alla  fornace. 
Per  veder  tutta  Spagna  indi  ne  vanno , 
E  passar  poi  nel  regno  di  Siface: 
E  '1  di  che  da  Valenza  si  partirò, 
'''■  ■  Ad  albergare  a  Zàttiva  veniro. 

^  ■  55     I  patroni  a  veder  strade  e  palazzi 

y^'  Ne  vanno,  e  lochi  pubblici  e  divini; 

Ch'  usanza  han  di  pigliar  simil  sollazzi 

P  In  ogni  terra  ov'  enlran  peregrini  ; 

p  E  la  fanciulla  resta  coi  ragazzi. 

l-  Altri  i  letti,  altri  acconciano  i  ronzini; 

Altri  hanno  cura  che  sia  alla  tornata 
Dei  signor  lor  la  cena  apparecchiata. 

56  Neir  albergo  un  garzon  stava  per  fante, 
Ch'  in  casa  della  giovene  già  stette 

pi'  A' servìgi  del  padre,  e  d'essa  amante 

Fu  da'  primi  anni,  e  del  suo  amor  godette. 
Ben  s'adocchiar,  ma  non  ne  fer  sembiante; 
Ch'esser  notato  ognun  diJor  temette: 
Ma  tosto  eh'  i  patroni  e  la  famiglia 
Lor  dieron  luogo,  alzar  tra  lor  le  ciglia. 

57  II  fante  domandò  dov'  ella  gisse, 
E  qual  dei  duo  signor  V  avesse  seco. 
A  punto  la  Fiammetta  il  fatto  disse 
(Cosi  avea  nome,  e  quel  garzone  il  Greco). 
Quando  sperai  che  '1  tempo,  oimèl  venisse 
(Il  Greco  le  dicea)  di  vìver  teco, 
Fiammetta,  anima  mia,  tu  te  ne  vai, 
E  non  so  più  di  rivederti  mai. 

58  Fannosi  i  dolci  miei  disegni  amari. 
Poiché aei  d' altri,  e  tanto  mi  ti  scosti. 
Io  disegnava,  avendo  alcun' danari 
Con  gran  fatica  e  gran  sudor  riposti, 
Ch'  avanzato  m' avea  de'  miei  salari 
E  delle  bene  andate  di  molti  osti. 
Di  tornare  a  Valenza,  e  domandarti 
Al  padre  tuo  per  moglie,  e  di  sposarti. 


^. 


P 


CANTO  VBNTESIMOTTAVO.  117 

09     La  fancialla  negli  omeri  si  stringe, 
£  risponde  che  fa  tardo  a  venire. 
Piange  il  Greco  e  sospira  9  e  parte  finge. 
YDommi,  dice,  lasciar  cosi  morire? 
Con  le  tue  braccia  i  fianchi  almen  mi  cinge  ; 
Lasciami  disfogar  tanto  desire: 
Ch'  innanzi  che  ta  parta,  ogni  momento 
Che  teco  io  stia,  mi  fa  morir  contento. 

60     La  pietosa  fanciulla  rispondendo  : 
Credi,  dicea,  che  men  di  te  noi  bramo; 
Ma  nò  loogo  né  tempo  ci  comprendo 
Qai,  dove  in  mezzo  di  tanti  occhi  siamo. 
11  Greco  soggiangea:  Certo  mi  rendo, 
Che  s'un  terzo  ami  me  di  quel  ch'io  t'amo, 
In  questa  notte  almen  troverai  loco 
Che  ci  potrem  godere  insieme  un  poco. 

Si     Come  potrò,  diceagli  la  fanciulla. 

Che  sempre  in  mezzo  a  duo  la  notte  giaccio? 
£  meco  or  l'uno  or  l'altro  si  trastulla, 
£  sempre  all'  un  di  lor  mi  trovo  in  braccio? 
Questo  ti  fia,  soggiunse  il  Greco,  nulla  ; 
Che  ben  ti  saprai  tor  di  questo  impaccio, 
£  uscir  di  mezzo  lor,  purché  tu  voglia  : 
£  dèi  voler,  quando  di  me  ti  doglia. 

SS     Pensa  ella  alquanto,  e  poi  dice  che  vegna 
Quando  creder  potrà  eh'  ognuno  dorma  ; 
£  pianamente  come  far  convegna, 
£  dell'andare  e  del  tornar  l'informa. 
Il  Greco,  si  come  ella  gli  disegna. 
Quando  sente  dormir  tutta  la  torma. 
Viene  all'uscio  e  lo  spinge,  e  quel  gli  cede: 
£ntra  pian  piano,  e  va  a  tenton  col  piede. 

63     Fa  lunghi  i  passi,  e  sempre  in  quel  di  dietro 
Tutto  si  ferma,  e  l'altro  par  che  muova 
A  guisa  che  di  dar  tema  nel  vetro  ; 
Non  che  '1  terreno  abbia  a  calcar,  ma  l'uova  : 
£  tien  la  mano  innanzi  simil  metro  ; 
Va  brancolando  infìn  che  '1  letto  trova  ; 
£  di  là  dove  gli  altri  avean  le  piante, 
Tacito  si  cacciò  col  capo  innante. 


Il6  ORLANDO  FURIOSO. 

64     Pigliano  la  fanciulla,  e  piaeer  n'  hanno 
Or  r  ano  or  \*  altro,  in  carìtade  e  in  pace, 
Come  a  vicenda  i  mantici  che  danno, 
Or  r  uno  or  V  altro,  Oato  alla  fornace. 
Per  veder  tutta  Spagna  indi  ne  vanno , 
£  passar  poi  nel  regno  di  Sìface: 
E  '1  di  che  da  Valenza  si  partirò, 
Ad  albergare  a  Zàttiva  venire. 

55  I  patroni  a  veder  strade  e  palazzi 
Ne  vanno,  e  lochi  pubblici  e  divini; 
Ch'usanza  han  di  pigliar  sìmii  sollazzi 
In  ogni  terra  ov'  entran  peregrini  ; 

E  la  fanciulla  resta  coi  ragazzi. 
Altri  i  letti,  altri  acconciano  i  ronzini; 
Altri  hanno  cura  che  sia  alla  tornata 
Dei  signor  lor  la  cena  apparecchiata. 

56  Neir  albergo  un  garzon  stava  per  fante, 
Ch'  in  casa  della  giovene  già  stette 

A'  servigi  del  padre,  e  d' essa  amante 
Fu  da'  primi  anni,  e  del  suo  amor  godette. 
Ben  s'adocchiar,  ma  non  ne  fer  sembiante; 
Ch'esser  notato  ognun  di. lor  temette: 
Ma  tosto  ch'i  patroni  e  la  famiglia 
Lor  dìeron  luogo,  alzar  tra  lor  le  ciglia. 

57  II  fante  domandò  dov'  ella  gisse, 
E  qual  dei  duo  signor  V  avesse  seco. 
A  punto  la  Fiammetta  il  fatto  disse 

(Cosi  avea  nome,  e  quel  garzone  il  Greco). 
Quando  sperai  che  '1  tempo,  oimèl  venisse 
(Il  Greco  le  dicea)  di  viver  teco, 
Fiammetta,  anima  mia,  tu  te  ne  vai, 
E  non  80  più  di  rivederti  mai. 

58  Fannosi  i  dolci  miei  disegni  amari. 
Poiché  «ei  d' altri ,  e  tanto  mi  ti  scosti. 
Io  disegnava,  avendo  alcun'  danari 
Con  gran  fatica  e  gran  sudor  riposti, 
Ch'  avanzato  m' avea  de'  miei  salari 

£  delle  bene  andate  di  molti  osti. 
Di  tornare  a  Valenza,  e  domandarti 
Al  padre  tuo  per  moglie,  e  di  sposarti. 


1 


CANTO  VENTBSIMOTTAVO.  117 

69     La  fancialla  negli  omeri  si  stringe, 
E  risponde  che  fa  tardo  a  venire. 
Piange  il  Greco  e  sospira,  e  parte  finge. 
Voemmi,  dice,  lasciar  cosi  morire? 
Con  le  tue  braccia  i  fianchi  almen  mi  cinge  ; 
Lasciami  disfogar  tanto  desire  : 
Ch'  innanzi  che  tu  parta,  ogni  momento 
Che  teco  io  stia,  mi  fa  morir  contento. 

60     La  pietosa  fancialla  rispondendo  : 
Credi,  dicea,  che  men  di  te  noi  bramo; 
Ma  né  luogo  né  tempo  ci  comprendo 
Qui,  dove  in  mezzo  di  tanti  occhi  siamo. 
Il  Greco  soggiungea:  Certo  mi  rendo. 
Che  s'nn  terzo  ami  me  di  quel  ch'io  t'amo, 
In  questa  notte  almen  troverai  loco 
Che  ci  potrem  godere  insieme  un  poco. 

M     Come  potrò,  diceagli  la  fanciulla. 

Che  sempre  in  mezzo  a  duo  la  notte  giaccio? 
E  meco  or  l'uno  or  l'altro  si  trastulla, 
E  sempre  all'  un  di  lor  mi  trovo  in  braccio? 
Questo  ti  fia,  soggiunse  il  Greco,  nulla  ; 
Che  ben  ti  saprai  tor  di  questo  impaccio, 
E  uscir  di  mezzo  lor,  purché  tu  voglia  : 
E  dèi  voler,  quando  di  me  ti  doglia. 

68     Pensa  ella  alquanto,  e  poi  dice  che  vegna 
Quando  creder  potrà  eh'  ognuno  dorma  ; 
E  pianamente  come  far  convegna, 
E  dell'andare  e  del  tornar  l'informa. 
Il  Greco,  si  come  ella  gli  disegna. 
Quando  sente  dormir  tutta  la  torma. 
Viene  all'  uscio  e  lo  spinge,  e  quel  gli  cede: 
Entra  pian  piano,  e  va  a  tenton  col  piede. 

63     Fa  lunghi  i  passi,  e  sempre  in  quel  di  dietro 
Tutto  si  ferma,  e  l'altro  par  che  muova 
A  guisa  che  di  dar  tema  nel  vetro  ; 
Non  che  '1  terreno  abbia  a  calcar,  ma  l'uova  : 
E  tien  la  mano  innanzi  simil  metro  ; 
Va  brancolando  infìn  che  '1  letto  trova  ; 
E  di  là  dove  gli  altri  avean  le  piante. 
Tacito  si  cacciò  col  capo  innante. 


Il6  ORLANDO  FURIOSO. 

64     Pigliano  la  fanciulla,  e  pìaeer  n'  hanno 
Or  V  uno  or  \*  altro,  in  carìlade  e  in  pace, 
Come  a  vicenda  i  mantici  che  danno, 
Or  r  uno  or  V  altro,  flato  alla  fornace. 
Per  veder  tutta  Spagna  indi  ne  vanno , 
£  passar  poi  nel  regno  di  Siface: 
E  '1  di  che  da  Valenza  si  partirò, 
Ad  albergare  a  Zàttiva  venire. 

55  I  patroni  a  veder  strade  e  palazzi 
Ne  vanno,  e  lochi  pubblici  e  divini; 
Ch'usanza  han  di  pigliar  simil  sollazzi 
In  ogni  terra  ov'  entran  peregrini  ; 

£  la  fanciulla  resta  coi  ragazzi. 
Altri  i  letti,  altri  acconciano  i  ronzini; 
Altri  hanno  cura  che  sia  alla  tornata 
Dei  signor  lor  la  cena  apparecchiata. 

56  Neir  albergo  un  garzon  stava  per  fante, 
Ch'  in  casa  della  gìovene  già  stette 

A'  servìgi  del  padre,  e  d' essa  amante 
Fu  da'  primi  anni,  e  del  suo  amor  godette. 
Ben  8*^ adocchiar,  ma  non  ne  fer  sembiante; 
Ch'.eisser  notato  ognun  di  lor  temette: 
Ma  tosto  ch'i  patroni  e  la  famiglia 
Lor  dieron  luogo,  alzar  tra  lor  le  ciglia. 

67  II  fante  domandò  dov'  ella  gisse, 
E  qual  dei  duo  signor  V  avesse  seco. 
A  punto  la  Fiammetta  il  fatto  disse 

(Cosi  avea  nome,  e  quel  garzone  il  Greco). 
Quando  sperai  che  '1  tempo,  oimèl  venisse 
(li  Greco  le  dicea)  di  viver  teco, 
Fiammetta,  anima  mia,  tu  te  ne  vai, 
£  non  so  più  di  rivederti  mai. 

68  Fannosi  i  dolci  miei  disegni  amari, 
Poiché  sei  d' altri ,  e  tanto  mi  ti  scosti. 
Io  disegnava,  avendo  alcun' danari 
Con  gran  fatica  e  gran  sudor  riposti , 
Ch'  avanzato  m' avea  de'  miei  salari 

£  delle  bene  andate  di  molti  osti. 
Di  tornare  a  Valenza,  e  domandarti 
Al  padre  tuo  per  moglie,  e  di  sposarti. 


CANTO  VENTESIMOTTAVO.  117 

69     La  fancialla  negli  omeri  si  stringe, 
E  risponde  che  fa  tardo  a  venire. 
Piange  il  Greco  e  sospira,  e  parte  finge. 
Yoommi,  dice,  lasciar  cosi  morire? 
Con  le  tue  braccia  i  fianchi  almen  mi  cìnge  ; 
Lasciami  disfogar  tanto  desire: 
Ch'  innanzi  che  ta  parta,  ogni  momento 
Che  teco  io  stia,  mi  fa  morir  contento. 

60     La  pietosa  fanciulla  rispondendo  : 
Credi,  dicea,  che  men  di  te  noi  bramo; 
Ma  né  luogo  né  tempo  ci  comprendo 
Qui,  dove  in  mezzo  di  tanti  occhi  siamo. 
Il  Greco  soggiungea:  Certo  mi  rendo. 
Che  8* un  terzo  ami  me  dì  quel  ch'io  t'amo, 
In  questa  notte  almen  troverai  loco 
Che  ci  potrem  godere  insieme  un  poco. 

H     Come  potrò,  diceagli  la  fanciulla. 

Che  sempre  in  mezzo  a  duo  la  notte  giaccio? 
£  meco  or  l'uno  or  l'altro  si  trastulla, 
£  sempre  all'  un  di  lor  mi  trovo  in  braccio? 
Questo  ti  fia,  soggiunse  il  Greco,  nulla  ; 
Che  ben  ti  saprai  tor  di  questo  impaccio, 
£  uscir  di  mezzo  lor,  purché  tu  voglia  : 
£  dèi  voler,  quando  di  me  ti  doglia. 

S2     Pensa  ella  alquanto,  e  poi  dice  che  vegna 
Quando  creder  potrà  eh'  ognuno  dorma  ; 
£  pianamente  come  far  convegna, 
£  dell'andare  e  del  tornar  l'informa. 
11  Greco,  si  come  ella  gli  disegna. 
Quando  sente  dormir  tutta  la  torma. 
Viene  all'  uscio  e  lo  spìnge,  e  quel  gli  cede: 
£ntra  pian  piano,  e  va  a  tenton  col  piede. 

63     Fa  lunghi  i  passi ,  e  sempre  in  quel  di  dietro 
Tutto  si  ferma,  e  l'altro  par  che  muova 
A  guisa  che  di  dar  tema  nel  vetro  ; 
Non  che  '1  terreno  abbia  a  calcar,  ma  l'uova  : 
£  tien  la  mano  innanzi  simil  metro  ; 
Va  brancolando  infìn  che  '1  letto  trova  ; 
£  di  là  dove  gli  altri  avean  le  piante, 
Tacito  si  cacciò  col  capo  innante. 


132  ORLANDO  FURIOSO. 

S7     Vattene  in  pace,  alma  beata  e  bella. 
Cosi  i  miei  versi  avesson  forza,  come 
Ben  m' affaticherei  con  tutta  qaella 
Arte  che  tanto  il  parlar  orna  e  come, 
Perchè  mille  e  mill'anni,  e  più,  novella 
Sentisse  il  mondo  del  tuo  chiaro  nome. 
Vaitene  in  pace  alla  superna  sede, 
E  lascia  all'  altre  esempio  di  taa  fede. 

28  Air  atto  incomparabile  e  stopendo , 
Dal  cielo  il  Creator  giù  gli  occhi  volse, 
E  disse:  Più  di  quella  ti  commendo. 

La  cui  morte  a  Tarquinio  il  regno  tolse  ; 
E  per  questo  una  legge  fare  intendo 
Tra  quelle  mìe  che  mai  tempo  non  sciolse, 
J^a  qual  per  le  inviolabil  acque  giuro 
Che  non  muterà  secolo  futuro. 

29  Per  V  avvenir  vo'  che  ciascuna  eh'  aggia 
Il  Bome  tuo,  sia  di  sublime  ingegno, 

E  sia  bella,  gentil,  cortese  e  saggia, 
E  di  vera  onestade  arrivi  al  segno  : 
Onde  materia  agli  scrittori  caggia 
Di  celebrare  il  nome  inclito  e  degno  ; 
Talché  Parnasso,  Pindo  ed  Elicone 
Sempre  Isabella,  Isabella  rìsuone. 

30  Dio  cosi  disse,  e  fé  serena  intorno 
L'aria,  e  tranquillo  il  mar,  più  che  mai  fosse. 
Fé  l'alma  casta  al  terzo  ciel  ritorno, 

£  in  braccio  al  suo  Zerbin  si  ricondusse. 
Rimase  in  terra  con  vergogna  e  scorno 
Quel  fier  senza  pietà  nuovo  Breusse  ; 
Che,  poi  che  '1  troppo  vino  ebbe  digesto, 
Biasmò  il  suo  errore,  e  ne  restd  funesto. 

31  Placare  o  in  parte  satisfar  pensosse 
Air  anima  beata  d' Isabella, 

Se^,  poich*  a  morte  il  corpo  le  percosse, 
Desse  almen  vita  alla  memoria  d' ella. 
Trovò  per  mezzo,  acciò  che  cosi  fosse. 
Di  convertirle  quella  chiesa,  quella 
Dove  abitava,  e  dov'ella  fu  uccisa. 
In  un  sepolcro;  e  vi  dirò  in  che  guisa. 


CANTO  VBNTESlMOftONO.  133 

32  Di  tutu  i  lochi  intorno  fa  venire 
Mastri,  chi  per  amore  e  chi  per  tema; 
£  fatto  ben  sei  mila  uomini  onire, 
De'  gravi  sassi  i  vicin  monti  scema, 
£  ne  fa  una  gran  massa  stabilire, 
Che  dalla  cima  era  alla  parte  estrema 
Novanta  braccia^  e  vi  rinchiude  dentro 

La  chiesa,  che  i  duo  amanti  bave  nel  centro. 

33  Imita  quasi  la  superba  mole 
Che  fé  Adriano  all'  onda  tiberina: 
Presso  al  sepolcro  una  torre  alta  vuole; 
Ch'  abitarvi  alcun  tempo  si  destina. 

Un  ponte  stretto,  e  di  due  braccia  sole, 
Fece  su  l' acqua  che  correa  vicina. 
Lungo  il  ponte,  ma  largo  era  si  poco, 
Che  dava  appena  a  duo  cavalli  loco; 

34  A  duo  cavalli  che  venuti  a  paro, 
0  eh'  insieme  si  fossero  scontrati  : 
£  non  avea  né  sponda  né  riparo, 

.  £  si  potea  cader  da  tutti  i  lati. 
Il  passar  quindi  vuol  che  costi  caro 
A  guerrieri  o  pagani  o  battezzati  ; 
Che  delle  spoglie  lor  mille  trofei 
Promette  al  cimiterio  di  costei. 

35  In  dieci  giorni  e  in  manco  fu  perfetta 
L'opra  del  ponticel,  che  passa  il  fiume; 
Ma  non  fu  già  il  sepolcro  cosi  in  fretta. 
Né  la  torre  bondotta  al  suo  cacume  : 
Pur  fu  levata  si,  eh'  alla  veletta 

Starvi  in  cima  una  guardia  avea  costume 
Che  d'ogni  cavalier  che  venia  al  ponte, 
Col  corno  facea  segno  a  Rodomonte. 

36  £  quel  s'armava,  e  se  gli  venia  a  opporre 
Ora  su  l'una,  ora  su  l'altra  riva; 

Che  se  il  guerrier  venia  di  ver  la  torre. 
Su  l'altra  proda  il  re  d' Algier  veniva. 
Il  ponticello  è  il  campo  ove  si  corre  ; 
£  se  '1  destrier  poco  del  segno  usciva, 
Gadea  nel  fiume ,  eh'  alto  era  e  profondo  : 
Ugual  periglio  a  quel  non  avea  il  mondo. 
II.  ^2 


134  OBLANOO  FUAIOSO. 

37  Aveasi  immaginato  il  Saracino, 
Che  per  gir  spesso  a  rischio  di  cadere 
Dal  ponticel  nel  fiume  a  capo  chino ,   * 
Dove  gli  converria  molt' acqua  bere. 
Del  fallo  a  che  l'indusse  il  troppo  vino, 
Dovesse  netto  e  mondo  rimanere  ; 

Come  r acqua,  non  men  che  il  vino,  estingua 
L' error  che  fa  pel  vino  o  mano  o  lingua. 

38  Molti  fra  pochi  di  vi  capitare. 
Alcuni  la  via  dritta  vi  condusse  ; 

Gh'  a  quei  che  verso  Italia  o  Spagna  andare. 
Altra  non  era  che  più  trita  fusse: 
Altri  l'ardire,  e  più  che  vita  caro 
L'onore,  a  farvi  di  sé  prova  indusse; 
E  tutti,  ove  acquistar  credean  la  pahna, 
Lasciavan  l' arme,  e  molti  insieme  l' alma. 

30      Di  quelli  eh'  abbattea,  s' eran  pagani. 
Si  contentava  d' aver  spoglie  ed  armi  ; 
E  di  chi  prima  foro,  i  nomi  piani 
Vi  facea  sopra,  e  sospendeale  ai  marmi  : 
Ma  ritenea  in  prigion  tutti  i  cristiani  ; 
E  che  in  Algier  poi  li  mandasse  parmi. 
Finita  ancor  non  era  l' opra,  quando 
Vi  venne  a  capitare  il  pazzo  Orlando. 

40  ,  A  caso  venne  il  furioso  conte 
A  capitar  su  questa  gran  riviera, 
Dove,  come  io  vi  dico.  Rodomonte 
Fare  in  fretta  facea,  nò  finita  era 

La  torre,  né  il  sepolcro,  e  appena  il  ponte  : 

E  di  tutte  arme,  fuorché  di  visiera, 

A  queli'  ora  il  pagan  si  trovò  in  punto, 

Gh'  Orlando  al  fiume  e  al  ponte  é  sopraggiunto. 

41  Orlando  (come  il  suo  furor  lo  caccia) 
Salta  la  sbarra,  e  sopra  il  ponte  corre. 
Ma  Rodomonte  con  turbata  faccia, 

A  pie,  com'era  innanzi  alla  gran  torre, 
Gli  grida  di  lontano  e  gli  minaccia. 
Né  se  gli  degna  con  la  spada  opporre  : 
Indiscreto  villan,  ferma  le  piante, 
Temerario,  importuno  ed  arrogante. 


CANTO  VBNTBSIHONONO.  135 

42  Sol  per  signori  e  cavalieri  è  fatto 
Il  ponte,  non  per  te,  bestia  balorda. 
Orlando,  ch'era  in  gran  pensier  distratto, 
Vìen  pnr  innanzi,  e  fa  l'orecchia  sorda. 
Bisogna  eh'  io  castighi  questo  inatto , 

-    Disse  il  pagano  ;  e  con  la  voglia  ingorda 
Y^nidL  per  traboccarlo  giù  nell'  onda , 
Non  pensando  trovar  chi  gli  risponda. 

43  In  questo  tempo  nna  gentil  donzella, 
Per  passar  sovra  il  ponte,  al  fiame  arriva, 
Leggiadriamente  ornata,  e  in  viso  bella, 

E  nei  sembianti  accortamente  schiva. 
Era  (se  vi  ricorda ,  signor)  quella 
Che  per  ogni  altra  via  cercando  giva 
Di  Brandimarte,  il  suo  amator,  vestigi 
Fuorché,  dov'  era,  dentro  da  Parigi. 

44  Neil'  arrivar  di  Fiordiligì  al  ponte 
(Che  cosi  la  donzella  nomata  era). 
Orlando  s'attaccò  con  Rodomonte, 
Che  lo  volea  gittar  nella  riviera. 

La  donna,  ch'avea  pratica  del  conte, 
Subito  n'  ebbe  conoscenza  vera  ; 
E  restò  d' alta  maraviglia  piena, 
Della  follia  che  cosi  nudo  il  mena. 

45  Ferman  a  riguardar  che  fine  avere 
Debba  il  furor  dei  duo  tanto  possenti. 
Per  far  del  ponte  l' un  l' altro  cadere 
A  por  tutta  lor  forza  sono  intenti. 
Come  è  eh'  un  pazzo  debba  si  valere? 
Seco  il  fiero  pagan  dice  tra'  denti; 

E  qua  e  là  si  volge  e  si  raggira , 
Pieno  di  sdegno  e  di  superbia  e  d' ira. 

46  Con  r  una  e  l' altra  man  va  ricercando 
Far  nova  presa,  ove  il  suo  meglio  vede  : 
Or  tra  le  gambe  or  fuor  gli  pone,  quando 
Con  arte  il  destro,  e  quando  il  manco  piede. 
Simiglia  Rodomonte  intomo  a  Orlando 

Lo  stolido  orso,  che  sveller  si  crede 
L' arbor  onde  è  caduto  ;  e  come  n'  abbia 
Quello  ogni  colpa,  odio  gli  porta  e  rabbia. 


136  ORLANDO  FURIOSO. 

47  Orlando y  che  l'ingegno  avea  sommerso 
Io  non  80  dove,  e  sol  la  forza  usava, 

V  estreiDa  forza,  a  cai  per  V  universo 
Nessuno  o  raro  paragon  si  dava; 
Cader  del  ponte  si  lasciò  riverso 
Col  pagano,  abbracciato  come  stava. 
Cadon  nel  flume,  e  vanno  al  fondo  insieme: 
Ne  salta  in  aria  V  onda,  e  il  lite  geme. 

48  ^  L' acqua  li  fece  distaccare  in  fretta. 
Orlando  ò  nudo,  e  nuota  com'  un  pesce: 
Di  qua  le  braccia,  e  di  là  ì  piedi  getta, 
E  viene  a  proda  ;  e  come  di  fuor  esce. 
Correndo  va,  né  per  mirare  aspetta, 

Se  in  biasmo  o  in  loda  questo  gli  riesce. 
Ma  il  pagan,  che  dall'  arme  era  impedito. 
Tornò  più  tardo  e  con  più  affanno  al  lite. 

40     Sicuramente  Fiordifa'gi  intanto 
Avea  passato  il  ponte  e  la  riviera, 
E  guardato  il  sepolcro  in  ogni  canto. 
Se  del  suo  Brandimarte  insegna  v'  era. 
Poiché  nò  Tarme  sue  vede  né  il  manto, 
Di  ritrovarlo  in  altra  parte  spera. 
Ma  ritorniamo  a  ragionar  del  conte. 
Che  lascia  addietro  e  torre  e  fiume  e  ponte. 

60     Pazzia  sarà,  se  le  pazzie  d'Orlando 
Prometto  raccontarvi  ad  una  ad  una  ; 
Che  tante  e  tante  fur,  eh'  io  non  so  quando 
Finir:  ma  ve  n'andrò  scegliendo  alcuna 
Solenne  ed  atta  da  narrar  cantando, 
E  eh'  air  istoria  mi  parrà  opportuna  ; 
Né  quella  tacerò  miracolosa. 
Che  fu  ne'  Pirenei  sopra  Tolosa. 

51      Trascorso  avea  molto  paese  il  conte, 
Come  dal  grave  suo  furor  fu  spinto  ; 
Ed  alfin  capitò  sopra  quel  monte. 
Per  cui  dal  Franco  é  il  Tarracon  distinto; 
Tenendo  tuttavia  volta  la  fronte 
Verso  là  dove  il  Sol  ne  viene  estinto: 
E  quivi  giunse  in  uno  angusto  calle. 
Che  pendea  sopra  una  profonda  valle. 


CANTO  V£NTESIH0N0NO.  137 

52  Si  vennero  a  incontrar  con  esso  al  varco 
Duo  boscherecci  -gioveni  eh'  innante 
Avean  di  legna  un  lor  asino  carco: 

E  perchè  ben  s'accorsero  al  sembiante, 
Gh'avea  di  cervel  sano  il  capo  scarco, 
Gli  gridano  con  voce  minacciante,     ^ 
O  ch'addietro  o  da  parte  se  ne  vada, 
E  che  si  levi  di  mezzo  la  strada. 

53  Orlando  non  risponde  altro  a  quel  detto, 
Se  non  che  con  furor  tira  d'  un  piede, 

E  giunge  a  punto  V  asino  nel  petto  ' 
Con  quella  forza  che  tutte  altre  eccede; 
Ed  alto  il  leva  si,  ch'uno  augelletto 
Che  voli  in  aria  sembra  a  chi  lo  vede. 
Quel  va  a  cadere  alla  cima  d' un  colle 
Gh'  un  miglio  oltre  la  valle  il  giogo  estolle. 

54  Indi  verso  i  duo  gioveni  s' avventa. 

Dei  quali  un,  più  che  senno,  ebbe  avventura: 
Che  dalla  balza  che  due  volte  trenta 
Braccia  cadea,  si  gittò  per  paura. 
A  mezzo  il  tratto  trovò  molle  e  lenta 
Una  macchia  di  rubi  e  di  verzura, 
A  cui  bastò  graffiargli  un  poco  il  volto; 
Del  resto,  lo  mandò  libero  e  sciolto. 

55  L' altro  s' attacca  ad  un  scheggion  eh'  usciva 
Fuor  della  roccia,  per  salirvi  sopra; 

Perchè  si  spera,  s'alia  cima  arriva, 
Di  trovar  via  che  dal  pazzo  lo  cuopra. 
Ma  quel  nei  piedi  (che  non  vuol  che  viva) 
Lo  piglia,  mentre  di  salir  s'adopra; 
£  quanto  più  sbarrar  puote  le  braccia. 
Le  sbarra  si,  eh'  in  duo  pezzi  lo  straccia; 

56  A  quella  guisa  che  veggìam  talora 
Farsi  d'uno  aeron,  farsi  d'un  pollo, 
Quando  si  vuol  delle  calde  interiora 
Che  falcone  o  eh'  astor  resti  satollo. 
Quanto  è  bene  accaduto  che  non  muora 
Quel  che  fu  a  risco  di  fiaccarsi  il  collo  I 
Ch'àd  altri  poi  questo  miracol  disse, 

Si  che  r  udì  Turpino,  e  a  noi  lo  scrisse. 

4r 


138  ORLANDO  FURIOSO. 

57     E  queste  ed  altre  assai  cose  stupende 
Fece  nel  traversar  della  montagna. 
Dopo  molto  cercare,  alfin  discende 
Verso  merigge  alla  terra  di  Spagna; 
E  tango  la  marina  il  cammin  prende 
Ch*  intorno  a  Tarracona  il  lite  bagna: 
E  come  vuol  la  furia  che  lo  mena, 
Pensa  farsi  uno  albergo  in  queir  arena, 

(8     Dove  dal  sole  alquanto  si  ricuopra; 
E  nel  sabbion  si  caccia  arido  e  trito. 
Stando  cosi,  gli  venne  a  caso  sopra 
Angelica  la  bella  e  il  suo  marito, 
Gh'eran  (siccome  io  vi  narrai  di  sopra) 
Scesi  dai  monti  in  su  ì*  Ispano  lito. 
A  men  d'  un  braccio  ella  gli  giunse  appresso, 
Perché  non  s*  era  accorta  ancora  d'  esso. 

69     Che  fosse  Orlando,  nulla  le  sovviene; 
Troppo  é  diverso  da  quel  eh*  esser  suole. 
Da  indi  in  qua  che  quel  furor  lo  tiene, 
È  sempre  andato  nudo  all'  ombra  e  al  sole. 
Se  fosse  nato  air  aprica  Siene, 
0  dove  Ammone  il  Garamante  cole, 
0  presso  ai  monti  onde  il  gran  Nilo  spiccia. 
Non  dovrebbe  la  carne  aver  più  arsiccia. 

W    Quasi  ascosi  avea  gli  occhi  nella  testa, 
La  faccia  macra,  e  come  un  osso  asciutta, 
La  chioma  rabbuffata,  orrida  e  mesta, 
La  barba  folta,  spaventosa  e  brutta. 
Non  più  a  vederlo  Angelica  fu  presta. 
Che  fosse  a  ritornar,  tremando  tutta  : 
Tutta  tremando,  e  empiendo  il  ciel  di  grida. 
Si  volse  per  aiuto  alla  sua  guida. 

61     Come  di  lei  s' accorse  Orlando  stollo. 
Per  ritenerla  si  levò  di  botto , 
Cosi  gli  piacque  il  delicato  volto. 
Cosi  ne  venne  immantinente  ghiotto. 
D' averla  amata  e  riverita  molto 
Ogni  ricordò  era  in  lui  guasto  e  rotto. 
Gli  corre   dietro,  e  tien  quella  maniera 
Che  terria  il  cane  a  seguitar  la  fera. 


CANTO  VBNTESUIOMONO.  139 

62  11  giovine,  che  '1  pazzo  seguir  vede 
La  donna  saa,  gli  urta  il  cavallo  addosso  ^ 
E  tatto  a  an  tempo  lo  percuote  e  fìede, 
Come  lo  trova  che  gli  volta  il  dosso. 
Spiccar  dal  busto  il  capo  se  gli  crede: 
Ma  la  pelle  trovò  dura  come  osso, 

Anzi  via  più  eh'  acciar;  eh'  Orlando  nato 
Impenetrabil  era  ed  affatato. 

63  Come  Orlando  senti  battersi  dietro, 
Girossi,  e  nel  girare  ii  pugno  strinse, 
E  con  la  forza  che  passa  ogni  metro. 
Feri  il  destrier  che  '1  Saracino  spìnse. 
Ferii  sol  capo  ;  e  come  fosse  vetro, 
Lo  spezzò  si,  che  quel  cavallo  estinse  ; 
E  rivoltosse  in  un  medesmo  istante 
Dietro  a  colei  che  gli  fuggiva  innante. 

64  Caccia  Angelica  in  fretta  la  giumenta; 
E  con  sferza  e  con  spron  tocca  e  ritocca; 
Che  le  parrebbe  a  quel  bisogno  lenta, 
Sebben  volasse  più  che  strai  da  cocca. 
Dell' anel  e' ha  nel  dito  si  rammenta. 
Che  può  salvarla,  e  se  lo  getta  in  bocca  ; 
E  l'anel,  che  non  perde  il  suo  costume. 
La  fa  sparir  come  ad  un  soffio  il  lume. 

65  0  fosse  la  paura,  o  che  pigliasse 
Tanto  disconcio  nel  mutar  l'anello, 
Oppur  che  la  giumenta  traboccasse, 

Che  non  posso  affermar  questo  né  quello  ; 
Nel  medesmo  momento  che  si  trasse 
L'anello  in  bocca,  e  celò  il  viso  bello. 
Levò  le  gambe,  ed  usci  dell'arcione, 
E  si  trovò  riversa  in  sul  sabbione. 

66  Più  corto  che  quel  salto  era  dna  dita. 
Avviluppata  rimanea  col  matto. 

Che  con  l' orto  le  avria  tolta  la  vita  ; 
Ma  gran  ventura  l' aiutò  a  quel  tratto. 
Cerchi  pur  eh'  altro  furto  le  dia  aita 
D'un' altra  bestia,  come  prima  ha  fatto; 
Che  più  non  è  per  riaver  mai  questa 
Ch'  innanzi  al  paladin  l' arena  pesta. 


140  ORLANDO  FUBIOSO. 

67     Non  dabitate  già  eh'  ella  non  s' abbia 
A  provvedere  ;  e  seguitiamo  Orlando, 
In  coi  non  cessa  V  impeto  e  la  rabbia, 
Perchè  si  vada  Angelica  celando. 
Segue  la  bestia  per  la  nada  sabbia, 
E  se  le  vien  più  sempre  approssimando: 
Già  già  la  tocca,  ed  ecco  l' ha  nel  crine, 
Indi  nel  freno,  e  la  ritiene  alfine. 

^    6S      Con  quella  festa  il  paladin  la  piglia, 
Gh'an  altro  avrebbe  fatto  una  donzella: 
Le  rassetta  le  redine  e  la  briglia, 
E  spicca  nn  salto,  ed  entra  nella  sella; 
E  correndo  la  caccia  molte  miglia, 
Senza  riposo,  in  questa  parte  e  in  quella: 
Mai  non  le  leva  nò  sella  nò  freno, 
Nò  le  lascia  gustare  erba  nò  fieno. 

40     Volendosi  cacciare  oltre  una  fossa, 
Sozzopra  se  ne  va  con  la  cavalla. 
Non  nocque  a  lui,  nò  senti  la  percossa  ; 
Ma  nel  fondo  la  misera  si  spalla. 
Non  vede  Orlando  come  trar  la  possa, 
£  finalmente  se  l'arreca  in  spalla, 
E  su  ritorna,  e  va  con  tutto  il  carco, 
Quanto  in  tre  volte  non  trarrebbe  un  arco. 

70  Sentendo  poi  che  gli  gravava  troppo, 
La  pose  in  terra,  e  volea  trarla  a  mano: 
Ella  il  seguia  con  passo  lento  e  zoppo. 
Dicea  Orlando:  Cammina  ;  e  dicea  invano. 
Se  r  avesse  seguito  di  galoppo , 

Assai  non  era  al  desiderio  insano. 
Alfin  dal  capo  le  levò  il  capestro, 
E  dietro  la  legò  sopra  il  piò  destro  ; 

71  E  cosi  la  strascina,  e  la  conforta 
Che  lo  potrà  seguir  con  maggior  agio. 
Qoal  leva  il  pelo,  e  quale  il  cuoio  porta, 
Dei  sassi  eh'  eran  nel  cammin  malvagio. 
La  mal  condotta  bestia  restò  morta 
Finalmente  di  strazio  e  di  disagio. 
Orlando  non  le  pensa  e  non  la  guarda  ; 

E  via  correndo,  il  suo  cammin  non  tarda. 


CANTO  VBNTESIBIONONO. 

72  Di  trarla ,  anco  che  morta,  non  rimase, 
Continuando  il  corso  ad  occidente: 

E  tuttavia  saccheggia  ville  e  case, 

Se  bisogno  di  cibo  aver  si  sente; 

E  frutte  e  carne  e  pan,  purch'  egli  invase, 

Rapisce,  ed  usa  forza  ad  ogni  gente  : 

Qual  lascia  morto,  e  qoal  storpiato  lassa; 

Poco  si  ferma,  e  sempre  innanzi  passa. 

73  Avrebbe  cosi  fatto,  o  poco  manco. 
Alla  sua  donna,  se  non  s'ascondea; 
Perchè  non  dìscernea  il  nero  dal  bianco, 
E  di  giovar,  nocendo,  si  credea. 

Deh  maledetto  sia  ranelle,  ed  anco 
Il  cavalier  che  dato  le  1*  aveal 
Che  se  non  era,  avrebbe  Orlando  fatto 
Di  sé  vendetta  e  di  miir  altri  a  un  tratto. 

74  Né  questa  sola,  ma  fosser  pur  state 
In  man  d' Orlando  quante  oggi  ne  sono: 
Ch'ad  ogni  modo  tutte  sono  ingrate. 
Né  si  trova  tra  loro  oncia  di  buono. 

Ma  prima  che  le  corde  rallentate 
Al  Canto  disugual  rendano  il  suono, 
Fia  meglio  differirlo  a  un'  altra  volta. 
Acciò  men  sia  noioso  a  chi  V  ascolta. 


141 


BTOTB. 


Si.  4.  V.  5. — Faida  .*  qui  detto  me* 
Uforìcamente  a  sigaificare  difesa. 

St.  6.  f  .6. — Né  si  ragguaglia  :  noo 
h  concorde. 

St.il. V. 7. —  ìnviùlabil:  iovulae- 
rabfle. 

St.  49. 9.  i. —  Cigno  :  personaggio 
mitologico,  diverso  dal  re  ligure  oomi- 
Dato  Della  St.  34  del  Canto  III.  I  poeti 
lo  finsero  figliuol  di  Nettuno,  e  inTnloe* 
rabile  come  Achille. 

St.  23.  9.  6.  —  Dispaia  :  separa, 
dÌKcroe. 


St.  27.  V.  4.—  Come:  fa  bello; 
voce  latina. 

«{"r.  28.  e.  4-7. —la  ctt j  morie  ee. 
Perla  di  Lucresia  moglie  dì  Collatioo, 
violata  da  Sesto  Tarquinio;  onde  la  cae« 
ciata  di  quella  famiglia  da  Roma.— 
Per  le  inviolabil  acque  :  per  la  palude 
Stigia;  frase  adoperata  dai  poeti,  on- 
d*  esprimere  il  giuramento  inviolabile 
degli  Dei. 

«fi.  30.  <^.  3-8 — Al  Uno  del:  al 
cielo  di  Venere^  sede  delle  anime  inna- 
morate. — Breusse  :  personaggio  di  cui 


142 


ORLANDO  FURIOSO. 


parlano  i  romaoti  della  Tavola  Roton- 
da, ivi  pure  soprannomioato  senui  jnie- 
tà,-^  Funesto,'  funestato ,  afllitto. 

St.  33.  f .  1*2.  —  La  superba  mo» 
1%  te.  :  il  sepolcro  di  Adriano  sai  Te- 
vere» ora  Castel  Sant'Angelo. 

ó'/.  35.  V,  4-5.  —  Cacume  :  cima.— 
Veletta  e  vedetta  dicesi  il  soldato  che  fa 
la  sentinella,  e  il  luogo  dov'egli  si  sta. 

St^Zl, 9,1'%.  — Come  l'acqua  ec. 
Il  sentimento  di  questi  due  versi  non 
ha  bisogne^  di  dicbiarasione;  ma  non 
dispiacerai  che  si  noti  come  sono  nell'edi- 
sione  del  1516,  che  legge: 

Pur  oome  l'acqua  il  vino,  eoal estingaa 
L*error  eha  fa  per  vino  o  mano  o  lingaa. 

St,  54.  ir.  5-6. — Lenta  t  qvàjlessim 
bile,  cedevole. —  Rubi  e  rovi,  pruni. 


St.  56.  ¥,  4.  -~  Aeron  : 
grande  uccello  acquatico. 

St.  òd.v.òJÌ.—Jirapriea  Siene.- 
città  d* Egitto,  delta  dai  Latini  Semee, 
ai  confini  dell'  Etiopia ,  sotto  la  tona 
torrida.  «^  O  dove  Ammone  il  Gara- 
mante  cole»  Gararoaoti  chiamaronsi  al- 
cuni popoli  della  Libia,  ora  forse  i  2Ì6- 
bous,  come  altrove  si  è  detto;  ivi  fa  il 
tempio  e  l' oracolo  di  Giove  Ammooe. 
— O presso  ai  monti  ec.  :  i  monti  della 
Luna  in  Etiopia  ,  altra  volta  ricordati. 

St.  64.  V.  4. — Cocca.'  la  tacca  della 
freccia,  dov'entra  la  corda  dell'arco;  e 
qui,  per  estensione,  l'arco  stesso,  o  il 
luogo  della  corda  dove  si  posa  la  freccia. 

St,  72.  V.  5. —  Purch'egli  invase  .- 
purché  invasi,  metta  nel  vaso,  ossia  nel 
venire;  mangi. 


CASSTO   TREKTESraiO. 


dìm(B^Oìmov(D» 

Aìlre  strane  passie  di  Orlando.  Mandricardo  e  Ruggiero  combattono  insieme  per 
lo  scudo  di  Ettore  e  per  la  spada  di  Orlando.  Ruggiero  vi  resta  ferito,  e  Man- 
dricardo vi  muore.  Bradamanie  riceve  da  Ippalca  la  lettera  di  Ruggiero,  e  si 
duole  di  lui.  Rinaldo  viene  a  Montalbano,  e  conduce  seco  i  fratelli  e  i  cugini 
in  aiuto  di  Carlo. 


Quando  vìncer  dall'  ìmpeto  e  dall'  ira 
Si  lascia  la  ragion,  né  si  difende, 
E  che  *1  cieco  furor  si  innanzi  tira 
O  mano  o  lingoa,  che  gli  amici  offende; 
Sebben  di  poi  si  piange  e  si  sospira, 
Non  è  per  qaesto  che  1*  error  s' emende. 
Lasso l  io  mi  doglio  e  affliggo  invan  di  quanto 
Dissi  per  ira  al  fin  deir  altro  Canto. 


CANTO  TRENTESIMO.  143 

2  Ma  simile  son  fatto  ad  uno  inferjno, 
Che,  dopo  molta  pazienziae  molta, 
Quando  contra  il  dolor  non  ha  più  schermo, 
Cede  alla  rabbia ^  e  a  bestemmiar  si  volta. 
Manca  il  dolor,,  né  V  impeto  sta  fermo, 
Che  la  lingua  al  dir  mal  facea  si  sciolta: 

E  si  ravvede  e  pente,  e  n'ha  dispetto; 
Ma  quel  e' ha  detto,  non  può  far  non  detto. 

3  Ben  spero,  donne,  in  vostra  cortesia 
Aver  da  voi  perdon,  poich'  io  ve  '1  chieggio. 
Voi  scuserete,  che  per  frenesìa, 

Vinto  dair  aspra  passion ,  vaneggio. 

Date  la  colpa  alla  nimica  mia. 

Che  mi  fa  star,  ch'io  non  potrei  star  peggio; 

£  mi  fa  dir  quel  di  eh'  io  son  poi  gramo: 

Salto  Iddio,  s'ella  ha  il  torto;  essa,  s'io  l'amo. 

4  Non  men  son  fuor  di  me,  che  fosse  Orlando; 
£  non  son  men  di  lui  di  scusa  degno , 

Ch'or  per  li  monti,  or  per  le  piaggie  errando, 

Scorse  in  gran  parte  di  Marsilio  il  regno. 

Molti  di  la  cavalla  strascinando 

Morta,  com'era,  senza  alcun  ritegno; 

Ma  giunto  ove  un  gran  fiume  entra  nel  mare, 

Gli  fu  forza  il  cadavero  lasciare. 

5  £  perchè  sa  nuotar  come  una  lontra, 
Entra  nel  fiume,  e  surge  all'  altra  riva. 
Ecco  un  pastor  sopra  un  cavallo  incontra, 
Che  per  abbeverarlo  al  fiume  arriva. 
Colui,  benché  gli  vada  Orlando  incontra, 
Perchè  egli  è  solo  e  nudo,  non  io  schiva. 
Vorrei  del  tuo  ronzin,  gli  disse  il  matto, 
Con  la  giumenta  mia  far  un  baratto. 

6  Io  te  la  mostrerò  di  qui,  se  vuoi; 
Che  morta  là  su  l' altra  ripa  giace  : 
la  potrai  far  tu  medicar  di  poi: 
Altro  difetto  in  lei  non  mi  dispiace. 

Con  qualche  aggiunta  il  ronzin  dar  mi  puoi  : 
Smontane  in  cortesia,  perchè  mi  piace. 
Il  pastor  ride ,  e  senz'  altra  risposta 
Va  verso  il  guado,  e  dal  pazzo  si  scosta. 


144  OBLANDO  FDBIOSO. 

7  Io.  voglio  il  tao  cavallo:  olà,  non  odi? 
Soggiunse  Orlando,  e  con  furor  si  mosse. 
Avea  un  baston  con  nodi  spessi  e  sodi 
Quel  pastor  seco,  e  il  paladin  percosse. 
La  rabbia  e  l' ira  passò  tutti  i  modi 

Del  conte,  e  parve  fier  più  che  mai  fosse. 

Sul  capo  del  pastore  un  pugno  serra. 

Che  spezza  Fosso,  e  morto  il  caccia  in  terra. 

8  Salta  a  cavallo,  e  per  diversa  strada 
Va  discorrendo  9  e  molti  pone  a  sacco. 
Non  gusta  il  ronzin  mai  fieno  né  biada; 
l'anto  ch'in  pochi  di  ne  rìman  fiacco: 
Ma  non  però  eh*  Orlando  a  piedi  vada, 
Che  di  vetture  vuol  vivere  a  macco; 

E  quante  ne  trovò,  tante  ne  mise 
In  uso,  poi  che  i  lor  patroni  accise. 

9  Capitò  alfin  a  Malega,  e  più  danno 
Vi  fece,  ch'egli  avesse  altrove  fatto; 
Che,  oltre  che  ponesse  a  saccomanno 
Il  popol  si,  che  ne  restò  disfatto. 

Né  si  potè  rifar  quel  né  raltr'anno. 
Tanti  n'  uccise  il  periglioso  matto , 
Vi  spianò  tante  case,  e  tante  accese. 
Che  disfo  più.  che  'i  terzo  del  paese. 

iO     Quindi  partito,  venne  ad  una  terra , 
Zizera  detta,  che  siede  allo  stretto 
Di  Zibeltarro,  o  vuoi  di  Zibelterra; 
Che  r  uno  e  V  altro  nome  le  vien  detto: 
Ove  una  barca  che  sciogliea  da  terra. 
Vide  piena  di  gente  da  diletto , 
Che  sollazzando  all'  aara  mattutina 
Già  per  la  tranquillissima  marina. 

il      Cominciò  il  pazzo  a  gridar  forte:  Aspetta; 
Che  gli  venne  disio  d' andare  in  barca, 
ma  bene  invano  e  i  gridi  e  gli  urli  getta; 
Che  volentier  tal  merce  non  si  carca. 
Per  r  acqua  il  legno  va  con  quella  fretta , 
Che  va  per  l' aria  irondine  che  varca. 
Orlando  urta  il  cavallo  e  batte  e  stringe , 
E  con  un  mazzafrusto  al  mar  lo  spinge. 


CANTO  TBENTBSIUO.  14^ 

42  Forza  è  eh'  alfin  neir  acqua  il  cavallo  entre  ; 
Ch'  invan  contrasta,  e  spende  invano  ogni  opra  : 
Bagna  i. ginocchi,  e  poi  la  groppa  e  '1  ventre, 
Indi  la  testa,  e  appena  appar  di  sopra. 
Tornare  addietro  non  si  speri,  mentre 

La  verga  tra  V  orecchie  se  gli  adopra. 
Misero!  o  si  convien  tra  via  affogare, 
O  nel  lite  african  passare  il  mare. 

43  Non  vede  Orlando  più  poppe  nè«ponde, 
Che  tratto  in  mar  l' avean  dal  lite  asciutto  ; 
Che  son  troppo  lontane,  e  le  nasconde 
Agli  occhi  bassi  V  alto  e  mobil  flutto: 

E  tuttavia  il  destrier  caccia  tra  V  onde  ; 
Ch'andar  di  là  dal  mar  dispone  in  tutto. 
Il  destrier,  d'acqua  pieno  e  d'alma  voto, 
Finalmente  fini  la  vita  e  il  nuoto. 

i4     Andò  nel  fondo,  e  vi  traea  la  salma. 
Se  non  si  tenea  Orlando  in  su  le  braccia. 
Mena  le  gambe,  e  l' una  e  l' altra  palma, 
E  soffia,  e  l' onda  spinge  dalla  faccia. 
Era  l'aria  soave,  e  il  mare  in  calma: 
E  ben  vi  bisognò  più  che  bonaccia  ; 
Ch'ogni  poco  che  '1  mar  fosse  più  sorto. 
Restava  il  paladin  nell'  acqua  morto. 

i5     Ma  la  Fortuna,  che  dei  pazzi  ha  cura. 
Del  mar  lo  trasse  nel  lito  di  Setta, 
In  una  spiaggia,  lungi  dalle  mura, 
Quanto  sarian  duo  tratti  di  saetta. 
Lungo  il  mar  molti  giorni  alla  ventura 
Verso  Levante  andò  correndo  in  fretta , 
Finché  trovò,  dove  tendea  sol  lito. 
Di  nera  gente  esercito  infinito. 

46     Lasciamo  il  paladin  eh'  errando  vada; 
Ben  di  parlar  di  lui  tornerà  tempo. 
Quanto,  signore,  ad  Angelica  accada 
Dopo  ch'usci  di  man  del  pazzo  a  tempo, 
E  come  a  ritornare  in  sua  contrada 
Trovasse  e  buon  navilio  e  miglior  tempo, 
E  dell'  India  a  Medor  desse  lo  scettro. 
Forse  altri  canterà  con  miglior  plettro. 

•I.  ^3 


146  ORLANDO  FURIOSO. 

i7     Io  sono  a  dir  tante  altre  cose  intento, 
Che  di  seguir  più  questa  non  mi  cale. 
Volger  convienimi  il  bel  ragionamento 
Al  Tartaro  che,  spìnto  il  suo  rivale, 
Quella  bellezza  si  godea  contento, 
A  cai  non  resta  in  tutta  Europa  eguale, 
Poscia  che  se  n'  è  Angelica  partita, 
E  la  casta  Isabella  al  ciel  salita. 

18     Dtlla  sentenzia  Mandrìcardo  altiero, 
Ch'in  suo  favor  la  bella  donna  diede. 
Non  può  fruir  tutto  il  diletto  intero  ; 
Che  centra  lui  son  altre  liti  in  piede. 
L'una  gli  muove  il  giovine  Ruggiero, 
Perchè  l'aquila  bianca  non  gli  cede; 
L'altra  il  famoso  re  di  Serìcana, 
Che  da  lui  vuol  la  spada  Durindana. 

i9     S'affatica  Agramante,  nò  disciorre, 
Nò  Marsilio  con  lui,  sa  questo  intrico: 
Nò  solamente  non  li  può  disporre 
Che  voglia  l' un  dell'  altro  esser  amico  ; 
Ma  che  Ruggiero  a  Mandrìcardo  torre 
Lasci  lo  scudo  del  Troiano  antico , 
O  Gradasso  la  spada  non  gli  vieti, 
Tanto  che  questa  o  quella  lite  accheti. 

20  Ruggier  non  vuol  eh'  in  altra  pugna  vada 
Con  lo  suo  scudo  ;  nò  Gradasso  vuole 
Che,  fuor  che  centra  so,  porti  la  spada 
Che  '1  glorioso  Orlando  portar  suole. 

Alfin  veggiamo  in  cui  la  sorte  cada, 
Disse  Agramante,  e  non  sian  più  parole: 
Yeggiam  quel  che  Fortuna  ne  disponga, 
E  sia  preposto  quel  eh' ella  preponga. 

21  £  se  compiacer  meglio  mi  volete. 
Onde  d'aver  ve  n'abbia  obbligo  ognora. 
Chi  dò' di  voi  combatter  sortirete; 

Ma  con  patto,  eh'  al  primo  che  esca  fuora , 
Amendue  le  querele  in  man  porrete  ; 
Si  che,  per  sé  vincendo,  vinca  ancora 
Pel  compagno;  e  perdendo  l'un  di  vui, 
Cosi  perduto  abbia  per  ambidui. 


CANTO  TRENTESIMO.  147 

32     Tra  Gradasso  e  Ruggier  credo  che  sia 
Di  valor  nolla  o  poca  differenza  ; 
£  di  lor  qaal  si  vaol  venga  fuor  pria, 
So  eh'  in  arme  farà  per  eccellenza. 
Poi  la  vittoria  da  quel  canto  stia. 
Che  vorrà  la  divina  Provvidenza. 
11  cavalier  non  avrà  colpa  alcuna, 
Ma  il  tutto  impaterassi  alla  Fortuna. 

83  Steron  taciti  al  detto  d' Agramante 
E  Ruggiero  e  Gradasso  ;  ed  accordarsi 
Che  qualunque  di  loro  uscirà  innante, 
E  r  una  briga  e  V  altra  abbia  a  pigliarsi. 
Cosi  in  duo  brevi  eh'  avean  simigliante 
Ed  ugual  forma,  i  nomi  lor  notarsi; 

E  dentro  un'  urna  quelli  hanno  rinchiusi. 
Versati  molto,  e  sozzopra  confusi. 

84  Un  semplice  fanciul  neir  urna  messe 

La  mano,  e  prese  un  breve;  e  venne  a  caso 

Gh'  in  questo  il  nome  di  Ruggier  si  lesse , 

Essendo  quel  del  Serican  rimase. 

Non  si  può  dir  quanta  allegrezza  avesse 

Quando  Ruggier  si  senti  trar  del  vaso, 

E  d'altra  parte  il  Sericano  doglia; 

Ma  quel  che  manda  il  cìel,  forza  è  che  teglia. 

86     Ogni  suo  studio  il  Sericano,  ogni  opra 
A  favorire,  ad  aiutar  converte, 
Perchè  Ruggiero  abbia  a  restar  di  sopra; 
E  le  cose  in  suo  prò,  eh'  avea  già  esperte, 
Come  or  di  spada,  or  di  scudo  si  còpra, 
Qual  sien  botte  fallaci,  e  qual  sien  certe, 
Quando  tentar,  quando  schivar  fortuna 
Si  dee,  gli  torna  a  mente  ad  una  ad  una. 

26     n  resto  di  quel  di  che  dall'  accordo 
E  dal  trar  delle  sorti  sopravanza, 
fi  speso  dagli  amici  in  dar  ricordo. 
Chi  all'un  guerrier,  chi  all'altro,  com'è  usanza. 
Il  popol,  di  veder  la  pugna  ingordo,    ' 
S'aflTretta  a  gara  d' occupar  la  stanza: 
Né  basta  a  molti  innanzi  giorno  andarvi, 
Che  voglion  tutta  notte  anco  vegghiarvi. 


UH  OBLANDO  FURIOSO. 

27  La  sciocca  torba  disiosa  attende 

Ch'  i  dao  buon  cavalier  vengano  in  prova  ; 
Che  non  mira  più  lungi  nò  comprende 
Di  qnel  eh'  innanzi  agli  occhi  si  ritrova. 
Ma  Sobrino  e  Marsilio,  e  chi  più  intende, 
£  vede  ciò  che  naoce  e  ciò  che  giova, 
fiiasma  questa  battaglia,  ed  Agramante, 
Che  voglia  comportar  che  vada  innante. 

28  Nò  cessa  raccordargli  il  grave  danno 
Che  n'  ha  d' avere  il  popol  Saracino, 
Muora  Ruggiero  o  il  tartaro  tiranno. 
Quel  che  preGsso  è  dal  suo  fier  destino. 
D' un  sol  di  lor  via  più  bisogno  avranno 
Per  contrastare  al  figlio  di  Pipino, 
Che  di  dieci  altri  mila  che  ci  sono. 
Tra'  quai  fatica  ò  ritrovare  «n  buono. 

29  Conosce  il  re  Agramante  che  gli  ò  vero  ; 
Ma  non  può  più  negar  ciò  e'  ha  promesso. 
Ben  prega  Mandricardo  e  il  buon  Ruggiero, 
Che  gli  ridonìn  quel  e' ha  lor  concesso; 

£  tanto  più,  che  '1  lor  litigio  ò  un  zero, 
Nò  degno  in  prova  d' arme  esser  rimesso  : 
£  s' in  ciò  pur  noi  vogliono  ubbidire. 
Veglino  almen  la  pugna  differire. 

30  Cinque  o  sei  mesi  il  singnlar  certame, 
O  meno  o  più,  si  differisca,  tanto 

Che  cacciato  abbin  Carlo  del  reame, 
Tolto  lo  scettro,  la  corona  e  il  manto. 
Ma  f  un  e  l' altro,  ancorchò  voglia  e  brame 
Il  re  ubbidir,  pur  sta  duro  da  canto; 
Chò  tale  accordo  obbrobrioso  stima 
A  chi  '1  consenso  suo  vi  darà  prima. 

31  Ma  più  del  re,  ma  più  d' ognun  eh*  invano 
Spenda  a  placare  il  Tartaro  parole , 

La  bella  figlia  del  re  Storditane 
Supplice  il  priega,  e  si  lamenta  e  duole: 
Lo  prega  che  consenta  al  re  africano, 
£  voglia  quel  che  tutto  il  campo  vuole  ; 
Si  lamenta  e  si  duol  che  per  lui  sia 
Timida  sempre  e  piena  d' angonia. 


CANTO  TRENTESIMO.  140 

32  Lassa!  dicea,  che  ritrovar  possMo 
Rimedio  mai,  eh' a  riposar  mi  vaglia, 

S' or  contra  questo,  or  qael,  naovo  disio 
Vi  trarrà  sempre  a  vestir  piastra  e  maglia? 
C  ha  potuto  giovare  al  petto  mio 
Il  gaudio  che  sia  spenta  la  battaglia 
Per  me  da  voi  contra  quell'altro  presa, 
Se  un'  altra  non  minor  se  n'  è  già  accesa? 

33  Oimél  eh'  invano  ì'  me  n'  andava  altiera 
Gh'un  re  si  degno,  un'cavalier  si  forte 
Per  me  volesse  in  perigliosa  e  fiera 
Battaglia  porsi  al  rlsco  della  morte  ; 
Ch'or  veggo  per  cagion  tanto  leggiera 
Non  meno  esporvi  alla  medesma  sorte. 

Fu  naturai  ferocità  di  core, 

Ch'a  quella  v'ipstìgò,  più  che  'I  mio  amore. 

34  Ma  se  gli  é  ver  che  '1  vostro  amor  sìa  quello 
Che  vi  sforzate  di  mostrarmi  ognora. 

Per  lui  vi  prego,  e  per  quel  gran  flagello 
Che  mi  percuote  l'alma  e  che  m'accora, 
Che  non  vi  caglia  se  'l  candido  augello 
Ha  nello  scudo  quel  Ruggiero  ancora. 
Utile  o  danno  a  vói  non  so  ch'importi. 
Che  lasci  quella  insegna,  o  che  la  porti. 

35  Poco  guadagno,  e  perdita  uscir  molla 
Della  battaglia  può,  che  per  far  sete. 
Quando  abbiate  a  Ruggier  l' aquila  tolta , 
Poca  mercè  d' un  gran  travaglio  avrete  ; 
Ma  se  fortuna  le  spalle  vi  volta 

(Che  non  però  nel  crin  presa  tenete), 
Causate  un  danno,  eh'  a  pensarvi  solo 
Mi  sento  il  petto  già  sparar  di  duolo. 

36  Quando  la  vita  a  voi  per  voi  non  sia 
Cara,  e  più  amate  un'aquila  dipinta, 
Vi  sia  almen  cara  per  la  vita  mia: 
Non  sarà  l' una  senza  l' altra  estinta. 
Non  già  morir  con  voi  grave  mi  fia: 

Son  di  seguirvi  in  vita  e  in  morte  accinta; 
Ma  non  vorrei  morir  si  malcontenta. 
Come  io  morrò,  se  dopo  voi  son  spenta. 


150  ORLANDO  FURIOSO. 

37  Con  tai  parole  e  simili  altre  assai, 
Che  lacrime  accompagnano  e  sospiri, 
Pregar  non  cessa  lotta  notte  mai , 
Perch'  alla  pace  il  sao  amator  ritiri. 
E  quel,  saggendo  dagli  umidi  rai 
Quel  dolce  pianto,  e  quei  dolci  martiri 
Dalle  vermìglie  labbra  più  che  rose, 
Lacrimando  egli  ancor,  cosi  rispose: 

38  Deh,  vita  mia,  non  vi  mettete  affanno. 
Deh  non,  per  Dio,  dì  cosi  lieve  cosa. 

Che  se  Carlo  e  '1  re  d'Africa,  e  ciò  e'  hanno 
Qui  di  gente  moresca  e  di  franciosa, 
Spiegasson  le  bandiere  in  mio  sol  danno, 
Voi  pur  non  ne  dovreste  esser  pensosa. 
Ben  mi  mostrate  in  poco  conto  avere, 
Se  per  me  un  Roggier  sol  vi  fa  temere. 

39  E  vi  dovria  por  rammentar  che,  solo, 
(E  spada  io  non  avea  né  scimitarra] 

Con  un  troncon  di  lancia  a  un  grosso  stuolo 
D' armati  cavalìer  tolsi  la  sbarra. 
Gradasso,  ancor  che  con  vergogna  e  duolo 
Lo  dica,  pure,  a  chi  '1  domanda,  narra 
Che  fu  in  Seria  a  un  caste!  mio  prigioniero  ; 
Ed  è  pur  d' altra  fama,  che  Ruggiero. 

40  Non  niega  similmente  il  re  Gradasso, 
E  salto  Isolier  vostro  e  Sacripante, 

Io  dico  Sacripante  il  re  Circasso, 
E  '1  famoso  Grifone  ed  Aquilante, 
Cent' altri  e  più,  che  pure  a  questo  passo 
Stati  eran  presi  alcuni  giorni  innante, 
Macomettani  e  gente  di  battesmo, 
Che  tutti  liberai  quel  di  medesmo. 

41  Non  cessa  ancor  la  maraviglia  loro 
Della  gran  prova  ch'io  feci  quel  giorno, 
Maggior  che  se  V  esercito  del  Moro 

E  del  Franco  inimici  avessi  in  tomo. 
Ed  or  potrà  Ruggier,  giovine  soro. 
Farmi  da  solo  a  solo  o  danno  o  scorno? 
Ed  or  e'  ho  Durindana  e  l' armatura 
D' Ettor,  vi  de'  Ruggier  metter  paura? 


CINTO  TRENTESIMO.  15  i 

42  Deh  perchè  dianzi  in  prova  non  yenn'  io, 
Se  far  di  voi  con  l' arme  io  potea  acquisto? 
So  che  v'  avrei  si  aperto  il  valor  mio, 

Ch'  avreste  il  fin  già  di  Raggier  previsto. 
Asciugate  le  lacrime,  e  per  Dio 
Non  mi  fate  uno  augurio  cosi  tristo; 
E  siate  certa  che  '1  mio  onor  m' ha  spinto, 
Non  nello  scudo  il  bianco  augel  dipinto. 

43  Cosi  diss'  egli,  e  molto  ben  risposto 
Gli  fu  dalla  mestissima  sua  donna. 
Che  non  pur  lui  mutato  di  proposto , 
Ma  di  luogo  avria  mossa  una  colonna. 
EUa  era  per  dover  vincer  lui  tosto , 
Ancor  ch'armato,  e  ch'ella  fosse  in  gonna; 
E  r  avea  indotto  a  dir,  se  '1  re  gli  parla 
D'accordo  più,  che  volea  contentarla. 

44  E  lo  facea  ;  se  non  tosto  eh'  al  sole 
La  vaga  aurora  fé  l' usala  scorta, 

V  animoso  Ruggier,  che  mostrar  vuole 
Che  con  ragion  la  bella  aquila  porta. 
Per  non  udir  più  d' atti  e  di  parole 
Dilazion,  ma  far  la  lite  corta. 
Dove  circonda  il  popol  Io  steccato. 
Sonando  il  corno,  s' appresenta  armato. 

45  Tosto  che  sente  il  Tartaro  superbo 
Ch'  alla  battaglia  il  suono  altier  Io  sfida, 
Non  vuol  più  dell'accordo  intender  verbo. 
Ma  si  lancia  del  letto,  ed  arme  grida; 

E  si  dimostra  si  nel  viso  acerbo 
Che  Doralice  istessa  non  si  fida 
Di  dirgli  più  di  pace  né  di  triegua: 
E  forza  è  infìn  che  la  battaglia  segua. 

46  Subito  s'arma,  ed  a  fatica  aspetta 
Da'  suoi  scudieri  i  debiti  servigi  : 

Poi  monta  sopra  il  buon  cavallo  in  fretta, 
Che  del  gran  difensor  fu  di  Parigi  ; 
E  vien  correndo  inver  la  piazza  eletta 
A  terminar  con  l' arme  i  gran  litigi. 
Vi  giunse  il  re  e  la  corte  allora  allora.; 
Si  eh'  air  assalto  fu  poca  dimora. 


152  ORLANDO  FURIOSO. 

47  Posti  lor  furo  ed  allacciali  in  Cesia 
I  lucici  elmi»  e  date  lor  le  lance. 
Segue  la  tromba  a  dare  il  segno  presta, 
Che  fece  a  mille  impallidir  le  guance. 
Posero  r  aste  i  cavalieri  in  resta, 

E  i  corridori  punsero  alle  pance  ; 
E  venner  con  tale  impeto  a  ferirsi, 
Che  parve  11  ciel  cader,  la  terra  aprirsi. 

48  Quinci  e  quindi  venir  si  vede  il  bianco 
Augel  che  Giove  per  l' aria  sostenne  ; 
Come  nella  Tessalia  si  vide  anco 
Venir  più  volte,  ma  con  altre  penne. 
Quanto  sia  V  uno  e  l'altro  ardito  q. franco, 
Mostra  il  portar  delle  massicce  antenne  ; 
E  molto  più,  eh'  a  quello  incontro  duro 
Quai  torri  ai  venti ,  o  scogli  air  onde  furo. 

49  I  tronchi  fin  al  ciel  ne  sono  ascesi  : 
Scrive  Turpin,  vera&e  in  questo  loco, 
Che  dui  0  tre  giù  ne  tornaro  accesi, 
eh'  eran  saliti  alla  sfera  del  fuoco. 

I  cavalieri  i  brandi  aveano  presi: 
E  come  quei  che  si  temeano  poco, 
Si  ritornaro  incontra;  e  a  prima  giunta 
Ambi  alla  vista  si  ferìr  di  punta. 

60     Ferirsi  alla  visiera  al  primo  tratto  ; 
E  non  miraron,  per  mettersi  in  terra. 
Dare  ai  cavalli  morte;  eh' è  mal'  atto, 
Perch'  essi  non  han  colpa  della  guerra. 
Chi  pensa  che  tra  lor  fosse  tal  patto, 
Non  sa  l' usanza  antiqua,  e  di  molto  erra  : 
Senz'altro  patto,  era  vergogna  e  fallo 
E  biasmo  eterno  a  chi  feria  il  cavallo. 

51      Ferirsi  alla  visiera,  ch'era  doppia, 
Ed  appena  anco  a  tanta  furia  resse. 
L'un  colpo  appresso  all'altro  si  raddoppia: 
Le  botte,  più  che  grandine,  son  spesse. 
Che  spezza  fronde  e  rami  e  grano  e  stoppia, 
E  uscir  invan  fa  la  sperala  messe. 
Se  Durindana  e  Balisarda  taglia 
Sapete,  e  quanto  in  queste  mani  vaglia. 


CANTO  TRBNTESIHO.  133 

62     Ma  degno  di  sé  colpo  ancor  non  fanno, 
Si  r  uno  e  ]'  altro  ben  sta  su  V  avviso. 
Usci  da  Mandrìcardo  il  primo  danno, 
Per  cui  fu  quasi  il  buon  Ruggiero  ucciso. 
D'uno  di  quei  gran  colpi  che  far  sanno, 
Gli  fu  lo  scudo  pel  mezzo  diviso, 
)S>  la  corazza  apertagli  di  sotto; 
£  fin  sul  vivo  il  crudel  brando  ha  rotto. 

53     L' aspra  percossa  agghiacciò  il  cor  nel  petto, 
Per  dubbio  di  Ruggiero,  ai  circostanti, 
Nel  cui  favor  si  conoscea  lo  affetto 
Dei  più  inchinar,  se  non  di  tutti  quanti. 
£  se  Fortuna  ponesse  ad  effetto 
Quel  che  la  maggior  parte  vorria  innanti. 
Già  Mandrìcardo  saria  morto  o  preso: 
Si  che  'l  suo  colpo  ha  tutto  il  campo  offeso. 

64     Io  credo  che  qualche  agnol  s' interpose 
Per  salvar  da  quel  cólpo  il  cavaliere. 
Ma  ben  senza  più  indugio  gli  rispose, 
Terribif  più  che  mai  fosse,  Ruggiero. 
La  spada  in  capò  a  Mandrìcardo  pose  ; 
Ma  si  lo  sdegno  fu  subito  e  fiero, 
£  tal  fretta  gli  fé,  eh'  io  men  l' incolpo 
Se  non  mandò  a  ferìr  di  taglio  il  colpo. 

55  Se  Balisarda  lo  giungea  pel  dritto, 

V  elmo  d'  £ttorre  era  incantalo  invano. 
Fu  si  del  colpo  Mandrìcardo  afflitto. 
Che  si  lasciò  la  brìglia  uscir  di  mano. 
D'andar  tre  volte  accenna  a  capo  fitto. 
Mentre  scorrendo  va  d' intorno  il  piano 
Quel  Brìgliador  che  conoscete  al  nome, 
Dolente  ancor  delle  mutate  some. 

56  Calcata  serpe  mai  tanto  non  ebbe. 
Né  ferito  leon,  sdegno  e  furore. 
Quanto  il  Tartaro,  poi  che  si  rìebbe 
Dal  colpo  che  di  sé  lo  trasse  fuore  : 
£  quanto  l' ira  e  la  superbia  crebbe. 
Tanto  e  più  crebbe  in  lui  forza  e  valore. 
Fece  spiccare  a  Brigliadoro  un  salto 
Verso  Ruggiero,  e  alzò  la  spada  in  alto. 


154  OBLANDO  FURIOSO. 

57     Levossi  in  sa  le  staffe,  ed  airelmetlo 
Segnògli,  e  si  credette  veramente 
Partirlo  a  quella  volta  fin  al  petto  : 
Ma  fn  di  lai  Ruggier  più  diligente  ; 
Gbò  pria  che  '1  braccio  scenda  al  darò  effetto, 
Gli  caccia  sotto  la  spada  pungente, 
£  gli  fa  nella  maglia  ampia  finestra, 
Che  sotto  difendea  V  ascella  destra. 

68  £  Balisarda  al  suo  ritorno  trasse 

Di  fuori  il  sangue  tiepido  e  vermiglio, 
£  vietò  a  Durindana  che  calasse 
Impetuosa  con  tanto  periglio  ; 
Benché  fin  su  la  groppa  si  piegasse 
Ruggiero,  e  per  dolor  strignesse  il  ciglio: 
£  s' elmo  in  capo  avea  di  peggior  tempre, 
Gli  era  quel  colpo  memorabil  sempre. 

69  Ruggier  non  cessa,  e  spinge  il  suo  cavallo, 
£  Mandricardo  al  destro  fianco  trova. 
Quivi  scelta  finezza  di  metallo, 

£  bea  condutta  tempra  poco  giova 
Centra  la  spada  che  non  scende  in  fallo. 
Che  fu  incantata  non  per  altra  prova. 
Che  per  far  eh'  a'  suoi  colpi  nulla  vaglia 
Piastra  incantata  ed  incantata  maglia. 

60  Taglionne  quanto  ella  ne  prese,  e  insieme 
Lasciò  ferito  il  Tartaro  nel  fianco. 

Che  '1  ciel  bestemmia,  e  di  tant'ira  freme. 
Che  '1  tempestoso  mare  è  orribil  manco. 
Or  s' apparecchia  a  por  le  forze  estreme  : 
Lo  scudo  ove  in  azzurro  è  V  augel  bianco, 
Vinto  da  sdegno,  si  gittò  lontano, 
£  messe  al  brando  e  i'  una  e  V  altra  mano. 

61  Ah,  disse  a  lui  Ruggier,  senza  più  basti 
A  mostrar  che  non  merli  quella  insegna, 
Ch'or  tu  la  getti,  e  dianzi  la  tagliasti; 
Né  potrai  dir  mai  più  che  ti  convegna. 
Cosi  dicendo,  forza  è  ch'egli  attasti 

Con  quanta  furia  Durindana  vegna  ; 
Che  si  gli  grava  e  si  gli  pesa  in  fronte. 
Che  più  leggier  potea  cadervi  un  monte: 


.  CANTO  TRENTESIMO.  155 

62      E  per  mezzo  gli  fende  la  visiera  ; 
Buon  per  lai,  che  dal  viso  si  discosta: 
Poi  calò  su  r  arcion  che  ferrato  era, 
Nò  lo  difese  averne  doppia  crosta  : 
Giunse  alfin  su  V  arnese,  e  come  cera 
L' aperse  con  la  falda  soprapposta  ; 
E  feri  gravemente  nella  coscia 
Raggier,  si  eh'  assai  stette  a  guarir  poscia. 

O     Deir  un,  come  dell'  altro,  fatte  rosse 
Il  sangue  V  arme  avea  con  doppia  riga  ; 
Talchò  diverso  era  il  parer,  chi  fosse 
Di  lor  eh'  avesse  il  meglio  in  quella  briga. 
Ma  quel  dubbio  Ruggier  tosto  rimosse 
Con  la  spada  che  tanti  ne  castiga  : 
Mena  di  punta,  e  drizza  il  colpo  crudo 
Onde  gittate  avea  colui  lo  scudo. 

64  Fora  della  corazza  il  lato  manco, 
E  di  venire  al  cor  trova  la  strada  ; 

Ghò  gli  entra  più  d' un  palmo  sopra  il  fianco» 

SI  che  convien  che  Mandricardo  cada 

D'ogni  ragion  che  può  nell'augel  bianco, 

0  che  può^aver  nella  famosa  spada  ; 

E  della  cara  vita  cada  insieme. 

Che,  più  che  spada  e  scudo,  assai  gli  preme. 

65  Non  mori  quel  meschin  senza  vendetta  : 
Gh'a  quel  medesmo  tempo  che  fu  colto. 
La  spada,  poco  sua,  menò  di  fretta; 

Ed  a  Ruggier  avria  partito  il  volto. 
Se  già  Ruggier  non  gli  avesse  intercetta 
Prima  la  forza,  e  assai  del  vigor  tolto. 
Di  forza  e  di  vigor  troppo  gli  tolse 
Dianzi,  che  sotto  il  destro  braccio  il  colse. 

66  Da  Mandricardo  fu  Ruggier  percosso 
Nel  punto  eh'  egli  a  luì  tolse  la  vita  ; 

Tal  eh'  un  cerchio  di  ferro,  anco  che  grosso, 
E  una  cuffia  d' acciar  ne  fu  partita. 
Durindana  tagliò  cotenna  ed  osso, 
E  nel  capo  a  Ruggiero  entrò  due  dita. 
Ruggier  stordito  in  terra  si  riversa, 
E  di  sangue  un  ruscel  dal  capo  versa. 


156  ORLANDO  FUBIOSO. 

67      II  primo  fu  Ruggier  eh'  andò  per  (erra , 
E  di  poi  stette  Y  altro  a  cader  tanto, 
Che  quasi  crede  ognun  che  della  guerra 
Riporti  Mandricardo  il  pregio  e  il  vanto  : 
E  Doralice  sua,  che  con  gli  altri  erra, 
E  che  quel  di  piò  volte  ha  riso  e  pianto, 
Dio  ringraziò  con  mani  al  ciel  supine, 
Che  avesse  avuta  la  pugna  tal  fine. 

€8     Ma  poi  eh'  appare  a  manifesti  segni 
Vivo  chi  vive,  e  senza  vita  il  morto, 
Nei  petti  de'  fautor  mutano  regni; 
Di  là  mestizia,  e  di  qua  vien  conforto. 

I  re,  i  signori,  i  cavalier  più  degni. 
Con  Ruggier  di'  a  fatica  era  risorto, 
A  rallegrarsi  ed  abbracciarsi  vanno, 
E  gloria  senza  Gne  e  onor  gli  danno. 

69  Ognun  s'allegra  con  Ruggiero,  e  sente 

II  medesmo  nel  cor,  e'  ha  nella  bocca. 
Sol  Gradasso  il  pensiero  ha  differente 
Tutto  da  quel  che  fuor  la  lingua  scocca. 
Mostra  gaudio  nel  viso,  e  occultamente 
Del  glorioso  acquisto  invidia  il  tocca  ; 

E  maledice  o  sia  destino  o  caso. 

Il  qual  trasse  Ruggier  prima  del  vaso. 

70  Che  dirò  del  favor,  che  delle  tante 
Carezze  e  tante,  affettuose  e  vere, 

Che  fece  a  quel  Ruggiero  il  re  Agramante, 
Senza  il  qual  dare  al  vento  le  bandiere, 
Né  volse  muover  d'Africa  le  piante. 
Né  senza  lui  si  fidò  in  tante  schiere? 
Or  che  del  re  Agricane  ha  spento  il  seme, 
Prezza  più  lui,  che  tutto  il  mondo  insieme. 

71  Né  di  tal  volontà  gli  uomini  soli 
Eran  verso  Ruggier,  ma  le  donne  anco. 
Che  d' Africa  e  di  Spagna  fra  gli  stuoli 
Eran  venute  al  tenitorìo  franco. 

E  Doralice  istessa,  che  con  duoli 
Piangea  l' amante  suo  pallido  e  bianco. 
Forse  con  l'altre  ita  sarebbe  in  schiera, 
Se  di  vergogna  un  duro  fren  non  era. 


CANTO  TBENTBSIMO.  1^7 

78     Io  dico  forse,  non  ch^ìo  ve  raccerti, 
Ma  potrebbe  esser  stato  di  leggiero; 
Tal  la  bellezza,  e  tali  erano  i  merli, 

I  costami  e  i  sembianti  di  Ruggiero. 
Ella,  per  quel  che  già  ne  siamo  esperti, 
SI  facile  era  a  variar  pensiero. 

Che  per  non  si  veder  priva  d' amore, 
Avria  potuto  in  Buggìer  porre  il  cuore. 

73  Per  lei  buono  era  vivo  Mandricardo  : 
Ida  che  ne  volea  far  dopo  la  morte? 
Provveder  le  convien  d' un  che  gagliardo 
Sia  notte  e  di  ne' suoi  bisogni,  e  forte. 
Non  era  stato  intanto  a  venir  tardo 

II  più  perito  medico  di  corte. 
Che  di  Ruggier  veduta  ogni  ferita. 
Già  r  avea  assicurato  della  vita. 

74  Con  molla  diligenzia  il  re  Agramante 
Fece  colcar  Ruggier  nelle  sue  tende; 
Che  notte  e  di  veder  sei  vuole  innante: 
Si  r  ama,  si  di  lui  cura  si  prende. 

Lo  scudo  al  letto  e  V  arme  tutte  qnante 
Che  fur  di  Mandricardo,  il  re  gli  appende; 
Tutte  le  appende,  eccetto  Durindana, 
Che  fu  lasciata  al  re  di  Sericana. 

75  Con  Tarme  l'altre  spoglie  a  Ruggier  sono 
Date  di  Mandricardo,  e  insieme  dato 

Gli  è  Brigliador,  quel  destrier  bello  e  buono, 
Che  per  furore  Orlando  avea  lasciato. 
Poi  quello  al  re  diede  Ruggiero  in  dono  ; 
Che  s' avvide  eh'  assai  gli  saria  grato. 
Non  più  dì  questo;  che  tornar  bisogna 
A  chi  Ruggiero  invan  sospira  e  agogna. 

76  Gli  amorosi  tormenti  che  sostenne 
Bradamante,  aspettando,  io  v'ho  da  dire. 
A  Montalbano  Ippalca  a  lei  rivenne, 

E  nuova  le  arrecò  del  suo  desire. 
Prima ,  di  quanto  di  Frontin  le  avvenne 
Con  Rodomonte ,  l' ebbe  a  riferire  ; 
Poi  di  Ruggier,  che  ritrovò  alla  fonte 
Con  Ricciardetto  e' frati  d'Agrìsmonte; 

H;  ÌA 


158  OELÀKDO  FURIOSO. 

77  E  che  eoo  esso  lei  s' era  partito 
Con  speme  di  trovare  il  Saracino, 
E  ponirlo  di  quanto  avea  fallito 

D' aver  tolto  a  ona  donna  il  sao  Frontino; 
£  che  '1  disegno  poi  non  gli  era  oscito. 
Perchè  diverso  avea  fatto  il  cammino: 
La  cagione  anco,  perchè  non  venisse 
A  Montalban  Raggier,  tutta  le  disse; 

78  E  riferille  le  parole  appieno, 

Ch'  in  soa  scasa  Ruggier  le  avea  commesse. 
Poi  si  trasse  la  lettera  di  seno, 
Ch'  egli  le  die,  perch'  ella  a  lei  la  desse. 
Con  viso  più  turbato,  che  sereno. 
Prese  la  carta  Bradamante,  e  lesse; 
Che,  se  non  fosse  la  credenza  stata 
Già  di  veder  Ruggier,  fora  più  grata. 

79  V  aver  Ruggiero  ella  aspettato,  e,  in  vece 
Di  lui,  vedersi  ora  appagar  d'un  scritto, 
Del  bel  viso  turbar  Y  aria  le  fece 

Di  timor,  di  cordoglio  e  di  despitto. 
Baciò  la  carta  diece  volte  e  dìece. 
Avendo  a  chi  la  scrisse  il  cor  diritto. 
Le  lacrime  vietar,  che  su  vi  sparse. 
Che  con  sospiri  aixlenti  ella  non  Y  arse. 

80  Lesse  la  carta  quattro  volte  e  sei, 
:  E  volse  eh'  altrettante  Y  imbasciata 

Replicata  le  fosse  da  colei 
Che  r  una  e  T  altra  avea  quivi  arrecata, 
Pur  tuttavia  piangendo:  e  crederei 
Che  mai  non  si  saria  più  racchetala, 
Se  non  avesse  avuto  pur  conforto 
Di  riveder  il  suo  Ruggier  di  corto. 

8t      Termine  a  ritornar  quindici  o  venti 
Giorni  avea  Ruggier  tolto,  ed  afiermato 
L' avea  ad  Ippalca  poi  con  giuramenti 
Da  non  temer  che  mai  fosse  mancato. 
Chi  m'assicura,  oimèi  degli  accidenti, 
Ella  dicea,  c'han  forza  in  ogni  Iato, 
Ma  nelle  guerre  più,  che  non  distorni 
Alcun  tanto  Ruggier,  che  più  non  torni? 


GAINTO  TRBNtESlMO.  j^O 

S2  Oìmè  !  Ruggiero,  oìmè  !  chi  avria  credato 
Ch'avendoti  amato  io  più  di  me  stessa, 
Ta,  più  di  me,  non  ch'altri,  ma  potato 
Abbi  amar  gente  tua  inimica  espressa  ? 
A  chi  opprimer  dovresti,  doni  aiuto; 
Chi  tu  dovresti  aitare,  è  da  te  oppressa. 
Non  so  se  biasmo  o  laude  esser  ti  credi, 
Gh'  al  premiar  e  al  punir  sì  poco  vedi. 

83     Fa  morto  da  Troian  (non  so  se  '1  sai) 
Il  padre  tuo;  ma  fin  ai  sassi  il  sanno: 
E  tu  del  figlio  di  Troian  cura  hai 
Che  non  riceva  alcun  disnor  nò  danno. 
£  questa  la  vendetta  che  ne  fai, 
Ruggiero?  e  a  quei  che  vendicato  V  hanno, 
Rendi  tal  premio,  che  del  sangue  loro 
Me  fai  morir  di  strazio  e  di  martoro  ? 

U     Dicea  la  donna  al  suo  Ruggiero  absenle 
Queste  parole  ed  altre,  lacrimando, 
Non  una  sola  volta,  ma  sovente. 
Ippalca  la  venia  pur  confortando 
Che  Ruggier  serverebbe  interamente 
Sua  fede,  e  eh'  ella  l' aspettasse,  quando 
Altro  far  non  poteia,  fino  a  quel  giorno 
Ch'  avea  Ruggier  prescritto  al  suo  ritorno. 

85  I  conforti  d' Ippalca,  e  la  speranza 
Che  degli  amanti  suole  esser  compagna, 
Alla  tema  e  al  dolor  tolgon  possanza 

Di  far  che  Bradamante  ognora  piagna. 
In  Montalbàn,  senza  mutar  mai  stanza, 
Voglion  che  fin  al  termine  rimagna; 
Fin  al  promesso  termine  e  giurato. 
Che  poi  fu  da  Ruggier  male  osservato. 

86  Ma  ch'egli  alla  promessa  sua  mancasse , 
Non  però  debbe  aver  la  colpa  affatto; 

Ch'  una  causa  ed  un'  altra  si  lo  trasse. 
Che  gli  fu  forza  preterire  il  patto. 
Convenne  che  nel  letto  si  colcasse, 
E  più  d' un  mese  si  stesse  di  piatto 
In  dubbio  di  morir:  si  il  dolor  crebbe 
Dopo  la  pugna  che  col  Tartaro  ebbe. 


160  OULANDO  FCRIOSÒ. 

87  L^  innamorata  giovane  V  attese 
Tatto  quel  giorno»  e  desìollo  invano; 
Né  mai  ne  seppe,  faor  quanto  ne  'ntese 
Ora  da  Ippalca,  e  poi  dal  suo  germano, 
Che  le  narrò  che  Ruggier  lui  difese, 

E  Malagigi  liberò  e  Viviano. 

Questa  novella,  ancor  ch'avesse  grata, 

Pur  di  qualche  amarezza  era  turbata  : 

88  Che  di  Marfisa  in  quel  discorso  udito 
V  alto  valore  e  le  bellezze  avea  : 

Udì  come  Ruggier  s' era  partito 

Con  esso  lei,  e  che  d' andar  dicea 

Là  dove  con  disagio  in  debol  sito 

Mal  sicuro  Agramante  si  tenea. 

Si  degna  compagnia  la  donna  lauda. 

Ma  non  che  se  n'allegri,  o  che  l'applauda. 

89  Nò  picciolo  è  il  sospetto  che  la  preme; 
Che  se  Marfisa  è  bella,  come  ha  fama, 
E  che  fin  a  quel  di  sien  giti  insieme, 

£  maraviglia  se  Ruggier  non  V  ama. 
Pur  non  vuol  creder  anco,  e  spera  e  teme  ; 
E  '1  giorno  che  la  può  far  lieta  e  grama, 
Misera  aspetta  ;  e  sospirando  stassi. 
Da  Montalban  mai  non  movendo  i  passi. 

90  Stando  ella  quivi,  il  principe,  il  signore 
Del  bel  castello,  il  primo  de' suoi  frati 

(Io  non  dico  d'etade,  ma  d'onore; 
Che  di  lui  prima  duo  n'erano  nati), 
Rinaldo,  che  di  gloria  e  di  splendore 
Gli  ha,  come  il  Sol  le  stelle,  illuminati. 
Giunse  al  castello  un  giorno  in  so  la  nona; 
>  Né,  fuor  eh' un  paggio,  era  con  lui  persona. 

91  Cagion  del  suo  venir  fu,  che  da  Rrava 
Ritornandosi  un  di  verso  Parigi, 
Come  v'  ho  detto  che  sovente  andava 
Per  ritrovar  d' Angelica  vestigi, 

Avea  sentita  la  novella  prava 
Del  suo  Viviano  e  del  suo  Malagigi, 
Ch'  eran  per  esser  dati  al  Maganzese  ; 
E  perciò  ad  Agrismonte  la  via  prese  : 


CANTO  TRENTESIMO.  16l 

92  Dove  intendendo  poi  ch'eran  salvati, 
E  gli  avversarj  lor  morti  e  distratti , 

£  Marfìsa  e  Raggiero  erano  stati, 
Che  gli  ayeano  a  quei  termini  rìdattì; 
E  suoi  fratelli  e  saoi  cagin  tornati 
A  Montalbano  insieme  erano  tatti  ; 
Gli  parve  un'  ora  un  anno  di  trovarsi 
Con  esso  lor  là  dentro  ad  abbracciarsi. 

93  Venne  Rinaldo  a  Montalbano ,  e  quivi 
Madre,  moglie  abbracciò,  figli  e  fratelli, 
E  i  caginì  cbe  dianzi  eran  captivi; 

E  parve,  quando  egli  arrivò  tra  quelli, 
Dopo  gran  fame  irondìne  eh'  arrivi 
Gol  cibo  in  bocca  ai  pargoletti  augelli  : 
E  poi  eh'  un  giorno  vi  fu  stato  o  dui. 
Partissi,  e  fé  partire  altri  con  lui. 

94  Ricciardo,  Alardo,  Ricciardetto,  ed' essi 
Figli  d' Amone,  il  più  vecchio  Guicciardo, 
Malagigi  e  Vivian,  si  furon  messi 

In  arme  dietro  al  paladin  gagliardo. 
Bradamante  aspettando  che  s' appressi 
Il  tempo  ch'ai  disio  suo  ne  vien  tardo. 
Inferma,  disse  alli  fratelli,  ch'era; 
£  non  volse  con  lor  venire  in  schiera. 

95  E  ben  lor  disse  il  ver,  eh'  ella  era  inferma , 
Ma  non  per  febbre  o  corporal  dolore  : 

Era  il  disio  ohe  l'alma  dentro  inferma, 
E  le  fa  alterazion  patir  d' amore. 
Rinaldo  in  Montalban  più  non  si  ferma, 
E  seco  mena  di  sua  gente  il  fiore. 
Come  a  Parigi  appropinquosse,  e  quanto 
Carlo  aiutò,  vi  dirà  l' altro  Canto. 


VOTS. 

Si.   8.  p.  6.  —  Che   di    vetture  I        Si,9.v.^,-~Poiiesse4 saccoman* 
pmel  ¥i¥ere  a  macco  :  vuole  che  non  1  no  .*  a  sacco  }  tacrheggiatse. 
glie  ne  nanchi  mai,  a  lensa  alcnn  1        ^<,i5.  e.  2.  —  .S<;Ma.  Vedi  la  nota 
coti».  I  alla  lU  82  del  canto  XIV. 


162 


OBLANOO  ^DBtOSO. 


I  Si,  16.  V.  8. — Forse  altri  canterà 
con  miglior  plettro,  \\  BrutanUno  ne 
ba  cantato,  ma  il  miglior  plettro  si  de- 
ftidera  io  quel  poema. 

Si.  17.  V,  4. — Spinto  t  qui  caccia^ 
io,  allontanato. 

Si,  81.  V.  Z.^ Sortirete:  trarrete 
a  torte. 

Si,  23.  V,  8.—  VersaU:  agitati,  ri- 
mescolati. 

Si,  41.  9,  h.-^Soro:  inesperto, 
Boviiio. 

Si.  45.  V»  3.  —  f^erfto  .*  parola. 

Si,  46.  (».  k.-— Del  gran  di/en» 
sor  ec,  *  à*  Orlando. 

Si,  48.  V,  i-4.  —  //  bianco  augel: 
Y  aquila,  che  il  Poeta  dice  bianca, 
perche  di  quel  colore  Tedesi  nello 
»temma  di  Casa  d'  Este,  di  cui  si  notò 
in  principio  essere  Ruggiero  V  antico 
ceppo.— -  Come  nella  Tetsalia  ee.  Al- 
lude probabilmente  alle  battaglie  com> 
battute  in  quei  luoghi  dalle  legioni  ro- 


mane, di  cui  r insegna  er»   l'aquila. 

Si,  50.  V.  2. — Non  miraron:  ooa 
pensarono. 

St.  61.  V,  b.-^Àttasti:  provi,  senta. 

Si,  6S.  9. 6 — Falda:  diconsi/a/<lc 
quelle  strìsce  metalliche  che  attorniano 
la  cintura  dell'  rnbergo,  e  soendono  • 
riparare  i  fianchi  e  le  cosce  del  guerriero. 
Ciò  riguardisi  come  giunta  della  nota 
alla  St.  84  del  Canto  XXIII. 

Si.  68. 9.  ZJL-^Muiano  regni  ec: 
mutano  sedi;  dov'era  mestiiia  subentra 
conforto,  e  viceversa. 

St,  76.  »,  4. — Del  suo  desire  :  del 
suo  desiderato  amante. 

St.  86.  9.  6,  —  Di  pialto:  ritirato, 
«enea  &rsi  vedere. 

St,  93. 9.  %— Madre,  moglie.  Bea- 
trice, figlia  di  Naroo  duca  di  Baviera,  fa 
madre  di  Rinaldo,  e  la  di  lui  moglie  era 
Clarice,  sorella  di  Ugone  di  Bordò.  Si 
ha  del  Tasso  un  poema  sugli  amori  di 
Rinaldo  e  Clarice,  intitolato  fi  Rinaldo. 


CABBTO  mEmrXESIllIOFBIllIO^ 


Bel  ragionamento  del  Poeta  sulla  gelosia.  Pugna  di  Rinaldo  con  Guidon  Selvag- 
gio ;  riconoscimento  di  quest'ultimo,  e  unione  di  lui  col  drappello  di  Montalbano, 
che  insieme  alle  genti  di  Carlo  fa  grave  danno  ai  Mori.  Brandimarte  va  con 
Fiordiligi  in  traccia  di  Orlando ,  e  capita  al  ponticello  di  Rodomonte,  di  coi 
riman  prigioniero.  Ritirata  dell'esercito  moresco  in  Arli. 

1     Che  dolce  più,  che  più  giocondo  stato 
Saria  di  qael  d'  un  amoroso  core? 
Che  viver  più  felice  e  più  beato, 
Che  ritrovarsi  in  servitù  d' amore? 
Se  non  fosse  V  aom  sempre  stimolato 
Da  quel  sospetto  rio,  da  quei  timore, 
Da  quel  martir,  da  quella  frenesia  ^ 
Da  quella  rabbia  ^  detta  gelosìa. 


CANTO  TREMTRSiMotaiMO.  163 

Però  eh'  ogni  allro  amaro  che  sì  pone 
Tra  questa  soavissima  dolcezza, 
È  un  augumento,  una  perfezione. 
Ed  è  un  condurre  amore  a  più  finezza. 
L' acque  parer  fa  saporite  e  buone 
La  sete,  e  il  cibo  pel  digiun  s' apprezza: 
Non  conosce  la  pace  e  non  1*  estima 
Chi  provato  non  ha  la  guerra  prima. 

Sebben  non  veggon  gli  occhi  ciò  che  vede 
Ognora  il  core,  in  pace  si  sopporta. 
Lo  star  lontano,  poi  quando  si  riede, 
Quanto  più  lungo  fu,  più  riconforta. 
Lo  stare  in  servitù  senza  mercede. 
Purché  non  resti  la  speranza  morta, 
Patir  si  può;  che  premio  al  ben  servire 
Pur  viene  alfin ,  sebben  tarda  a  venire. 

»     Gli  sdegni,  le  repulse,  e  finalmente 
Tutti  i  martir  d' amor,  tutte  le  pene 
Fan  per  lor  rimembranza,  che  si  sente 
Con  miglior  gusto  un  piacer  quando  viene. 
Ma  se  r  infornai  peste  una  egra  mente 
Avvien  ch'infetti,  ammorbi  ed  avveleno; 
Sebben  segue  poi  festa  ed  allegrezza. 
Non  la  cura  V  amante  'e  non  V  apprezza. 

•     Questa  è  la  cruda  e  avvelenata  piaga, 
A  cui  non  vai  liquor,  non  vale  impiastro, 
Né  murmure,  né  immagine  di  saga, 
Né  vai  lungo  osservar  di  benigno  astro, 
Né  quanta  esperienzia  d' arte  maga 
Fece  mai  l' inventor  suo  Zoroastro; 
Piaga  crudel  che  sopra  ogni  dolore 
Conduce  V  uom  che  disperato  muore. 

1     O  ìncurabii  piaga  che  nel  petto 
D' un  amator  si  facile  s' imprime 
Non  men  per  falso  che  per  ver  sospetto! 
Piaga  che  Fuom  si  crudelmente  opprime, 
Che  la  ragion  gli  oflusca  e  V  intelletto 
E  lo  tra'  fuor  delle  sembianze  prime  l 
Oh  iniqua  gelosia,  che  cosi  a  torto 
Levasti  a  Bradamante  ogni  conforto  ! 


164  ORLANDO  FUBIOSO. 

7  Non  di  questo  eh'  Ip]>alca  e  che  '1  fratello 
Le  avea  nel  core  amaramente  impresso , 
Ma  dico  d' uno  annunzio  crudo  e  fello-, 
Che  le  fu  dato  pochi  giorni  appresso. 
Questo  era  nulla  a  paragon  di  quello 

Ch'  io  vi  dirò,  ma  dopo  alcun  digresso. 
Di  Rinaldo  ho  da  dir  primieramente, 
Che  ver  Parigi  vien  con  la  sua  gente. 

8  Scontrare  il  di  seguente  ìnver  la  sera 
Un  cavalier  eh'  avea  una  donna  al  fianco, 
Con  scudo  e  sopravvesta  tutta  nera, 

Se  non  che  per  traverso  ha  un  fregio  bianco. 
Sfidò  alla  giostra  Ricciardetto,  ch'era 
Dinanzi,  e  vista  avea  di  guerrier  franco: 
£  quel  che  mai  nessun  ricusar  volse. 
Girò  la  brìglia,  e  spazio  a  correr  tolse. 

9  Senza  dir  altro,  o  più  notizia  darsi 
Dell'esser  lor,  si  vengono  all'incontro. 
Rinaldo  e  gli  altri  cavalier  fermarsi, 
Per  veder  come  seguiria  lo  scontro. 
Tosto  costui  per  terra  ha  da  versarsi, 

Se  in  luogo  fermo  a  mio  modo  lo  incontro 
(Dicea  tra  sé  medesrao  Ricciardetto)  ; 
Ma  contrario  al  pensier  seguì  1'  effetto  : 

10  Perocché  lui  sotto  la  vista  offese 
Di  tanto  colpo  il  cavaliere  istrano, 
Che  lo  levò  di  sella,  e  Io  dislese 

Più  di  due  lance  al  suo  destrier  lontano. 
'  Di  vendicarlo  incontinente  prese 
L'  assunto  Alardo,  e  rilrovossi  al  piano 
Stordito  e  male  acconcio  :  si  fu  crudo 
Lo  scontro  fior,  che  gli  spezzò  lo  scudo. 

11  Guicciardo  pone  incontinente  in  resta 
L'asta,  che  vede  i  duo  germani  in  terra, 
Benché  Rinaldo  gridi:  Resta,  resta; 
Che  mia  convien  che  sia  la  terza  guerra: 
Ma  l' elmo  ancor  non  ha  allacciato  in  testa  ; 
Si  che  Guicciardo  al  corso  si  disserra  ; 

Né  più  degli  altri  si  seppe  tenere, 
£  rilrovossi  subilo  a  giacere. 


CANTO  TRBNTESIMOPRIMO.  16d 

i2     Vuol  Ricciardo,  Viviano  e  Malagigi, 
E  r  OD  prima  dell'  altro  essere  in  giostra  : 
Ma  Rinaldo  pon  fine  ai  lor  litigi  ; 
Ch'  innanzi  a  .tutti  armato  si  dimostra. 
Dicendo  loro  :  É  tempo  ire  a  Parigi  ; 
E  saria  troppo  la  tardanza  nostra» 
S' io  volessi  aspettar  finché  ciascano 
Di  voi  fosse  abbattuto  ad  uno  ad  uno. 

i3     Dìssel  tra  sé,  ma  non  che  fosse  inteso; 
Che  sana  stato  agli  altri  ingiuria  e  scorno. 
L'uno  e  l'altro  del  campo  avea  già  pireso, 
E  si  faceano  incontra  aspro  ritorno. 
Non  fu  Rinaldo  per  terra  disteso  ; 
Che  valea  tutti  gli  altri  eh'  avea  intorno. 
Le  lance  si  fiaccar,  come  di  vetro  ; 
Né  j  cavalier  si  piegar  oncia  addietro. 

i4     L' uno  e  l' altro  cavallo  in  guisa  urtosse, 
Che  gli  fu  forza  in  terra  a  por  le  groppe. 
Baiardo  immantinente  ridrizzosse, 
Tanto  eh'  appena  il  correre  interroppe. 
Sinistramente  si  l'altro  percosse. 
Che  la  spalla  e  la  schena  insieme  roppe. 
Il  cavalier  che  '1  destrier  morto  vede, 
Lascia  le  staflìe,  ed  ò  subito  in  piede. 

16     Ed  al  figlio  d' Amen,  che  già  rivolto 
Tornava  a  lui  con  la  man  vota,  disse: 
Signore,  il  buon  destrier  che  tu  m' hai  tolto, 
Perché  caro  mi  fu  mentre  che  visse. 
Mi  farla  uscir  del  mio  debito  molto, 
Se  cosi  invendicato  si  morisse  : 
Si  che  vientene,  e  fa  ciò  che  tu  puoi  ; 
Perché  battaglia  esser  convien  tra  noi. 

i6     Disse  Rinaldo  a  lui  :  Se  4  destrier  morto, 
E  non  altro  ci  de'  porre  a  battaglia, 
Un  de'  miei  ti  darò,  piglia  conforto. 
Che  men  del  tuo  non  crederò  che  vaglia. 
Colui  soggiunse:  Tu  sei  mal  accorto. 
Se  creder  vuoi  che  d' un  destrier  mi  caglia. 
Ma  poiché  non  comprendi  ciò  eh'  io  voglio, 
Ti  spiegherò  più  chiaramente  il  foglio. 


166  ORLANDO  FUaiOSO. 

17     Vo'  dir  che  mi  parria  commetter  fallo, 
Se  con  la  spada  non  ti  provassi  anco, 
£  non  sapessi  s'in  quest'altro  ballo 
Ta  mi  sia  pari,  o  se  più  vali,  o  manco. 
Come  li  piace,  o  scendi,  o  sta  a  cavallo: 
Parche  le  man  to  non  ti  tegna  al  fianco, 

10  son  contento  ogni  vantaggio  darti  ; 
Tanto  alla  spada  bramo  di  provarti. 

i8      Rinaldo  molto  non  lo  tenne  in  lunga, 
£  disse  :  La  battaglia  ti  prometto  ; 
£  perchè  ta  sia  ardito,  e  non  ti  punga 
Di  questi  e'  ho  d' intorno,  alcun  sospetto, 
Andranno  innanzi  finch'  io  gli  raggiunga  ; 
Né  meco  resterà  fuor  eh'  un  valletto 
Che  mi  tenga  i(  cavallo  :  e  cosi  disse 
Alla  sua  compagnia  che  se  ne  gisse. 

i9     La  cortesia  del  paladin  gagliardo 
Commendò  molto  il  cavaliere  estrano. 
Smontò  Rinaldo,  e  del  destrier  Baiardo 
Diede  al  valletto  le  redine  in  mano  : 
E  poi  che  più  non  vede  il  sao  stendardo, 

11  qual  di  lungo  spazio  è  già  lontano. 

Lo  scudo  imbraccia  e  stringe  il  brando  Gero, 
£  sfida  alla  battaglia  il  cavaliere. 

20  £  quivi  s'incomincia  una  battaglia, 
Di  eh'  altra  mai  non  fu  più  fiera  in  vista. 
Non  crede  Tua  che  tanto  l'altro  vaglia, 
Che  troppo  lungamente  gli  resista. 

Ma  poiché  '1  paragon  ben  li  ragguaglia. 
Né  r  un  dell'  altro  più  s' allegra  o  attrista, 
Pongon  l'orgoglio  ed  il  furor  da  parte, 
£d  al  vantaggio  loro  usano  ogni  arte. 

21  S' odon  lor  colpi  dispietati  e  crudi 
Intorno  rimbombar  con  suono  orrendo. 
Ora  i  canti  levando  a'  grossi  scudi. 
Schiodando  or  piastre,  e  quando  maglie  aprendo. 
Né  qui  bisogna  tanto  che  si  studi 

A  ben  ferir,  quanto  a  parar,  volendo 
Star  r  uno  all'  altro  par  ;  eh'  eterno  danno 
Lor  può  causar  il  primo  error  che  fanno. 


CANTO  TRENTESmOPRIHO.  167 

22  Darò  r  assalto  un'  ora,  e  più  che  '1  mezzo 
D'  un'altra;  ed  era  il  Sol  già  sotto  Tonde, 
Ed  era  sparso  il  tenebroso  rezzo 

Dell'  orizzon  fin  all'  estreme  sponde  ; 
Né  riposato,  o  fatto  altro  intermezzo 
Aveano  alle  percosse  furibonde 
Questi  guerrier,  che  non  ira  o  rancore, 
Ma  tratto  all'  arme  avea  disio  d' onore. 

23  Rivolve  tuttavia  tra  sé  Rinaldo 
Chi  sia  r  estrano  cavalier  si  forte. 

Che  non  pur  gli  sta  centra  ardito  e  saldo, 
Ma  spesso  il  mena  a  risco  della  morte  ; 
E  già  tanto  travaglio  e  tanto  caldo 
Gli  ha  posto,  che  del  fin  dubita  forte  ; 
E  volentìer,  se  con  suo  onor  potesse, 
Yorria  che  quella  pugna  rimanesse. 

24  Dall'altra  parte  il  cavalier  estrano. 
Che  similmente  non  avea  notizia 

Che  quel  fosse  il  signor  di  Montalbano, 

Quel  si  famoso  in  tutta  la  milizia, 

Che  gli  avea  incontra  con  la  spada  in  mano 

Condotto  cosi  poca  nìmicizia. 

Era  certo  che  d' uom  di  più  eccellenza 

Non  potesson  dar  l' arme  esperienza. 

25  Vorrebbe  dell'  impresa  esser  digiuno, 
Ch'  avea  dì  vendicare  il  suo  cavallo  ; 

E  se  potesse  senza  biasmo  alcuno, 
Si  trarrla  fuor  del  periglioso  ballo. 
Il  mondo  era  già  tanto  oscuro  e  bruno, 
Che  tutti  ì  colpi  quasi  ivano  in  fallo. 
Poco  ferire,  e  men  parar  sapeano: 
Ch'  appena  in  man  le  spade  si  vedeano. 

26  Fu  quel  da  Montalbano  il  primo  a  dire 
Che  far  battaglia  non  donno  allo  scuro. 
Ma  quella  indugiar  tanto  e  differire, 

Ch'  avesse  dato  volta  il  pigro  Arturo  ; 
E  che  può  intanto  al  padiglion  venire. 
Ove  di  sé  non  sarà  men  sicuro. 
Ma  servito,  onorato  e  ben  veduto, 
Quanto  in  loco  ove  mai  fosse  venuto. 


168  ORLANDO  FURIOSO. 

27  Non  bisognò  a  Rinaldo  pregar  molto  ; 
Che  '1  cortese  baron  tenne  lo  'nvito. 

Ne  vanno  insieme  ove  il  drappel  raccolto 
Di  Montalbano  era  in  sicuro  sito. 
Rinaldo  al  suo  scudiero  avea  già  tolto 
Un  bel  cavallo,  e  molto  ben  guernito, 
A  spada  e  a  lancia  e  ad  ogni  prova  baono^ 
Ed  a  qael  cavalier  fattone  dono. 

28  n  guerrier  peregrin  conobbe  quello 
Esser  Rinaldo,  che  venia  con  esso; 
Che  prima  che  giungessero  air  ostello, 
Venuto  a  caso  era  a  nomar  sé  stesso  : 
E  perchè  Tun  dell'  altro  era  fratello. 
Si  senti  dentro  di  dolcezza  oppresso, 
E  di  pietoso  affetto  tocco  il  core  ; 

E  lacrimò  per  gaudio  e  per  amore. 

29  Questo  guerriero  era  Guìdon  Selvaggio, 
Che  dianzi  con  MarGsa  e  Sansonetto 

E'  figli  d' Olivier  molto  viaggio 
Avea  fatto  per  mar,  come  v'  ho  detto. 
Di  non  veder  più  tosto  il  suo  lignaggio 
Il  fellon  Pinabel  gli  avea  interdetto, 
Avendol  preso,  e  a  bada  poi  tenuto 
Alla  difesa  del  suo  rio  statuto. 

30  Guidon,  che  questo  esser  Rinaldo  udio. 
Famoso  sopra  ogni  famoso  duce. 
Ch'avuto  avea  più  di  veder  disio. 

Che  non  ha  il  cieco  la  perduta  luce, 
Con  molto  gaudio  disse  :  O  signor  mio, 
Qual  fortuna  a  combatter  mi  conduce 
Con  voi  che  lungamente  ho  amato  ed  amo» 
E  sopra  tutto  il  mondo  onorar  bramo  ? 

31  Mi  partorì  Costanza  neir  estreme 
Ripe  del  mar  Eusino:  io  son  Guidone, 
Concetto  dpllo  illustre  inclito  seme. 
Come  ancor  voi,  del  generoso  Amone. 
Di  voi  vedere  e  gli  altri  nostri  insieme 
Il  desiderio  è  del  venir  cagione  ; 

E  dove  mia  intenzion  fu  d'onorarvi. 
Mi  veggo  esser  venuto  a  ingiuriarvi. 


CANTO  TRENTESIMOPRIMO.  169 

32  Ma  scasimi  appo  voi  d'un  error  tanto, 
Ch'  io  non  ho  voi  né  gli  altri  conosciuto  ; 
£  s'emendar  si  può,  ditemi  quanto 

Far  debbo,  eh'  in  ciò  far  nulla  riGuto. 
Poi  che  si  fu  da  questo  e  da  quel  canto 
De*  complessi  iterati  al  fin  venuto, 
Rispose  a  lui  Rinaldo:  Non  vi  caglia 
Meco  scusarvi  più  della  battaglia  ; 

33  Che  per  certificarne  che  voi  sete 

Di  nostra  antiqua  stirpe  un  vero  ramo, 

Dar  miglior  testimonio  non  potete. 

Che  '1  gran  valor  eh'  in  voi  chiaro  proviamo. 

Se  più  pacifiche  erano  e  quiete 

Vostre  maniere,  mal  vi  credevamo; 

Che  la  damma  non  genera  il  leone. 

Né  le  colombe  l' aquila  o  il  falcone. 

34  Non,  per  andar,  di  ragionar  lasciando. 
Non  di  seguir,  per  ragionar,  lor  via. 
Vennero  ai  padiglioni  ;  ove  narrando 

Il  buon  Rinaldo  alla  sua  compagnia 
Che  questo  era  Guidon,  che  disiando 
Veder,  tanto  aspettato  aveano  pria, 
Molto  gaudio  apportò  nelle  sue  squadre  ; 
E  parve  a  tutti  assimigliarsi  al  padre. 

35  Non  dirò  l' accoglienze  che  gli  fero 
Alardo,  Ricciardetto  e  gli  altri  dui; 
Che  gli  fece  Viviano  ed  Aldigiero, 

E  Malagigi ,  frati  e  cugin  sui  ; 
Ch'  ogni  signor  gli  fece  e  cavaliero  ; 
Ciò  ch'egli  disse  a  loro,  ed  essi  a  lui: 
Ma  vi  concluderò,  che  finalmente 
Fu  ben  veduto  da  tutta  la  gente. 

36  Caro  Guidone  a'  suoi  fratelli  stato 
Credo  sarebbe  in  ogni  tempo  assai  ; 
Ma  lor  fu  al  gran  bisogno  ora  più  grato, 
Ch'  esser  potesse  in  altro  tempo  mai. 
Poscia  che  '1  nuovo  sole  incoronato 
Del  mare  usci  di  luminosi  rai, 
Guidon  coi  frati  e  coi  parenti  in  schiera 
Se  ne  tornò  sotto  la  lor  bandiera. 

II.  45 


170  ORLANDO  FURIOSO. 

37  Tanto  un  giorno  ed  un  altro  se  n'andato, 
Che  di  Parigi  alle  assediate  porte 

A  men  di  dieci  miglia  s' accoslaro 
In  ripa  a  Senna  ;  ove  per  buona  sorte 
Grifone  ed  Aquilante  ritrovaro, 
I  dao  gaerrier  dall'  armatura  forte  : 
Grifone  il  bianco,  ed  Aquilante  il  nero. 
Che  partorì  Gismonda  d'Oliviero. 

38  Con  essi  ragionava  una  donzella, 
Non  già  di  vìi  condizione  in  vista, 
Che  di  sciamilo  bianco  la  gonnella 
Fregiata  intorno  avea  d' aurata  lista  ; 
Molto  leggiadra  in  apparenza  e  bella, 
Fosse  quantunque  lacrimosa  e  trista  : 
E  mostrava  ne'  gesti  e  nel  sembiante 
Di  cosa  ragionar  molto  importante. 

39  Conobbe  i  cavalier,  com'  essi  lui, 
Guidon,  che  fu  con  lor  pochi  di  innanzi; 
Ed  a  Rinaldo  disse  :  Eccovi  dui 

A  cui  van  pochi  di  valore  innanzi  ; 
E  se  per  Carlo  ne  verran  con  nui, 
Non  ne  staranno  i  Saracini  innanzi. 
Rinaldo  di  Guidon  conferma  il  detto. 
Che  r  uno  e  V  altro  era  guerrier  perfetto. 

40  Gli  avea  riconosciuti  egli  non  manco  ; 
Perocché  quelli  sempre  erano  usati, 
L'un  tutto  nero,  e  l'altro  tutto  bianco 
Vestir  su  l'arme,  e  molto  andare  ornati. 
Dall'  altra  parte  essi  conobber  anco 

£  salutar  Guidon,  Rinaldo  e  i  frati  ; 
Ed  abbracciar  Rinaldo  come  amico. 
Messo  da  parte  ogni  lor  odio  antico. 

41  S' ebbero  un  tempo  in  urta  e  in  gran  dispetto 
Per  Truffaldìn,  che  fora  lungo  a  dire  ; 

Ma  quivi  insieme  con  fraterno  affetto 
S'accarezzar,  tutte  obbliando  l'ire. 
Rinaldo  poi  si  volse  a  Sansonetto, 
Ch'aera  lardato  un  poco  più  a  venire , 
E  lo  raccolse  col  debito  onore, 
Appieno  instrutto  del  suo  gran  valore. 


CANTO  TBENTESIMOPRIMO.  171 

43      Tosto  che  la  donzella  più  vicino 
Vide  Rinaldo,  e  conosciuto  V  ebbe 
(Ch'avea  notizia  d'ogni  paladino), 
Gli  disse  una  novella  che  gV  increbbe  ; 
£  cominciò:  Signore,  il  tuo  cugino, 
A  cui  la  Chiesa  e  l'alto  Inoiperio  debbe, 
Quel  già  si  saggio  ed  onorato  Orlando, 
È  fatto  stolto,  e  va  pel  mondo  errando. 

43  Onde  causato  cosi  strano  e  rio 
Accidente  gli  sia,  non  so  narrarte. 

La  sua  spada  e  Faltr'arme  ho  vedute  io, 
Che  per  li  campi  avea  gittate  e  sparte  ; 
E  vidi  un  cavalier  cortese  e  pio 
Che  le  andò  raccogliendo  da  ogni  parte; 
£  poi  di  tutte  quelle  un  arbuscello 
Fé,  a  guisa  di  trofeo,  pomposo  e  bello. 

44  Ma  la  spada  ne  fu  tosto  levata 

Dal  figliuol  d' Agricane  il  di  medesmo. 
Tu  puoi  considerar  quanto  sia  stata 
Gran  perdita  alla  gente  del  battesmo 
L'essere  un'  altra  volta  ritornata 
Durindana  in  poter  del  paganesrao. 
Né  firìgliadoro  men,  ch'errava  sciolto 
Intorno  all'  arme ,  fu  dal  pagan  tolto. 

46     Son  pochi  di  eh'  Orlando  correr  vidi, 
Senza  vergogna  e  senza  senno,  ignudo, 
Con  urli  spaventevoli  e  con  gridi  : 
Ch'è  fatto  pazzo  in  somma  ti  conchìudo; 
£  non  avrei,  fuor  eh* a  questi  occhi  Odi, 
Creduto  mai  si  acerbo  caso  e  crudo. 
Poi  narrò  che  lo  vide  giù  dal  ponte 
Abbracciato  cader  con  Rodomonte. 

46      A  qualunque  io  non  creda  esser  nimico 
D'Orlando,  soggìungea,  di  ciò  favello; 
Acciò  ch'alcun  di  tanti  a  eh'  io  lo  dico, 
Mosso  a  pietà  del  caso  strano  e  fello, 
Cerchi  o  a  Parigi  o  in  altro  luogo  amico 
Ridurlo,  fìn  che  si  purghi  il  cervello. 
Ren  so,  se  Rrandimarte  n'avrà  nuova, 
Sarà  per  farne  ogni  possibil  prova. 


172  ORLANDO  FURIOSO. 

47      Era  costei  la  bella  Fìordiligi, 

Più  cara  a  Brandìmarle  che  sé  stesso  ; 
La  qual  per  lui  trovar,  venia  a  Parigi  : 
£  della  spada  ella  soggiunse  appresso, 
Che  discordia  e  contesa  e  gran  litigi 
Tra  il  Sericano  e  '1  Tartaro  avea  messo; 
£  eh'  avuta  V  avea,  poiché  fu  casso 
Di  vita  Mandricardo,  alfin  Gradasso. 

4S      Di  cosi  strano  e  misero  accidente 
Rinaldo  senza  fin  si  lagna  e  duole  ; 
Né  il  core  intenerir  men  se  ne  sente, 
Che  soglia  intenerirsi  il  ghiaccio  al  sole: 
£  con  disposta  ed  immutabil  mente. 
Ovunque  Orlando  sia,  cercar  lo  vuole. 
Con  speme,  poi  che  ritrovato  l'abbia, 
Di  farlo  risanar  di  quella  rabbia. 

49     Ma  già  lo  stuolo  avendo  fatto  unire, 
Sia  volontà  del  cielo  o  sia  avventura, 
Vuol  fare  i  Saracin  prima  fuggire, 
£  liberar  le  parigine  mura. 
Ma  consiglia  V  assalto  differire 
(Che  vi  par  gran  vantaggio)  a  notte  scura, 
Nella  terza  vigilia  o  nella  quarta, 
Ch'  avrà  l' acqua  di  Lete  il  Sonno  sparla. 

óO     Tutta  la  gente  alloggiar  fece  al  bosco, 
£  quivi  la  posò  per  tutto  M  giorno  : 
Ma  poi  che  '1  Sol,  lasciando  il  mondo  fosco, 
Alla  nutrice  antiqua  fé  ritorno, 
Ed  orsi  e  capre,  e  serpi  senza  losco, 
E  r  altre  fere  ebbene  il  cielo  adorno, 
Che  state  erano  ascose  al  maggior  lampo , 
Mosse  Rinaldo  il  taciturno  campo  : 

61      E  venne  con  Grifon ,  con  Aquilante, 
Con  Yivian,  con  Alardo  e  con  Guidone, 
Con  Sansonetto,  agli  altri  un  miglio  innante, 
A  cheti  passi  e  senza  alcun  sermone.    / 
Trovò  dormir  l'ascolta  d'  Agramante: 
Tutta  l'uccise,  e  non  ne  fé  un  prigione. 
Indi  arrivò  tra  V  altra  gente  mora, 
Che  non  fu  visto  né  sentito  ancora. 


CANTO  TBEMTESIMOPfilMO.  173 

62  Del  campo  d' infedeli  a  prima  gianta 
La  rìtrovata  gaardia  all'  improvviso 
Lasciò  Rinaldo  si  rotta  e  consunta, 
Gh'  un  sol  non  ne  restò,  se  non  uccìso. 
Spezzata  che  lor  fu  la  prima  punta, 

I  Saracin  non  V  avean  più  da  riso  ; 
Che  sonnolenti,  timidi  ed  inermi, 
Poteano  a  tai  guerrier  far  pochi  schermi. 

63  Fece  Rinaldo  per  maggior  spavento 
Dei  Saracini,  al  mover  dell'  assalto, 
A  trombe  e  a  corni  dar  subito  vento, 
E,  gridando,  il  suo  nome  alzar  in  alto. 
Spinse  Baiardo,  e  quel  non  parve  lento; 
Chò  dentro  all'  alte  sbarre  entrò  d' un  salto, 
E  versò  cavalier,  pestò  pedoni, 

Ed  atterrò  trabacche  e  padiglioni. 

64  Non  fu  si  ardito  tra  il  popol  pagano, 
A  cui  non  s' arricciassero  le  chiome, 
Quando  senti  Rinaldo  e  Monlalbano 
Sonar  per  l'aria,  il  formidato  nome. 
Fugge  col  campo  d' Africa  l' Ispano, 
Né  perde  tempo  a  caricar  le  some; 
Ch'aspettar  quella  furia  più  non  vuole, 
Ch'  aver  provala  anco  si  piagne  e  duole. 

66      Guidon  lo  segue,  e  non  fa  men  di  lui; 
Né  men  fanno  i  duo  figli  d'Oliviero, 
Alardo  e  Ricciardetto  e  gli  altri  dui  : 
Col  brando  Sansonetto  apre  il  sentiero  ; 
Aldigiero  e  Yivian  provar  altrui 
Fan  quanto  in  arme  l' uno  e  l' altro  è  fiero. 
Cosi  fa  ognun  che  segue  lo  stendardo 
DI  Chiaramente,  da  guerrier  gagliardo. 

66     Settecento  con  lui  tenea  Rinaldo 
In  Montalbano  e  intorno  a  quelle  ville. 
Usati  a  portar  l'arme  al  freddo  e  al  caldo, 
Non  già  più  rei  dei  Mirmidon  d' Achille. 
Ciascun  d'essi  al  bisogno  era  si  saldo,- 
Che  cento  insieme  non  fuggian  per  mille; 
E  se  ne  polean  molti  sceglier  fuori. 
Che  d' alcun  dei  famosi  eran  migliori* 

15' 


174  ORLANDO  FURIOSO. 

57  E  se  Rinaldo  ben  non  era  molto 
Ricco  né  di  città  né  di  tesoro , 
Facea  si  con  parole  e  con  buon  volto, 
E  ciò  eh'  avea  partendo  ognor  con  loro, 
Gh'  an  di  quel  namer  mai  non  gli  fa  tolto 
Per  offerire  attrai  più  somma  d' oro. 
Qaesti  da  Montalban  mai.  non  rimove» 

Se  non  lo  stringe  an  gran  bisogno  altrove. 

58  Ed  or,  perch'abbia  il  Magno  Carlo  aiate, 
Lasciò  con  poca  guardia  il  suo  castello. 
Tra  gli  African  qaesto  drappel  venuto , 
Questo  drappel  del  cui  valor  favello. 

Ne  fece  quel  che  del  gregge  lanuto 
Sul  falanteo  Galeso  il  lupo  fello, 
O  quel  che  soglia  del  barbato,  appresso 
Il  barbaro  Ginifìo ,  il  leon  spesso. 

59  Carlo,  eh'  avviso  da  Rinaldo  avuto 
Avea,  che  presso  era  a  Parigi  giunto, 
E  che  la  notte  il  campo  sprovveduto 
Yolea  assalir,  stato  era  in  arme  e  in  punto: 
E,  quando  bisognò,  venne  in  aiuto 

Coi  paladini;  e  ai  paladini  aggiunto 
Avea  il  fìgliuol  del  ricco  Monodante, 
Di  Fiordiligi  il  fido  e  saggio  amante; 

00     Ch'  ella  più  giorni  per  si  lunga  via 
Cercato  avea  per  tutta  Francia  invano. 
Quivi,  all'  insegne  che  portar  solia. 
Fu  da  lei  conosciuto  di  lontano. 
Come  lei  Rrandìmarte  vide  pria. 
Lasciò  la  guerra,  e  tornò  tutto  umano, 
E  corse  ad  abbracciarla;  e  d'amor  pieno, 
Mille  volte  baciolla,  o  poco  meno. 

61      Delle  lor  donne  e  delle  lor  donzelle 
Si  fidar  molto  a  quella  antica  etade. 
Senz'  altra  scorta  andar  lasciano  quelle 
Per  piani  e  monti,  e  per  strane  contrade; 
Ed  al  ritorno  V  han  per  buone  e  belle. 
Né  mai  tra  lor  suspizione  accade. 
Fiordiligi  narrò  quivi  al  suo  amante, 
Che  fatto  stollo  era  il  signor  d' Anglante 


Canto  TRENtEStMOPRiMò.  1*75 

62  Brandimarte  si  strana  e  ria  novella 
Credere  ad  altri  a  pena  avria  potuto  ; 
Ma  lo  credette  a  Fìordiligi  bella, 

A  cai  già  maggior  cose  area  creduto. 
Non  pur  d'averlo  udito  gli  dice  ella. 
Ma  che  con  gli  occhi  proprj  V  ha  veduto  ; 
C*  ha  conoscenza  e  pratica  d' Orlando, 
Quanto  alcun  altro  ;  e  dice  dove  e  quando  : 

63  E  gli  narra  del  ponte  periglioso , 
Che  Rodomonte  ai  cavalier  difende, 
Ove  un  sepolcro  adorna  e  fa  pomposo 
Di  sopravveste  e  d' arme  di  chi  prende. 
Narra  e'  ha  visto  Orlando  furioso 

Far  cose  quivi  orribili  e  stupende  ; 
Che  nel  fiume  il  pagan  mandò  riverso, 
Con  gran  periglio  di  restar  sommerso. 

64  Brandimarte,  che  '1  conte  amava  quanto 
Si  può  compagno  amar,  fratello  o  figlio, 
Disposto  di  cercarlo;  e  di  far  tanto. 

Non  ricusando  affanno  né  periglio. 
Che  per  opra  di  medico  o  d' incanto 
Si  ponga  a  quel  furor  qualche  consiglio. 
Cosi  come  tro vessi  armato  in  sella, 
Si  mise  in  via  con  la  sua  donna  bella. 

65  Verso  la  parte  ove  la  donna  il  conte 
Avea  veduto,  il  lor  cammin  drizzare, 
Di  giornata  in  giornata,  fin  eh'  al  ponte 
Che  guarda  il  re  d' Algier  si  ritrovare.  . 
La  guardia  ne  fé  segno  a  Rodomonte, 
E  gli  scudieri  a  un  tempo  gli  arrecare 
L'arme  e  il  cavallo;  e  quel  si  trovò  in  punto, 
Quando  fu  Brandimarte  al  passo  giunto. 

66  Con  voce  qual  conviene  al  suo  furore. 
Il  Saracino  a  Brandimarte  grida  : 

.  Qualunque  tu  ti  sia,  che,  per  errore 
Di  via  0  di  mente,  qui  tua  sorte  guida. 
Scendi  e  spogliati  l'arme,  e  fanne  onore 
Al  gran  sepolcro,  innanzi  ch'io  t' uccida, 
E  che  vittima  all'  ombre  tu  sia  offerto; 
Ch'io  '1  farò  poi,  né  te  n'avrò  alcun  merlo. 


176  ORLANDO  FURIOSO. 

67      Non  volse  Brandimarte  a  quell'  altiero 
AUra  risposta  dar,  che  della  lancia. 
Sprona  Batoldo,  il  sao  gentil  destriero, 
E  inverso  qael  con  tanto  ardir  si  lancia, 
Che  mostra  che  può  star  d' animo  fiero 
Con  qual  si  voglia  al  mondo  alla  bilancia  : 
£  Rodomonte,  con  la  lancia  in  resta. 
Lo  stretto  ponte  a  tutta  briglia  pesta. 

6S      II  suo  destrier,  ch'avea  continuo  uso 
D'andarvi  sopra,  e  far  di  quel  sovente 
Quando  uno  e  quando  un  altro  cader  giuso. 
Alla  giostra  correa  sicuramente. 
L'altro,  del  corso  insolito  confuso, 
Venia  dubbioso,  timido  e  tremente. 
Trema  anco  il  ponte,  e  par  cader  neir  onda. 
Oltre  che  stretto  e  che  sia  senza  sponda. 

69  I  cavalier,  di  giostra  ambi  maestri. 
Che  le  lance  avean  grosse  come  travi, 
Tali  qua!  fur  nei  lor  ceppi  silvestri, 

Si  dieron  colpi  non  troppo  soavi. 
Ai  lor  cavalli  esser  possenti  e  destri 
Non  giovò  mollo  agli  aspri  colpi  e  gravi  ; 
Che  si  versar  di  pari  ambi  sul  ponte, 
£  seco  i  signor  lor  tutti  in  un  monte. 

70  Nel  volersi  levar  con  quella  fretta 

Che  lo  spronar  de'  Oanchi  insta  e  richiede, 
L'asse  del  ponticel  lor  fu  si  stretta. 
Che  non  trovare  ove  fermare  il  piede; 
Si  che  una  sorte  uguale  ambi  li  getta 
Nell'acqua;  e  gran  rimbombo  al  ciel  ne  riede. 
Simile  a  quel  eh'  usci  del  nostro  fiume. 
Quando  ci  cadde  il  mal  rettor  del  lume. 

71  I  duo  cavalli  andar  con  tutto  '1  pondo 
Dei  cavalier,  che  steron  fermi  in  sella, 
A  cercar  la  riviera  insin  al  fondb. 

Se  V'  era  ascosa  alcuna  Ninfa  bella. 
Non  è  già  il  primo  salto  né  '1  secondo. 
Che  giù  del  ponte  abbia  il  pagano  in  quella 
Onda  spiccato  col  destriero  audace  ; 
Però  sa  ben  come  quel  fondo  giace: 


Càl^TO  TKENTESIMOPRIAIO.  177 

72  Sa  dove  è  saldo ,  e  sa  dove  è  più  molle  : 
Sa  dove  ò  l'acqua  bassa,  e  dove  è  l'alta. 
Dal  fiume  il  capo  e  il  petto  e  i  fianchi  estolle, 
E  Brandimarte  a  gran  vantaggio  assalta. 
Brandi  marte  il  corrente  in  giro  tolle  : 

Nella  sabbia  il  destrier,  che  '1  fondo  smalta, 
Tutto  si  ficca,  e  non  può  riaversi, 
Con  rischio  di  restarvi  ambi  sommersi 

73  L' onda  si  leva,  e  li  fa  andar  sozzopra, 
E  dove  è  più  profonda  li  trasporta. 

Va  Brandimarte  sotto,  e  '1  destrier  sopra. 
Fiordiligi  dal  ponte  afflitta  e  smorta 
E  le  lacrime  e  i  voti  e  i  prieghì  adopra  : 
Ah  Rodomonte,  per  colei  che  morta 
Tu  riverisci,  non  esser  si  fiero. 
Ch'affogar  lasci  un  tanto  cavaliero! 

74  Deh,  cortese  signor,  s*  unqua  tu  amasti, 
Di  me,  ch'amo  costui,  pietà  ti  vegna. 

Di  farlo  tuo  prigion,  per  Dio,  ti  basti  ; 
Che  s' orni  il  sasso  tuo  di  quella  insegna  : 
Di  quante  spoglie  mai  tu  gli  arrecasti. 
Questa  fia  la  più  bella  e  la  più  degna. 
E  seppe  si  ben  dir,  eh'  ancorché  fosse 
Si  crudo  il  re  pagan,  pur  lo  commosse; 

75  E  fé  che  '1  suo  amator  ratto  soccorse. 
Che  sotto  acqua  il  destrier  tenea  sepolto, 
E  della  vita  era  venuto  in  forse, 

E  senza  sete  avea  bevuto  molto. 
Ma  aiuto  non^però  prima  gli  porse, 
Che  gli  ebbe  il  brando  e  di  poi  l' elmo  tolto 
Dell'acqua  mezzo  morto  il  trasse,  e  porre 
Con  molti  altri  lo  fé  nella  sua  torre. 

76  Fu  nella  donna  ogni  allegrezza  spenta, 
Quando  prigion  vide  il  suo  amante  gire  ; 
Ma  di  questo  pur  meglio  si  contenta, 
Che  (R  vederlo  nel  fiume  perire. 

Di  sé  stessa,  e  non  d'altri,  si  lamenta, 
Che  fu  cagion  di  farlo  ivi  venire. 
Per  avergli  narrato  eh'  avea  il  conte 
Biconosciuto  al  periglioso  ponte. 


178  ORLANDO  FCU050. 

77  Quindi  si  parte,  avendo  già  concetto 
Di  menarvi  Rinaldo  paladino , 

O  il  Selvas:gio  Guidone,  o  Sansonetto , 

O  altri  della  corte  di  Pipino, 

In  acqua  e  in  terra  cavalier  perfetto 

Da  poter  contrastar  col  Saracino  ; 

Se  non  più  forte,  almen  più  fortunato, 

Che  Brandimarte  suo  non  era  stato. 

78  Va  molti  giorni,  prima  che  s*  abbatta 
In  alcun  cavalier  eh'  abbia  sembiante 
D'esser  come  lo  vuol,  perchè  combatta 
Col  Saracino,  e  liberi  il  suo  amante. 
Dopo  molto  cercar  di  persona  atta 

Al  suo  bisogno,  uir  le  vien  pur  avante, 
Che  soprawesta  avea  ricca  ed  ornata , 
A  tronchi  di  cipressi  ricamata. 

78      Chi  costui  fosse,  altrove  ho  da  narrarvi  ; 
Che  prima  ritornar  voglio  a  Parigi, 
E  della  gran  sconfitta  seguitarvi, 
Ch'  a'  Mori  die  Rinaldo  e  Malagigi. 
Quei  che  fuggirò,  io  non  saprei  contarvi, 
Né  quei  che  far  cacciati  ai  fiumi  stigi. 
Levò  a  Turpino  il  conto  l'aria  oscura. 
Che  di  contarli  s' avea  preso  cura. 

80     Nel  primo  sonno  dentro  al  padiglione 
Dormia  Agramante  ;  e  un  cavalier  lo  desta, 
Dicendogli  che  fia  fatto  prigione, 
Se  la  fuga  non  è  via  più  che  presta. 
Guarda  il  re  intomo,  e  la  confusione 
Vede  dei  suoi,  che  van  senza  far  testa 
Chi  qua  chi  là  fuggendo  inermi  e  nudi. 
Che  non  han  tempo  di  pur  tor  gli  scudL    - 

SI      Tutto  confuso  e  privo  di  consiglio 
Si  facea  porre  indosso  la  corazza. 
Quando  con  Falsiron  vi  giunse  il  figlio 
Grandonio,  e  Balagante,  e  quella  razza; 
E  al  re  Agramante  mostrano  il  periglio 
Di  restar  morto  o  preso  in  quella  piazza; 
E  che  può  dir,  se  salva  la  persona, 
Che  Fortuna  gli  sìa  propizia  e  buona. 


CANTO  TBENTESIMOPBIMO.  179 

82  Cosi  Marsilio  e  cosi  il  buon  Sobrino, 
E  cosi  dicon  gli  altri  ad  ana  voce^ 
€h'  a  sua  distruzion  tanto  è  vicino. 
Quanto  a  Rinaldo  il  qual  ne  vien  veloce  ; 
Che  s' aspetta  cbe  giunga  il  paladino 
Con  tanta  gente,  e  un  uom  tanto  feroce, 
Render  certo  si  può  eh'  egli  e  i  suo'  amici 
Rìmarran  morti,  o  in  man  degli  nimici. 

83  Ma  ridur  si  può  in  Arti  o  sia  in  Narbona 
Con  quella  poca  gente  e' ha  d'intorno; 
Che  r  una  e  l' altra  terra  é  forte  e  buona 
Da  mantener  la  guerra  più  d' un  giorno  : 
£  quando  salva  sia  la  sua  persona. 

Si  potrà  vendicar  di  questo  scorno. 
Rifacendo  V  esercito  in  un  tratto, 
Onde  aIGn  Carlo  ne  sarà  disfatto. 

84  11  re  Agramante  al  parer  lor  s'attenne. 
Benché  il  partito  fosse  acerbo  e  duro. 
Andò  verso  Arli,  e  parve  aver  le  penne. 
Per  quel  cammin  che  più  trovò  sicuro. 
Oltre  alle  guide,  in  gran  favor  gli  venne, 
Che  la  partita  fu  per  l' aer  scuro. 

Venti  mila  tra  d'Africa  e  di  Spagna 
Fur,  eh'  a  Rinaldo  uscir  fuor  della  ragna. 

85  Quei  ch'egli  uccise,  e  quei  che  i  suoi  fratelli, 
Quei  che  i  duo  figli  del  signor  di  Vienna, 
Quei  che  prò  varo  empj  nimici  e  felli 

I  settecento  a  cui  Rinaldo  accenna, 
£  quei  che  spense  Sansonetto,  e  quelli 
Che  nella  fuga  s'affogare  in  Senna, 
Chi  potesse  contar,  conteria  ancora 
Ciò  che  sparge  d' aprii  Favonio  e  Flora. 

86  Istima  alcun  che  Malagigi  parte 
Nella  vittoria  avesse  della  notte  ; 

'  Non  che  di  sangue  le  campagne  sparte 
Fosser  per  lui,  né  per  lui  teste  rotte; 
Ma  che  gì'  infernali  angeli  per  arte 
Facesse  uscir  dalle  tartaree  grotte, 
E  con  tante  bandiere  e  tante  lance, 
Ch'  insieme  più  non  ne  porrian  due  France  : 


180  ORLANDO  FURIOSO. 

$7      E  che  facesse  udir  tanti  metalli. 
Tanti  tamburi,  e  tanti  varj  snoni, 
Tanti  annìtriri  in  voce  di  cavalli, 
Tanti  gridi  e  tumulti  di  j)edoni, 
Che  risonare  e  piani  e  monti  e  valli 
Dovean  delle  longinque  regioni , 
Ed  ai  Mori  con  questo  un  timor  diede. 
Che  li  fece  voltare  in  fuga  il  piede. 

8S      Non  si  scordò  il  re  d'Africa  Ruggiero, 
Ch'era  ferito  e  slava  ancora  grave. 
Quanto  potè  più  acconcio  s' un  destriero 
Lo  fece  por,  eh'  avea  l' andar  soave  ; 
E  poi  che  i'  ebbe  tratto  ove  il  sentiero 
Fu  più  sicuro,  il  fé  posare  in  nave, 
E  verso  Arli  portar  comodamente, 
Dove  s' avea  a  raccor  tutta  la  gente. 

S9     Quei  eh'  a  Rinaldo  e  a  Carlo  dier  le  spalle 
(Fur,  credo,  cento  mila  o  poco  manco), 
Per  caiApagne,  per  boschi  e  monte  e  valle 
Cercare  uscir  di  man  del  popol  franco  ; 
Ma  la  più  parte  trovò  chiuso  il  calle, 
E  fece  rosso  ov'  era  verde  e  bianco. 
Cosi  non  fece  il  re  di  Sericana, 
Ch'avea  da  lor  la  tenda  più  lontana: 

90  Anzi ,  come  egli  sente  che  'l  signore 
Di  Montalbano  è  questo  che  gli  assalta. 
Gioisce  di  tal  giubilo  nel  core, 

Che  qua  e  là  per  allegrezza  salta. 
Loda  e  ringrazia  il  suo  sommo  Fattore, 
Che  quella  notte  gli  occorra  tant'  alta 
E  si  rara  avventura,  d'acquistare 
Baiardo,  quel  destrìer  che  non  ha  pare. 

91  Avea  quel  re  gran  tempo  desiato 
(Credo  ch'altrove  voi  l'abbiate  letto) 
D' aver  la  buona  Durindana  a  lato, 
E  cavalcar  quel  corridor  perfetto. 

E  già  con  più  di  cento  mila  armato 
Era  venuto  in  Francia  a  questo  effetto  ; 
E  con  Rinaldo  già  sfìdato  s' era 
Per  quel  cavallo  alla  battaglia  fiera  : 


CANTO  TRBNTESIfifOPRIMO.  181 

92  E  sai  lito  del  mar  s' era  condutlo 
Ove  dovea  la  pugna  diffinire  ; 

Ma  Malagigi  a  turbar  venne  il  tatto, 
Che  fé  il  cagin,  mal  grado  suo,  partire, 
Avendol  sopra  an  legno  in  mar  ridotto. 
Lungo  saria  tutta  Y  istoria  dire. 
Da  indi  in  qua  stimò  timido  e  vile 
Sempre  Gradasso  il  paladin  gentile. 

93  Or  che  Gradasso  esser  Rinaldo  intende 
Costui  eh'  assale  il  campo,  se  n'  allegra. 
Si  veste  r  arme,  e  la  sua  alfana  prende, 
E  cercando  lo  va  per  V  aria  negra  : 

E  quanti  ne  riscontra ,  a  terra  stende  ; 
Ed  in  conroso  lascia  afiSilta  ed  egra 
La  gente  o  sia  di  Libia  o  sia  di  Francia  : 
Tutti  li  mena  a  an  par  la  buona  lancia. 

94  Lo  va  di  qua  di  là  tanto  cercando. 
Chiamando  spesso,  e  quanto  può  più  forte, 
E  sempre  a  quella  parte  declinando. 

Ove  più  folte  son  le  genti  morte, 

Ch'  alfin  s' incontra  in  lui  brando  per  brando  ; 

Poiché  le  lance  loro  ad  una  sorte 

Eran  salite  in  mille  schegge  rotte 

Sin  al  carro  stellato  della  Notte. 

95  Quando  Gradasso  il  paladin  gagliardo 
Conosce,  e  non  perchè  ne  vegga  insegna. 
Ma  per  gli  orrendi  colpi,  e  per  Baiardo 
Che  par  che  sol  tutto  quel  campo  legna; 
Non  è,  gridando,  a  improverargli  tardo 
La  prova  che  di  sé  fece  non  degna  : 

Ch'  al  dato  campo  il  giorno  non  comparse. 
Che  tra  lor  la  battaglia  dovea  farse. 

93      Soggiunse  poi  :  Tu  forse  avevi  speme. 

Se  potevi  nasconderti  quel  punto,  "^ 

Che  non  mai  più  per  raccozzarci  insieme 
Fossimo  al  mondo  :  or  vedi  eh'  io  t' ho  giunto. 
Sie  certo,  se  tu  andassi  nell'estreme 
Fosse  di  Stige,  o  fossi  in  cielo  assunto, 
Ti  seguirò,  quando  abbi  il  destrier  teco, 
Neil'  alta  luce,  e  giù  nel  mondo  cieco. 

II.  46 


182  ORLANDO  FURIOSO. 

97      Se  d' aver  meco  a  far  non  ti  dà  il  corey 
E  vedi  già  che  non  puoi  starmi  a  paro, 
E  più  stirai  la  vita  che  l'onore, 
Senza  periglio  ci  puoi  far  riparo, 
Quando  mi  lasci  in  pace  il  corridore  ; 
E  viver  puoi,  se  si  t' è  il  viver  caro  : 
Ma  vivi  a  pie  ;  che  non  merli  cavallo, 
S' alla  cavalleria  fai  si  gran  fallo. 

9S  A  qnel  parlar  si  ritrovò  presente 
Con  Ricciardetto  il  cavalìer  Selvaggio  ; 
E  le  spade  ambì  trasser  agoalmente. 
Per  far  parere  il  Serican  mal  saggio. 
Ma  Rinaldo  s'oppose  immantinente, 
E  non  pali  che  se  gli  fesse  oltraggio, 
Dicendo:  Senza  voi  dunque  non  sono 
A  chi  m' oltraggia  per  risponder  buono? 

99     Poi  se  ne  ritornò  verso  il  pagano, 
E  disse:  Odi,  Gradasso;  io  voglio  farle, 
Se  tu  m' ascolti ,  manifesto  e  piano 
Ch'  io  venni  alla  marina  a  ritrovarle  ; 
E  poi  ti  sosterrò  con  V  arme  in  mano. 
Che  t' avrò  detto  il  vero  in  ogni  parte  ; 
E  sempre  che  tu  dica,  mentirai, 
Gh'  alla  cavalleria  mancass'  io  mai. 

iOO     Ma  ben  ti  priego  che  prima  che  sia 
Pugna  tra  noi,  che  pianamente  intenda 
La  giustissima  e  vera  scusa  mia. 
Acciò  eh'  a  torto  più  non  mi  riprenda  ; 
E  poi  fiaiardo  al  termine  di  pria 
Tra  noi  vorrò  eh'  a  piedi  si  contenda 
Da  solo  a  solo  in  solitario  lato, 
SI  come  appunto  fu  da  te  ordinato. 

dOl      Era  cortese  il  re  di  Sericana, 

Come  Ogni  cor  magnanimo'  esser  suole  ; 
Ed  è  contento  udir  la  cosa  piana, 
E  come  il  paladin  scusar  si  vuole. 
Con  lui  ne  viene  in  ripa  alla  fiumana, 
Ove  Rinaldo  in  semplici  parole 
Alla  sua  vera  istoga  trasse  il  velo, 
E  chiamò  in  testimonio  tutto  '1  cielo  : 


CANTO  TRENTESIMOPBIMO.  183 

i03     E  poi  chiamar  fece  il  figliaci  di  Baovoy 
L' uom  che  di  questo  era  informato  appieno  ; 
Gh'  a  parte  a  parte  replicò  di  nuovo 
L' incanto  sao ,  né  disse  più  nò  meno. 
Soggiunse  poi  Rinaldo  :  Ciò  eh'  io  provo 
Col  testimonio ,  io  vo'  che  V  arme  sieno , 
Che  ora,  e  in  ogni  tempo  che  ti  piace , 
Te  n'  abbiano  a  far  prova  più  verace. 

103  II  re  Gradasso,  che  lasciar  non  volle 
Per  la  seconda  la  querela  prima, 

Le  scuse  di  Rinaldo  in  pace  tolte  ; 
Ma  se  son  vere  o  false ,  in  dubbio  stima. 
Non  tolgon  campo  più  sul  lite  molle 
Di  Barcellona ,  ove  lo  tolser  prima  ; 
Ma  s' accordare  per  V  altra  mattina 
Trovarsi  a  una  fontana  indi  vicina: 

104  Ove  Rinaldo  seco  abbia  il  cavallo , 
Che  posto  sia  comunemente  in  mezzo. 
Se  1  re  uccide  Rinaldo ,  o  il  fa  vassallo  , 
Se  ne  pigli  il  destrier  senz'  altro  mezzo  : 
Ma  se  Gradasso  è  quel  che  faccia  fallo , 
Che  sia  condotto  air  ultimo  ribrezzo , 

0 ,  per  più  non  poter,  che  gli  si  renda , 
Da  lui  Rinaldo  Durindana  prenda. 

i06     Con  maraviglia  molla ,  e  più  dolore , 
Come  v'  ho  detto ,  avea  Rinaldo  udito 
Da  Fiordiligi  bella ,  eh'  era  fuore 
Dell*  intelletto  il  suo  cugino  uscito. 
Avea  detrarrne  inteso  anco  il  tenore, 
£  del  litigio  che  n'  era  seguito  ; 
E  eh'  in  somma  Gradasso  avea  quel  brando 
Ch'ornò  di  mille  e  mille  palme  Orlando. 

i06     Poi  che  furon  d' accordo ,  ritomosse 
Il  re  Gradasso  ai  servitori  sui  ; 
Benché  dal  paladin  pregato  fosse 
Che  ne  venisse  ad  alloggiar  con  lui. 
Come  fu  giorno ,  il  re  pagano  armosse  : 
Cosi  Rinaldo  :  e  giunsero  ambedui 
Ove  dovea  non  lungi  alla  fontana 
Combattersi  Baìardo  e  Durindana. 


i84  ORLANDO  FURIOSO. 

iu?     Della  battaglia  che  Rinaldo  avere 
Con  Gradasso  dovea  da  solo  a  solo , 
Parean  gli  amici  suoi  tatti  temere  ; 
£  innanzi  il  caso  ne  faceano  il  duolo. 
Molto  ardir ,  molta  forza ,  alto  sapere 
Avea  Gradasso  ;  ed  or  che  del  figliuolo 
Del  gran  Milone  avea  la  spada  al  fianco , 
Di  timor  per  Rinaldo  era  ognun  bianco. 

103      £  più  degli  altri  il  frate  di  Viviano 

Stava  di  questa  pugna  in  dubbio  e  in  tema  ; 
£d  anco  volentier  vi  porria  mano , 
Per  farla  rimaner  d*  effetto  scema  : 
Ma  non  vorria  che  quel  da  Montalbano 
Seco  venisse  a  inimicizia  estrema  ; 
Ch'anco  avea  di  quell'altra  seco  sdegno, 
Che  gli  turbò,  quando  il  levò  sul  legno. 

i09      Ma  stiano  gli  altri  in  dubbio,  in  tema,  in  doglia; 
Rinaldo  se  ne  va  lieto  e  sicuro. 
Sperando  ch'ora  il  biasmo  se  gli  teglia, 
Gh'  avere  a  torto  gli  parea  pur  duro  ; 
Sì  che  quei  da  Pontieri  e  d' Allafoglia 
Faccia  cheti  restar,  come  mai  furo. 
Va  con  baldanza  e  sicurtà  di  core 
Di  riportarne  il  trionfale  onore. 

HO     Poi  che  r  un  quinci  e  l' altro  quindi  ^giunto 
Fu  quasi  a  un  tempo  in  su  la  chiara  fonte, 
S' accarezzare  ;  e  fero  a  punto  a  punto 
Cosi  serena  ed  amichevol  fronte, 
Come  di  sangue  e  d'  aipistà  congiunto 
Fosse  Gradasso  a  quel  di  Chiaramente. 
Ma  come  poi  s' andassero  a  ferire. 
Vi  voglio  a  un'  altra  volta  differire. 


VOTS. 


St.  5.  V,  3.6.  Murmutet'^OTmuit 
di  parole  uiate  nel  far  gì*  incantesimi , 
ditte  carmi  nella  St.43  del  Canto  II. — 
Immagine:  figure  magiche,  adoperale 


per  lo  stesso  ef&tto.  —  Saga:  incanta» 
trice. —  Zoroastro:  re  de'Battriani: 
creduto  inventore  dell'  arte  magica. 
St.  1 3.  V,  8.  —  Oncia  :  è  anche  mi» 


f 


CANtO  taENTÈSIMOPRlHO. 


185 


■ara  lineare^  cioè  la  duodecima  parte 
^ì  piede. 

«n.  86.  f».  4.  —  //  pigro  Arturo  : 
una  delle  stelle  vicine  al  Polo  artico;  e 
l'epiteto  che  le  Hk  il  Poeta  è  relativo 
alla  maggior  preatesia,  con  che  le  altre 
stelle  pi&  discoste  dal  Polo  terminano 
r  apparente  loro  rivolgersi  intorno  alla 
Terra. 

St,  38.  9,  3.  —  Sciamilo:  sorta  di 
drappo. 

Si.  41.  9, 1-S. —  In  urta:  in  odio. 
•^Per  Truffaldin:  uomo  di  mal  affare, 
per  cui  Grifone,  Aqnilante  e  Rinaldo 
vennero  un  tempo  a  contesa.  Vedi  que- 
sto fatto  nel  Boiardo,  Lib.  I,  Canto  XV 
e  XXYI. 

St.  49.  9.  7.—  Vigilia:  cosi  chia- 
mavasi  dai  Romani  ognuna  delle  quat- 
tro parti  in  cui  dividevano  la  notte  j  e 
tal  denominasione  traevano  dal  vigilare 
o  vegliare  delle  sentinelle,  dette  simil- 
mente 9igilet. 

St.  M).  9. 4-7 Jlla  nutrice   an. 

tìqua:  alla  terra,  come  nella  St.  139  del 
Canto  XY 1 1. — Ed  orti  e  capre  ec:  indi- 
ca diverse  costellasioni,  alle  quali  i  poetir 
e  gli  astronomi  diedero  i  nomi  di  vari 
animali;  come  le  due  Orse,  la  Capra 
J malica,  e  il  Serpente,  che  si  accen- 
nano nel  quinto  verso.  —  jél  maggior 
lampo:  alla  luce  del  sole,  o  durante  il 
giorno, 

St.  51.  9.  h.-^^  Ascolta,  o  scolta: 
sentinella;  ma  qui  è  da  intendersi  un 
numero  di  soldati  che  stanno  a  guardia, 
detto  comunemente  corpo  di  guardia. 


St,  53.  e.  8.—  Trabacche:  casotti 
posticci  di  legno  o  di  tela,  sostenuti  da 
travicelli,  per  alloggiare  i  soldati  in  ae- 
campamento.  —  Padiglioni:  tende, 
sotto  cui  alloggiano  i  capi  dell'esercito 
accampato. 

St.  54.  9.  4-8.  —  Formidato:  te- 
muto.—  Si  piagne:  si  rammarica. 

St.  56.  9. 4.  —  Non  già  più  rei  dei 
Mirmidon  di' Achille:  non  inferiori  in 
valore  ai  Mirmidoni,condotti  da  Achille 
air  assedio  di  Troia. 

St,  58.  t».  5-8. — Del  gregge  lanu^ 
io:  del  gregge  pecorino. — Sulfalanteo 
Galeso:  fiume  non  lontano  da  Taranto 
che  credesi  edificata  da  Falanto,  come 
altrove  si  disse;  e  qui  si  prende  per 
tutta  la  regione  Tarentina,  le  cui  pecore 
producono  lana  di  molto  pregio. — Del 
barbato:  del  gregge  caprino. — libarm 
baro  Cinijto:  il  fiume  Magra  in  Africa, 
detto  dai  Latini  Oynips  o  Cyniphus, 
lungo  il  quale  sogliono  pascere  le  ca* 
pre. 

St.  63.  9,  3.  _  Di/endet  vieU, 
impedisce. 

St.  70.  9.  7-8 — Del  nostro  fw^ 
me:  del  Po. — limai  rettor  del  lume: 
Fetonte i  vedi  la  St.  34  del  Canto  Ili,  e 
la  nota  corrispondente. 

St.  85.  9,  4.  -^  Accenna:  qui  co* 
manda, 

St.  87. 9.  ^.^Annitrtri:  nitrii 

^«.102. 9.Ì —  Ilfgliuol  di  Buo» 
90:  Malagigi. 

St.  104.  9.  6 Air  ultimo  rtbre- 

«o:  al  freddo  della  morte. 


W 


jl86  OBLAKDO  FURIOSO. 


CAXEO  XBEIiTJESIlIOSfieOiniO. 


Care  di  Agramante  per  rinforsare  Tesercito.  Bradamante,  ingelosita  di  Ruggiero 
per  cagioD  di  Mar6sa,  parte  dal  suo  castello,  e  capita  alla  rocca  di  Triatano. 
Itì  è  obbligata  a  combattere  eoo  tre  principi;  e  dopo  averli  tolti  di  acIU>  ode 
l'origine  di  quell*  usanaa. 


I      Soyyìemmi  che  cantare  io  vi  dovea 
(Già  lo  promisi,  e  poi  m*  asci  di  mente) 
D' una  sospizion  che  fatto  avea 
La  bella  donna  di  fiaggier  dolente, 
Deir  altra  più  spiacevole  e  più  rea, 
E  di  più  acato  e  venenoso  dente, 
Che,  per  quel  ch'ella  adi  da  Ricciardetto, 
A  devorare  il  cor  V  entrò  nel  petto. 

Dovea  cantarne,  ed  altro  incominciai, 
Perchè  Rinaldo  in  mezzo  sopravvenne  ; 
E  poi  Gaidon  mi  die  che  fare  assai, 
Che  tra  cammino  a  bada  an  pezzo  il  tenne. 
D' una  cosa  in  an'  altra  in  modo  entrai , 
Che  mal  di  Bradamante  mi  sovvenne. 
Sovvienmene  ora,  e  vo*  narrarne  innanti 
Che  di  Rinaldo  e  di  Gradasso  io  canti. 

Ma  bisogna  anco,  prima  ch'io  ne  parli, 
Che  d' Agramante  io  vi  ragioni  un  poco, 
Ch'avea  ridutte  le  reliquie  in  Arli, 
Che  gli  restar  del  gran  notturno  fuoco  ; 
Quando  a  raccor  lo  sparso  campo,  e  a  darM 
Soccorso  e  vettovaglie  era  atto  il  loco  : 
L' Africa  incontra,  e  la  Spagna  ha  vicina, 
Ed  è  in  sul  Oume  assiso  alla  marina. 


CANTO  TaENTESIlfOSECONDO.  IS? 

t     Per  (alto  '1  regno  fa  scriver  Marsilio 
Gente  a  piedi  e  a  cavallo,  e  trista  e  buona. 
Per  forza  e  per  amore  ogni  navilio 
Atto  a  battaglia  s' arma  in  Barcellona. 
Agramante  ogni  dk  chiama  a  concìlio  ; 
Né  a  spesa  né  a  fatica  si  perdona. 
Intanto  gravi  esazioni  e  spesse 
Tutte  hanno  le  città  d' Africa  oppresse. 

Egli  ha  fatto  offerire  a  Rodomonte, 
Perché  ritomi  (ed  impetrar  noi  paote] , 
Una  cagina  saa,  figlia  4' Almonte, 
E  '1  bel  regno  d' Oran  dargli  per  dote. 
Non  si  volse  ì*  altier  muover  dal  ponte, 
Ove  tant'armee  tante  selle  vote. 
Di  quei  che  son  già  capitati  al  passo, 
Ha  ragunate,  che  ne  cuopre  il  sasso. 

Già  non  volse  M arfisa  imitar  V  atto 
Di  Rodomonte:  anzi  com'ella  intese 
Gh' Agramante  da  Carlo  era  disfatto. 
Sue  genti  morte,  saccheggiate  e  prese, 
E  che  con  pochi  in  Adi  era  ritratto. 
Senza  aspettare  invito,  il  cammin  prese  ; 
.Venne  in  aiuto  della  sua  corona, 
E  r aver  gli  profferse  e  la  persona: 

E  gli  menò  Brunello,  e  gli  ne  fece 
Libero  dono,  il  qual  non  avea  offeso. 
V  avea  tenuto  dieci  gior|ii  e  diece 
Notti  sempre  in  timor  d' essere  appeso  : 
E  poiché  né  con  forza  né  con  prece 
Da  nessun  vide  il  patrocinio  preso, 
In  si  sprezzato  sangue  non  si  volse 
Bruttar  T  altiere  mani,  e  lo  disciolse. 

Tutte  r  antique  ingiurie  gli  rimesse, 
E  seco  in  Arli  ad  Agramante  il  trasse. 
Ben  dovete  pensar  che  gaudio  avesse 
Il  re  di  lei  eh'  ad  aiutarlo  andasse  : 
E  del  gran  conto  eh'  egli  ne  facesse. 
Volse  che  Brunel  prova  le  mostrasse  ; 
Che  quel,  di  ch'ella  gli  avea  fatto  cenno, 
Di  vederlo  impiccar,  fé  da  buon  senno. 


188  OBLANDO  CURIOSO. 

9      11  manigoldo,  in  loco  occalto  ed  ermo, 
Pasto  di  corvi  e  d' avoltoi  lascioUo. 
Baggier,  eh' un'  altra  volta  gli  fq  schermo, 
E  che  '1  laccio  gli  avria  tolto  dal  collo, 
La  giustizia  di  Dio  fa  eh'  ora  infermo 
S'è  ritrovato,  ed  aiutar  non  paollo : 
E  quando  il  seppe,  era  già  il  fatto  occorso  ; 
Si  che  restò  Brunel  senza  soccorso. 

iO     Intanto  Bradamante  iva  accusando 
Che  cosi  lunghi  sian  quei  venti  giorni. 
Li  quai  finiti,  il  termine  era,  quando 
A  lei  Buggiero  ed  alla  fede  torni. 
A  chi  aspetta  di  carcere  o  di  bando 
Uscir,  non  par  che  '1  tempo  più  soggiorni 
A  dargli  libertade,  o  dell'amala 
Patria  vista  gioconda  e  desiata. 

li      In  quel  duro  aspettare  ella  talvolta 
Pensa  eh'  Eto  e  Piroo  sia  fatto  zoppo, 
O  sia  la  ruota  guasta  ;  eh'  a  dar  volta 
Le  par  che  tardi,  oltr' all' usato,  troppo. 
Più  lungo  dì  quel  giorno  a  cui,  per  molta 
Fede,  nel  cielo  il  giusto  Ebreo  fé  intoppo  ; 
Più  della  notte  eh'  Ercole  produsse, 
Parea  lei  ch'ogni  notte,  ogni  di  fusse. 

i2      0  quante  volte  da  invidiar  le  diero 
E  gli  orsi  e  i  ghiri  e  i  sonnacchiosi  tassi  ! 
Che  quel  tempo  voluto  avrebbe  intero 
Tutto  dormir,  che  mai  non  si  destassi; 
Né  potere  altro  udir,  finché  Buggiero 
Dal  pigro  sonno  lei  non  richiamassi. 
Ma  non  pur  questo  non  può  far,  ma  ancora 
Non  può  dormir  di  tutta  notte  un'  ora. 

13     Di  qua  di  là  va  le  noiose  piume 
Tutte  premendo,  e  mai  non  si  riposa. 
Spesso  aprir  la  finestra  ha  per  costume, 
Per  veder  s' anco  di  Titon  la  sposa 
Sparge  dinanzi  al  mattutino  lume 
Il  bianco  giglio  e  la  vermìglia  rosa  : 
Non  meno  ancor,  poi  che  nasciuto  è  *\  giornOi 
Brama  vedere  il  ciel  di  stelle  adorno. 


CANTO  TRENTBSIMOSECOMDO.  iSD 

ié     Poi  che  fu  quattro  o  cinque  giorni  appresso 
Il  termine  a  finir,  piena  di  spene 
Stava  aspettando  d' ora  in  ora  il  messo 
Che  le  apportasse  :  Ecco  Ruggier  che  viene. 
Montava  sopra  un'alta  torre  spesso, 
Ch'  i  folti  boschi  e  le  campagne  amene 
Scopria  d'intorno,  e  parte  della  via 
Onde  di  Francia  a  Montalban  si  già. 

ib     Se  di  lontano  o  splendor  d' arme  vede, 
0  cosa  tal  eh'  a  cavalier  simiglia, 
Che  sia  il  suo  disiato  Ruggier  crede,  ' 
£  rasserena  i  begli  occhi  e  le  ciglia  : 
Se  disarmato  o  viandante  a  piede. 
Che  sia  messo  di  lui  speranza  piglia  ; 
E  sebben  poi  fallace  la  ritrova, 
Pigliar  non  cessa  una  ed  un*  altra  nuova. 

16  Credendolo  incontrar,  talora  armossi. 
Scese  dal  monte,  e  giù  calò  nel  piano: 
Né  lo  trovando,  si  sperò  che  fossi 

Per  altra  strada  giunto  a  Montalbano  ; 
E  col  disir  con  eh'  avea  i  piedi  mossi 
Fuor  del  Castel,  ritornò  dentro  invano  : 
Né  qua  né  là  tro volle  ;  e  passò  intanto 
Il  termine  aspettato  da  lei  tanto. 

17  II  termine  passò  d'uno,  di  dui. 

Di  tre  giorni,  di  sei,  d'otto  e  di  venti; 
Né  vedendo  il  suo  sposo,  né  di  lui 
Sentendo  nuova,  incominciò  lamenti 
Ch'  avrian  mosso  a  pietà  nei  regni  bui 
Quelle  Furie  crinite  di  serpenti  ; 
E  fece  oltraggio  a' begli  occhi  divini, 
Al  bianco  petto,  agli  aurei  crespi  crini. 

18  Dunque  fia  ver,  dicea,  che  mi  convegna 
Cercare  un  che  mi  fugge  e  mi  s' asconde? 
Dunque  debbo  prezzare  un  che  mi  sdegna? 
Debbo  pregar  chi  mai  non  mi  risponde? 
Patirò  che  chi  m'odia,  il  cor  mi  tegna? 
Un  che  si  stima  sue  virtù  profonde. 

Che  bisogno  sarà  che  dal  ciel  scenda 
Immortai  Dea  che  '1  cor  d'amor  gli  accenda? 


100  ORLANDO  FURIOSO. 

19  Sa  questo  altier  eh'  io  Y  amo  e  eh'  io  V  adoro; 
Né  mi  vuol  per  amante,  né  per  serva. 

11  cradel  sa  ehe  per  lui  spasmo  e  moro; 

E  dopo  morte  a  darmi  aiuto  serva. 

E  perchè  io  non  gli  narri  il  mio  martore, 

Atto  a  piegar  la  sua  voglia  proterva, 

Da  me  s'asconde,  come  aspide  suole, 

Che,  per  star  empio,  il  canto  udir  non  vuole. 

20  Deh  ferma.  Amor,  costui  che  cosi  sciolto 
Dinanzi  al  lento  mio  correr  .s' affretta  ; 
0*tomami  nel  grado  onde  m'hai  tolto, 
Quando  né  a  te  né  ad  altri  era  suggetta! 
Deh  come  è  il  mìo  sperar  fallace  e  stolto. 
Ch'in  te  con  prieghi  mai  pietà  si  metta; 
Che  ti  diletti,  anzi  ti  pasci  e  vivi 

Di  trar  dagli  occhi  lacrimosi  rivi  l 

21  Ma  di  che  debbo  lamentarmi,  ahi  lassa! 
Fuorché  del  mio  desire  irrazionale? 
Ch'alto  mi  leva,  e  si  nell'aria  passa, 
Ch'  arriva  in  parte  ove  s' abbrucia  l' ale; 
Poi,  non  potendo  sostener,  mi  lassa 

Dal  ciel  cader  :  né  qui  finisce  il  male  ; 
Che  le  rimette,  e  di  nuovo  arde:  ond'io 
Non  ho  mai  fine  al  precipizio  mio^ 

22  Anzi,  via  più  che  del  disir,  mi  deggio 
Dì  me  doler,  che  si  gli  apersi  il  seno  ; 
Onde  cacciata  ha  la  ragion  di  seggio. 
Ed  ogni  mio  poter  può  di  lui  meno. 

Quel  mi  trasporta  ognor  di  male  in  peggio, 
Né  lo  posso  frenar,  che  non  ha  freno  : 
E  mi  fa  certa  che  mi  mena  a  morte, 
Perch'  aspettando  il  mal  neccia  più  forte. 

23  Deh  perché  voglio  anco  di  me  dolermi? 
Ch'error,  se  non  d'amarti,  unqua  commessi? 
Che  maraviglia,  se  fragili  e  infermi 
Femminil  sensi  fur  subito  oppressi? 
Perché  dovev'  io  usar  ripari  e  schermi, 

Che  la  somma  beltà  non  mi  piacessi. 
Gli  alti  sembianti,  e  le  saggio  parole? 
Misero  ò  ben  chi  veder  schiva  il  sole  I 


CANTO  TRENTESIMOSECONDO.  191 

24  Ed  oltre  al  mio  destino,  io  ci  fui  spinta 
Dalle  parole  altrui  degne  di  fede. 
Somma  felicità  mi  fu  dipinta, 

Gh'  esser  dovea  di  questo  amor  mercede. 
Se  la  persuasione,  oimèi  fu  fìnta, 
Se  fa  inganno  il  consiglio  che  mi  diede 
Merlin,  posso  di  lui  ben  lamentarmi  ; 
Ma  non  d' amar  Ruggier  posso  ritrarmi. 

25  Bi  Merlin  posso  e  di  Melissa  insieme 
Dolermi ,  e  mi  dorrò  d' essi  in  eterno  ; 
Che  dimostrare  i  frutti  del  mio  seme 
Mi  fero  dagli  spirti  dello  'nferno. 

Per  pormi  sol  con  questa  falsa  speme 
In  servitù  :  né  la  cagion  discerno, 
Se  non  eh'  erano  forse  invidiosi 
De' miei  dolci,  sicuri,  almi  riposi. 

26  Si  r  occupa  il  dolor,  che  non  avanza 
Loco,  ove  in  lei  conforto  abbia  ricetto: 
Ma,  malgrado  di  quel,  vien  la  speranza, 
E  vi  vuole  alloggiare  in  mezzo  il  petto, 
Rifrescandole  pur  la  rimembranza 

Di  quel  ch'ai  suo  partir  l'ha  Ruggier  detto; 
E  vuol,  centra  il  parer  degli  altri  affetti. 
Che  d' ora  in  ora  il  suo  ritorno  aspetti. 

27  '  Questa  speranza  dunque  la  sostenne, 
Finito  ì  venti  giorni,  un  mese  appresso  ; 
Si  che  il  dolor  sì  forte  non  le  tenne, 
Come  tenuto  avria,  V  animo  oppresso. 
Un  di  che  per  la  strada  se  ne  venne, 
Che  per  trovar  Ruggier  solea  far  spesso. 
Novella  udì  la  mìsera,  ch'insieme 

Fé  dietro  all'  altro  ben  fuggir  la  speme. 

2S      Venne  a  incontrare  un  cavalier  guascone 
Che  dal  campo  african  venia  diritto. 
Ove  era  stato  da  quel  di  prigione. 
Che  fu  innanzi  a  Parigi  il  gran  conflitto. 
Da  lei  fu  molto  posto  per  ragione. 
Finché  si  venne  al  termine  prescritto. 
Domandò  di  Ruggiero,  e  in  lui  fermosse; 
Nò  fuor  di  questo  segno  più  si  mosse« 


192  ORLANDO  FURIOSO. 

29  II  cavalier  buon  conto  ne  rendette  ; 
Che  ben  conoscea  tutta  quella  corte  : 
£  narrò  dì  Rnggier,  che  contrastette 
Da  solo  a  solo  a  Mandricardo  forte  ; 
E  come  egli  V  uccise,  e  poi  ne  stette 
Ferito  più  d'un  mese  presso  a  morte: 
E  s'era  la  sua  istoria  qui  conclusa, 
Fatto  avria  di  Ruggier  la  vera  escusa. 

30  Ma  come  poi  soggiunse,  una  donzella 
Esser  nel  campo,  nomata  MarGsa, 
Che  men  non  era,  che  gagliarda,  bella. 
Né  meno  esperta  d' arme  in  ogni  guisa  ; 
Che  lei  Ruggiero  amava ,  e  Ruggiero  ella  ; 
Ch'egli  da  lei,  ch'ella  da  lui  divisa 

Si  vedea  raro  ;  e  eh'  ivi  ognuno  crede 
Che  s' abbiano  tra  lor  data  la  fede  ; 

3t      E  che  come  Ruggier  si  faccia  sano. 
Il  matrimonio  pubblicar  si  deve  ; 
E  ch'ogni  re,  ogni  principe  pagano 
Gran  piacere  e  letizia  ne  riceve  : 
Che  dell'  uno  e  dell'  altro  sopromano 
Conoscendo  il  valor,  sperano  in  breve 
Far  una  razza  d'  uomini  da  guerra. 
La  più  gagliarda  che  mai  fosse  in  terra. 

32  Credea  il  Guascon  quel  che  dìcea  non  senza 
Cagion  ;  che  nell'  esercito  de'  Mori 
Opinione  e  uni  versai  credenza, 

E  pubblico  parlar  n'  era  di  fuori. 

I  molti  segni  di  benivolenza 

Stati  tra  lor  facean  questi  romorì  ; 

Che  tosto,  o  buona  o  ria  che  la  fama  esce 

Fuor  d' una  bocca,  in  inGnito  Cresce. 

33  L' esser  venuta  a'  Morì  ella  in  aita 
Con  lui,  né  senza  lui  comparir  mai, 
Avea  questa  credenza  stabilita  ; 

Ma  poi  l'avea  accresciuta  pur  assai. 
Ch'essendosi  del  campo  già  partita. 
Portandone  Brunel,  come  io  contai. 
Senz'esservi  d'alcuno  richiamata,  . 
Sol  per  veder  Ruggier  v'  era  tornata. 


CANTO  TRENTESIMOSECONDO.  193 

34  Sol  per  lai  visitar,  che  gravemente 
Langoia  ferito,  in  campo  venuta  era 
Non  una  sola  volta,  ma  sovente: 

Vi  stava  il  giorno,  e  si  partia  la  sera: 
E  mollo  più  da  dir  dava  alla  gente; 
Ch'essendo  conosciuta  così  altiera, 
Che  tutto  '1  mondo  a  sé  le  parea  vile, 
Solo  a  Ruggier  fosse  benigna  e  umile^ 

35  Come  il  Guascon  questo  affermò  per  vero. 
Fu  Bradamante  da  cotanta  pena, 

Da  cordoglio  assalita  cosi  fiero, 
Che  di  quivi  cader  si  tenne  a  pena. 
Voltò,  senza  far  motto,  il  suo  destriero, 
Di  gelosia,  d'ira  e  di  rabbia  piena; 
£,  da  sé  discacciata  ogni  speranza, 
Ritornò  furibonda  alla  sua  stanza  : 

36  £  senza  disarmarsi,  sopra  il  letto, 
Col  viso  Volta  in  giù,  tutta  si  stese. 
Ove  per  non  gridar,  si  che  sospetto 
Di  sé  facesse,  i  panni  in  bocca  prese; 
E  ripetendo  quel  che  V  avea  detto 

Il  cavaliere,  in  tal  dolor  discese. 
Che  più  non  lo  potendo  sofferire, 
Fu  forza  a  disfogarlo,  e  cosi  a  dire  : 

37  Misera!  a  chi  mai  più  creder  debb'io? 
Yo'  dir  eh'  ognuno  é  perfido  e  crudele, 
Se  perfido  e  crudel  sei,  Ruggier  mio, 

•Che  si  pietoso  tenni  e  si  fedele. 
Qual  crudeltà,  qual  tradimento  rio 
Unqua  s' udi  per  tragiche  querele. 
Che  non  trovi  minor,  se  pensar  mai 
Al  mio  morto  e  al  tuo  debito  vorrai? 

38  Perché,  Ruggier,  come  di  te  non  vive 
Cavalier  di  più  ardir,  di  più  bellezza. 
Né  che  a  gran  pezzo  al  tuo  valore  arrivo. 
Né  a' tuoi  costumi,  né  a  tua  gentilezza; 
Perché  non  fai  che,  fra  tue  illustri  e  dive 
Virtù,  si  dica  ancor  ch'abbi  fermezza? 
Si  dica  eh'  abbi  inviolabil  fede, 

A  chi  ogni  altra  virtù  s' inchina  e  cede? 

IL  <T 


l94  ORLANDO  FURIOSO. 

30     Non  sai  che  non  compar,  se  non  v'  é  quella, 
Alcun  valore,  alcun  nobil  costume? 
Come  né  cosa  (e  sia  quanto  vuol  bella) 
Si  può  vedere  ove  non  splenda  lume. 
Facil  ti  fu  ingannare  una  donzella , 
Dì  cui  tu  signor  eri,  idolo  e  nume  ; 
A  cui  potevi  far  con  tue  parole 
Creder  che  fosse  oscuro  e  freddo  il  sole. 

40  Crudel,  di  che  peccato  a  doler  t'hai, 
Se  d' uccider  chi  t' ama  non  ti  penti? 
Se  '1  mancar  di  tua  fé'  si  leggier  fai, 

Di  ch'altro  peso  il  cor  gravar  ti  senti?  : 
Come  tratti  il  nimico,  se  tu  dai 
A  me,  che  t' amo  si,  questi  tormenti? 
Ben  dirò  che  giustizia  in  cìel  non  sia, 
S' a  veder  tardo  la  vendetta  mia. 

41  Se  d' ogni  altro  peccato  assai  più  quello 
Dell'empia  ingratitudine  l'uom  grava, 

E  per  questo  dal  ciel  l' angel  più  bello 
Fu  relegato  in  parte  oscura  e  cava  ; 
E  se  gran  fallo  aspetta  gran  flagello. 
Quando  debita  emenda  il  cor  non  lava  ; 
Guarda  ch'aspro  flagello  in  te  non  scenda, 
Che  mi  se' ingrato,  e  non  vuoi  farne  emenda. 

42  Di  furto  ancora,  oltre  ogni  vizio  rio, 
Di  te,  crudele,  ho  da  dolermi  molto. 
Che  tu  mi  tenga  il  cor,  non  ti  dico  io; 
Di  questo  io  vo'  che  tu  ne  vada  assolto  : 
Dico  di  te  che  t'eri  fatto  mio, 

E  poi  centra  ragion  mi  ti  sei  tolto. 
Renditi,  inìquo,  a  me;  che  tu  sai  bene 
Che  non  si  può  salvar  chi  V  altrui  tiene. 

43  Tu  m'hai,  Ruggier,  lasciata:  io  te  non  voglio, 
Né  lasciarti  volendo  anco  potrei  ; 

Ma,  per  uscir  d' affanno  e  di  cordoglio, 
Posso  e  voglio  finire  i  giorni  miei. 
Dì  non  morirti  in  grazia  sol  mi  doglio; 
Che  se  concesso  m' avessero  i  Dei 
Ch'io  fossi  morta  quando  t'era  grata, 
Morte  non  fu  giammai  tanto  beata. 


CANTO  TRENTESIMOSECONDO.  19tt 

44  Cosi  dicendo,  di  morir  disposta. 
Salta  del  letto,  e  dì  rabbia  inGammata 
Si  pon  la  spada  alla  sinistra  costa  ; 
Ma  si  ravvede  poi  che  tutta  è  armata. 
Il  miglior  spirto  in  questo  le  s'accosta, 
£  nel  cor  le  ragiona  :  0  donna  nata 
Di  tanl'alto  lignaggio,  adunque  vuoi 
Finir  con  si  gran  bìasmo  i  giorni  tuoi? 

45  Non  è  meglio  eh'  al  campo  tu  ne  vada , 
Ove  morir  si  può  con  laude  ogni  ora? 
Quivi  s'avvien  ch'innanzi  a  Ruggier  cada. 
Del  morir  tuo  si  dorrà  forse  ancora  ; 

Ma  s'a  morir  t'avvien  per  la  sua  spada, 
Chi  sarà  mai  che  più  contenta  mora? 
Ragione  è  ben  che  di  vita  ti  privi, 
Poich'  è  cagion  eh'  in  tanta  pena  vivi. 

46  Verrà  forse  anco  che  prima  che  muori 
Farai  vendetta  di  quella  Marfisa 

Che  t'ha  con  fraudi  e  disonesti  amori, 
Da  te  Ruggiero  alienando,  uccisa. 
Questi  pensieri  parveno  migliori 
Alla  donzella  ;  e  tosto  una  divisa 
Si  fé  su  r  arme,,  che  volea  inferire 
Disperazione,  e  voglia  di  morire. 

47  Era  la  sopravveste  del  colore 

Jn  che  riman  la  foglia  che  s' imbianca 
Quando  del  ramo  è  tolta,  o  che  l' umore 
Che  facea  vivo  l'arbore,  le  manca. 
Ricamata  a  tronconi  era,  di  fuore. 
Di  cipresso  che  mai  non  si  rinfranca, 
Poic'ha  sentita  la  dura  bipenne; 
L' abito  al  suo  dolor  molt^  convenne. 

48  Tolse  il  destrier  eh'  Astolfo  aver  solea, 
E  quella  lancia  d'or,  che,  sol  toccando. 
Cader  di  sella  i  cavalier  facea. 

Perchè  la  le  die  Astolfo,  e  dove  e  quando, 

£  da  chi  prima  avuta  egli  l' avea. 

Non  credo  che  bisogni  ir  replicando. 

Ella  la  tolse,  non  però  sapendo 

Che  fosse  del  valor,  ch'era,  stupendo. 


196  ORLANDO  FURIOSO. 

49     Senza  scudiero  e  senza  compagnia 
Scese  dal  monte,  e  si  pose  in  cammino 
Verso  Parigi  alla  più  dritta  via, 
Ove  era  dianzi  il  campo  Saracino  ; 
Che  la  novella  ancora  non  s' odia, 
Che  r  avesse  Rinaldo  paladino, 
Aiutandolo  Carlo  e  Malagìgi, 
Fatto  tor  dall'  assedio  di  Parigi. 

60     Lasciali  avea  i  Cadurci  e  la  cittade 
Di  Caorse  alle  spalle,  e  tutto  '1  monte 
Ove  nasce  Dordona,  e  le  contrade 
Scopria  di  Monferrante  e  di  Clarmonte; 
Quando  venir  per  le  medesme  strade 
Vide  una  donna  di  benigna  fronte, 
Ch'  uno  scudo  all'  arcion  avea  attaccato  ; 
E  le  venian  tre  cavalieri  a  lato. 

bi      Altre  donne  e  scudier  venivano  anco, 
Qual  dietro  e  qoal  dinanzi,  in  lunga  schiera 
Domandò  ad  un  che  le  passò  da  fianco,  , 

La  figliuola  d'Amon,  chi  la  donna  era;  ^ 

£  quel  le  disse:  Al  re  del  popol  franco  , 

Questa  donna,  mandata  messaggiera  j 

Fin  di  là  dal  polo  artico,  è  venuta  .    | 

Per  lungo  mar  dall'  Isola  Perduta.  i 

62  Altri  Perduta,  altri  ha  nomala  Islanda  i 
L'isola,  donde  la  regina  d'essa. 

Di  beltà  sopra  ogni  bella  miranda, 
Dal  ciel  non  mai,  se  non  a  lei,  concessa, 
Lo  scudo  che  vedete,  a  Carlo  manda  ; 
Ma  ben  con  patto  e  condizione  espressa, 
Ch'ai  miglior  cavalier  lo  dia,  secondo 
11  suo  parer,  eh'  oggi  si  trovi  al  mondo. 

63  Ella,  come  si  slima,  e  come  in  vero 
È  la  più  bella  donna  che  mai  fosse. 
Cosi  vorria  trovare  un  cavaliere 

Che  sopra  ogni  altro  avesse  ardire  e  posse  : 
Perchè  fondato  e  fisso  è  il  suo  pensiero , 
Da  non  cader  per  cento  mila  scosse. 
Che  sol  chi  terrà  in  arme  il  primo  onore, 
Abbia  d' esser  suo  amante  e  suo  signore. 


CANTO  TRENTESiaiOSECONDO.  l97 

64  Spera  eh'  in  Francia,  alla  famosa  corte 
Di  Carlo  Magno,  il  cavalier  si  (rove. 
Che  d' esser  più  d' ogni  altro  ardito  e  forte 
Abbia  fatto  veder  con  mille  prove. 

I  tre  che  son  con  lei  come  sae  scorte. 
Re  sono  tutti,  e  diroyvi  anco  dove:  i 
Uno  in  Svezia,  ano  in  Gozia,  in  Norvegia  ano,  ! 
Che  pochi  pari  in  arme  hanno  o  nessuno.  | 

65  Qaesti  tre,  la  cai  terra  non  vicina , 
Ma  men  lontana  é  all'Isola  Perduta, 
Detta  cosi,  perchè  quella  marina 

Da  pochi  naviganti  è  conosciuta, 
Erano  amanti,  e  son,  della  regina, 
£  a  gara  per  moglier  l' hanno  voluta; 
£,  per  aggradir  lei,  cose  fatt' hanno. 
Che,  fin  che  giri  il  ciel,  dette  saranno. 

66  Ma  né  questi  ella,  né  alcun  altro  vuole, 

Ch'  al  mondo  in  arme  esser  non  creda  il  primo. 

Ch'  abbiate  fatto  prove,  lor  dir  suole, 

In  questi  luoghi  appresso,  poco  istìmo. 

E  s' un  di  voi,  qual  fra  le  stelle  il  sole. 

Fra  gli  altri  duo  sarà,  ben  lo  sublimo  ; 

Ma  non  però  che  tenga  il  vanto  parme 

Del  miglior  cavalier  eh'  oggi  port'  arme. 

67  A  Carlo  Magno,  il  quale  io  stimo  e  onoro 
Pel  più  savio  signor  eh'  al  mondo  sia, 

Son  per  mandare  un  ricco  scudo  d' oro, 
Con  patto  e  condizion  eh'  esso  lo  dia 
Al  cavaliere  il  quale  abbia  fra  loro 

II  vanto  e  il  primo  onor  di  gagUardia. 
Sia  il  cavaliere  o  suo  vassallo  o  d' altri. 
Il  parer  di  quel  re  vo'  che  mi  scaltri. 

68  Se,  poi  che  Carlo  avrà  lo  scudo  avuto, 
£  r  avrà  dato  a  quel  si  ardito  e  forte, 
Che  d' ogni  altro  migliore  abbia  creduto. 
Che  'n  sua  si  trovi  o  in  alcun'  altra  corte. 
Uno  di  voi  sarà,  che  con  l'aiuto 

Di  sua  virtù  lo  scudo  mi  riporte; 
Porrò  in  quello  ogni  amore,  ogni  disio, 
E  quel  sarà  il  marito  e  '1  signor  mio. 

17* 


iM  ORLANDO  FURIOSO. 

69     Queste  parole  han  qui  fatto  venire 
Questi  tre  re  dal  mar  tanto  discosto; 
Che  riportarne  Io  scodo,  o  morire 
Per  man  di  chi  l'avrà,  s' hanno  proposto. 
Stè  molto  attenta  firadamante  a  adire 
Quanto  le  fu  dallo  scadier  risposto , 
Il  qoal  poi  r  entrò  innanzi,  e  cosi  punse 
Il  suo  cavallo,  che  i  compagni  giunse. 

60  Dietro  non  gli  galoppa  né  gli  corre 
Ella;  eh' ad  agio  il  suo  cammin  dispensa , 
£  molte  cose  tuttavia  discorre. 

Che  son  per  accadere  ;  e  in  somma  pensa 
Che  questo  scudo  in  Francia  sia  per  porre 
Discordia  e  rissa  e  nimicizia  immensa 
Fra' paladini  ed  altri,  se  vuol  Carlo 
Chiarir  chi  sia  il  miglior,  e  a  colui  darlo. 

61  Le  preme  il  cor  questo  pensier;  ma  molto 
Più  le  lo  preme  e  strugge  in  peggior  guisa 
Quel  eh*  ebbe  prima  di  Ruggier,  che  tolto 
Il  suo  amor  le  abbia,  e  datolo  a  Marfisa. 
Ogni  suo  senso  in  questo  è  si  sepolto. 
Che  non  mira  la  strada,  né  divisa 

Ove  arrivar,  né  se  troverà  innanzi 
Comodo  albergo,  ove  la  notte  stanzi. 

63     Come  nave  che  vento  dalla  riva, 
O  qualch' altro  accidente  abbia  disciolta, 
Va  di  nocchiero  e  di  governo  priva 
Ove  la  porti  o  meni  il  fiume  in  volta  ; 
Cosi  ramante  giovane  veniva. 
Tutta  a  pensare  al  suo  Ruggier  rivolta, 
Ove  vuol  Rabican  ;  che  molte  miglia 
Lontano  è  il  cor  che  de'  girar  la  briglia. 

63     Leva  alfin  gli  occhi,  e  vede  il  Sol  che  '1  tergo 
Avea  mostrato  alle  città  di  Rocco  ; 
£  poi  s'era  attuffato,  come  il  mergo. 
In  grembo  alla  nutrice  oltr'  a  Marocco  : 
£  se  disegna  che  la  frasca  albergo 
Le  dia  ne*  campi,  fa  pensier  di  sciocco  ; 
Che  soffia  un  vento  freddo,  e  l' aria  grieve 
Pioggia  la  notte  le  minaccia  o  nieve. 


Canto  treNtesimoseconDo.  lOD 

64  Con  maggior  fretta  fa  movere  il  piede 
Al  suo  cavallo  ;  e  non  fece  via  molta , 
Che  lasciar  le  campagne  a  un  paslor  vede. 
Che  s' avea  la  sua  gregge  innanzi  tolta. 
La  donna  lui  con  molta  instanzia  chiede 
Che  le  'nsegni  ove  possa  esser  raccolta, 

0  ben  o  mal;  che  mal  si  non  s'alloggia, 
Che  non  sia  peggio  star  fuori  alla  pioggia. 

65  Disse  il  pastore  :  Io  non  so  loco  alcuno 
Ch'  io  vi  sappia  insegnar,  se  non  lontano 
Più  di  quattro  o  di  sei  leghe,  fuor  eh'  uno 
Che  si  chiama  la  rocca  di  Tristano. 

Ma  d' alloggiarvi  non  succede  a  ognuno  ; 
Perchè  bisogna,  con  la  lancia  in  mano, 
Che  se  V  acquisti  e  che  se  la  difenda 
11  cavalier  che  d' alloggiarvi  intenda. 

66  Se,  quando  arriva  un  cavalier,  si  trova 
Vota  la  stanza,  il  castellan  l'accetta; 
Ma  vuol,  se  sopravvien  poi  gente  nuova, 
Ch'  uscir  fuori  alla  giostra  gli  prometta. 
Se  non  vien,  non  accade  che  si  mova; 
Se  vien,  forza  è  che  l'arme  si  rimetta, 

£  con  lui  giostri:  e  chi  di  lor  vai  meno, 
Ceda  r  albergo,  ed  esca  al  ciel  sereno. 

67  Se  duo,  tre,  quattro  o  più  guerrieri  a  un  tratto 
Yi  giungon  prima,  in  pace  albergo  v'  hanno; 

E  chi  di  poi  vien  solo,  ha  peggior  patto, 
Perchè  seco  giostrar  quei  più  lo  fanno. 
Cosi,  se  prima  un  sol  sì  sarà  fatto 
Quivi  alloggiar,  con  lui  giostrar  vorranno 

1  duo,  tre,  quattro,  o  più,  che  verran  dopo; 
Si  che,  8*  avrà  valor,  gli  fia  a  grande  uopo. 

6S     Non  men  se  donna  capita  o  donzella. 
Accompagnata  o  sola  a  questa  rocca, 
£  poi  v'  arrivi  un'  altra,  alla  più  bella 
L'albergo,  ed  alla  men  star  di  fuor  tocca. 
Domanda  Bradamante  ove  sia  quella  ; 
£  il  buon  pastor  non  pur  dice  con  bocca, 
Ma  le  dimostra  il  loco  anco  con  mano, 
Da  cinque  o  da  sei  miglia  indi  lontano. 


200  ORLANDO  FURIOSO. 

69  La  donna,  ancor  che  Rabican  ben  Irotfe, 
Sollecitar  però  non  Io  sa  tanto 

Per  quelle  vie  tutte  fangose  e  rotte 
Dalla  stagion  ch'era  piovosa  alquanto, 
Che  prima  arrivi,  che  la  cieca  notte 
Fati'  abbia  oscuro  il  mondo  in  ogni  canto. 
Trovò  chiusa  la  porta  ;  e  a  chi  n'  avea 
La  guardia  disse  eh'  alloggiar  volea. 

70  Rispose  quel,  ch'era  occupato  il  loco 
Da  donne  e  da  guerrier  che  venner  dianzi  ; 
E  stavano  aspettando  intorno  al  fuoco, 
Che  posta  fosse  lor  la  cena  innanzi. 

Per  lor  non  credo  V  avrà  fatta  il  cuoco, 
S' ella  v'  è  ancor,  né  V  han  mangiata  innanzi, 
Disse  la  donna:  or  va,  che  qui  gli  attendo; 
Che  so  r  usanza ,  e  di  servarla  intendo. 

71  Parte  la  guardia,  e  porta  l'imbasciata 
Là  dove  i  cavalier  stanno  a  grand' agio, 
La  qual  non  potè  lor  troppo  esser  grata, 
Ch'  ali'aer  li  fa  uscir  freddo  e  malvagio; 
Ed  era  una  gran  pioggia  incominciata. 
Si  levan  pure,  e  piglian  l' arme  ad  agio  ; 
Restano  gli  altri  ;  e  quei  non  troppo  in  fretta 
Escono  insieme  ove  la  donna  aspetta. 

72  Eran  tre  cavalier  che  valean  tanto , 
Che  pochi  al  mondo  valean  più  di  loro  ; 
Ed  eran  quei  che  '1  di  medesmo  accanto 
Veduti  a  quella  messaggiera  foro  ; 

Quei  eh'  in  Islanda  s' avean  dato  vanto 
Di  Francia  riportar  lo  scudo  d' oro  : 
E  perchè  avean  meglio  i  cavalli  punti, 
Prima  di  Bradamante  erano  giunti. 

73  Di  loro  in  arme  pochi  eran  migliori  ; 
Ma  di  quei  pochi  ella  sarà  ben  l' una  : 
Ch'  a  nessun  patto  rimaner  di  fuori 
Quella  notte  intendea  molle  e  digiuna. 
Quei  dentro  alle  finestre  e  ai  corridori 
Miran  la  giostra  al  lume  della  luna, 
Che  malgrado  de'  nugoli  lo  spande, 

E  fa  veder,  benché  la  pioggia  è  grande. 


I 


CANTO  TRENTESIMOSECONDO.  201 

74     Come  s' allegra  un  bene  acceso  aroanle 
Ch'ai  dolci  furti  per  entrar  si  trova, 
Qaando  alfin  senla,  dopo  indogie  tante, 
Che  '1  taciturno  chiavistel  si  muova  ; 
Cosi,  Yolontarosa  Bradamante 
Di  far  di  sé  coi  cavalieri  prova, 
S'allegrò  quando  udì  le  porte  aprire. 
Calare  il  ponte,  e  fuor  li  vide  uscire. 

76      Tosto  che  fuor  del  ponte  i  guerrier  vede 
Uscire  insieme  o  con  poco  intervallo, 
Si  volge  a  pigliar  campo,  e  di  poi  riede 
Cacciando  a  tutta  briglia  il  buon  cavallo, 
E  la  lancia  arrestando,  che  le  diede 
Il  suo  cugin,  che  non  si  corre  in  fallo. 
Che  fuor  di  sella  è  forza  che  trabocchi. 
Se  fosse  Marte,  ogni  guerrier  che  tocchi. 

76  II  re  di  Svezia,  che  primier  si  mosse, 
Fa  primier  anco  a  riversarsi  al  piano  ; 
Con  tanta  forza  V  elmo  gli  percosse 

L' asta  che  mai  non  fa  abbassata  invano. 
Poi  corse  il  re  di  Gozia,  e  ritrovosse 
Coi  piedi  in  aria  al  suo  destrier  lontano. 
Rimase  il  terzo  sottosopra  volto, 
Neir  acqua  e  nel  pantan  mezzo  sepolto. 

77  Tosto  eh'  ella  ai  tre  colpi  tutti  gli  ebbe 
Fatto  andar  coi  piedi  alti  e  i  capi  bassi, 
Alla  rocca  ne  va,  dove  aver  debbe 

La  notte  albergo  ;  ma  prima  che  passi, 
V'è  chi  la  fa  giurar  che  n'  uscirebbe. 
Sempre  eh'  a  giostrar  fuori  altri  chiamassi. 
Il  signor  di  là  dentro,  che  '1  valore 
Ben  n'  ha  veduto,  le  fa  grande  onore. 

78  Cosi  le  fa  la  donna  che  venuta 
Era  con  quelli  tre  quivi  la  sera, 
Come  io  dicea,  dall'Isola  Perduta, 
Mandata  al  re  di  Francia  messaggiera. 
Cortesemente  a  lei  che  la  saluta , 
Siccome  graziosa  e  aflabil  era. 

Si  leva  incontra,  e  con  faccia  serena 
Piglia  per  mano,  e  seco  al  Taoco  mena. 


'^1 


202  GELANDO  FURIOSO. 

79  La  donna,  cominciando  a  disarmarsi, 
S' avea  lo  scudo  e  di  poi  Y  elmo  trailo  ; 
Quando  una  cufiQa  d'oro,  in  che  celarsi 
Soleano  i  capei  lunghi  e  star  di  piatto , 
Usci  con  V  elmo  ;  onde  caderon  sparsi 
Giù  per  le  spalle,  e  la  scoprirò  a  un  tratto, 
£  la  feron  conoscer  per  donzella. 

Non  men  che  fiera  in  arme,  in  viso  bella. 

80  Quale  al  cader  delle  cortine  suole 
Parer  fra  mille  lampade  la  scena, 

D*  archi,  e  di  più  d' una  superba  mole, 
D' oro  e  di  statue  e  di  pitture  piena  ; 
O  come  suol  fuor  della  nube  il  sole 
Scoprir  la  faccia  limpida  e  serena  : 
Cosi,  Telmo  levandosi  dal  viso, 
Mostrò  la  donna  aprisse  il  paradiso. 

81  Già  son  cresciute,  e  fatte  lunghe  in  modo 
Le  belle  chiome  che  taglioUe  il  frate. 

Che  dietro  al  capo  ne  può  fare  un  nodo, 
Benché  non  sian  come  son  prima  state. 
Che  Bradamante  sia,  tien  fermo  e  sodo 
(Che  ben  V  avea  veduta  altre  fiate) 
Il  signor  della  rocca  ;  e  più  che  prima 
Or  r  accarezza,  e  mostra  farne  stima. 

82  Siedono  al  fuoco,  e  con  giocondo  e  onesto 
Bagionamento  dan  cibo  alT  orecchia. 
Mentre,  per  ricreare  ancora  il  resto 

Del  corpo,  altra  vivanda  s'apparecchia. 
La  donna  alF  oste  domandò  se  questo 
Modo  d'albergo  è  nuova  usanza  o  vecchia, 
£  quando  ebbe  principio,  e  chi  la  pose  ; 
£  '1  cavaliere  a  lei  cosi  rispose  : 

83  Nel  tempo  che  regnava  Fieramente, 
Clodione,  il  figliuolo,  ebbe  una  amica 
Leggiadra  e  bella,  e  di  maniere  conte, 
Quant'  altra  fosse  a  quella  etade  antica  ; 
La  quale  amava  tanto,  che  la  fronte 
Non  rivolgea  da  lei  più  che  si  dica 
Che  facesse  da  Jone  il  suo  pastore, 
Perch'  avea  ugual  la  gelosia  all'  amore. 


CANTO  TRENTESIMOSECONDO.  203 

84      Qai  la  tenea  ;  che  '1  laogo  avuto  in  dono 
Avea  dal  padre,  e  raro^^gli  n'  uscia  ; 
E  con  lui  dieci  cavalìer  ci  sono, 
E  dei  miglior  di  Francia  tuttavia. 
Qui  stando,  venne  a  capitarci  il  buono 
Tristano,  ed  una  donna  in  compagnia. 
Liberata  da  lui  poch'  ore  innante, 
Che  traea  presa  a  forza  un  fier  gigante. 

S6      Tristano  ci  arrivò  che  '1  Sol  già  volto 
Avea  le  spalle  ai  liti  di  Siviglia  ; 
E  domandò  qui  dentro  esser  raccolto. 
Perchè  non  e'  è  altra  stanza  a  dieci  miglia. 
Ma  Clodion,  che  molto  amava  e  molto 
Era  geloso,  in  somma  si  consiglia 
Che  forestier,  sia  chi  si  voglia,  mentre 
Ci  stia. la  bella  donna,  qui  non  entre. 

86  Poi  che  con  lunghe  ed  iterate  preci 
Non  potè  aver  qui  albergo  il  cavaliere  ; 
Or  quel  che  far  con  prieghi  io  non  ti  feci, 
Che  'i  facci,  disse,  tuo  mal  grado,  spero. 
E  sOdò  Clodion  con  tutti  1  dieci 

Che  tenea  appresso  ;  e  con  un  grido  altiero 
Se  gli  offerse  con  lancia  e  spada  in  mano 
Provar  che  discortese  era  e  villano  ; 

87  Con  patto,  che  se  fa  che  con  lo  stuolo 
Suo  cada  in  terra,  ed  ei  stia  in  sella  forte. 
Nella  rocca  alloggiar  vuole  egli  solo, 

E  vuol  gli  altri  serrar  fuor  delle  porte. 
Per  non  patir  quest'onta,  va  il  figliuolo 
Del  re  di  Francia  a  rischio  della  morte  ; 
Ch'aspramente  percosso  cade  in  terra, 
E  cadon  gli  altri,  e  Trìstan  fuor  li  serra. 

88  Entrato  nella  rocca,  trova  quella 
La  qual  v'  ho  detta  a  Clodion  si  cara, 

E  eh' avea,  a  par  d'ogni  altra,  fatto  bella 
Natura,  a  dar  bellezze  cosi  avara. 
Con  lei  ragiona  :  intanto  arde  e  martella 
Di  fuor  r  amante  aspra  passione  amara  ; 
Il  qual  non  differisce  a  mandar  prieghi 
Al  cavalier,  che  dar  non  gli  la  nieghi. 


904  OBLiXDo  renoso. 

tf     Tràtan»,  ancorché  lei  molto  non  prezze, 
Né  prezzar,  foor  ch'Isotta,  altra  potrebbe; 
Gì*  altra  uè  eh'  ami  raol  né  che  accarezzo 
La  pozion  che  già  incantata  bd>be; 
Por,  perchè  Tendicarà  deiP  asprezze 
Che  Clodion  gli  ha  osate  si  Torrei>be, 
Di  far  gran  torto  mi  parria,  gli  disse. 
Che  tal  bellezza  del  soo  albergo  uscisse. 

so     E  quando  a  Clodion  dormire  incresca 
Solo  alla  frasca,  e  compagnia  domandi. 
Una  giovane  ho  meco  beUa  e  fresca. 
Non  però  di  bellezzo  eoa  grandL 
Questa  sarò  contento  che  foor  esca, 
E  eh'  ubbidisca  a  tutti  i  suoi  comandi  ; 
Ma  la  più  bella  mi  por  dritto  e  giusto 
Che  stia  con  quel  di  noi  eh'  è  più  robusto. 

91  Escluso  Clodione  e  mal  contento. 
Andò  sbuffando  tutta  notte  in  volta. 
Come  s' a  quei  che  nell'  alloggiamento 
Dormiano  ad  agio,  fesse  egU  l'ascolta; 
E  molto  più  che  del  freddo  e  del  vento. 
Si  dolea  della  donna  che  gli  è  tolta. 

La  mattina  Tristano,  a  cui  ne  'ncrebbe. 
Gli  la  rendè;  donde  il  dolor  fin  ebbe: 

92  Perchè  gli  disse,  e  lo  fé  chiaro  e  certo. 
Che  qaal  trovolla,  tal  gli  la  rendea: 

E  benché  degno  era  d'ogni  onta,  in  merlo 

Della  dìscortesia  eh'  usata  avea; 

Par  contentar  d' averlo  allo  scoperto 

Fatto  star  tutta  notte  si  volea  : 

Né  r  escusa  accettò,  che  fosse  Amore 

Stato  cagion  di  cosi  grave  errore  ; 

93  Ch'Amor  de'  far  gentile  un  cor  villano, 
E  non  far  d' un  gentil  contrario  effetto. 
Partito  che  si  fu  di  qui  Tristano, 
Clodion  non  sle'  mollo  a  mutar  tetto  ; 
Ma  prima  consegnò  la  rocca  in  mano 

A  un  cavalier  che  molto  gli  era  accetto, 
Con  patto  ch'egli  e  chi  da  lui  venisse, 
Quest'  uso  in  albergar  sempre  seguisse  : 


CANTO  TRENTESIMOSBCONDO.  205 

94  Che  '1  cavalier  eh'  abbia  maggior  possanza, 
£  la  donna  beltà,  sempre  ci  alloggi; 

E  chi  vinto  riman,  voti  la  stanza, 
Dorma  sul  prato,  o  altrove  scenda  e  poggi. 
£  finalmente  ci  fé  por  V  usanza 
Che  vedete  durar  fin  al  di  d' oggi. 
Or,  mentre  il  cavalier  questo  dicea, 
Lo  scalco  por  la  mensa  fatto  avea. 

95  Fatto  r  avea  nella  gran  sala  porre. 
Di  che  non  era  al  mondo  la  più  bella  ; 
Indi  con  torchi  accesi  venne  a  torre 
Le  belle  donne,  e  le  condusse  in  quella. 
Bradamante,  all'entrar,  con  gli  occhi  scorre, 
E  similmente  fa  V  altra  donzella  ; 

£  tutte  piene  le  superbe  mura 
Veggon  di  nobilissima  pittura. 

06     Di  si  belle  figure  è  adorno  il  loco. 
Che  per  mirarle  obblian  la  cena  quasi  ; 
Ancorché  ai  corpi  non  bisogni  poco, 
Pel  travaglio  del  dì  lassi  rimasi  ; 
£  lo  scalco  si  doglia  e  doglia  il  cuoco, 
Che  i  cibi  lascin  raffreddar  nei  vasi. 
Pur  fu  chi  disse  :  Meglio  fia  che  voi 
Pasciate  prima  il  ventre,  e  gli  occhi  poi. 

97  S'erano  assisi,  e  porre  alle  vivande 
Yoleano  man,  quando  il  signor  s'avvide 
Che  r  alloggiar  due  donne  è  un  error  grande  : 
L' una  ha  da  star,  l' altra  convien  che  snido. 
Stia  la  più  bella ,  e  la  men  fuor  si  mando 
Dove  la  pioggia  bagna,  e  '1  vento  stride. 
Perché  non  vi  son  giunte  amendue  a  un*  ora, 
L'una  ha  a  partire,  e  l'altra  a  far  dimora. 

98  Chiama  duo  vecchi,  e  chiama  alcune  sue 
Donne  di  casa,  a  lai  giudizio  buone; 

£  le  donzelle  mira ,  e  di  lor  due 
Chi  la  più  bella  sia ,  fa  paragone. 
Finalmente  parer  di  tutti  fue, 
eh'  era  più  bella  la  figlia  d' Amone  ; 
£  non  men  di  beltà  l'altra  vincea. 
Che  di  valore  i  guerrier  vinti  avea. 


206  ORLANDO  FUBIOSO. 


99     Alla  donna  d' Islanda,  che  non  sanza 
Molta  sospizion  stava  di  questo. 
Il  signor  disse  :  Che  serviam  V  usanza, 
Non  v'ha,  donna,  a  parer  se  non  onesto. 
A  voi  convien  procacciar  d' altra  stanza, 
Qaando  a  noi  tatti  è  chiaro  e  manifesto 
Che  costei  di  bellezze  e  di  sembianti. 
Ancor  eh'  incolta  sia,  vi  passa  innantL 

doo     Come  si  vede  in  un  momenta  escara 
Nube  salir  d'umida  valle  al  ciào. 
Che  la  faccia  che  prima  era  si  pura, 
Cuopre  del  Sol  con  tenebroso  velo  ; 
Cosi  la  donna  alla  sentenzia  dura. 
Che  fuor  la  eaccia  ove  è  la  pioggia  e  '1  gielo. 
Cangiar  si  vide,  e  non  parer  più  quella 
Che  fu  pur  dianzi  si  gioconda  e  bella. 

101  S' impallidisce,  e  tutta  cangia  in  viso; 
Che  tal  sentenza  udir  poco  le  aggrada. 
Ma  Bradamante  con  un  saggio  avviso. 
Che  per  pietà  non  vuol  che  se  ne  vada. 
Rispose  :  A  me  non  par  che  ben  deciso 
Né  che  ben  giusto  alcun  giudicio  cada, 
Ove  prima  non  s' oda  quanto  nieghi 

La  parte  o  affermi,  e  sue  ragioni  alleghi. 

102  Io  eh'  a  difender  questa  causa  toglie. 
Dico  :  0  più  bella  o  men  eh'  io  sia  di  lei, 
Non  venni  come  donna  qui,  nò  voglio 
Che  sian  di  donna  ora  i  progressi  miei. 
Ma  chi  dirà,  se  tutta  non  mi  spoglia, 

S' io  sono  0  s' io  non  son  quel  eh'  è  costei  ? 
E  quel  che  non  si  sa,  non  si  de'  dire; 
E  tanto  men,  quando  altri  n'  ha  a  patire. 

403     fien  son  degli  altri  ancor,  e'  hanno  le  chiome 
Lunghe,  com'  io  ;  né  donne  son  per  questo. 
Se  come  cavalier  la  stanza,  o  come 
Donna  acquistata  m' abbia,  è  manifesto. 
Perchè  dunque  volete  darmi  nome 
Di  donna,  se  di  maschio  è  ogni  mio  gesto? 
La  legge  vostra  vuol  che  ne  sian  spinte 
Donne  da  donne,  e  non  da  guerrier  vinte. 


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CANTO  TRENTESIMOSECONDO.  207 


i04     Poniamo  ancor  che,  come  a  voi  pur  pare, 
Io  donna  sia  (che  non  però  il  concedo). 
Ma  che  la  mia  beltà  non  fosse  pare 
A  quella  di  costei  ;  non  però  credo 
Che  mi  vorreste  la  mercè  levare 
Di  mia  virtù,  sebben  di  viso  io  cedo. 
Perder  per  men  beltà  giusto  non  parmi 
Quel  e'  ho  acquistato  per  virtù  con  V  armi. 

105     E  quando  ancor  fosse  V  usanza  tale, 
Che  chi  perde  in  beltà,  ne  dovesse  ire  ; 

10  ci  vorrei  restare,  o  bene  o  male 
Che  la  mia  ostinazion  dovesse  uscire. 
Per  questo,  che  contesa  diseguale 

È  tra  me  e  questa  donna,  vo' inferire 
Che,  contendendo  di  beltà,  può  assai 
Perdere,  e  meco  guadagnar  non  mai. 

406     E  se  guadagni  e  perdite  non  sono 
In  tutto  pari,  ingiusto  è  ogni  partito: 
SI  eh'  a  lei  per  ragion ,  si  ancor  per  dono 
Speziai,  non  sia  l'albergo  proibito. 
E  s' alcuno  di  dir  che  non  sia  buono 
E  dritto  il  mio  giudizio  sarà  ardito, 
Sarò  per  sostenergli  a  suo  piacere. 
Che  '1  mio  sia  vero,  e  falso  il  suo  parere. 

107      La  figliuola  d' Amen,  mossa  a  pleiade 
Che  questa  gentil  donna  debba  a  torto 
Esser  cacciata  ove  la  pioggia  cade. 
Ove  nò  tetto,  ove  neppure  è  un  sporto. 
Al  signor  dell'  albergo  persuade 
Con  ragion  molte  e  con  parlare  accorto. 
Ma  molto  più  con  quel  eh'  alfin  concluse, 
Che  resti  cheto,  e  accetti  le  sue  scuse. 

i08     Qual  sotto  il  più  cocente  ardore  estivo, 
Quando  di  ber  più  desiosa  è  l'erba, 

11  fior  eh'  era  vicino  a  restar  privo 

Di  tutto  quell' umor  ch'in  vita  il  serba, 
Sente  l' amata  pioggia,  e  si  fa  vivo  ; 
Cosi,  poiché  difesa  si  superba 
Si  vide  apparecchiar  la  messaggiera, 
Lieta  e  bella  tornò  come  prim'  era. 


20S  OBLAKOO  FURIOSO. 

i09     La  cena,  stata  lor  boon  pezzo  aTante, 
Né  aocor  par  tocca,  alGn  godersi  in  festa, 
Senza  che  pia  di  caTaliero  errante 
NooTa  venuta  fosse  lor  molesta. 
La  goder  gli  altri,  ma  non  Bradamante, 
Pare,  all'usanza,  addolorata  e  mesta; 
Che  qoel  timor,  che  qoel  sospetto  ingiosto 
Che  sempre  a?ea  nel  cor,  le  toUea  il  gusto. 

410      Finita  eh*  ella  fa  (che  saria  forse 
Stata  più  lunga,  se  '1  desir  non  era 
Di  cibar  gli  occhi),  Bradamante  sorse, 
E  sorse  appresso  a  lei  la  messaggiera. 
Accennò  quel  signore  ad  un  che  corse, 
E  prestamente  aliamo  molta  cera, 
Che  splender  fé  la  sala  in  ogni  canto. 
Quel  che  segui  dirò  neir  altro  Canto. 


WOTS. 


Si»  3.  P.  A*  -—  Del  gf*"*  notturno 
fuoco:  accenna  la  sconfitta  del  re  moro, 
con  questa  frase  che  par  tradasione  del 
virgiliano  tt  tanti  incendia  belli. 

St.  k.9,\.'-^  Fa  scriver:  fa  ar- 
raolarc. 

St.  10.  ¥.  6. — Più  soggiorni:  ri- 
tardi tanto. 

St,\\.  V,  S-S. — Eto  e  Piroo:  cosi 
si  chiamano  due  dei  quattro  cavalli 
attaccati  al  carro  del  Sole.  —  Più 
lungo  di  quel  giorno  ec.  Allude  a 
quando  Giosuè  fermò  il  sole,  cioè  col 
suo  comando  allungò  di  molte  ore  il 
corso  della  giornata,  affinchè  gl'Israe- 
liti riportaiiero  intiera  la  vittoria  sui  re 
della  Palestina.  —  Più  della  notte  ec. 
Finsero  i  mitologi  che  la  notte  in  cui 
Ercole  fu  concepito,  e  quella  in  cui 
nacque,  venissero  dagli  Dei  protratte 
alla  durata  di  più  notti. 

St.  ì%.  V.  6.  —  Sì.,,,,  profonde: 
tanto  sublimi. 


St.  i9.  V.  k.7.^Serpaf  serha,  aspet- 
ta.— Come  aspide  suole  ec:  crede  vasi 
in  que" tempi  che  l'aspide,  per  non 
udire  1*  incantesimo  che  lo  attraeva, 
posasse  un  orecchio  in  terra,  e  chiu- 
desse r  altro  con  V  estremità  della  coda. 

St.  28.  V,  ò —  Fu  molto  posto  per 
ragione  :  fu  mollo  interrogato,  gli  fa 
chiesto  minuto  conto. 

St.  29.  V.  3.  ~  Contrastette:  con- 
trastò, combattè. 

St.  37.  V.  e,  — Per  tragiche  qme* 
rete  :  per  tragiri  poemi. 

St.  47.  V.  1-4.  —  Era  la  soprav» 
veste  ec.  Vedi  la  nota  alla  Stanaa  13  del 
Canto  VI. 

St.  50.  V.  i-4.—  /  Cadurci:  eoo 
tal  nome  si  chiamavano  in  antico  gli 
abitanti  di  quella  parte  della  Gallia 
Aquilanica  Marbonese  che  corrisponde 
a  una  regione  della  Guienna,  detta  poi 
Le  Qnercy, — Eia  citiade  di  Caorse : 
Gahors,  città  della  Gnienna,  già  terra 


CANTO  TRBNTBSIMOSECONDO. 


209 


prìocipale  dei  Cadarà^—  Tutto  '/  monte 
ove  nmteo  Dordona  :  il  Moni*  d*  Oro 
Beli' AWernia;  ivi  acatarisce  la  Dor^ 
dogne,  dia  traTersa  il  Limosino  e  la 
Goienna.  "-E  le  contrade  Scoppia  di 
Mon/arrante  e  di  Ciarmonte. — Questi 
dna  luoghi  dell*  Alvaraia  erano,  nei 
tanpi  a^ietro,  due  eomani  separate  e 
bievidistanti  fra  loro;  ma  nel  i633, 
sotto  Luigi  XIII,  fnrono  unite |  ed  ora 
formano  la  cittli  di  Ciermont'Ferrand, 
attuale  capoluogo  del  dipartimento  di 
Puy-de-Dóme. 

SL  67.  «^.8.— Jf/  scaltri  t  mi  scal- 
trisca, mi  faccia  accorta. 

St.  63.  p.  1-A.^Jile  città  di  Boc 
co  /  alla  Mauritania  occidentale,  signo- 
reggiata anticamente  da  Bocco.  —  Ma' 
rocco:  citth  ddla  Berberia  occidentale, 
capitale  dell'  impero  omonimo. 

St.  83.  f».  1-7. — Fieramente  o  Fa» 
ramondof  primo  re  dei  Franchi.  Questi 
popoli  erano  dapprima  Sicambrì,  detti 
poi  Franchi,  per  una  temporanea  fran- 
chigia da  tributi  che  ebbero  dati*  im- 
peratore Yalentiniano.  Costoro,  non 
volendo  pin  aottomettersi  dopo  spi- 
rato il  termine  della  concessa  franchi- 
gia, furono  battuti  diverse  volte;  e  i 
pochi  auperstiti  pervennero  nella  Tu-  | 
riogia,  guidati  da  Marcomiro  loro  capo.  | 


Egli  insieme  cop  i  suol  pose  la  sede  in 
una  regione  denominata  quindi  Fran- 
conia,  e  posta  a  settentrione  fra  la  Ba- 
viera e  la  Sassonia.  Da  lui  nacque  Fa- 
ramondo,  del  quale  qui  si  parla. -~ 
Di  maniere  conte*  di  maniere  gentili. 
—  Chef  accese  da  Jone  il  suo  pastore. 
Àllndesi  qui  alla  favola  d*  Ione  od  Io, 
amata  da  Giove,  e  da  lui  trasformata  in 
vacca,  onde  prevenire  i  aospetti  di  Gin- 
none;  la  quale  nondimeno  la  faceva  cu- 
stodire da  un  pastore  di  nome  Argo, 
che  avea  cent'  occhi. 

St,  89.  y.  4.  —  La  po*ion,  che  già 
incantata  bebbe,  Leggesinel  Triitano^ 
romanao  cavalleresco,  che  la  madre 
d' Isotta  aveva  preparata  una  bevanda 
incantata,  per  fare  che  sua  6g1ta  fosse 
amata  da  Marco  re  di  Cornovaglia,  a 
cui  l'avea  destinata  in  moglie.  Mentre 
Isotta  era  condotta  allo  sposo  da  Tri- 
stano, questi  inavvedutamente  bevette 
insieme  con  la  giovine  la  pocione  ama- 
toria, onde  s' invaghirono  perdutamente 
r  uno  dell*  altra. 

St,  103.  y,  1,^ Spinte:  cacciate 
fuori. 

St,  107.  v.i*  —  Sporto  :  parte  del- 
l' edi6aio  che  protendesi  all'  infuori  del 
muro  principale,  a  sotto  cai  si  può  stare 
al  coperto. 


18* 


210  ORLANDO  FURIOSO. 


CANTTO    TWLESSTE»WBnmnSMMO. 


la  una  laU  della  rorca  di  Tristano,  Bradamante  vede  dipiote  le  fntiin  gmne 
dei  Francesi  in  Italia.  Poi,  afidata  dai  tre  che  aveva  di  giSi  abbattali,  li 
caccia  novaraente  di  sella.  Rinaldo  e  Gradasso  vengono  alle  mani  per 
BabrdOf  il  qnale^  spaventato  da  un  mostruoso  uccello,  fogge  in  una  advai 
e  cosi  la  pugna  è  sospesa.  Astolfo  sul!*  Ippogrifo  va  in  Etiopia,  ed  ivi  col 
suono  del  suo  corno  caccia  nell*  inferno  le  arpie  die  insouavano  U  i 
del  n  Senapo. 


[     Timagora ,  Parrasio  »  Polignoto , 
Protogene,  Timanle,  ApoUodoro, 
Apelle,  più  di  tutti  questi  noto, 
£  Zeus!,  e  gii  altri  eh' a  quei  tempi  foro; 
De'  qnai  la  fama  (malgrado  di  Gloto, 
Che  spense  i  corpi,  e  di  poi  V  opre  loro) 
Sempre  starà,  finché  si  legga  e  scriva, 
Mercè  degli  scrittori,  al  mondo  viva: 

E  quei  che  foro  a' nostri  di,  o  sono  ora, 
Leonardo,  Andrea  Mantegna,  Gian  Bellino, 
Duo  Dossi,  e  quel  eh' a  par  sculpe  e  colora, 
Michel,  più  che  mortale,  Angel  divino; 
Bastiano,  Rafael,  Tizian  ch'onora 
Non  men  Gador,  che  quei  Venezia  e  Urbino  ; 
£  gli  altri  di  cui  tal  l'opra  si  vede, 
Qual  della  prisca  età  si  legge  e  crede  : 

Questi  che  noi  vegglam  pittori,  e  quelli 
Che  già  mille  e  mill'anni  in  pregio  furo, 
Le  cose  che  son  state,  coi  pennelli 
Fati'  hanno,  altri  su  V  asse,  altri  sul  mura 
Non  però  udiste  antiqui,  né  novelli 
Vedeste  mai  dipingere  il  futuro  : 
£ppur  si  sono  istorie  anco  trovate, 
Che  son  dipinte  innanzi  che  sian  state. 


733»^  "^ 


CANTO  TRKNTESIMOTBRZO.  ^ll 

4     Ma  di  saperlo  far  non  si  dia  vanto 
Pittore  antico,  né  pittor  moderno  ; 
E  ceda  par  qaest*  arte  al  solo  incanto, 
Del  qua!  trieman  gli  spirti  dello  'nferno. 
La  sala  ch'io  dicea  nell'altro  Canto, 
Merlin  col  libro,  o  fosse  al  lago  Averno, 
O  fosse  sacro  alle  Nnrsine  grotte. 
Fece  far  dai  demonj  in  ana  notte. 

ì     Quest'arte,  con  che  i  nostri  antiqui  fenno 
Mirande  prove,  a  nostra  etate  è  estinta. 
Ma  ritornando  ove  aspettar  mi  donno 
Quei  che  la  sala  hanno  a  veder  dipinta. 
Dico  eh'  a  ano  scudier  fa  fatto  cenno. 
Ch'accese  i  torchi:  onde  la  notte,  vinta 
Dal  gran  splendor,  si  dileguò  d'intorno  ; 
Ne  più  vi  si  vedrìa,  se  fosse  giorno. 

6  Quel  signor  disse  lor  :  Yo'  che  sappiate 
Che  delle  guerre  che  son  qui  ritratte, 
Fin  al  di  d' oggi  poche  ne  son  slate  ; 

£  son  prima  dipinte,  che  sian  fatte. 
Chi  l'ha  dipinte,  ancor  V  ha  indovinate. 
Quando  vittoria  avran,  quando  disfatte 
In  Italia  saran  le  genti  nostre. 
Potrete  qui  veder  come  si  mostre. 

7  Le  guerre  ch'i  Franceschi  da  far  hanno 
Dì  là  dall'  Alpe,  o  bene  o  mal  successe, 
Dal  tempo  suo  fin  al  millesìm'  anno, 
Merlin  profeta  in  questa  sala  messe  ; 

11  qual  mandato  fu  dal  re  britanno 
Al  franco  re  eh'  a  Marcomir  successe  : 
E  perchè  lo  mandassi,  e  perchè  fatto 
Da  Merlin  fu  il  lavor,  vi  dirò  a  un  tratto. 

8  Re  Fieramente,  che  passò  primiero 
Con  l'esercito  franco  in  Gallia  il  Reno, 
Poi  che  quella  occupò,  facea  pensiero 
Di  porre  alla  superba  Italia  il  freno. 
Faceal  per  ciò,  che  più  '1  romano  Impero 
Vedea  di  giorno  in  giorno  venir  meno  : 
E  per  tal  causa  col  britanno  Arturo 
Volse  far  lega  ;  eh'  ambi  a  un  tempo  furo. 


212  ORLANDO  FURIOSO. 

9     Artur,  eh'  impresa  ancor  senza  consiglio 
Del  profeta  Merlin  non  fece  mai  ; 
Di  Merlin,  dico,  del  demonio  figlio, 
Che  del  fataro  antivedeva  assai  ; 
Per  lai  seppe,  e  saper  fece  il  periglio 
A  Fieramente,  a  che  di  molti  guai 
Porrà  sua  gente,  s'entra  nella  terra 
Gh'Apennin  parte,  e  il  mare  e  l'Alpe  serra. 

10     Merlin  gli  fé  veder  che  quasi  tutti 

Gli  altri  che  poi  di  Francia  scettro  avranno, 

O  di  ferro  gli  eserciti  distrutti, 

O  di  fame  o  di  peste  si  vedranno  ; 

£  che  brevi  allegrezze  e  lunghi  lutti, 

Poco  guadagno  ed  infinito  danno 

Rìporteran  d' Italia  ;  che  non  lice 

Che  '1  Giglio  in  quel  terreno  abbia  radice. 

il      Re  Fieramonte  gli  prestò  tal  fede, 
Gh'  altrove  disegnò  volger  l' armata  : 
£  Merlin,  che  cosi  la  cosa  vede 
Ch'abbia  a  venir,  come  se  già  sia  stata, 
Avere  a'  prieghi  di  quel  re  si  crede 
La  sala  per  incanto  istoriata. 
Ove  dei  Franchi  ogni  futuro  gesto, 
Come  già  stato  sia,  fa  manifesto. 

i2      Acciò  chi  poi  succederà  comprenda 
Che,  come  ha  d' acquistar  vittoria  e  onore, 
Qualor  d' Italia  la  difesa  prenda 
Incontra  ogni  altro  barbaro  furore  ; 
Cosi,  s'avvien  eh' a  danneggiarla  scenda, 
Per  porle  il  giogo  e  farsene  signore, 
Comprenda,  dico,  e  rendasi  ben  certo 
Ch'  oltre  a  quei  monti  avrà  il  sepulcro  aperto. 

43     Cosi  disse  ;  e  menò  le  donne  dove 
Incomincian  l' istorie  :  e  Singiberto 
Fa  lor  veder,  che  per.tesor  si  muove. 
Che  gli  ha  Maurizio  imperatore  offerto. 
£cco  che  scende  dal  monte  di  Giove 
Nel  pian  dal  Lambro  e  dal  Ticino  aperto. 
Vedete  £utar,  che  non  pur  l' ha  respinto, 
Ma  volto  in  fuga  e  fracassalo  e  vinto. 


CANTO  TRENTESIMOTBRZO.  2i3 

14      Vedete  Clodoveo,  eh'  a  più  di  cento 
Mila  persone  fa  passare  il  monte. 
Vedete  il  daca  là  di  Benevento, 
Che  con  numer  dispar  vien  loro  a  fronte. 
Ecco  Onge  lasciar  V  alloggiamento, 
E  pon  gli  agguati:  ecco,  con  morti  ed  onte, 
Al  yin  lombardo  la  gente  francesca 
Gorre;  e  riman  come  la  lasca  all'esca. 

ih     Ecco  in  Italia  Ghildi  berte  qaanta 
Gente  di  Francia  e  capitani  invia: 
Né  più  che  Glodoveo,  si  gloria  e  vanta 
Gh'  abbia  spogliata  o  vinta  Lombardia  ; 
Ghò  la  spada  del  Giel  scende  con  tanta 
Strage  de' suoi,  che  n'è  piena  ogni  via, 
Morti  di  caldo  e  di  profluvio  d'alvo; 
Si  che  di  dieci  un  non  ne  torna  salvo. 

16  Mostra  Pipino,  e  mostra  Garlo  appresso, 
Geme  in  Italia  un  (iopo  l'altro  scenda, 

E  v'  abbia  questo  e  quel  lieto  successo  : 
Che  venuto  non  v'  è  perchè  l' offenda  ; 
Ma  r  uno,  acciò  il  Pastor  Stefano  oppresso. 
L'altro  Adriano,  e  poi  Leon  difenda. 
L' un  doma  Aistulfo  ;  e  l' altro  vince  e  prende 
11  successore,  e  al  papa  il  suo  onor  rende. 

17  Lor  mostra  appresso  un  giovene  Pipino, 
Che  con  sua  gente  par  che  tutto  cuopra 
Dalle  Fornaci  al  lite  Pelestino  ; 

E  faccia  con  gran  spesa  e  con  lung'  opra 
Il  ponte  a  Malamocco  ;  e  che  vicino 
Giunga  a  Rialto,  e  vi  combatta  sopra. 
Poi  fuggir  sembra,  e  che  i  suoi  lasci  sotto 
L'acque;  che  '1  ponte  il  vento  e  '1  mar  gli  han  rodo 

i%     Ecco  Luigi  Borgognon ,  che  scende 
Là  dove  par  che  resti  vinto  e  preso, 
E  che  giurar  gli  faccia  chi  lo  prende. 
Che  più  dall'  arme  sue  non  sarà  ofleso. 
Ecco  che  '1  giuramento  vilipende; 
Ecco  di  nuovo  cade  al  laccio  teso; 
Ecco  vi  lascia  gli  occhi,  e  come  talpe 
Lo  riportano  i  suoi  di  qua  dall'  Alpe. 


214  OBLANDO  Foaioso. 

f9     Vedete  an  Ugo  d' Aiii  far  gran  fallì, 
E  che  d' Italia  caccia  i  Berengari  ; 
E  doe  o  (re  volle  gli  ha  rotti  e  dìsralti, 
Or  dagli  Unni  rimessi,  or  dai  Bavari. 
Poi  da  più  forza  è  stretto  di  far  patti 
Con  r  inimico,  e  non  sta  in  vita  goarl; 
Né  guari  dopo  lai  vi  sta  Y  erede, 
E  '1  regno  intéro  a  Berengario  cede. 

20      Vedete  nn  altro  Carlo,  che  a'  conforti 
Del  boon  Pastor  fuoco  in  Italia  ha  messo; 
E  in  due  6ere  battaglie  ha  duo  re  morti, 
Manfredi  prima,  e  Corradino  appresso. 
Poi  la  saa  gente,  che  con  mille  torti 
Sembra  tenere  il  naovo  regno  oppresso, 
Di  qua  e  di  là  per  le  città  divisa , 
Vedete  a  un  saon  di  vespro  tutta  uccisa. 

Si      Lor  mostra  poi  tma  vi  parea  intervallo 
Di  molti  e  molti,  non  ch'anni,  ma  lustri) 
Scender  dai  monti  un  capitano  Gallo, 
E  romper  guerra  ai  gran  Visconti  illustri  ; 
£  con  genie  francesca  a  piò  e  a  cavallo 
Par  eh'  Alessandria  intorno  cinga  e  lustri  ; 
E  che  '1  duca  il  presidio  dentro  posto, 
E  fuor  abbia  Y  agguato  un  po'  discosto  ; 

22  E  la  gente  di  Francia  mal  accorta» 
Tratta  con  àrie  ove  la  rete  è  tesa. 
Col  conte  Armeniaco,  la  cui  scorta 
L'avea  condotta  air  infelice  impresa, 
Giaccia  per  tutta  la  campagna  morta. 
Parte  sia  tratta  in  Alessandria  presa  : 

E  di  sangue  non  men  che  d'  acqua  grosso, 
Il  Tanaro  si  vede  il  Po  far  rosso. 

23  Un,  detto  della  Marca,  e  tré  Angioini 
Mostra  Y  un  dopo  Y  altro,  e  dice:  Questi 
A  Bruci,  a  Danni,  a  Marsi,  a  Salentini 
Vedete  come  son  spesso  molesti. 

Ma  né  de'  Franchi  vai  né  de'  Latini 
Aiuto  si,  eh'  alcun  di  lor  vi  resti  : 
Ecco  li  caccia  fuor  del  regno,  quante 
Volle  vi  vanno y  Alfonso,  e  poi  Ferrante. 


CANTO  TRENTESIHOTBRZO.  215 

S4     Vedete  Carlo  ottavo,  che  discende 

Dall'Alpe,  e  seco  ha  il  fior  di  tutta  Francia  ; 
Che  passa  il  Liri,  e  tatto  '1  regno  prende, 
Senza  mai  stringer  spada  o  abbassar  lancia» 
Faorchò  lo  scoglio  eh'  a  Tifeo  si  stende 
Sa  le  braccia,  sul  petto  e  so  la  pancia  ; 
Che  del  baon  sangue  d' Avalo  al  contrasto 
La  virtù  trova  d' Inico  del  Vasto. 

25  n  signor  della  rocca,  che  venia 
Qaest*  istoria  additando  a  firadamante, 
Mostrato  che  l'ebbe  Ischia,  disse:  Pria 
Ch' a  vedere  altro  più  vi  meni  avaute, 

10  vi  dirò  quel  eh'  a  me  dir  solia 

11  bisavolo  mio,  quand'io  era  infante  ; 
£  qael  che  similmente  mi  dicea 

Che  da  suo  padre  udito  anch'  esso  avea  ; 

26  E  '1  padre  suo  da  un  altro,  o  padre  o  fosse 
Avolo,  e  l'un  dall'altro,  sin  a  quello 

Ch'a  udirlo  da  quel  proprio  ritrovosse, 
Che  r  immagini  fé  senza  pennello. 
Che  qui  vedete  bianche,  azzurre  e  rosse: 
Udì  che  quando  al  re  mostrò  il  castello 
Ch'or  mostro  a  voi  su  quest'  altiero  scoglio, 
Gli  disse  quel  eh'  a  voi  riferir  voglio. 

27  Udi  che  gli  dicea  eh'  in  questo  loco 
Di  quel  buon  cavalier  che  lo  difende 

Con  tanto  ardir,  che  par  disprezzi  il  fuoco 
Che  d' ogn' intorno  e  sino  al  Faro  incende. 
Nascer  debbe  in  quei  tempi,  o  dopo  poco 
(E  ben  gli  disse  l' anno  e  le  calende), 
Un  cavaliere,  a  cui  sarà  secondo 
Ogni  altro  che  sin  qui  sia  stato  al  mondo. 

28  Non  fu  Nireo  sì  bel,  non  si  eccellente 
Di  forze  Achille,  e  non  si  ardito  Ulisse , 
Non  sì  veloce  Lada,  non  prudente 
Nestor,  che  tanto  seppe  e  tanto  visse, 
Non  tanto  liberal,  tanto  clemente 

L' antica  fama  Cesare  descrisse  ; 

Che  verso  l' uom  eh'  in  Ischia  nascer  deve, 

Non  abbia  ogni  lor  vanto  a  restar  lieve. 


216  OftLAlfDO  FUBIOSO. 

S9     E  86  8i  gloriò  r  antiqua  Creta , 
Quando  il  nipote  in  lei  nacque  di  Celo^ 
Se  Tebe  fece  Ercole  e  Bacco  lieta , 
Se  si  Tanto  dei  duo  gemelli  Belo  ; 
Né  questa  isola  avrà  da  starsi  cheta , 
Che  non  s' esalti  e  non  si  levi  in  cielo, 
Quando  nascerà  in  lei  quel  gran  marchese 
Ch'avrà  ^  d'ogni  grazia  il  Ciel  cortese. 

30     Merlin  gli  disse,  e  replicògli  spesso, 
Ch'  era  serbato  a  nascer  all'  etade 
Che  più  il  romano  Imperio  saria  oppresso, 
Acciò  per  lui  tornasse  in  libertade. 
Ma  perchè  alcuno  de'  suoi  gesti  appresso 
Yi  mostrerò,  predirli  non  accade. 
Cosi  disse;  e  tornò  all'istoria,  dove 
Di  Carlo  si  vedean  V  inclite  prove. 

3t      Ecco,  dicea,  sì  pente  Ludovico 
D' aver  fatto  in  Italia  venir  Carlo  ; 
Che  sol  per  travagliar  T  emulo  antico 
Chiamato  ve  l' avea,  non  per  cacciarlo  : 
£  se  gli  scnopre  al  ritornar  nimico 
Con  Veneziani  in  lega,  e  vuol  pigliarlo. 
Ecco  la  lancia  il  re  animoso  abbassa. 
Apre  la  strada,  e,  ior  malgrado,  passa. 

32  Ma  la  sua  gente,  eh' a  difesa  resta 
Del  nuovo  regno;  ha  ben  contraria  sorte  ; 
Che  Ferrante,  con  l' opra  che  gli  presta 
11  signor  manluan,  torna  si  forte. 
Ch'in  pochi  mesi  non  ne  lascia  testa, 

O  in  terra  o  in  mar,  che  non  sia  messa  a  morte  : 
Poi  per  un  uom  che  gli  è  con  fraudo  estinto, 
Non  par  che  senta  Jl  gaudio  d' aver  vinto. 

33  Cosi  dicendo,  mostragli  il  marchese 
Alfonso  di  Pescara,  e  dice:  Dopo 
Che  costui  comparito  in  mille  imprese 
Sarà  più  risplendente  che  piropo, 
Ecco  qui  neli'  insidie  che  gli  ha  tese 
Con  un  trattato  doppio  il  rio  Etiope, 
Come  scannato  di  saetta  cade 

11  miglior  cavalier  di  quella  etade. 


CANTO  TRBNTESIMOTBRZO.  217 

Zh      Poi  mostra  ove  il  duodecimo  Laigi 
Passa  con  scoria  italiana  i  monti  ; 
£,  svello  il  MorOj  pon  la  Fiordallgì 
Nel  fecondo  terren  già  de'  Visconti  : 
Indi  manda  sua  gente  pei  vestìgi 
Di  Carlo,  a  far  sul  Garigliano  i  ponti  ; 
La  quale  appresso  andar  rotta  e  dispersa 
Si  vede,  e  morta,  e  nel  fiume  summersa. 

35  Vedete  in  Puglia  non  minor  macello 
Deir  esercito  franco,  in  fuga  volto  ; 

£  Gonsalvo  Ferrante  Ispano  è  quello 
Che  due  volle  alla  trappola  1'  ha  colto. 
E  come  qui  turbato,  cosi  bello 
Mostra  Fortuna  al  re  Luigi  il  volto 
Nel  ricco  pian  che,  fin  dove  Adria  stride. 
Tra  r  Apennino  e  V  Alpe  il  Po  divide. 

36  Cosi  dicendo,  sé  stesso  riprende 

Che  quel  eh'  avea  a  dir  prima,  abbia  lasciato: 
E  torna  addietro,  e  mostra  uno  che  vende 
Il  Castel  che  '1  signor  suo  gli  avea  dato  ; 
Mostra  il  perfido  Svizzero,  che  prende 
Colui  eh'  a  sua  difesa  V  ha  assoldato  : 
Le  quai  due  cose,  senza  abbassar  lancia, 
Han  dato  la  vittoria  al  re  di  Francia. 

37  Poi  mostra  Cesar  fiorgia  col  favore 
Di  questo  re  farsi  in  Italia  grande; 
Ch'ogni  baron  di  Roma,  ogni  signore 
Suggello  a  lei  par  che  in  esilio  mande. 
Poi  mostra  il  re  che  di  Bologna  fuore 
Leva  la  Sega,  e  vi  fa  entrar  le  Giande  ; 
Poi  come  volge  i  Genovesi  in  fuga 
Fatti  ribelli,  e  la  città  soggioga. 

38  Vedete,  dice  poi,  di  gente  morta 
Coperta  in  Giaradadda  la  campagna. 
Par  eh'  apra  ogni  cillade  al  re  la  porta, 
E  che  Venezia  appena  vi  rimagna.. 
Vedete  come  al  papa  non  comporta 
Che,  passati  i  confini  di  Romagna, 
Modana  al  duca  di  Ferrara  teglia  ; 

Né  qui  si  fermi,  e  '1  resto  tor  gli  voglia: 


218  ORLANDO  FURIOSO. 

29      E  fa,  all'  Incontro,  a  lai  Bologna  torre; 
Che  y'  entra  la  Ben  ti  vola  famiglia. 
Vedete  il  campo  de'  Francesi  porre 
A  sacco  Brescia,  poi  che  la  ripiglia  ; 
E  quasi  a  on  tempo  Felsina  soccorre, 
E  '1  campo  ecclesiastico  scompiglia  : 
E  r  uno  e  V  altro  poi  nei  looghi  bassi 
Par  si  riduca  del  lito  de'  Chiassi. 

40  Di  qua  la  Francia,  e  di  là  il  campo  ingrossa 
La  gente  ispana  ;  e  la  battaglia  è  grande. 
Cader  si  vede,  e  far  la  terra  rossa 

La  gente  d' arme  in  amendaa  le  bande. 
Piena  di  sangae  nman  pare  ogni  fossa  : 
Marte  sta  in  dubbio  a'  la  vittoria  mando. 
Per  virtù  d' un  Alfonso  alfin  si  vede 
Che  resta  il  Franco,  e  che  V  Ispano  cede  ; 

41  E  che  Ravenna  saccheggiata  resta. 
Si  morde  il  papa  per  dolor  le  labbia, 
E  fa  da' monti,  a  gaisa  di  tempesta. 
Scendere  in  fretta  una  tedesca  rabbia, 
Ch'ogni  Francese,  senza  mai  far  testa. 
Di  qna  dall'  Alpe  par  che  cacciai'  abbia, 
E  che  posto  un  rampollo  abbia  del  Moro 
Nel  giardino  onde  svelse  i  Gigli  d' oro. 

42  Ecco  toma  il  Francese  :  eccolo  rotto 
Dall'  infedele  Elvezìo,  eh'  in  suo  aiuto 
Con  troppo  rischio  ha  il  giovine  condotto. 
Del  quale  il  padre  aveapreso  e  venduto. 
Vedete  poi  l' esercito  che  sotto 

La  ruota  di  Fortuna  era  caduto. 
Creato  il  nuovo  re,  che  si  prepara 
Dell'  onta  vendicar  eh'  ebbe  a  Novara  : 

43  E  con  migliore  auspizio  ecco  ritoma. 
Vedete  il  re  Francesco  innanzi  a  tutti. 
Che  eosi  rompe  a'  Svizzeri  le  corna. 
Che  poco  resta  a  non  gli  aver  distrutti  : 
Si  che  '1  titolo  mai  più  non  gli  adorna, 
Ch'  usurpato  s' avran  quei  villan  bratti  ; 
Che  domator  de' prìncipi,  e  difesa 

Si  nomeran  della  cristiana  Chiesa. 


CANTO  TRENTBSIMOTERZO.  2i9 

44  Ecco,  malgrado  della  Lega,  prende 
ìlilano,  e  accorda  il  giovene  Sforzesco. 
Ecco  Borbon  che  la  città  difende 

Pel  re  di  Francia  dal  furor  tedesco. 
Eccovi  poi,  che  mentre  altrove  attende 
Ad  altre  magne  imprese  il  re  Francesco, 
Né  sa  quanta  superbia  e  crndeltade 
Usino  i  suoi,  gli  è  tolta  la  cittade. 

45  Ecco  un  altro  Francesco,  eh' assimiglia 
Di  virtù  air  avo,  e  non  di  nome  solo  ; 
Che,  fatto  uscirne  i  Galli,  si  ripiglia 

Col  favor  della  Chiesa  il  patrio  suolo. 
Francia  anco  torna,  ma  ritien  la  briglia, 
Né  scorre  Italia,  come  suole,  a  volo; 
Che  '1  buon  duca  di  Mantua  sul  Ticino 
Le  chiude  il  passo,  e  le  taglia  il  cammino 

46  Federico,  eh'  ancor  non  ha  la  guancia 
De' primi  fiori  sparsa,  si  fa  degno 

Di  gloria  eterna,  ch'abbia  con  la  lancia. 
Ma  più  con  diligenzia  e  con  ingegno, 
Pavia  difesa  dal  furor  di  Francia, 
E  del  Leon  del  mar  rotto  il  disegno. 
Vedete  duo  marchesi,  ambi  terrore 
Di  nostre  genti,  ambi  d'Italia  onore; 

47  Ambi  d' un  sangue,  ambi  in  un  nido  nati. 
Di  quel  marchese  Alfonso  il  primo  è  figlio, 
Il  qual,  tratto  dal  Negro  negli  agguati. 
Vedeste  il  terren  far  di  sé  vermiglio. 
Vedete  quante  volte  son  cacciati 

D' Italia  i  Franchi  pel  costui  consiglio. 
L'altro,  di  sì  benigno  e  lieto  aspetto, 
Il  Vasto  signoreggia,  e  Alfonso  é  detto. 

48  Questo  è  il  buon  cavalier  di  cui  dicea, 
Quando  l' isola  d' Ischia  vi  mostrai, 
Che  già  profetizzando  detto  avea 
Merlino  a  Fieramente  cose  assai: 

Che  differire  a  nascere  dovea 
Nel  tempo  che  d*  aiuto  più  che  mai 
L'afflitta  Italia,  la  Chiesa  e  l'Impero 
Centra  ai  barbari  insulti  avria  mistìero. 


ORLANl>0  t^URIOSÒ. 

59     Le  belle  donne,  e  gli  altri  quivi  stati, 
Mirando  e  ragionando  insieme  on  pezzo, 
Far  dal  signore  a  riposar  menati  ; 
€h'  onorar  gli  osti  suoi  molf  era  avvezzo. 
Già  sendo  tatti  gli  altri  addormentati, 
Bradamante  a  corcar  si  va  da  sezzo  ; 
E  si  volta  òr  so  questo  or  su  quel  fianco. 
Né  può  dormir  sul  deMro  nò  sul  manco. 

IO     Pur  chiude  alquanto  appresso  air  alba  i  lomi, 
E  di  veder  le  pare  il  suo  Ruggiere, 
Il  qual  le  dica:  Perchè  ti  consumi, 
Dando  credenza  a  quel  che  non  è  vero? 
Tu  vedrai  prima  all'erta  andare  i  fiumi, 
Ch'ad  altri  mai,  eh'  a  te,  volga  il  pensiero. 
S' io  non  amassi  te,  né  il  cor  potrei 
Né  le  pupille  amar  degli  occhi  miei. 

61  E  par  che  le  soggiunga:  Io  son  venuto 
Per  battezzarmi,  e  far  quanto  ho  promesso; 
E  s*  io  son  stato  tardi,  m' ha  tenuto 

Altra  ferita,  che  d'amore,  oppresso. 
Fuggesi  in  questo  il  sonno,  né  veduto 
È  più  Ruggier,  che  se  ne  va  con  esso. 
Rinnova  allora  i  pianti  la  donzella, 
E  nella  mente  sua  cosi  favella: 

62  Fu,  quel  che  piacque,  un  falso  sogno:  e  questo 
Che  mi  tormenta,  ahi  lassa  !  é  un  veggiar  vero. 
Il  ben  fu  sogno  a  dileguarsi  presto; 

Ma  non  é  sogno  il  martire  aspro  e  fiero. 
Perch*  or  non  ode  e  vede  il  senso  desto 
Quel  eh'  udire  e  veder  parve  al  pensiero  ? 
A  che  condizione,  occhi  miei,  sete, 
Che  chiusi  il  ben,  e  aperti  il  mal  vedete? 

63  II  dolce  sonno  mi  promise  pace  ; 

Ma  r  amaro  veggiar  mi  torna  in  guerra  : 
Il  dolce  sonno  è  ben  slato  fallace  ; 
Ma  r  amaro  veggiare,  oimè  !  non  erra. 
Se  '1  vero  annoia,  e  il  falso  si  mi  piace, 
Non  oda  o  vegga  mai  più  vero  in  terra  : 
Se  'l  dormii*  mi  dà  gaudio,  e  il  veggiar  guai^ 
Possa  io  dormir  senza  destarmi  mai. 


Tq^^?5rLT 


CaMTQ  tRENtBSiatOTER20.  223 

64  Oh  felici  animai  eh*  un  sonno  forte 
Sei  mesi  tien  senza  mai  gli  occhi  aprire! 
Che  s' assimigli  tal  sonno  aHa  morte , 
Tal  vegglare  alla  vita ,  io  non  vo'  dire  ; 
Cfa'  a  tutl'  altre  contraria  la  mia  sorte 
Sente  morte  a  veggiar,  vita  a  dormire  : 
Ma  s' a  tal  sonno  morte  s'  assimiglia, 
Deh,  Morte,  or  ora  chiudimi  le  cigliai 

65  Deir  orizzonte  il  Sol  fatte  avea  rosse 
L'estreme  parti,  e  dileguate  intorno 
S*  eran  le  nubi,  e  non  parea  che  fosse 
limile  air  altro  il  cominciato  giorno  ; 
Quando  svegliata  Bradamante  armosse, 
Per  fìne  a  tempo  al  suo  cammin  ritorno, 

^  «Rendule  avendo  grazie  a  quel  signore 
Del  buono  albergo  e  dell'  avuto  onore. 

66  £  trovò  che  là  donna  messaggiera , 
Con  damigelle  sue,  con  suoi  scudieri 
Uscita  della  ròcca ,  venut'  era 

Là  dove  V  attendean  quei  tre  guerrieri  ; 

Quei  che  con  V  asta  d' oro  essa  la  sera 

Fatto  avea  riversar  giù  dei  destrieri, 

£  che  patito  avean  con  gran  disagio 

La  notte  V  acqua  e  il  vento  e  il  ciel  malvagio. 

67  Arroge  a  tanto  mal,  eh'  a  corpo  voto 
£d  essi  e  i  lor  cavalli  eran  rimasi. 
Battendo  i  denti  e  calpestando  il  loto  ; 
Ma  quasi  lor  più  incresce,  e  senza  quasi 
Incresce  e  preme  più,  che  farà  nolo 

La  messaggiera,  appresso  agli  altri  casi. 

Alla  sua  donna,  che  la  prima  lancia 

Oli  abbia  abbattuti,  e'  han  trovala  in  Francia. 

68  £  presti  0  di  morire,  o  di  vendetta 
Subito  far  del  ricevuto  oltraggio. 
Acciò  la  messaggiera  che  fu  detta 
UUania,  che  nomata  più  non  aggio. 
La  mala  opinion  eh'  avea  concetta 
Forse  di  lor,  si  tolga  del  coraggio, 
La  figliuola  d' Amon  sfidano  a  giostra 
Tosto  che  fuor  del  ponte  ella  si  mostra  ) 


a%  ÒBLÀNDO  FUBlOSd. 

69  Non  pensando  però  che  sia  donzella; 
Che  nessan  gesto  di  donzella  avea. 
Bradamante  ricasa,  come  qaella 
Gh*in  fretta  già,  né  soggiornar  volea. 
Par  tanto  e  tanto  for  molesti,  eh'  ella, 
Che  negar  senza  biasmo  non  potea» 
Abbassò  V  asta,  ed  a  tre  colpi  in  terra 
Li  mandò  tolti  ;  e  qai  fini  la  guerra  : 

70  Che  senza  più  roltarsi  mostrò  loro 
Lontan  le  spalle,  e  dilegaossi  tosto. 
Quei  che,  per  guadagnar  lo  scado  d'oro, 
Di  paese  venian  tanto  discosto, 

Poi  che  senza  parlar  ritti  si  foro. 

Che  ben  l'avean  con  ogni  ardir  deposto, 

Stupefatti  parean  di  maraviglia, 

Né  verso  UUania  ardian  d' alzar  le  ciglia; 

7i     Che  con  lei  molte  volte  per  cammino 
Dato  s' avean  troppo  orgogliosi  vanti  : 
Che  non  è  cavalier  né  paladino 
Ch'  al  minor  di  lor  tre  durasse  avanti. 
La  donna,  perchè  ancor  più  a  capo  chino 
Vadano,  e  più  non  sian  cosi  arroganti. 
Fa  lor  saper  che  fu  femmina  quella^ 
Non  paladin,  che  li  levò  di  sella. 

lì     Orche  dovete,  diceva  ella,  quando 
Cosi  v'abbia  una  femmina  abbattuti. 
Pensar  che  sia  Rinaldo  o  che  sia  Orlando, 
Non  senza  causa  in  tant'  onore  avuti  ? 
S'un  d'essi  avrà  lo  scudo,  io  vi  domando 
Se  migliori  di  quel  che  siate  suti 
Contra  una  donna,  centra  lor  sarete? 
Non  credo  io  già^  nò  voi  forse  il  credete. 

73     Questo  vi  pu6  bastar  ;  né  vi  bisogna- 
Dei  f*lor  vostro  aver  più  chiara  prova  : 
£  quel  di  voi,  che  temerario  agogna 
Far  di  sé  in  Francia  esperienza  nuova. 
Cerca  giungere  il  danno  alla  vergogna 
In  che  ieri  ed  oggi  s' è  trovato  e  trova  ; 
Se  forse  egli  non  stima  utile  e  onore, 
Qualor  per  man  di  tai  guerrier  si  muore. 


'■■Y.">'-^ 


CANtO  TRENTESIMOTÉRZO.  12^ 


74  Poi  ch«  ben  certi  i  cavalieri  fece 
Ullania,  che  quell'era  una  donzella, 
La  qaal  fatto  avea  nera  più  che  pece 
La  fama  lor,  ch'esser  solca  si  bella; 
£  dove  una  bastava,  più  di  diece 
Persone  il  detto  confermar  di  quella  ; 
Essi  fur  per  voltar  V  arme  in  sé  stessi , 
Da  tal  dolor,  da  tanta  rabbia  oppressi. 

75  E  dallo  sdegno  e  dalla  furia  spinti, 

L' arme  si  spoglian ,  quante  n'  hanno  indosso  ; 

Né  si  lascian  la  spada  onde  eran  cinti, 

E  del  Castel  la  gittano  nel  fosso  ; 

E  giuran,  poi  che  gli  ha  una  donna  vinti, 

E  fatto  sul  terren  battere  il  dosso, 

Che,  per  purgar  si  grave  error,  staranno 

Senza  mai  vestir  1*  arme  intero  un  anno  ; 

76  £  che  n'andranno  a  pie  pur  tuttavia, 
O  sia  la  strada  piana ,  o  scenda  e  saglia  ; 
Né,  poi  che  V  anno  anco  finito  sia, 
Saran  per  cavalcare  o  vestir  maglia, 
S'altr'arme,  altro  destrier  da  lor  non  fia 
Guadagnato  per  forza  di  battaglia. 

Cosi  senz'arme,  per  punir  lor  fallo. 
Essi  a  pie  se  n'  andar,  gli  altri  a  cavallo. 

77  Bradamante  la  sera  ad  un  castello 
Ch'alia  via  di  Parigi  si  ritrova, 

Di  Carlo  e  di  Rinaldo  suo  fratello, 
Ch'avean  rotto  Agramante,  udi  la  nuova. 
Quivi  ebbe  buona  mensa  e  buono  ostello  : 
Ma  questo  ed  ogni  altro  agio  poco  giova  ; 
Che  poco  mangia,  e  poco  dorme,  e  poco, 
Non  che  posar,  ma  ritrovar  può  loco. 

7S      Non  però  di  costei  voglio  dir  tanto, 
Ch'  io  non  ritorni  a  quei  duo  cavalieri 
Che  d' accordo  legato  aveano  accanto 
La  solitaria  fonte  i  duo  destrieri. 
La  pugna  lor,  di  che  vo' dirvi  alquanto, 
Non  è  per  acquistar  terre  né  imperi  ; 
Ma  perchè  Durindana  il  più  gagliardo 
Abbia  ad  avere,  e  a  cavalcar  fiaìardo. 


226  ORLANDO  FURIOSO. 

79     Senza  che  tromba  o  segno  altro  accennasse 
Quando  a  muover  s' avean,  senza  maestro 
Che  lo  schermo  e  '1  ferir  lor  ricordasse, 
£  lor  pungesse  il  cor  d' animoso  estro, 
L' uno  e  V  altro  d' accordo  il  ferro  trasse, 
£  si  venne  a  trovare  agile  e  destro. 
I  spessi  e  gravi  colpi  a  farsi  udire 
Incominciare,  ed  a  scaldarsi  l'ire. 

SO     Due  spade  altre  non  so,  per  prova  elette 
Ad  esser  ferme  e  solide  e  ben  dure, 
Ch'  a  tre  colpi  di  quei  si  fosser  rette, 
Ch'erano  fuor  di  tutte  le  misure: 
Ma  quelle  fur  di  tempre  si  perfette. 
Per  tante  esperienzie  si  sicure. 
Che  ben  poleano  insieme  riscontrarsi 
Con  mille  colpi  e  più,  senza  spezzarsi. 

81  Or  qua  Rinaldo  or  là  mutando  il  passo 
Con  gran  destrezza,  e  molta  industria  ed  arte, 
Fuggia  di  Durindana  il  gran  fracasso  ; 

Che  sa  ben  come  spezza  il  ferro  e  parte. 
Feria  maggior  percosse  il  re  Gradasso  ; 
Ma  quasi  tutte  al  vento  erano  sparte  : 
Se  coglieva  talor,  coglieva  in  loco 
Ove  pelea  gravare  e  nuocer  poco. 

82  L' altro  con  più  ragion  sua  spada  inchina, 
£  fa  spesso  al  pagan  stordir  le  braccia  ; 

£  quando  ai  fianchi  e  quando  ove  confina 
La  corazza  con  l'elmo,  gli  la  caccia: 
Ma  trova  l' armatura  adamantina  ; 
Si  eh'  una  maglia  non  ne  rompe  o  straccia. 
Se  dura  e  forte  la  ritrova  tanto, 
Avvien  perch'  ella  é  fatta  per  incanto. 

83  Senza  prender  riposo  erano  stati 
Gran  pezzo  tanto  alla  battaglia  fisi. 
Che  volti  gli  occhi  in  nessun  mai  de'  lati 
Aveano,  fuor  che  nei  turbati  visi  ; 
Quando  da  un'altra  zuffa  distornati, 

£  da  tanto  furor  furon  divisi. 

Ambi  voltare  a  un  gran  strepito  il  ciglio, 

£  videro  Baiardo  in  gran  periglio. 


1 


J 


CANTO  TRENTESIHOTEBZO.  227 

84  .  Vider  Baiardo  a  zaffa  con  un  mostro 
Ch'era  più  di  lui  grande,  ed  era  augello  : 
Avea  più  lungo  di  tre  braccia  il  rostro; 
V  altre  fattezze  avea  di  vipistrello  ; 
Avea  la  piuma  negra  come  inchiostro  y 
Avea  V  artìglio  grande,  acuto  e  fello  : 
Occhi  di  fuoco,  e  sguardo  avea  crudele  ; 
L'ale  avea  grandi,  che  parean  due  vele. 

85  Forse  era  vero  auge!  ;  ma  non  so  dove 
O  quando  un  altro  ne  sia  stato  tale. 
Non  ho  veduto  mai,  nò  letto  altrove, 
Fuor  eh'  in  Turpin,  d'  un  sì  fatto  animale. 
Questo  rispetto  a  credere  mi  muove 

Che  r  augel  fosse  un  diavolo  infernale 
Che  Malagigi  in  quella  forma  trasse, 
Acciò  che  la  battaglia  disturbasse. 

86  Rinaldo  il  credette  anco,  e  gran  parole 
E  sconce  poi  con  Malagigi  n'  ebbe. 

Egli  già  confessar  non  glie  lo  vuole  ; 
£  perchò  tor  di  colpa  si  vorrebbe, 
Giura  pel  lume  che  dà  lume  al  sole. 
Che  di  questo  imputato  esser  non  debbo. 
Fosse  augello  o  demonio,  il  mostro  scese 
Sopra  Baiardo,  e  con  1*  artiglio  il  prese. 

87  Le  redine  il  destrier,  eh'  era  possente, 
Subito  rompe,  e  con  sdegnò  e  con  ira 
Centra  l' augello  i  calci  adopra  e  '1  dente  ; 
Ma  quel  veloce  in  aria  si  ritira  : 

Indi  ritorna,  e  con  l' ugna  pungente 
Lo  va  battendo,  e  d' ogn'  intorno  aggira. 
Baiardo  offeso,  e  che  non  ha  ragione 
Di  schermo  alcun,  ratto  a  fuggir  si  pone. 

88  Fugge  Baiardo  alla  vicina  selva, 
E  va  cercando  le  più  spesse  fronde. 
Segue  di  sopra  la  pennuta  belva 
Con  gli  occhi  fisi  ove  la  via  seconde  : 
Ma  pure  il  buon  destrier  tanto  s' inselva, 
Ch'  alfin  sotto  una  grotta  si  nasconde. 
Poi  che  l'alato  ne  perdo  la  traccia. 
Ritorna  in  «ìelo,  e  cerca  nuova  caccia. 


229  OBLANDO  PORIOSO. 

89  Rinaldo  e  '1  re  Gradasso,  che  partir^ 
Veggono  la  cagion  delia  lor  pugna, 
Restan  d' accordo  quella  differire 
Finché  Raiardo  salvino  dall'  ugna 
Che  per  la  scara  selva  il  fa  fuggire  ; 
Con  patto,  che  qnal  d'essi  lo  raggingna, 
A  quella  fonte  lo  restituisca, 

Ove  la  lite  lor  poi  si  fluisca. 

90  Seguendo,  si  partir  dalla  fontana,   - 
1/  erbe  novellamente  in  terra  peste. 
Molto  da  lor  Raiardo  s' allontana , 
Ch'ebbon  le  piante  in  seguir  lui  mal  preste 
Gradasso,  che  non  lungi  avea  F  Alfana, 
Sopra  vi  salse,  e  per  quelle  foreste 
Molto  lontano  il  paladin  lasciosse. 

Tristo  e  peggio  contento  che  mai  fosse. 

91  Rinaldo  perde  Torme  in  pochi  passi 
Del  suo  destrier,  che  fé  strano  viaggio  ; 
Ch'andò  rivi  cercando,  arbori  e  sassi, 
Il  più  spinoso  luogo,  il  più  selvaggio. 
Acciò  che  da  quella  ugna  si  celassi. 
Che  cadendo  dal  ciel  gli  facea  oltraggio. 
Rinaldo,  dopo  la  fatica  vana. 
Ritornò  ad  aspettarlo  alla  fontana  ; 

92  Se  da  Gradasso  vi  fosse  condotto. 
Si  come  tra  lor  dianzi  si  convenne. 
Ma  poi  che  far  si  vide  poco  frutto. 
Dolente  é  a  piedi  in  campo  se  ne  venne. 
Or  torniamo  a  queir  altro,  al  quale  in  tutto 
Diverso  da  Rinaldo  il  caso  avvenne. 

Non  per  ragion,  ma  per  suo  gran  destino 
Senti  annitrire  il  buon  destrier  vicino  ; 

93  £  lo  trovò  nella  spelonca  cava, 
Dall'avola  paura  anco  si  oppresso, 
Ch'  uscire  allo  scoperto  non  osava  : 
Perciò  r  ha  in  suo  potere  il  pagan  messo. 
Ren  della  convenzion  si  raccordava, 
Ch'alia  fonte  tornar  dovea  con  esso; 
Ma  non  è  più  disposto  d'osservarla, 

£  cosi  in  mente  sua  tacito  parla: 


cìnto  TRENTBSmOTBRZO.  229 

94  Abbial  chi  aver  lo  vool  con  lite  e  guerra; 
Io  d'averlo  con  pace  più  disio. 

Dall'  ano  all'  altro*  capo  della  terra 

Già  venni,  e  sol  per  far  Baiardo  mio. 

Or  ch'io  l'ho  in  mano,  ben  vaneggia  ed  erra 

Chi  crede  che  depor  lo  voless'  io. 

Se  Rinaldo  lo  vuol,  non  disconviene, 

Come  io  già  in  Francia ,  or  s' egli  in  India  viene. 

95  Non  men  sicura  a  lui  fia  Sericana, 
Che  già  dae  volte  Francia  a  me  sia  stata. 
Cosi  dicendo,  per  la  via  più  piana 

Ne  venne  in  Arli,  e  vi  trovò  l'armata; 

E  quindi  con  Baiardo  e  Durindana 

Si  parti  sopra  una  galea  spalmata. 

Ma  questo  a  un'altra  volta;  ch'or  Gradasso, 

Rinaldo  e  tutta  Francia  addietro  lasso. 

96  Voglio  Astolfo  seguir,  eh'  a  sella  e  a  morso 
A  uso  facea  andar  di  palafreno 

L' Ippogrifo  per  l' aria  a  si  gran  corso, 
Che  r  aquila  e  il  falcon  vola  assai  meno. 
Poi  che  de'  Galli  ebbe  il  paese  scorso 
Da  un  mare  all'  altro,  e  da  Pirone  al  Reno, 
Tornò  verso  Ponente  alla  montagna 
Che  separa  la  Francia  dalla  Spagna. 

97  Passò  in  Navarra,  et  indi  in  Aragona, 
Lasciando  a  chi  '1  vedea  gran  maraviglia. 
Restò  lungi  a  sinistra  Tarracona, 
Biscaglia  a  destra,  ed  arrivò  in  Castiglia. 
Vide  Gallizia  e  '1  regno  d' Ulisbona  ; 

Poi  volse  il  corso  a  Cordova  e  Siviglia  : 
Nò  lasciò  presso  al  mar  né  fra  campagna 
Città,  che  non  vedesse  tutta  Spagna. 

9S     Vide  le  Gade,  e  la  meta  che  pose 
Ai  primi  naviganti  Ercole  invitto. 
Per  r  Africa  vagar  poi  si  dispose 
Dal  mar  d' Atlanle  ai  termini  d' Egitto. 
Vide  le  Baleariche  famose, 
£  vide  Eviza  appresso  al  cammin  dritto. 
Poi  volse  il  freno,  e  tornò  verso  Arzilla 
Spvra  '1  mar  che  da  Spagna  dipartilla. 

II.  20 


m     Tlde  Marocco,  Fen,  Orano,  Ippona, 
Afaper,  Boiea,  lolle  dui  sopeibe, 
C  banDO  d*  allre  ciUà  UHle  coroBa , 
Corona  d' oro,  e  non  di  fronde  o  d' erbe. 
Terso  Biserta  e  Tnnìgi  poi  sprona  : 
Tide  Capisse  e  l'isola  d' Allerte, 
E  Tripoli  e  Bemicche  e  Tolomitla, 
Sin  dorè  il  Nilo  in  Asia  si  Iragilta. 

100     Tra  la  manna  e  la  siirosa  schena 
Del  fiero  Atlante  Tide  ogni  contrada. 
Poi  die  le  spalle  ai  monti  di  Carena, 
E  sopra  i  Cirenei  prese  la  strada  ; 
E  Ira  versando  i  campi  dell'  arena. 
Venne  a'  confin  di  Nobia  in  Albaiada. 
Rimase  dietro  il  cimiter  di  Batto, 
E  '1  gran  tempio  d' Amon,  ch'oggi  è  disfatto. 

KM      Indi  gìanse^ad  un'  altra  Tremisenne, 
Che  di  Maometto  por  segue  lo  stilo. 
Poi  Tolse  agli  altri  Etiopi  le  penne. 
Che  con  tra  questi  son  di  là  dal  Nilo. 
Alla  città  di  Nobia  il  cammin  tenne 
Tra  Dobada  e  Coalle  in  aria  a  filo. 
Questi  Cristiani  son,  quei  Saracini  ; 
E  stan  con  l' arme  in  man  sempre  a'  confioi. 

102      Senapo  imperator  della  Etiopia, 

Ch'  in  loco  tien  di  scettro  in  man  la  croce, 

Di  gente,  di  ciltadi  e  d'oro  ha  copia 

Quindi  fin  là  dove  il  Mar  Rosso  ha  foce  ; 

E  serva  quasi  nostra  Fede  propia, 

Che  può  salvarlo  dall'  esilio  atroce. 

Gli  é,  8*  io  non  piglio  errore,  in  questo  loco 

Ove  al  batlesmo  loro  usano  il  fuoco. 

403     Dìsmontò  il  duca  Astolfo  alla  gran  corte 
Dentro  di  Nubia,  e  visitò  il  Senapo. 
Il  castello  é  più  ricco  assai  che  forte. 
Ove  dimora  d' Etiopia  il  capo. 
Le  catene  dei  ponti  e  delle  porte, 
Gangheri  e  chiavislei  da  piedi  a  capo, . 
E  finalmente  tutto  quei  lavoro 
Che  noi  di  ferro  usiamo,  ivi  asan  d'oro. 


CANTO  tKENtESlMOTER^O.  231 

104  Ancorché  del  finissimo  metallo 

Vi  sia  tale  abbondanza,  è  por  in  pregio. 
Colonnate  dì  limpido  cristallo 
Son  le  gran  logge  del  palazzo  regio. 
Fan  rosso, bianco,  verde,  azzurro  e  giallo 
Sotto  ì  bei  palchi  un  relucente  fregio, 
Divisi  tra  proporzionati  spazj , 
Rubin,  smeraldi,  zaffiri  e  topazj. 

105  In  mora,  in  tetti,  in  pavimenti  sparte 
Eran  le  perle,  eran  le  ricche  gemme. 
Quivi  il  balsamo  nasce  ;  e  poca  parte 

N'  ebbe  appo  questi  mai  Gerusalemme. 
Il  muschio  eh' a  noi  vien,  quindi  si  parte; 
Quindi  vien  T ambra,  e  cerca  altre  maremme: 
Yengon  le  cose  in  somma  da  quel  canto, 
Che  nei  paesi  nostri  vaglion  tanto. 

106  Si  dice  che  '1  Soldan,  re  dell'Egitto, 
A  quel  re  dà  tributo,  e  sta  soggetto, 
Perch'  è  in  poter  di  lui  dal  cammin  dritto 
Levare  il  Nilo,  e  dargli  altro  ricetto,  - 
E  per  questo  lasciar  subito  afflitto 

Di  fame  il  Cairo  e  tutto  quel  distretto. 
Senapo  detto  è  dai  sudditi  suoi  : 
Gli  diciam  Presto  o  Preteianni  noi. 

107  Di  quanti  re  mai  d' Etiopia  foro. 

Il  più  ricco  fu  questi  e  il  più  possente  ; 
Ma  con  tutta  sua  possa  e  suo  tesoro^ 
Gli  occhi  perduti  avea  miseramente. 
E  questo  era  il  minor  d' ogni  martore  : 
Molto  era  più  noioso  e  più  spiacente. 
Che,  quantunque  ricchissimo  si  chiame, 
Cruciato  era  da  perpetua  fame. 

lOS     Se  per  mangiare  o  ber  quello  infelice 
Venia  cacciato  dal  bisogno  grande , 
Tosto  apparia  F  infornai  schiera  ultrice. 
Le  monstruose  Arpie  brutte  e  nefande, 
Che  col  grifo  e  con  Y  ugna  predatrice 
Spargeano  i  vasi,  e  rapian  le  vivande; 
E  quel  che  non  capìa  lor  ventre  ingordo, 
Vi  rimanea  contaminato  e  lordo. 


232  ORLANDO  POIIOSO. 

iO»      £  questo,  perch'  essendo  d' anni  acerbo, 
£  vistosi  levato  in  tanto  onore, 
Che,  oltre  alle  ricchezze,  di  più  nerbo 
£ra  dì  totti  gli  altri,  e  di  più  core; 
Divenne,  come  Lacifer,  superbo, 
£  pensò  muover  guerra  al  suo  Fattore. 
Con  la  sua  gente  la  via  prese  al  dritto 
Al  monte  ond'  esce  il  gran  fiume  d'Egitto. 

110      Inteso  avea  che  su  quel  monte  alpestre, 
Ch'  oltre  alle  nubi  e  presso  al  ciel  si  leva, 
£ra  quel  paradiso  che  terrestre 
Si  dice,  ove  abitò  già  Adamo  ed  £va. 
Con  cammelli,  elefanti,  e  con  pedestre 
Esercito,  orgoglioso  si  moveva 
Con  gran  desir,  se  v'  abitava  gente. 
Di  farla  alle  sue  leggi  ubbidiente. 

Ili      Dio  gli  rìpresse  il  temerario  ardire, 
E  mandò  TAngel  suo  tra  quelle  frotte. 
Che  cento  mila  ne  fece  morire, 
E  condannò  lui  di  perpetua  notte. 
Alla  sua  mensa  poi  fece  venire 
L' orrenda  mostro  dall'  infornai  grotte. 
Che  gli  rapisce  e  contamina  i  cibi, 
Né  lascia  che  ne  gusti  o  ne  delibi. 

112  Ed  in  disperazion  continua  il  messe 
Uno  che  già  gli  avea  profetizzato 

Che  le  sue  mense  non  sanano  oppresse 
Dalla  rapina  e  dall'  odore  ingrato. 
Quando  venir  per  l' aria  si  vedesse 
Un  cavalier  sopra  un  cavallo  alato. 
Perchè  dunque  impossibil  parea  questo, 
Privo  d' ogni  speranza  vivea  mesto. 

113  Or  che  con  gran  stupor  vede  la  gente 
Sopra  ogni  muro  e  sopra  ogni  alta  torre 
Entrare  il  cavaliero,  immantinente 

£  chi  a  narrarlo  al  re  di  Nubia  corre, 
A  cui  la  profezia  ritorna  a  mente  ; 
Ed  obbliando  per  letizia  torre 
La  fedel  verga,  con  le  mani  innante 
Vien  brancolando  al  cavalier  volante. 


CANTO  TBENTfiSIMOTERZO.  233 

il4     Astolfo  nella  piazza  del  castello 
Con  spaziose  roote  in  terra  scese. 
Poi  che  fo  il  re  condotto  innanzi  a  qaello, 
Ingìnocchiossi,  e  le  man  giunte  stese, 
E  disse:  Angel  di  Dìo,  Messia  novello, 
S'io  non  merto  perdono  a  tante  offese. 
Mira  che  proprio  è  a  noi  peccar  sovente, 
A  voi  perdonar  sempre  a  chi  si  pente. 

115     Del  mio  error  consapevole,  non  chieggio 
Nò  chiederti  ardirei  gli  antiqui  lami. 
Che  ta  lo  possa  far,  ben  creder  deggio  ; 
Che  sei  de'  cari  a  Dio  beali  nami. 
Ti  basti  il  gran  martir  ch'io  non  ci  veggio. 
Senza  eh'  ognor  la  fame  mi  consumi. 
Almen  discaccia  le  fetide  Arpie, 
Che  non  rapiscan  le  vivande  mie  : 

m     E  di  marmore  un  tempio  ti  prometto 
Edificar  dell'alta  reggia  mia. 
Che  tutte  d' oro  abbia  le  porte  e  '1  tetto, 
E  dentro  e  fuor  di  gemme  ornato  sia  ; 
£  dal  tuo  santo  nome  sarà  detto, 
£  del  miracol  tuo  scolpito  fia. 
Cosi  dicea  quel  re  che  nulla  vede. 
Cercando  invan  baciare  al  duca  il  piede. 

117     Rispose  Astolfo  :  Né  l' angel  di  Dìo, 
Né  son  Messia  novel,  né  dal  ciel  vegno; 
Ma  son  mortale  e  peccatore  anch'io. 
Di  tanta  grazia  a  me  concessa  indegno. 
Io  farò  ogni  opra,  acciò  che  '1  mostro  rio. 
Per  morte  o  fuga,  io  ti  levi  del  regno. 
S'io  il  fo,  me  non,  ma  Dio  ne  luda  solo. 
Che  per  tuo  aiuto  qui  mi  drizzò  il  volo. 

US     Fa  questi  voti  a  Dio,  debiti  a  lui  ; 
A  lui  le  chiese  edifica  e  gli  altari. 
Cosi  parlando,  andavano  ambidui 
Verso  il  castello  fra  i  baron  preclari. 
lì  re  comanda  ai  servitori  sui. 
Che  subito  il  convito  si  prepari. 
Sperando  che  non  debba  essergli  tolta 
La  vivanda  di  mano  a  questa  volta. 

20* 


234  OnLANDO  FURIOSO. 

H9     Dentro  ona  ricca  sala  immantinente 
Apparecchiossi  il  convito  solenne. 
Col  Senapo  s' assise  solamente 
Il  duca  Astolfo  y  e  la  vivanda  venne. 
Ecco  per  V  aria  lo  strider  si  sente. 
Percossa  intorno  dall' orribìl  penne; 
Ecco  venir  V  Arpie  brotte  e  nefande. 
Tratte  dal  cielo  a  odor  delle  vivande. 

420     Erano  sette  in  nna  schiera,  e  tatto 
Volto  di  donne  avean,  pallide  e  smorte, 
Per  lunga  fame  attenuate  e  asciatte, 
Orribili  a  veder  più  che  la  morte. 
L' alaccie  grandi  avean ,  deformi  e  brotte  ; 
Le  man  rapaci,  e  V  agno  incurve  e  torte  ; 
Grande  e  fetido  il  ventre,  e  lunga  coda. 
Come  di  serpe  che  s' aggira  e  snoda. 

i2l      Si  sentono  venir  per  V  aria,  e  quasi 
Si  veggon  tutte  a  an  tempo  in  su  la  mensa 
Rapire  i  cibi,  e  riversare  i  vasi  : 
£  molta  feccia  il  ventre  lor  dispensa. 
Talché  gli  è  forza  d' atturare  i  nasi  ; 
Che  non  si  può  patir  la  puzza  immensa. 
Astolfo,  come  Tira  lo  sospinge, 
Contra  gF  ingordi  augelli  il  ferro  stringe. 

422     Uno  sul  collo,  un  altro  su  la  groppa 
Percuote,  e  chi  nel  petto,  e  chi  nell'ala; 
Ma  come  fera  in  s' un  sacco  di  sloppa, 
Poi  langue  il  colpo,  e  senza  effetto  cala  ; 
E  quei  non  vi  lasciar  piatto  né  coppa 
Che  fosse  intatta  ;  né  sgombrar  la  sala 
Prima  che  le  rapine  e  il  fiero  pasto 
Contaminato  il  tutto  avesse  e  guasto. 

d23     Avuto  avea  qnel  re  ferma  speranza 
Nel  duca,  che  1*  Arpie  gli  discacciassi  ; 
Ed  or  che  nulla  ove  sperar  gli  avanza. 
Sospira  e  geme,  e  disperato  stassi. 
Viene  al  duca  del  corno  rimembranza. 
Che  suole  aitarlo  ai  perigliosi  passi  ; 
E  conchiude  tra  so,  che  questa  via 
Per  discacciare  i  mostri  ottima  sia. 


CANtO  tRENTESntOTBB20.  235 

424     E  prima  fa  che  '1  re,  con  saoi  baroni, 
01  calda  cera  Y  orecchia  si  serra, 
Acciò  che  talli,  come  il  corno  suoni, 
Non  abbiano  a  fuggir  fuor  della  terra. 
Prende  la  briglia,  e  salta  sa  gli  arcioni 
Dell'  Ippogrifo,  ed  il  bel  corno  afferra  ; 
£  con  cenni  allo  scalco  poi  comanda 
Che  riponga  la  mensa  e  la  vivanda. 

126     £  cosi  in  una  loggia  s' apparecchia 
Con  altra  mensa  altra  vivanda  nuova. 
Ecco  r  Arpie  che  fan  V  usanza  vecchia  : 
Astolfo  il  corno  subito  ritrova. 
Gli  augelli,  che  non  han  chiusa  V  orecchia, 
Udito  il  suon ,  non  puon  slare  alla  prova  ; 
Ma  vanno  in  fuga  pieni  di  paura. 
Nò  di  cibo  nò  d' altro  hanno  più  cura. 

126  Subito  il  paladin  dietro  lor  sprona  : 
Volando  esce  il  destrier  fuor  della  loggia, 
£  col  Castel  la  gran  città  abbandona, 

£  per  l'aria  cacciando  ì  mostri,  poggia. 
Aslolfo  il  corno  tutlavolta  suona  ; 
Fuggon  r  Arpie  verso  la  zona  roggia. 
Tanto  che  sono  all'  altissimo  monte. 
Ove  il  Nilo  ha,  se  in  alcun  luoigo  ha,  fonte 

127  Quasi  <lella  montagna  alla  radice 
£ntra  sotterra  una  profonda  grolla. 
Che  certissima  porta  esser  si  dice 

Di  eh'  allo  'nferno  vuol  scender  talotta. 
Quivi  s'ò  quella  turba  predatrice. 
Come  in  sicuro  albergo,  ricondotta, 
£  già  sin  di  Cocito  in  so  la  proda 
Scesa,  e  più  là,  dove  quel  suon  non  oda. 

12S     All'  infemal  caliginosa  buca 

Ch'apre  la  strada  a  chi  abbandona  il  lume, 
Fini  l'orribil  suon  l'inclito  duca, 
£  fé  raccorre  al  suo  destrier  le  piume. 
Ma  prima  che  più  innanzi  io  lo  conduca. 
Per  non  mi  dipartir  dal  mio  costume, 
Poichò  da  tulli  i  lati  ho  pieno  il  foglio , 
Finire  il  Canto,  e  riposar  mi  voglio. 


236 


OILANDO  FUIIQSO. 


«OTX. 


A.  4 .  P.  1-4.  —  Timmg9ra,  Parrom 
jf9  «r.  Degli  aaddii  pittori  qui  n«Miii- 
W0f  etco  bvmssimi  ceoni;  gli  umi  in 
cai  viiscio  deUbono  inteadeni  STaati 
Tera  volgale.  7*im«f9ra  di  Caldde  tu 
eoBtnnponoeo  di  Paocao  firatello  di  Ft- 
dia^egaveggiò  eoo  esso  lai.-' P«rr««la, 
■alo  in  Efeso,  cmolo  di  Zeui,  6oriva 
▼eno  il  4)0. — Poligmoto  di  Taso,  isola 
dell'  Arcìpebgo,  Tirerà  intorno  al  443, 
e  Al  de'  primi  ad  osare  i  colori. — Pro» 
togene,  nato  a  Caooo»  cittì  di  Caria  di- 
pendente da  Rodi ,  era  in  fiore  circa  il 
336...  TimtanU  creden  nato  a  Cidna, 
una  delle  Cidadi,  verso  il  400|  riva- 
leggiò  eoo  Ferrano  ecco  altri  rinomati 
artisti  di  qoella  tÙi,^'jipollodoro,  ate- 
nieae,  era  in  gran  fama  circa  il  4S8. — 
jtpetU,  oatÌTO  di  Coo,  e  cittadino  di 
Efeso,  osenrò  gli  artisti  die  Io  aTcrano 
preoedntoi  riveTa  ai  tempi  di  Alessan- 
dro il  Macedone.  -^  Zemsi  ebbe  i  natali 
in  Eradea,  e  contese  la  palma  a  Parra- 
sio  e  ad  ApoUodoro  sooi  contempo- 
ranei. 

IpL  p,  ò,-^  Cleto  f  nna  delle  tre 
Paidie. 

St.  S.  i^.  1-5. — E  quei  che  furo  ai 
nostri  dì  ee.  Seguono  i  nomi  di  alcnoi  fra 
gli  artisti  chiari  nei  tempi  più  Ticini  al 
Poete.  Leonardo^  detto  da  Vinci,  dal 
luogo  ore  nacque  nel  145S,  e  non  nel 
1446,  come  leggesi  in  alcune  vite,  fu  io- 
signe  pittore,  e  anche  idraulico  ed  archi- 
tetto militani  mori  in  Francia  nel  1519. 
—  Jmdrom  Mantogna,  nato  in  Padova 
nel  1430,  lavorò  molto  in  Mantova,  ed 
aveva  cessato  di  vivere  nel  1 605.— Gian 
Boliino  nacque  in  Vanesia  nel  1436,  e  di 
79  anni  dipingeva  uno  de' suoi  capi 
d' opere  che  adornano  il  Louvre.— /!7«o 
Dosai.  Erano  fratelli  e  ferraresi,  uno  di 
nome  Bosso,  l'altro  Giambattista, 
Dosso  wieqoe  od  1474,  fu  grande  amico 
del  Poeta  «a  cui  fece  il  ritratto .  Giambat- 
tista era  paesista,  e  lavorò  assai  pel  duca 


Alfonso.  —  Michel,  pia  che  mortab, 
jimgel  dimmo  :  a  Bnonarroti,  eh'  ebbe  i 
natali  in  Caprese  del  territorio  ▲telino, 
neir  anno  1474;  fu  gigante  ndle  tre 
arti  sorelle,  e  cessò  di  vivere  in  Roma 
nd  1564.  -^  Bastiano  t  pin  conoscìnto 
sotto  il  nome  di  SdbasUumo  delPiomhOt 
benché  Luciano  fosse  il  vero  sno  nome. 
Ebbe  a  patria  Venesia,  ove  nacque  nd 
1485,  e  mori  in  Roma  nd  1647.  — 
Rafael:  Rafaello  Sansio,  nato  in  Urbino 
nd  1483,  pittore  non  ancora  eguagliato 
da  alcuno  I  mancò  ai  viventi  nd  16S0. 
—  Tiùam  Tisiano  Tecellio,  nato  nel 
1477  a  Pieve  di  Cadore,  fu  a  piò  fllo- 
stre  pennello  ddla  scuola  veneta  s  il 
contagio  lo  tolse  di  vita  nd  1576. 

St.  4.  V.  6-7.  —  jil  lago  Aporno  t 
lago  die  tuttora  esiste  nei  contorni  di 
Possuoli,  e  conserva  lo  stesso  nome. 
Ivi  posero  i  mitologi  l' ingresso  eli' in- 
fèrno. —  Alle  Nursine  grotte.  Indica 
qui  il  Poeta  nd  numero  del  più  una 
groUa  detu  della  Sibilla,  che  aprasi 
sul  monte  San  Vittore,  presso  ad  un  la- 
go, nd  territorio  di  Norcia,  t  dove  cre- 
devasi  che  si  adunassero  k  streghe  per 
fan  i  loro  incantesimi. 

St.  7.  V.  6.  —  Al  franco  re  eh'  a 
Marcomir  successe.  Vedaai  la  nota  alla 
St.  83  del  Canto  precedente. 

St.  8.  9.  %.^Ch'  ambi  a  ttn  tempo 
fUro.  È  questa  una  finsione  del  Poeta  t 
perchb  Fieramonte  o  Faramondo  visse 
un  secolo  prima  del  re  Arturo. 

St.  9.  V.  5-8.  -^i^r  lui:  da  Merlino. 
~~Saperfeee  il  periglio  A  Fieramonte, 
a  che  di  molti  guai  ee.t  costmiscix/ètfe 
sapere  a  Fieramente  il  periglia  di 
molti  guai,  a  che  porrà  sua  gente.  — 
Nella  terra  eh'  Apennin  parte  oca 
neir  Italia. 

St.  13.  p.  9.8 Singiberta  Fa  lor 

veder  ee.  Vuol  dire  che  Maurisio,  im» 
peratore  di  Costantinopoli,  adescò  con 
denaro  il  re  di  Francia  Singiberto  a 


CANTO  TRENTE91H0TERZ0. 


237 


icendere  in  Italia  per  cacciarne  i  Lon- 
gobardi. —  Dai  monte  di  Giove:  uno 
de' passaggi  alpini  per  cni  si  Tiene  nella 
Panisola.  Nel  pian  dal  Lambro  e  dal 
TUino  aperto:  intendasi  ne/Za  pianura, 
iembarda:  il  Lambro  h  fiume  che  scorre 
▼■tino  a  Monsai  il  Ticino  procede  dal 
Lago  Maggiore»  e  toccando  Pavia,  mette 
foce  nell'Adriatico. —  Vedete  Eutar  ee. 
Entari  o  Autari,  re  longobardo,  fu 
quello  che  battb  e  disfece  Singiberto. 

St.  i4.  V.  iJè.  —  Fedete  Clodo- 
990  ec.  Rammenta  un  altro  re  di  Fran- 
cia cbe  condusse  per  l'Alpi  numeroso 
eacrcito  alla  conquista  d'Italia;  ma  re- 
stò sconfitto  da  Grìmoaldo»  duca  di  Be* 
novcBto,  che,  con  finta  ritirata  e  con  la- 
sciare negli  alloggiamenti  molti  viveri 
e  Tino  assai,  adescò  i  soldati  francesi  ad 
incbbriarsii  e  così  gli  distrusse. 

St,  15.  9.  1-8.  — £cco  in  Italia 
Childiberto  ee.  Questi  fu  aio  di  Glodo- 
vco|  ed  a  vendicare  la  morte  del  nipote 
fece  scendere  in  Lombardia  tre  corpi 
d'armata»  i  quali  perirono  quasi  intie- 
ramente per  la  spada  del  cielj  cioè  di 
caldo  e  di  dissenteria. 

«Si.  16.  9,  \'%,^Mostra  Pipino^  e 
moMtra  Carlo  appretto  ee.  Pipino  e  il 
figlinol  suo  Carlo  Magno  vennero  suc- 
cessivamente in  Italia  a  sostenere  i  papi 
qui  nominati  contro  i  re  Longo)>ardì. 
Aistnlfo  fu  vinto  da  Pipino;  e  Carlo 
Magno  soggiogò  e  fece  prigione  il  re 
Desiderio,  dando  cosi  fine  a  quel  regno. 

Su  17.  V.  1-8.  —Xor  mostra  ap^ 
presso  un  giovene  Pipino  ec.  Ora  il 
Poeta  introduce  Pipino,  figlio  di  Carlo 
Magno,  il  quale  movendo  contro  i  Ve- 
neziani, occupò  un  tratto  di  paese,  dalle 
Fornaci^  cioè  dalla  foce  del  Po  detta 
Bocca  di  Fessone,  all'isola  stretta  e 
bislunga  che  anche  in  oggi  chiamasi  Xi- 
do  di  Palestina.  Dopo  ch'egli  si  fu  im- 
padronito delle  isolette  circostanti  a 
Ycnesia,  fece  gettare  a  Malamocco  un 
ponte  di, legno  per  cut  giunse  presso 
Rialto,  dove  combattè;  e  ritirandosi, 
trovò  il  ponte  disfatto  dalla  burrasca. 


onde  i  suoi  ebbero  gravissima  perdita. 

St,  18.  V,  1.-8.-»  fcco  Luigi  Borm 
gognon  ee.  Venne  anche  costui  in  Ita- 
lia per  farsela  sua;  ma  vinto  e  preso 
da  Berengario  I,  riebbe  la  libertli  sotto 
promessa  di  non  più  muovere  a  danno 
della  Penisola  ;  ed  avendo  rotta  la  data 
fede,  fa  preso  di  nuovo  dal  secondo  Be- 
rengario; e  privato  degli  occhi,  fu  ri- 
mandato in  Borgogna. —  Talpe  gettai» 
pa.  Si  credeva  in  que'tempi  che  a  cosi 
fatti  animali  fosse  impedito  da  una  pel- 
licola l'  organo  della  vista. 

Si.  19.  V.  1-8.  --  Fedete  un  Ugo 
d*Jrli  ec.  Berengario  II,  detronissato 
da  Rodolfo  re  di  Borgogna ,  si  rivolse 
agli  Unni  o  Uogheri ,  perchè  lo  soste- 
nessero contro  quel  re;  dai  quali  egli 
mal  difendendosi  per  la  sua  dappocag- 
gine, gì'  Italiani  ricorsero  ad  Ugo  conte 
di  Arli,  che,  riuscito  nell'impresa,  re- 
gnò per  dieci  anni.  Ma  venuto  anch'agli 
nell'odio  de' sudditi,  dovè  pattuire  eoa 
Berengario  III,  il  quale  dopo  la  morte 
di  Ugo  e  del  di  lui  figlio  Lottario, riebbe 
il  dominio  d' Italia. 

St.  20.  V.  1-8.—  Fedete  un  altro 
Carlo  ec.Fu  questi  Carlo  d'Angiò,  fra- 
tello di  Luigi  IX  re  di  Francia,  che  invi- 
tato da  Clemente  IV  discese  in  Italia;  ed 
avendo  combattuto  e  vinto  Manfredi  a 
Benevento,  poi  Corredino  a  Tagliacos- 
lo,  usurpò  il  regno  di  Napoli  e  la  Sici- 
lia, dove  per  le  oppressioni  dei  Francesi 
scoppiò  la  rivolta  conosciuta  sotto  il 
nome  di  Fespro  Siciliano. 

«re. Si.  v.^'^.—Scender  dai  monti 
un  capitano  Gallo  ec.  Il  conte  d'Arma- 
gnac,  detto  nella  Stanza  seguente  Jr» 
meniaco.  Venuto  in  Italia  come  alleato 
de' Fiorentini  coptro  Galeazao  Visconti 
duca  di  Milano,  fu  preso  in  messo  sotto 
Alessandria,  ed  ivi  battuto  e  rimasto 
prigioniero,  mori  poco  appresso,  per  le 
riportate  ferite. 

St.  23.  V.  1-8.—  Un,  detto  della 
Marca  :  Iacopo  di  Borbone,  conte  della 
Marca.  Fu  marito  della  regina  Giovan- 
na, che  poi  lo  scacciò  dal  regno,  e  adottò 


238 


ORLANDO  FURIOSO. 


Alfonso  d'Aragona,  il  qoale  sconfisse 
succcssÌTainente  Luigi  e  Rinieri  d*An- 
giò,  pretendenti  al  regno  di  Napoli. 
Morto  Alfonso ,  il  di  lai  figlio  Ferran- 
te, che  gli  succedette,  vinse  Giovanni 
d'Angiò  che  contrastavagli  il  trono. 

St.ii.vA'S.— Vedete  Carlo  otta" 
PO  ec. Parlasi  della  discesa  di  Carlo  Vili 
in  Italia,  il  «piale  dopo  aver  passato  il 
Liri,  cio^  il  Garìgliano,  occupò  senca 
contrasto  il  reame  di  Napoli ,  meno  1*  i« 
sola  d' Ischia  (qui  e  nella  St.  53  del 
Canto  XXVI  detta  scoglio,  e  monte 
neHa  St.  33  delCanto  XVI),  difesa  da 
laico  del  Vasto  del  sangue  degli  Avalos. 

St,  37.  V.  7-8.-^  Un  cavaliero  éc. 
Accenna  il  marchese  del  Vasto,  figlinolo 
d' Inico  nominato  più  sopra. 

St.  38.  V,  1-8. — ^Paragona  le  qualità 
del  marchese  del  Vasto  a  quelle  che 
Omero  attribuisce  a  Nireo,  ad  Achille, 
ad  Ulisse  e  a  Nestore,  e  che  la  Storia 
òìl  a  Cesare.  —  Lada  :  velocissimo  cur- 
sore di  Alessandro  il  Macedone. 

St.  39.  V.  3.4.  —  Quando  il  nipo' 
te  ec.  Giove  figliaolo  di  Saturno,  ch'era 
figlio  di  Celo  e  di  Opi,  ebbe  i  natali  in 
Creta, secondo  i  mitologi.— Dei  dao  gC" 
melli  Deh:  Apollo  e  Diana,  nati  ad  un 
parto  in  queir  isola  da  Latona,  che 
trovò  ivi  refugio  dall'  ira  di  Giunooe. 

St.  31.  V,  1-8.  —  Ecco,  dicea,  si 
pente  Ludovico.  Lodovico  Sforsa,  emu- 
lo di  Alfooso  d'  Aragona,  eccitò  Car- 
lo Vili  a  veuire  in  Italia.  —  Ecco  la 
lancia  ec.  Vedi  nella  nota  alla  St.  60 
del  Canto  XIII  il  passaggio  apertosi  da 
Carlo  fra  le  schiere  nemiche. 

St.  33.  f  •  1-6. — Ma  la  suagenteec. 
Ferrante  figlio  di  Alfonso,  con  l' aiuto 
de'Venetiani  e  del  marchese  di  Man- 
tova, cacciò  intieramente  dal  regno  i 
Francesi;  e  1* ultimo  fatto  d'armi  a  ciò 
relativo  fu  la  battaglia  d'Atella,  accen- 
nata nella  suddetta  nota  60  del  Can- 
to XIII. 

St,  33.  V.  6-8.  —  Con  un  trattato 
doppio  il  rio  Etiope  ec.  Il  marchese  di 
Pescara  avea  guadagnato  con  denaro  un 


negro  schiavo  neiresercito  francese,  che 
gli  promise  d' introdurre  gli  Aragonesi 
nel  Castel  Nuovo  di  Napoli;  ma  il  aie- 
grò,  doppiamente  traditore,  scoperse 
il  tatto  ai  Francesi,  e  prexsolato,  uccise 
insidiosamente  il  Pescara. 

St,  34.  V,  1.8.— Poi  mostra  il  dmo^ 
decimo  Luigi  ec. Luigi  XII redi  FraB-> 
eia,  sceso  in  Italia  circa  il  1499,  cacciò 
Lodovico  Sforsa  dal  ducato  di  Milano, 
e  quindi  si  volse  ad  occupare  il  regno 
di  Napoli  ;  ma  le  sue  genti  furono  rotte 
e  disperse  dagli  Aragonesi  al  passaggio 
del  Garìgliano. 

«y^35.c^.l-8.—  Vedete  in  Paglia  ec. 
Si  allude  alla  battaglia  della  CirignoU 
vinta  dagli  Aragonesi  sulle  truppe  di 
"Fnnci»,— 'Nel  ricco  pian  ec:  nella  pia- 
nura lombarda.— i^</ria  «£ri«/e.*rAdria- 
tico  percuote  la  spiaggia  fremendo.  * 

St.  36.  V.  3-6. — E  mostra  ttno  che 
vende  ec.  Bernardino  da  Corte,  a  coi 
Io  Sforza  aveva  affidata  la  custodia  del 
castello  di  Milano,  lo  cedb  per  danaro  ai 
Francesi. — Mostra  il  perfido  Svizte^ 
ro.  Vedi  sullo  Sforsa  tradito  dagli  Svis- 
ceri, la  nota  alla  St.  63  del  Canto  XIII. 

St.  37.  V.  1-8.— Poi  mostra  Cesar 
Borgia  ee.  Questo  famoso  ribaldo,  fi- 
gliuolo di  papa  Alessandro  VI,  sposata 
ch'egli  ebbe  una  parente  del  re  di  Na- 
varrà,  e  divenuto  signore  di  Romagna, 
pose  in  opera  ferro  e  veleno  contro  i 
Colonnesi,  i  Gaetani,  gli  Orsini;  spense 
i  Varano  da  Camerino,  e  tolse  lo  stalo 
a  molti  baroni,  fra  i  quali  i  Malatesta 
di  Rimini,  i  Manfredi  di  Faensa,  Gio- 
vanni Sforsa  di  Pesaro  e  Guidobaldo 
di  Montefeltro. —  Poi  mostra  il  re  ec. 
Parla  ancora  di  Luigi  XII,  che  dopo 
avere  espulsi  di  Bologna  i  Bentivoglio, 
lo  stemma  de' quali  presentava  una  «e- 
ga,  fece  rientrare  quella  cittk  sotto  il 
dominio  di  papa  Giulio  II,  indicato  con 
l'emblema  delle  Giande  nella  St.4del 
Canto  XIV. 

St.  38.  V.  i-l,^ Vedete,  dice  poi, 
di  gente  morta  ee.  Accenna  alla  gior- 
nata di  Ghiaradadda,  combattuta   oel 


CANTO  TRENTBSIMOTBRZO. 


239 


14  maggio  4509,  nella  quale  i  Veneti 
farouo  seonfitti,  essendovi  rimasto  pri- 
gione il  comandante  del  loro  esercito , 
Baitolommeo  d*  AWiano. 

St,  38.  V.  5-S.  —  Fedele  come  al 
papa  ee.  Lo  stesso  Luigi  XII  si  oppose 
a  papa  Giulio,  che,  dichiarata  la  guerra 
al  duca  Alfonso,  gli  avea  tolta  Modena; 
ed  ansi  fece  riavere  ai  Bentivoglio  la  si- 
gnorìa di  Bologna,  spogliandone  il  papa. 
St.  39.  V.  3-8.—  Fedéle  il  campo 
de' Franceschi.  Del  saccheggio  di  Bre- 
scia si  ^  dato  cenno  nella  nota  alla  St.  9 
del  Canto  Xiy.—i>«/ /ito  de' Chiassi: 
Classe,  luogo  presso  Ravenna,  antico 
porto  de*  Romani,  ora  pienamente  in- 
tenito. 

Si.  40.  V.  4-8.— JDi  qtia  la  Fran» 
eia  ec.  Torna  a  rammentare  la  battaglia 
di  Ravenna ,  sulla  quale  vedansi  le 
Si.  2,  8  e  4  del  Canto  XIY  e  le  note 
corrispondenti. 

Si.  41.  V,  7-8.  —  Eehepoiio  un 
rampollo  ec.  Massimiliano,  £gIio  di 
Lodovico  Sforna,  che  riebbe  il  ducato  di 
Milano  perduto  dal  padre. 

St.  43.  e.  4-4.  —  Ecco  toma  il 
Francese  ec.  Accennasi  qui  la  battaglia 
della  Riotta  presso  Novara,  combattuta 
e  vinta  da  Massimiliano  col  messo  delle 
truppe  STÌssere,  che  il  Poeta  dice  /ii/è- 
deli,  pel  tradimento  anteriore,  a  danno 
di  Lodovico.  Per  tale  vittoria,  Leon  X, 
che  aveva  fornito  il  soldo  agli  Svisceri, 
diede  loro  il  titolo  di  difensori  della 
Chiesa. 

St,itZ.  V,  4-8.'— £  con  miglior  au- 
spicio ec.  Francesco  I,  succeduto  a  Lui- 
gi XII,  disfece  gli  Svisseri  nella  batta- 
glia di  Marignano,  e  quindi  s' impadronì 
di  Milano;  il  che  si  accenna  dal  Poeta 
■ella  St.  45  del  Canto  XXVI. 

Si.  44.  V.  3-8.  — fcctf  Borbon  ec. 
Carlo  di  Borbone  difendeva  per  France- 
sco I  Milano  contro  gFlmperiali,  che 
poi  gliela  tolsero. 

Si.  45.  V.  1.8.  —  Ecco  un  altro 
Francesco  ec  Intende  di  Francesco 
Sforsa,  nipote  dell'omonimo,  che,  aiu- 


tato dal  papa,  riacquistò  il  Milanese;  e 
continuando  nella  guerra  i  Francesi, 
questi  furono  trattenuti  da  Federigo 
Gonsaga,  duca  di  Mantova,  che  loro  im- 
pedì d'entrare  in  Pavia. 

St.  46.  V.  6-8.  —  E  del  Leon  del 
mar:  de'  Venesiani.  —  Duo  marchcm 
si  ec:  il  marchese  di  Pescara  e  il  mar- 
chese del  Vasto. 

Si.  47.  V.  3-4.  —  Il  guai  dal  ne- 
grò  ec  Vedi  la  nota  alla  St.  33. 

«$"^49.  V.  3.— £a  Bicocca:  castello 
vicino  a  Pavia,  sotto  il  quale  gli  Svis- 
seri ed  i  Francesi  perderono  molta  gente. 

Si.  50.  V.  4-7.  —  Ma  quella  ec: 
la  Fortuna. — A  quel  che  diman  gli 
esce  :  alle  grandi  somme  di  denaro  da 
lui  disposte  per  levare  un  esercito  nu- 
meroso. 

Su  52.  V,  4-8.  —  In  questa  e  nella 
Stansa  seguente,  accennasi  alla  batta' 
glia  di  Pavia,  perduta  da  Francesco  I, 
che  vi  restò  prigioniero. 

Sl  54.  V.  5-8.  —  Ecco  che  'l  re 
nella  prigione  ibera  ec:  Francesco  ri- 
cuperò la  liberta,  lasciando  a  Carlo  V 
due  figliuoli  in  ostaggio;  poi  mandò  un 
altro  esercito  in  Italia,  mentr'egli  stesso 
era  assalito  in  Francia  dalle  forse  britan- 
niche. 

St.  55.  ».  1-8.  ^  Vedete  f^li  omi^ 
cidj  e  le  rapine  ec.  Leggasi  nel  Guic- 
ciardini la  presa,  il  saccheggio  di  Ro- 
ma, e  la  prigionia  del  pontefice  insieme 
coi  cardinali,  a  cui  qui  si  accenna. —  // 
campo  della  Lega  ec»  Per  discordie 
nate  fra  il  marchese  di  Sai  naso,  Federigo 
da  Bossolo,  e  i  duchi  di  Milano  e  di  Ur« 
bino  che  comandavano  l' esercito  detto 
della  Lega,  Roma  non  fu  soccorsa,  ed 
ebbero  luogo  gP  indicati  disastri. 

St,  56.  v.1-% La  cittade  ove  se* 

palta  ec.  Napoli,  che  fu  detta  Partenope 
dal  nome  della  Sirena  che  si  favoleggia 
ivi  morta. 

iS'C.57.  «'.4.8.— Ecco  tarmata  im' 
perial  ec  Carlo  V  spedì  per  mare  un'ar- 
mati a  soccorso  di  Napoli;  ma  la  flotta 
genovese  al  servigio  di  Francia,  coman* 


240 


ORLANDO  FURIOSO. 


data  da  Filippiao  Dona,  distrossa  gl'im- 
periali pietao  la  cotta  di  Amalfi.  Le  ma- 
lattie però  travagliarono  gli  auedianti 
franceii  per  modo,  che  dovettero  levare 
il  campo  e  lasciar  libero  il  regno  di  Na« 

poli 

SL^LvA't.'^OMeiantmai  te. 
Vedili  accennati  nella  SL 13,  ▼.  i-3  del 
Canto  precedente. 

Su  68.  9, 6.  ^Si  tolga  del  eorag- 
già:  ai  levi  dalla  mente,  dall'animo. 

St.  79.  V,  4. —  Estro:  stimolo. 

St.  98.  V.  1-7.— le  Cade:  Cadice; 
e  il  Poeta  adopera  questo  nome  nel  no- 
merò del  più,  perchè  gli  antichi  geo- 
grafi conobbero  in  quel  luogo  dne  isole, 
noa  delle  qnali,  detU  da  Strabone  JErt- 
thim,  h  scomparsa.  Vedi  il  Cellario, 
lib.  II,  cap.  4,  set.  J,  n.  30 —  Eviza: 
Iviea,  ona  delle  isole  Baleari.  •—  ^r- 
KilUf  citili  dell'Africa,  nel  regno  di 
Fes,  ricordata  nel  Canto  XXV,  St.  33. 

Su  99.  V.  Ul.^Feui  t  Fet.—Ippo' 
ne i  Bona;  — Bueee  .*  Bugia;  ambedue 
citlb  dell'Algeria,  come  pnre  Orano. — 
Bis$rU:  citt^  nel  regno  di  Tunisi,  di 
cui  si  fece  mensiooe  nella  nota  alla 
St.158  del  Canto  XyXil.^ Capisse: 
Cabes,  citte  marittima  dello  Slato  di 
Tunisi ,  sul  golfo  omonimo.  —  ^Z- 
eerbe:  Gcrbi,  piccola  isola  sullo  stesso 
golfo.—- ^erniccAe.*  l'antica  Berenice, 
a  levante  di  Cirene,  sul  golfo  della  gran 
Sirte.  —  Tolomiita  :  anticamente  Ptom 
lemeiSj  nello  stato  di  Tripoli;  se  ne 
diede  cenno  nella  nota  alla  St.  i66  del 
Canto  predetto. 

St.  iOO.  v.^$.'--Monti  di  Carene: 
diramaaione  del  monte  Atlante.  •—  Ci- 
renei :  abitanti  del  paese  di  Barca,  come 
si  accennò  nella  nota  alla  St.  79  del 
Canto  XVI.—  Il  eimiter  di  Batto  :  la 
Cirene  degli  antichi ,  oggi  Qrenah, 
fabbricata  da  Batto,  ov'cgli  morì. — 
//  gran  tempio  d*Jmon  t  Giove  ebbe 
nn  tempio  nella  Libia  cirenaica,  in  oggi 
deserto  di  Barca,  ed  ivi  era  adorato 
aotto  il  nome  di  Ammone. 


A.  i01.(r.i.4.~.CrR'a/fpa  TfemU 
tenne.  Di  nna  si  disse  nella  nota  «Uà 
SL  73  del  Canto  XU;  di  quesu  non  si 
è  potuto  rinvenir  traccia;  ne  si  può  cre- 
dere che  il  Poeta  abbia  voluto  indicare 
la  Tremtstut  della  Pisidia,  che  giaco  in 
parte  affatto  diversa  dalla  dkesione  die 
tiene  ÈL»lttMo.~~AgU  altri  Etiopi:  agli 
Abissini,  la  regione  de*  quali  rigvarda- 
vasi  come  una  seconda  Etiopia. 

4$*!.  i(ìi.».^.^DeW  ttilioetroeeT 
dall'inferno. 

^«.104.  V.  3-4.— a>/oMKat«  di  Itm^ 
pido  erittello  Son  It  gran  logge  ec.La 
voce  colonnato  può  prendersi  per  terie 
di  colonne,  ed  anche  pel  participio  di 
colonnerOj  ornare  di  colonne,  come 
l'ha  intesa  il  Batiarioi,  che  cita  questo 
verso. 

St.\W.».  8.— Pre^fo  o  PrettUmnL 
Cosi  dai  nostri  antichi  fu  chiamatOysenaa 
verun  fondamento  di  verità,  il  sovrano 
deU'Abissinia;  ed  ecco  in  succinto  onde 
ebbe  origine  questa  opinione.  Marco 
Polo  ed  altri  antichi  viaggiatori  scrissero 
esistere  in  Asia  un  impero  il  cui  sovrano 
chiamavasi  Preteianni  e  professava  il 
Cristianesimo.  Giovanni  II,  re  di  Por- 
togallo,  mandò  persone  a  fame  ricerca  ; 
ed  uno  degl*  inviati,  fermatosi  sulla  co- 
sta occidentale  del  Mar  Rosso,  odi  par- 
lare dell'imperatore  d'Abissinia,  di  coi 
gli  fu  detto  eh'  era  cristiano,  che  por- 
tava in  mano  la  croce,  e  che  tutti 
quegV  imperatori  dovevano  prendere 
gli  ordini  sacri  prima  della  loro  incoro- 
nasione.  Questo  bastò  all'  inviato,  per 
iscrivere  dal  Cairo  al  re  Giovanni  di 
aver  trovato  il  Preteianni  nell'  Abissi- 
nia.  Tal  reiasione  passò  per  vera,  e  cosi 
invalse  la  credensa  che  l' imperator  d'A- 
bissiiiia  fosse  il  vero  Preteianni,  e  si 
riguardò  quello  d' Asia  come  sapposto. 
Si  possono  vedere,  su  questo  proposito, 
altre  particolarità  nel  Costume  antico  e 
moderno  del  dott.  Giulio  Ferreria. 

St.  126.  V.  6.  —  La  eone  roggia  j 
la  sona  torrida. 


241 


CAISTO  XBiSVTESmOOIJABTO. 


Dopo  una  eloquente  invettiva  contro  1*  umana  avidità,  il  Poeta  narra  che  Astolfo, 
entrato  nella  grotta  onde  si  va  nell' inferno,  ode  da  un'anima  la  pena  imposta 
ai  disconoscenti  l'amore  altrui.  Sale  quindi  al  paradiso  terrestre,  e  di  là  al  pia« 
aeta  lunare,  ove  gli  h  dato  il  metto  di  rendere  il  senno  ad  Orlando.  Descri* 
i  del  palaiao  delle  Parche. 


i      Oh  fameliche,  inìqae  e  fiere  Arpie, 
Ch'  air  accecata  Italia  e  d' error  piena. 
Per  panir  forse  antique  colpe  rie. 
In  ogni  mensa  alto  giudicio  mena  ! 
Innocenti  fanciulli  e  madri  pie 
Cascan  di  fame,  e  veggon  eh'  una  cena 
Di  questi  mostri  rei  tutto  divora 
Ciò  che  del  viver  lor  sostegno  fora. 

s     Troppo  fallò  chi  le  spelonche  aperse. 
Che  già  moti'  anni  erano  state  chiuse , 
Onde  il  fetore  e  V  ingordigia  emerse, 
Gh'  ad  ammorbare  Italia  si  diffuse. 
Il  bel  vivere  allora  si  summerse  ; 
E  la  quiete  in  tal  modo  s'escluse, 
Ch'  in  guerre,  in  povertà  sempre  e  in  affanni 
È  dopo  stata,  ed  è  per  star  molt'  anni; 

3      Finch'  ella  un  giorno  ai  neghittosi  figli 
Scuota  la  chioma,  e  cacci  fuor  di  Lete, 
Gridando  lor:  Non  fia  chi  rassimigli 
Alla  virtù  di  Calai  e  di  Zete? 
Che  le  mense  dal  puzzo  e  dagli  artigli 
Liberi,  e  torni  a  lor  mondizia  liete? 
Come  essi  già  quelle  di  Fineo,  e  dopo 
Fé  il  paladin  quelle  del  re  etiope. 

I.  21 


242  OELAMDO  FURIOSO. 

4     II  paladin  col  suono  orrìbil  venne 
Le  brutte  Arpìe  cacciando  in  foga  e  in  rotta, 
Tanto  ch'appiè  d'un  monte  si  ritenne, 
Ov'esse  erano  entrate  in  una  grotta. 
L' orecchie  attente  allo  spiraglio  tenne, 
E  r  aria  ne  senti  percossa  e  rotta 
Da  pianti  e  d' urli,  e  da  lamento  eterno; 
Segno  evidente  quivi  esser  lo  'nferno. 

6     Astolfo  si  pensò  d' entrarvi  dentro, 
£  veder  quei  e'  hanno  perduto  il  giorno, 
E  penetrar  la  terra  fin  al  centro, 
E  le  bòlge  infernal  cercare  intorno. 
Di  che  debbo  temer,  dicea,  s'io  v'entro? 
Che  mi  posso  aiutar  sempre  col  corno. 
Farò  fuggir  Plutone  e  Satanasso, 
E  '1  can  trifauce  leverò  dal  passo. 

6  Dell'alato  destrier  presto  discese, 
E  lo  lasciò  legato  a  un  arboscello  : 
Poi  si  calò  neir  antro,  e  prima  prese 

11  corno,  avendo  ogni  sua  speme  in  quello. 
Non  andò  molto  innanzi,  che  gli  offese 
Il  naso  e  gli  occhi  un  fumo  oscuro  e  fello. 
Più  che  di  pece  grave  e  che  di  zolfo  : 
Non  sta  d' andar  per  questo  innanzi  Astolfo. 

7  Ma  quanto  va  più  innanzi,  più  s'ingrossa 
11  fumo  e  la  caligine;  e  gli  pare 
Ch'andare  innanzi  più  troppo  non  possa, 
Che  sarà  forza  addietro  ritornare. 

Ecco,  non  sa  che  sia,  vede  far  mossa 
Dalla  volta  di  sopra,  come  fare 
11  cadavere  appeso  al  vento  suole, 
Che  molti  di  sia  stato  all'  acqua  e  al  sole. 

8  SI  poco,  e  quasi  nulla  era  di  luce 
In  quell'affumicata  e  nera  strada. 

Che  non  comprende  e  non  discerne  il  duce 
Chi  questo  sia,  che  si  per  l' aria  vada  ; 
E  per  notizia  averne  si  conduce 
A  dargli  uno  o  duo  colpi  della  spada. 
Stima  poi  eh'  uno  spirto  esser  quel  debbia; 
Che  gli  par  di  ferir  sopra  la  nebbia. 


CANTO  TBENTESIMOQCARTO.  243 

9      AHor  senti  parlar  con  voce  mesta  : 
Deh,  senza  fare  altrui  danno,  giù  cala  I 
Par  troppo  il  negro  fumo  mi  molesta, 
Che  dal  fuoco  infornai  qui  tutto  esala. 
Il  duca  stupefatto  allor  s'arresta, 
£  dice  air  ombra  :  Se  Dio  tronchi  ogni  ala 
Al  fumo  si,  eh'  a  te  più  non  ascenda, 
Non  ti  dispiaccia  che  '1  tuo  stato  intenda. 

^0     E  se  vuoi  che  di  te  porti  novella 
Nel  mondo  su,  per  satisfarti  sono. 
L*  ombra  rispose  :  Alla  luce  alma  e  bella 
Tornar  per  fama  ancor  si  mi  par  buono , 
Che  le  parole  è  forza  che  mi  svella 
11  gran  desir  e'  ho  d*  aver  poi  tal  dono; 
E  che  i  mio  nome  e  V  esser  mio  ti  dica, 
Benché  '1  parlar  mi  sia  noia  e  fatica. 

li      E  cominciò:  Signor,  Lidia  son  io. 
Del  re  di  Lidia  in  grande  altezza  nata. 
Qui  dal  giudicio  altissimo  di  Dio 
Al  fumo  eternamente  condannata. 
Per  esser  stata  al  fido  amante  mio, 
Mentre  io  vissi,  spiacevole  ed  ingrata. 
D'altre  infinite  è  questa  grotta  piena, 
Poste  per  simil  fallo  in  simil  pena. 

ii      Sta  la  cruda  Anassarete  più  al  basso. 
Ove  è  maggiore  il  fumo,  e  più  martire. 
Restò  converso  al  mondo  il  corpo  in  sasso, 
E  r  anima  quaggiù  venne  a  patire; 
Poi  che  veder  per  lei  l' afflitto  e  lasso 
Suo  amante  appeso  potè  sofi'erire. 
Qui  presso  è  Dafne,  ch'or  s'avvede  quanto 
Errasse  a  fare  Apollo  correr  tanto. 

13     Lungo  sarìa  se  gì'  infelici  spirti 
Delle  femmine  ingrate,  che  qui  stanno, 
Volessi  ad  uno  ad  uno  riferirti; 
Che  tanti  son,  ch'in  infinito  vanno. 
Più  lungo  ancor  saria  gli  uomini  dirti, 
A'  quai  l'esser  ingrato  ha  fatto  danno, 
E  che  puniti  sono  in  peggior  loco. 
Ove  il  fumo  gli  accieca,  e  cuoce  il  fuoco. 


244  OELAHOO  FOEIOSO. 

14     Perchè  le  donne  piò  facili  e  prone 
A  creder  son,  di  più  sapplicio  è  degno 
Chi  lor  fa  inganno.  Il  sa  Teseo  e  Giasone, 
E  chi  turbò  a  Latin  l' antiqao  regno  : 
Salto  eh'  incontra  sé  il  frate  Absalone 
Per  Tamar  trasse  a  sanguinoso  sdegno  ; 
Ed  altri  ed  altre,  che  sono  infiniti , 
Che  lasciato  han  chi  moglie  e  chi  mariti. 

16     Ma  per  narrar  di  me  più  che  d' altrui, 
E  palesar  V  error  che  qui  mi  trasse. 
Bella,  ma  altiera  più,  sì  in  Tita  fui. 
Che  non  so  s' altra  mai  mi  s' agguagliasse  : 
Né  ti  saprei  ben  dir,  dì  questi  dui, 
S'.in  me  V  orgoglio  o  la  beltà  avanzasse; 
Quantunque  il  fasto  e  1*  alterezza  nacque 
Dalla  beltà  eh'  a  tutti  gli  occhi  piacque. 

16  Era  in  quel  tempo  in  Tracia  un  cavaliero 
Estimato  il  miglior  del  mondo  in  arme, 

Il  qual  da  più  d'un  testimonio  vero 
Di  singoiar  beltà  senti  lodarme  ; 
Talché  spontaneamente  fé  pensiero 
Di  voler  il  suo  amor  tutto  donarme. 
Stimando  meritar  per  suo  valore. 
Che  caro  aver  di  lui  dovessi  il  core. 

17  In  Lidia  venne  ;  e  d' un  laccio  più  forte 
Vinto  restò,  poi  che  veduta  m' ebbe. 
Con  gli  altri  cavalier  si  messe  in  corte 
Del  padre  mio,  dove  in  gran  fama  crebbe. 
L'alto  valore,  e  le  più  d' una  sorte 
Prodezze  che  mostrò,  lungo  sarebbe 

A  raccontarti,  e  il  suo  merlo  infinito. 
Quando  egli  avesse  a  più  grato  uom  servito 

48     Pamfilia  e  Caria,  e  il  regno  de'  Cilici 
Per  opra  di  costui  mio  padre  vinse  ; 
Che  l'esercito  mal  contra  i  nimici, 
Se  non  quanto  volea  costui,  non  spinse. 
Costui,  poi  che  gli  parve  i  benefici 
Suoi  meritarlo,  un  di  col  re  si  strinse 
A  domandargli,  in  premio  delle  spoglie 
Tante  arrecale,  eh'  io  fossi  sua  moglie. 


CANTO  TRENTBSlMOOtiRTO.  245 

49     Fa  repalso  dal  re,  ch'in  grande  stato 
Maritar  disegnava  la  flglioola  : 
Non  a  costai,  che,  cavalier  privato ^ 
Altro  non  tien  che  la  virtade  sola  : 
E  '1  padre  mio,  troppo  al  guadagno  dato, 
E  all'  avarizia,  d'ogni  vizio  scuola. 
Tanto  apprezza  costami,  o  virtù  ammira. 
Quanto  l' asino  fa  il  suon  della  lira. 

so     Alceste,  il  cavalier  di  eh'  io  ti  parlo 
(Che  cosi  nome.avea),  poi  che  si  vede 
Repulso  da  chi  più  gratificarlo 
Era  più  debitor,  commiato  chiede  ; 
E  Io  minaccia,  nel  partir,. di  farlo 
Pentir,  che  la  figliuola  non  gli  diede. 
Se  n'andò  al  re  d'Armenia,  emulo  antico 
Del  re  di  Lidia,  e  capital  nimico  ; 

21  £  tanto  stimulò,  che  lo  dispose 

A  pigliar  l'arme,  e  far  guerra  a  mio  padre. 
Esso,  per  l'opre  sue  chiare  e  famose, 
Fu  fatto  capitan  di  quelle  squadre. 
Pel  re  d' Armenia  tutte  l' altre  cose 
Disse  eh' acquisteria  :  sol  le  leggiadre 
E  belle  membra  mie  volea  per  frutto 
Dell'opra  sua,  vinto  ch'avesse  il  tutto. 

22  Io  non  ti  potre'  esprimere  il  gran  danno 
Gh'  Alceste  al  padre  mio  fa  in  quella  guerra. 
Quattro  eserciti  rompe,  e  in  men  d*un  anno 
Lo  mena  a  tal,  che  non  gli  lascia  terra, 
Fuor  eh'  un  Castel  eh'  alte  pendici  fanno 
Fortissimo  ;  e  là  dentro  il  re  si  serra 

Con  la  famiglia  che  più  gli  era  accetta, 
E  col  tesor  che  trar  vi  puote  in  fretta. 

23  Quivi  assedionne  Alceste  ;  ed  in  non  molto 
Termine  a  tal  disperazion  ne  trasse. 

Ohe  per  buon  patto  avria  mio  padre  tolto 
Che  moglie  e  serva  ancor  me  gli  lasciasse 
Con  la  metà  del  regno,  s' indi  assolto 
Restar  d' ogni  altro  danno  si  sperasse. 
Vedersi  in  breve  dell'  avanzo  privo 
Era  ben  certo,  e  poi  morir  captivo. 

21* 


i4ù  ORLANDO  FOBIOSO. 

24  Tentar,  prima  ch'accada,  si  dispone 
Ogni  rimedio  che  possibii  sia; 

E  me,  che  d'ogni  male  era  cagione, 
Fnor  della  rocca,  oy'era  Alceste,  invia. 
Io  Yo  ad  Alceste  con  intenzione 
Di  dargli  in  preda  la  persona  mia, 
£  pregar  che  la  parte  che  vuol,  tolga 
Del  regno  nostro,  e  V  ira  in  pace  volga. 

25  Come  ode  Alceste  eh'  io  vo  a  ritrovarlo, 
Mi  viene  incontra  pallido  e  trepiante. 

Di  vinto  e  di  prigione,  a  riguardarlo. 
Più  che  di  vincitore,  ave  sembiante. 
Io  che  conosco  ch'arde,  non  gli  parlo. 
Si  come  avea  già  disegnato  innante  : 
Vista  l'occasion,  fo  pensier  nuovo 
Conveniente  al  grado  in  eh'  io  lo  trovo. 

20     A  maledir  comincio  l' amor  d' esso, 
E  di  sua  crudeltà  troppo  a  dolermi. 
Ch'iniquamente  abbia  mio  padre  oppresso, 
E  che  per  forza  abbia  cercato  avermi  ; 
Che  con  più  grazia  gli  saria  successo 
Indi  a  non  molti  di,  se  tener  fermi 
Saputo  avesse  i  modi  cominciati, 
Ch'  al  re  ed  a  tutti  noi  si  furon  grati. 

27  E  sebben  da  principio  il  padre  mio 
Gli  avea  negata  la  domanda  onesta 
(Perocché  di  natura  è  un  poco  rio, 
Né  mai  si  piega  alla  prima  richiesta). 
Farsi  per  ciò  di  ben  servir  restio 

Non  doveva  egli,  e  aver  l' ira  si  presta; 
Anzi,  ognor  meglio  oprando,  tener  certo 
Venire  in  breve  al  desiato  morto. 

28  E  quando  anco  mio  padre  a  lui  ritroso 
Stato  fosse,  io  l' avrei  tanto  pregato, 
Ch'  avria  V  amante  mio  fatto  mio  sposo. 
Pur,  se  veduto  io  l' avessi  ostinato , 
Avrei  fatto  tal  opra  di  nascoso. 

Che  di  me  Alceste  si  saria  lodato. 

Ma  poich'  a  lui  tentar  parve  altro  modo, 

Io  di  mai  non  l'amar  Gsso  avea  il  chiodo. 


Tli«-,v 


CAKTO  tRENtfiSllttOQUiRTO.  2il 

29  E  sebben  era  a  lui  venuta,  mossa 
Dalla  pietà  eh'  al  mio  padre  portava, 
Sia  certo  che  non  molto  fruir  possa 
Il  piacer  eh'  al  dispetto  mio  gli  dava  ; 
Ch'  era  per  far  di  me  la  terra  rossa , 
Tosto  eh'  io  avessi  alla  sua  voglia  prava 
Con  questa  mia  persona  satisfatto 

Di  quel  che  tutto  a  forza  saria  fatto. 

30  Queste  parole  e  simili  altre  usai, 
Poiché  potere  in  lui  mi  vidi  tanto  ; 
E  '1  pia  pentito  lo  rendei,  che  mai 
Si  trovasse  nell'eremo  alcun  santo. 

Mi  cadde  a' piedi,  e  supplicommi  assai, 
Che  col  coltel  che  si  levò  da  canto 
(E  volea  in  ogni  modo  eh'  io  '1  pigliassi) 
Di  tanto  fallo  suo  mi  vendicassi. 

31  Poich'io  lo  trovo  tale,  io  fo  disegno 
La  gran  vittoria  insin  al  fin  seguire. 
Gli  do  speranza  di  farlo  anco  degno 
Che  la  persona  mia  potrà  fruire, 

S' emendando  il  suo  error,  V  antiquo  regno 
Al  padre  mio  farà  restituire  ; 
E  nel  tempo  avvenir  vorrà  acquistarme 
Servendo,  amando,  e  non  mai  più  per  arme. 

32  Cosi  far  mi  promesse,  e  nella  rocca 
Intatta  mi  mandò,  come  a  lui  venni. 
Né  di  baciarmi  pur  s' ardi  la  bocca  : 
Vedi  8'  al  collo  il  giogo  ben  gli  tenni  ; 
Vedi  se  bene  Amor  per  me  lo  tocca , 

Se  convien  che  per  lui  più  strali  impenni. 
Al  re  d'Armenia  andò,  di  cui  dovea 
Esser  per  patto  ciò  che  si  prendea  ; 

33  E  con  quel  miglior  modo  eh'  usar  puote, 
Lo  priega  eh'  al  mio  padre  il  regno  lassi. 
Del  qual  le  terre  ha  depredate  e  vote. 

Ed  a  goder  l' antiqua  Armenia  passi. 
Quel  re  d' ira  infiammando  ambe  le  gote^ 
Disse  ad  Alceste  che  non  vi  pensassi  ; 
Che  non  si  volea  tor  da  quella  guerra. 
Finché  mio  padre  avea  palmo  di  terra* 


24S  ORLANDO  FURIOSO. 

34  E  8'  Alceste  è  mutato  alle  parole 
D'una  vii  femminella,  abbiasi  il  danno. 
Già  a'  prieghi  esso  di  lai  perder  non  vaole 
Qael  eh'  a  fatica  ha  preso  in  tatto  an  anno. 
Di  nuovo  Alceste  il  priega,  e  poi  si  duole 
Che  seco  effetto  i  prieghi  suoi  non  fanno. 
Air  ultimo  8*  adira,  e  lo  minaccia, 

Che  vuol,  per  forza  o  per  amor,  lo  faccia. 

35  L' ira  moltiplicò  si,  che  li  spinse 
Dalle  male  parole  ai  peggior  fatti. 
Alceste  centra  il  re  la  spada  strinse 
Fra  mille  ch'in  suo  aiuto  s'eran  tratti; 
E,  malgrado  lor  tutti,  ivi  l' estinse  : 

E  quel  di  ancor  gli  Armeni  ebbe  disfatti 

Con  r  aiuto  de'  Cilicj  e  de*  Traci 

Che  pagava  egli,  e  d'altri  suoi  seguaci 

36  Seguitò  la  vittoria,  ed  a  sue  spese» 
Senza  dispendio  alcun  del  padre  mio, 

Ne  rendè  tutto  il  regno  in  men  d' un  mese. 
Poi  per  ricompensarne  il  danno  rio, 
Oltr'alle  spoglie  che  ne  diede,  prese 
In  parte,  e  gravò  in  parte  di  gran  6o 
Armenia  e  Cappadocia  che  confina, 
£  scorse  Ircania  fin  su  la  marina. 

37  In  luogo  di  trionfo,  al  suo  ritorno, 
Facemmo  noi  pensier  dargli  la  morte. 
Restammo  poi,  per  non  ricever  scorno; 
Che  lo  veggiam  troppo  d' amici  forte. 
Fingo  d' amarlo,  e  più  di  giorno  in  giorno 
Gli  do  speranza  d' essergli  consorte  ; 

Ma  prima  centra  altri  nimici  nostri 
Dico  voler  che  sua  virtù  dimostri. 

38  E  quando  sol,  quando  con  poca  gente  » 
Lo  mando  a  strane  imprese  e  perigliose  » 
Da  farne  morir  mille  agevolmente  : 

Ma  lui  successer  ben  tutte  le  cose  ; 
Che  tornò. con  vittoria,  e  fu  sovente 
Con  orribil  persone  e  monstmose, 
Con  giganti  a  battaglia  e  Lestrigoni , 
Ch'erano  infesti  a  nostre  regioni. 


CANTO  TBENTESIMOQUARTO.  ^^^ 

39  Non  fa  da  Earisteo  mai,  non  fu  mai  tanto 
Dalla  matrigna  esercitato  Alcide 

In  Lorna,  in  Nomea,  in  Tracia,  in  Erimanto, 
Alle  valli  d'  Etolia,  alle  Numide , 
Sul  Tevre,  su  Tlbero,  e  altrove;  quanto 
Con  prieghi  finti  e  con  voglie  omicide 
Esercitato  fu  da  me  il  mio  amante. 
Cercando  io  pur  di  tortomi  davante. 

40  Né  potendo  venire  al  primo  intento , 
Vengono  ad  un  di  non  minore  effetto  : 
Gli  fo  quei  tutti  ingiuriar,  ch'io  sento 
Che  per  lui  sono,  e  a  tutti  in  odio  il  metto. 
Egli,  che  non  sentia  maggior  contento 
Che  d'ubbidirmi,  senza  alcun  rispetto 

Le  mani  ai  cenni  miei  sempre  avea  protate, 
Senza  guardare  un  più  d' un  altro  in  fronte. 

4!     Poi  che  mi  fu,  per  questo  mezzo,  avviso 
Spento  aver  del  mio  padre  <igni  nimico, 
E  per  lui  stesso  Alceste  aver  conquiso , 
Che  non  si  avea,  per  noi,  lasciato  amico; 
Quel  eh'  io  gli  avea  con  simulato  viso 
Celato  fin  allor,  chiaro  gli  esplico  : 
Che  grave  e  capitale  odio  gli  porto, 
E  pur  tuttavia  cerco  che  sia  morto. 

43      Considerando  poi,  s' io  lo  facessi, 
Ch'  in  pubblica  ignominia  ne  verrei 
(Sapeasi  troppo  quanto  io  gli  dovessi, 
E  crudel  detta  sempre  ne  sarei) , 
Mi  parve  fare  assai,  ch'io  gli  togliessi 
Di  mai  venir  più  innanzi  agli  occhi  miei. 
Né  veder  né  parlar  mai  più  gli  volsi, 
Né  messo  adi',  né  lettera  ne  tolsi. 

43     Questa  mia  ingratitudine  gli  diede 
Tanto  martir,  eh'  alfin  dal  dolor  vinto, 
E  dopo  un  lungo  domandar  mercede, 
Infermo  cadde,  e  ne  rimase  estinto. 
Per  pena  eh'  al  fallir  mio  si  richiede^ 
Or  gli  occhi  ho  lacrimosi,  e  il  viso  tinto 
Del  negro  fumo:  e  cosi  avrò  in  eterno  ; 
Che  nulla  redenzione  é  nell'  inferno. 


250  ORLANDO  FURIOSO. 

44  Poiché  non  parla  pia  Lidia  infelice. 
Va  il  daca  per  saper  s' altri  vi  stanzi  : 
Ma  la  caligine  alta,  eh'  era  ultrice 

Deir  opre  ingrate,  si  gì*  ingrossa  innanzi , 
Ch'  andar  un  palmo  sol  più  non  gli  lice: 
Anzi  a  forza  tornar  gli  conviene;  anzi, 
Perché  la  vita  non  gli  sia  intercetta 
Dal  fumo,  i  passi  accelerar  con  fretta. 

45  II  mntar  spesso  delle  piante  ha  vista 
Di  corso,  e  non  di  chi  passeggia  o  trotta. 
Tanto,  salendo  inverso  l'erta,  acqaista. 
Che  vede  dove  aperta  era  la  grotta  ; 

E  r  aria,  già  caliginosa  e  trista, 
Dal  lame  cominciava  ad  esser  rotta. 
AlGn  con  molto  affanno  e  grave  ambascia 
Esce  dell*  antro,  e  dietro  il  forno  lascia. 

46  E  perché  del  tornar  la  via  sia  tronca 
A  quelle  bestie  e'  han  sì  ingorde  V  epe, 
Ragana  sassi,  e  molti  arbori  tronca. 

Che  v'  eran  qaal  d'  amomo  e  qaal  di  pepe  ; 
E  come  può,  dinanzi  alla  spelonca 
Fabbrica  di  sua  man  quasi  una  siepe, 
E  gli  succede  cosi  ben  quell'opra. 
Che  più  r  Arpie  non  torneran  di  sopra.  * 

47  II  negro  fumo  della  scura  pece, 
Mentre  egli  fu  nella  caverna  tetra. 

Non  macchiò  sol  quel  ch'apparia,  ed  infece; 
Ma  sotto  i  panni  ancora  entra  e  penetra: 
Si  che  per  trovar  acqua  andar  lo  fece 
Cercando  un  pezzo  ;  e  alGn  fuor  d' una  pietra 
Vide  una  fonte  uscir  nella  foresta. 
Nella  qual  si  lavò  dal  pie  alla  testa. 

48  Poi  monta  il  volatore,  e  in  aria  s'alza, 
Per  giunger  di  quel  monte  in  su  la  cima, 
Che  non  lontan  con  la  superna  balza 
Dal  cerchio  della  luna  esser  si  stima. 
Tanto  é  il  desir  che  di  veder  Io  'ncalza. 
Ch'ai  cielo  aspira,  e  la  terra  non  stima. 
Dell'  aria  più  e  più  sempre  guadagna  : 
Tanto  eh'  al  giogo  va  della  montagna. 


CANTO  TRENTESUfOQCARTO.  281 

49     Zaffir,  rubini,  oro,  topazj  e  perle 
£  diamanti  e  crisoliti  e  jacinti 
Potriano  i  fiori  assimigliar,  che  per  le 
Liete  piagge  y'  avea  Y  aara  dipinti  : 
Si  verdi  V  erbe,  che  possendo  averle 
Quaggiù,  ne  foran  gli  smeraldi  vinti; 
Né  men  belle  degli  arbori  le  f rondi, 
£  di  fratti  e  di  fior  sempre  fecondi. 

60     Cantan  fra  i  rami  gli  augelletti  vaghi 
Azzurri  e  bianchi  e  verdi  e  rossi  e  gialli. 
Murmuranti  ruscelli  e  cheti  laghi 
Di  limpidezza  vincono  i  cristalli. 
Una  dolce  aura  che  ti  par  che  vaghi 
A  un  modo  sempre,  e  dal  suo  stil  non  falli, 
Facea  si  V  aria  tremolar  d' intorno. 
Che  non  pelea  noiar  caler  del  giorno  : 

51  £  quella  ai  fiori,  ai  pomi  e  alla  verzura 
Gli  odor  diversi  depredando  giva  ; 

£  di  tutti  faceva  una  mistura 

Che  di  soavità  V  alma  notriva. 

Surgea  un  palazzo  in  mezzo  alla  pianura, 

Ch'  acceso  esser  parea  di  fiamma  viva  : 

Tanto  splendore  intorno  e  tanto  lume 

Raggiava,  fuor  d' ogni  mortai  costume. 

52  Astolfo  il  suo  destrier  verso  il  palagio. 
Che  più  di  trenta  miglia  intorno  aggira, 
A  passo  lento  fa  muovere  adagio, 

£  quinci  e  quindi  il  bel  paese  ammira  ; 
£  giudica,  appo  quel,  brutto  e  malvagio, 
£  che  sia  al  cielo  ed  a  natura  in  ira 
Questo  eh'  abitiam  noi  fetido  mondo  : 
Tanto  è  soave  quel,  chiaro  e  giocondo. 

is     Come  egli  è  presso  al  luminoso  tetto. 
Attonito  riman  di  maraviglia  ; 
Che  tutto  d' una  gemma  è  '1  muro  schietto, 
Più  che  carbonchio  lucida  e  vermiglia^ 
Oh  stupenda  opra,  oh  dedalo  architellol 
Qual  fabbrica  tra  noi  le  rassimiglia? 
Taccia  qualunque  le  mirabil  sette 
Moli  del  mondo  in  tanta  gloria  mette. 


252  ORLANDO  FURIOSO. 

64  Nel  lucente  vestibolo  di  quella 
Felice  casa  un  vecchio  al  duca  occorre, 
Che  '1  manto  ha  rosso,  bianca  la  gonnella, 
Che  r  un  può  al  latte,  e  l'altro  al  minio  opporre. 
I  crini  ha  bianchi ,  e  bianca  la  mascella 

Di  folta  barba  eh'  al  petto  discorre  ; 

Ed  ò  si  venerabile  nel  viso, 

Ch'  un  degli  eletti  par  del  paradiso. 

65  Costui  con  lieta  faccia  al  paladino, 
Che  riverente  era  d'  arcion  disceso. 
Disse:  0  baron,  che  per  voler  divino 
Sei  nel  terrestre  paradiso  asceso  ; 
Comechè  nò  la  causa  del  cammino. 
Né  il  fin  del  tuo  desir  da  te  sia  inteso  ; 
Pur  credi  che  non  senza  alto  misterio 
Venuto  sei  dall'  artico  emisperio. 

66  Per  imparar  come  soccorrer  dei 
Carlo,  e  la  Santa  Fé  tor  di  periglio. 
Venuto  meco  a  consigliar  ti  sei 
Per  cosi  lunga  via  senza  consiglio. 
Né  a  tuo  saper  nò  a  tua  virtù  vorrei 
Ch'esser  qui  giunto  attribuissi,  o  figlio; 
Chò  nò  il  tuo  corno  nò  il  cavallo  alato 
Ti  valea,  se  da  Dio  non  t' era  dato. 

67  Ragionerem  più  adagio  insieme  poi, 
E  ti  dirò  come  a  procedere  hai  : 

Ma  prima  vienti  a  ricrear  con  noi  ; 
Chò  '1  digiun  lungo  dò'  noiarti  ormai.    ^ 
Continuando  il  vecchio  i  detti  suoi, 
Fece  maravigliare  il  duca  assai, 
Quando,  scoprendo  il  nome  suo,  gli  disse 
Esser  colui  che  l' Evangelio  scrìsse  ; 

68  Quel  tanto  al  Redentor  caro  Giovanni, 
Per  cui  il  sermone  tra  i  fratelli  uscio, 
Che  non  dovea  per  morte  finir  gli  anni  ; 
SI  che  fu  causa  che  '1  Figliuol  di  Dio 

A  Pietro  disse:  Perchò  pur  t'affanni, 
S'io  vo' che  cosi  aspetti  il  venir  mio? 
Benchò  non  disse  :  Egli  non  dò'  morire; 
Si  vede  pur  che  cosi  volse  dire. 


CANTO  TBBIfTESDfOQUAaTO.  253 

69     Qaivi  fa  assunto,  e  trovò  compagnia , 
Che  prima  Enoch,  il  patriarca,  v'era; 
Bravi  insieme  il  gran  profeta  Elia, 
Che  non  han  vista  ancor  l' ultima  sera; 
E  fuor  deir  aria  pestilente  e  ria 
Si  goderan  l'eterna  primavera. 
Finché  dian  segno  V  angeliche  tube 
Che  torni  Cristo  in  su  la  bianca  nube. 

6Q     Con  accoglienza  grata  il  cavaliero 
Fa  dai  Santi  alloggiato  in  una  stanza: 
Fu  provvisto  in  un'  altra  al  suo  destriero 
Di  buona  biada,  che  gli  fu  abbastanza. 
De'  fratti  a  lui  del  paradiso  diero, 
Di  tal  saper,  eh'  a  suo  gìudicio,  sanza 
Scusa  non  sono  i  duo  primi  parenti, 
Se  per  quei  far  si  poco  ubbidienti. 

61  Poi  eh'  a  natura  il  duca  avventuroso 
Satisfece  di  quel  che  se  le  debbo, 
Come  col  cibo,  cosi  col  riposo. 

Che  tutti  e  tutti  i  comodi  quivi  ebbe  ; 
Lasciando  già  l' Aurora  il  vecchio  sposo, 
Ch'  ancor  per  lunga  età  mai  non  l' increbbe, 
Si  vide  incontra  nell'  uscir  del  letto 
Il  discepol  da  Dio  tanto  diletto  ; 

62  Che  lo  prese  per  mano,  e  seco  scorse 
Di  molte  cose  di  silenzio  degne  ; 

E  poi  disse:  Figliuol,  tu  non  sai  forse 
Che  in  Francia  accada,  ancorché  tu  ne  vegnc. 
Sappi  che  '1  vostro  Orlando,  perché  torse 
Dal  cammin  dritto  le  commesse  insegne, 
£  punito  da  Dio,  che  più  s' accende 
Centra  chi  egli  ama  più ,  quando  s' offende. 

63  U  vostro  Orlando,  a  cui  nascendo  diede 
Somma  possanza  Dio  con  sommo  ardire, 
E  fuor  dell'  uman  uso  gli  concede 

Che  ferro  alcun  non  lo  può  mai  ferire; 
Perché  a  difesa  di  sua  Santa  Fede 
Così  voluto  l'ha  constituire. 
Come  Sansone  incontra  a'  Filistei 
Constitui  a  difesa  degli  Ebrei  ; 
11.  22 


254  ORLANDO  FURIOSO. 

64  Rondato  ha  il  vostro  Orlando  al  sao  Signore 
Di  tanti  beneGcj  iniquo  morto  ; 

Che  quanto  aver  più  lo  dovea  in  favore, 
N*  è  stato  il  fedel  popol  più  deserto. 
Si  accecato  Y  avea  V  incesto  amore 
D'  una  pagana,  eh'  avea  già  sofferto 
Due  volte  e  più  venire  empio  e  crudele, 
Per  dar  la  morte  al  suo  cugin  Tedele. 

65  E  Dio  per  questo  fa  eh*  egli  va  folle, 

£  mostra  nudo  il  ventre ,  il  petto  e  il  fianco  ; 

E  r  intelletto  si  gli  offusca  e  tolte, 

Che  non  può  altrui  conoscere,  e  sé  manco. 

A  questa  guisa  si  legge  che  volle 

Nabuccodonosor  Dio  punir  anco. 

Che  sette  anni  il  mandò  di  furor  pieno 

Si  che,  qual  bue,  pasceva  l'erba  e  il  fieno. 

66  Ma  perch'  assai  minor  del  paladino, 
Che  di  Nabucco,  é  stato  pur  l'eccesso, 
Sol  di  tre  mesi  dal  voler  divino 

A  purgar  questo  error  termine  è  messo. 
Né  ad  altro  effetto  per  tanto  cammino 
Salir  quassù  t' ha  il  Redentor  concesso. 
Se  non  perché  da  noi  modo  tu  apprenda , 
Come  ad  Orlando  il  suo  senno  si  renda. 

67  Gli  è  ver  che  ti  bisogna  altro  viaggio 
Far  meco,  e  tutta  abbandonar  la  terra. 
Nel  cerchio  della  luna  a  menar  t' aggio , 
Che  dei  pianeti  a  noi  più  prossima  erra; 
Perchè  la  medicina  che  può  saggio 
Rendere  Orlando,  là  dentro  si  serra. 
Come  la  luna  questa  notte  sia 

Sopra  nói  giunta,  ci  porremo  in  via. 

68  Di  questo  e  d' altre  cose  fu  diffuso 
Il  parlar  dell'  Apostolo  quel  giorno. 

Ma  poi  che  '1  Sol  s' ebbe  nel  mar  rinchiuso, 
E  sopra  lor  levò  la  luna  il  corno. 
Un  carro  apparecchiossi ,  eh'  era  ad  uso 
D'andar  scorrendo  per  quei  cieli  intorno: 
Quel  già  nelle  montagne  dì  Giudea 
Da'  mortali  occhi  Elia  levalo  avea. 


CANTO  TRENTESIMOQDARTO.  255 

69  Qaattro  deslrier  via  più  che  (tamma  rossi 
AI  giogo  il  Santo  Evangelisla  aggiunse  ; 

£  poi  che  con  Astolfo  rassettossi , 
E  prese  il  freno,  inverso  il  ciel  li  pansé, 
nuotando  il  carro,  per  l'aria  levossi, 
E  tosto  in  mezzo  il  fuoco  eterno  giunse  ; 
Che  *1  vecchio  fé  miracolosamente, 
Che,  mentre  lo  passar,  non  era  ardente. 

70  Tutta  la  sfera  varcano  del  fuoco , 
Et  indi  vanno  al  regno  della  luna. 
Veggon  per  la  più  parte  esser  quel  loco 
Come  un  acciar  che  non  ha  macchia  alcuna; 
E  io  trovano  uguale,  o  minor  poco , 

Di  ciò  eh'  in  questo  gloho  si  raguna , 
In  questo  ultimo  globo  della  terra, 
Mettendo  il  mar  che  la  circonda  e  serra. 

71  Quivi  ebbe  Astolfo  doppia  maraviglia, 
Che  quel  paese  appresso  era  si  grande , 
Il  quale  a  un  picciol  tondo  rassimiglia 
A  noi  che  lo  miriam  da  queste  bande  i 
E  ch'aguzzar  conviengli  ambe  le  ciglia. 
S'indi  la  terra  e  '1  mar,  eh'  intorno  spande, 
Discerner  vuol  ;  che  non  avendo  luce, 

L' ìmmagin  lor  poco  alta  si  conduce. 

72  Altri  fiumi,  altri  laghi,  altre  campagne 
Sono  lassù,  che  non  son  qui  tra  noi  ; 
Altri  piani,  altre  valli,  altre  montagne, 
C'han  le  cìttadi,  hanno  i  castelli  suoi, 
Con  case  delle  quai  mai  le  più  magne 
Non  vide  il  paladin  prima  né  poi  : 

E  vi  sono  ampie  e  solitarie  selve, 
Ove  le  ninfe  ognor  cacciano  belve. 

73  Non  stette  il  duca  a  ricercare  il  tutto  ; 
Che  là  non  era  asceso  a  quello  effetto. 
Dall'  Apostolo  Santo  fa  condulto 

In  un  vallon  fra  duo  montagne  {stretto, 
Ove  mirabilmente  era  ridutto 
Ciò  che  si  perde  o  per  nostro  difetto, 
O  per  colpa  di  tempo  o  di  fortuna  : 
Ciò  che  si  perde  qui,  là  si  ragona. 


256  OBLANOO  FORIOSO. 

74  Non  por  di  regni  o  di  ricchezze  parlo , 
In  che  la  raota  instabile  lavora  ; 
Ma  di  quel  eh'  in  poter  di  tor,  di  darlo 
Non  ha  Fortuna,  intender  voglio  ancora. 
Molta  fama  è  lassù,  che,  come  tarlo. 
Il  tempo  al  lungo  andar  quaggiù  divora: 
Lassù  infiniti  prieghi  e  voti  stanno, 
Che  da  noi  peccatori  a  Dio  si  fanno. 

76     Le  lacrime  e  i  sospiri  degli  amanti, 
V  inotil  tempo  che  si  perde  a  giuoco, 
E  r  ozio  lungo  d' uomini  ignoranti, 
Vani  disegni  che  non  han  mai  loco, 
I  vani  desiderj  sono  tanti. 
Che  la  più  parte  ingombran  di  quel  loco  : 
Ciò  che  in  somma  quaggiù  perdesti  mai, 
Lassù  salendo  ritrovar  potrai. 

76  Passando  il  paladin  per  quelle  biche, 
Or  di  questo  or  di  quel  chiede  alla  guida. 
Vide  un  monte  di  tumide  vessiche. 
Che  dentro  parea  aver  tumulti  e  grida  ; 
£  seppe  eh'  eran  le  corone  antiche 

E  degli  Assirj  e  della  terra  llda, 
E  de' Persi  e  de'  Greci,  che  già  furo 
Incliti,  ed  or  n'  è  quasi  il  nome  oscuro. 

77  Ami  d' oro  e  d' argento  appresso  vede 
In  una  massa,  eh'  erano  quei  doni 

Che  si  fan  con  speranza  di  mercede 
Ai  re ,  agli  avari  principi ,  ai  patroni. 
Vede  in  ghirlande  ascosi  lacci  ;  e  chiede, 
Et  ode  che  son  tutte  adulazioni. 
Di  cicale  scoppiate  immagine  hanno 
Versi  eh'  in  laude  dei  signor  si  fanno. 

75  Di  nodi  d' oro  e  di  gemmati  ceppi 
Vede  e'  han  forma  ì  mal  seguiti  amori. 
Y'eran  d'aquile  artigli;  e  che  fur,  seppi, 
L' autorità  eh*  ai  suoi  danno  i  signori. 

I  mantici  ch'intorno  han  pieni  i  greppi. 
Sono  i  fumi  dei  principi,  e  i  favori 
Che  danno  un  tempo  ai  Ganimedi  suoi, 
Che  se  ne  van  col  fior  degli  anni  poi. 


'4ffM-+-'^ 


CANTO  TBBNTBSmOQUABTO.  257 

79  Raine  di  cittadi  e  di  castella 
Stavan  con  gran  tesor  qaivì  sozzopra. 
Domanda,  e  sa  che  son  trattati,  e  quella 
Congiara  che  si  mal  par  che  si  caopra. 
Vide  serpi  con  faccia  di  donzella, 

Di  monetieri  e  di  ladroni  V  opra  : 
Poi  vide  bocce  rotte  di  più  «orti, 
€h'  era  il  servir  delle  misere  corti* 

80  Di  versate  minestre  una  gran  massa 
Vede,  e  domanda  al  suo  dottor,  ch'importo. 
L'elemosina  è,  dice,  che  si  lassa 

Alcun ,  che  fatta  sìa  dopo  la  morte. 
Di  vaij  Gori  ad  un  gran  monte  passa. 
Ch'ebbe  già  buono 'odore,  or  putia  forte. 
Questo  era  il  dono  (sé  però  dir  lece) 
Che  Costantino  al  buon  Silvestro  fece. 

SI     Vide  gran  copia  di  panie  con  visco, 
Ch'  erano,  o  donne,  le  bellezze  vostre. 
Lungo  sarà,  se  tutte  in  verso  ordisco 
Le  cose  che  gli  fur  quivi  di  mostre  ; 
Che  dopo  mille  e  mille  io  non  finisco, 
£  vi  son  tutte  l' occorrenzie  nostre  : 
Sol  la  pazzia  non  v'  è  poca  né  assai  ; 
Che  sta  quaggiù,  nò  se  ne  parte  mai. 

82  Quivi  ad  alcuni  giorni  e  fatti  sui, 
Ch'  egli  già  avea  perduti ,  si  converse  ; 
Che  se  non  era  interprete  con  lui. 
Non  discernea  le  forme  lor  diverse. 

Poi  giunse  a  quel  che  par  si  averlo  a  nui, 
Che  mai  per  esso  a  Dio  voti  non  forse  ; 
Io  dico  il  senno  ;  e  n'  era  quivi  un  monte, 
Solo  assai  più,  che  l' altre  cose  conte. 

83  Era  come  un  liquor  suttile  e  molle. 
Atto  a  esalar,  se  non  si  tien  ben  chiuso  ; 
E  si  vedea  raccolto  in  varie  ampolle, 

Qual  più,  qual  men  capace,  atte  a  quell'uso. 
Quella  ò  maggior  di  tutte,  in  che  del  folle 
Signor  d'Anglante  era  il  gran  senno  infuso  ; 
E  fu  dall'  altre  conosciuta,  quando 
Avea  scritto  di  fuor:  Senno  d'Orlando. 

22' 


258  ORLANDO  FURIOSO. 

84     £  COSÌ  tatte  V  altre  avean  scritto  anco 
Il  nome  di  color  di  chi  fu  il  senno. 
Del  suo  gran  parte  vide  il  duca  franco  ; 
Ma  molto  più  maravigliar  lo  fenno 
Molti  eh'  egli  credea  che  dramma  manco 
Non  dovessero  averne,  e  quivi  donno 
Chiara  notizia  che  ne  tenean  poco  ; 
Che  molta  quantità  n'  era  in  quel  loco. 

55  Altri  in  amar  lo  perde,  altri  in  onori. 
Altri  in  cercar,  scorrendo  il  mar,  ricchezze; 
Altri  nelle  speranze  de' signori. 

Altri  dietro  alle  magiche  sciocchezze  ; 
Altri  in  gemme,  altri  in  opre  di  pittori, 
Ed  altri  in  altro  che  più  d'altro  apprezzo. 
Di  sofisti  e  d* astrologhi  raccolto, 
£  di  Qoeti  ancor  ve  n'  era  molto. 

56  Astolfo  tolse  il  suo  ;  che  gliel  concesse 
Lo  scrittor  dell'  oscura  Apocalisse. 
L'ampolla  in  ch'era,  al  naso  sol  si  messe, 
£  par  che  quello  al  luogo  suo  ne  gisse  ; 

E  che  Turpin  da  indi  in  qua  confesse 
Ch'Astolfo  lungo  tempo  saggio  visse; 
Ma  eh'  uno  error  che  fece  poi,  fu  quello 
Ch'  un'  altra  volta  gli  levò  il  cervello. 

87     La  più  capace  e  piena  ampolla,  ov'  era 
Il  senno  che  solea  far  savio  il  conte, 
Astolfo  tolle;  e  non  è  si  leggiera, 
Come  stimò,  con  l' altre  essendo  a  monte. 
Prima  che  'l  paladin  da  quella  sfera 

^    Piena  di  luce  alle  più  basse  smonte, 
Menato  fu  dall'Apostolo  Santo 
In  un  palagio,  ov' era  un  fium^  accanto; 

ss     Ck'  ogni  sua  stanza  avea  piena  di  velli 
Di  lin,  di  seta,  di  coton,  di  lana. 
Tinti  in  varj  colori  e  brutti  e  belli. 
Nel  primo  chiostro  una  femmina  eana 
Fila  a  un  aspo  traea  da  tutti  quelli  ; 
Come  veggiam  l' estate  la  villana 
Traer  dai  bachi  le  bagnate  spoglie. 
Quando  la  nuova  seta  si  raccoglie. 


CANTO  TRENTESIMOQDARTO.  Ì59 

89  ¥'  è  chi,  finito  un  vello,  rimettendo 

Ne  viene  un  altro,  e  chi  ne  porta  altronde: 
Un'  akra  delle  filze  va  scegliendo 
Il  bel  dal  brutto  che  quella  confonde. 
Che  lavor  si  fa  qui,  eh' io  non  V  intendo? 
Dice  a  Giovanni  Astolfo  ;  e  quel  risponde  : 
Le  vecchie  son  le  Parche,  che  con  tali 
Stami  filano  vite  a  voi  mortali. 

90  Quanto  dura  un  de' velli,  tanto  dura 
L' umana  vita,  e  non  di  più  un  momento. 
Qui  tien  l' occhio  e  la  Morte  e  la  Natura, 
Per  saper  Y  ora  eh'  un  debba  esser  spento. 
Sceglier  le  belle  fila  ha  l'altra  cura. 
Perchè  si  tesson  poi  per  ornamento 

Del  paradiso  ;  e  dei  più  bruiti  stami 
Si  fan  per  li  dannati  aspri  legamf. 

91  Di  tutti  i  velli  ch^  erano  già  messi 
In  aspo,  e  scelti  a  farne  altro  lavoro. 
Erano  in  brevi  piastre  i  nomi  impressi: 
Altri  di  ferro,  altri  d' argento  o  d' oro  ; 
£  poi  fatti  n'  avean  cumuli  spessì , 

De' quali,  senza  mai  farvi  ristoro. 
Portarne  via  non  si  vedea  mai  stanco 
Un  vecchio,  e  ritornar  sempre  per  anco. 

92  Era  quel  vecchio  si  espedito  e  snello, 
Che  per  correr  parea  che  fosse  nato  ; 

E  da  quel  monte  il  lembo  del  mantello 
Portava  pien  del  nome  altrui  segnato. 
Ove  n'andava,  e  perché  facea  quello, 
Nell'altro  Canto  vi  sarà  narrato, 
Se  d' averne  piacer  segno  farete 
Con  quella  grata  udienza  che  solete. 


Si.  S.  v^  4-S. —  Troppo  /allò  ec.  1  in  Italia,  chiamandoTi  gli  Smzeri  per 
Vuole  allndere  a  Giulio  II,  che,  dopo  la  t  discacciarne  i  Francesi. 
|iornata  di  Ravenna,  riaccese  la  guerra  |         St.  3.  v.  2-7. —  Cacci  fuor  di  Ltte$ 


260 


ORLANDO  F0RIOSO. 


laccM  dimenticnc;  e  ciò  riguarda  la 
misera  coodinoiic  degl*  Italiani.— ^//a 
Hrtà  di  Calmi  e  di  ZeU  ec.:  due  figli 
di  Borea  e  di  Orìtia,  i  qoali  caociarono 
•ino  alle  StroEidi  le  Arpie  cbe  bralU- 
▼ano  le  meaie  di  Fimeo  n  di  Tracia. 
Vedi  i  mitologi. 

^/•1S.  F.  i«7. — jtmMSsaretet  don- 
mella  di  Cipro,  la  cui  intenaibilitli  all'  a- 
mora  d' Ifi,  principe  ciprioUo,  condusse 
il  gioTine  ad  appiccarsi;  ed  ella  fu  con- 
▼ertiU  ia  sasso.  —  Dajntt  ninfa,  che 
fnggBido  da  Apollo,  da  cui  era  amata, 
▼enne  cangiata  in  lauro. 

SiAk.v,  Z~&.-^Jl  sa  Teseo  «  Già- 
soue  ec.  Rammenuil  Poeta  quattro  in- 
gannatori di  donne:  Teseo  cioè  e  Già* 
sone,  ebe  delusero,  l*uno  Arianna,  1*  al- 
tro Medea;  Enea,  ionquisUtora  del 
'  Lasio,  cbe  abbandonò  Didone,  e  Am^ 
non,  figlio  di  David,  che  mutò  in  odio 
il  sno  amore  per  Tamar;  di  cbe  nacque 
odio  mortale  fra  lui  e  Absalon.  Vedi  il 
Libro  II  di  Samuele,  Gap.  43. 

SL  31.  p,  6.  »  Pia  strati  impenni  t 
guarnisca  di  penne,  prepari  altri  strali 
per  innamorarlo. 

«S)r.33.«r.7. — lestrigoni  t  rotti  po- 
poli del  Latio,  rappresentati  ntWOdiS' 
sea  di  Omero  come  antropofagi. 

St.  39.  V.  i.5.  —  Non  fu  da  Euri» 
steo  mai  ec-  Vedi  presso  i  mitologi  le 
molte  prove  a  cui  /4  ioide  (Ercole)  fu 
sottoposto,  per  l'odio  che  gli  portava 
Giunone. 

St,  46.  F.  %'^Epe!  pance. 


St.  47.  9.  3.  —  Imfeeet  deturpò; 
voce  latina.  | 

StM.  (r.5.— Vagkit  seona  intorno. 

St.  63.  9.  òJi.^Dedaio:  qui  inge- 
gnoso, a  modo  di  epiteto.—  Le  mirm 
bil sette  moli:  le  setu,  chiamate  dagE 
antichi,  maraviglie  del  memdej  vale  a 
dire,  le  Piramidi  egitiane,  il  scolerò 
di  Mausolo,  il  tempio  di  Diana  in  Bfe* 
so,  il  colosso  di  Rodi,  il  palano  di  Ciro 
re  dei  Medi,  la  sUtna  di  Giom  Olim- 
pico, e.le  mura  di  Babilonia. 

St,  61. 9.  5.  —  //  9eeehie  spose: 
.Titone,  come  altra  volta  si  •  detto. 

St,  61  9,  ì,  —  Scerses  discorsa» 
Hgionò. 

St,  69.  9,  6.—  E  tosto  in  Htesao  il 
fuoco  eterno  giunse.  Intendi  nella  sièra 
del  fuoco,  cbe,  secondo  le  Uoria  di 
Tolomeo,  credevasi  intermedia  fra  la 
terra  e  il  cielo  della  luna. 

St.  Ih.  9,  4. — Non  ham  mai  loeos 
non  SODO  mai  eseguiti. 

St,76.9.i . — Biche  «  masse  di  covo- 
ni; qui  semplicemente  cumuli,  mmechi, 

St.  73.  9.0.^1  greppi:  le  pelli 
de' mantici,  che  dilatandosi  e  restrin- 
gendosi a  vicenda,  accolgono  l'aria  e 
la  respingono  fuori. 

«S"!  .84.  V,  Z,— -Il  duca  franco  :  Astol- 
fo, che,  sebbene  inglese,  era  paladino 
di  Francia. 

St.  83.  9.  4. —  Canm  canuta;  lati- 
nismo. 

St.9i.9.%.^E  ritornar  sempre 
per  ancot  sottintendi  a  levarne. 


261 


CANTO  TBXNTESitMOQVlXTO. 


Comincia  il  Poeta  con  bellissima  apostrofe  alla  sua  donna  parlandole  dell'  amoff 
suo;  poi,  togliendo  occasione  dal  lavoro  delle  Parche,  fa  uno  splendido  eI<^io 
al  caidinal  d' Este.  Mostra  quindi  come  il  tempo  spenga  i  nomi  degli  nomini 
oacwi»  e  come  salga  a  fama  immortale  qnel  dei  preclarL  E  ripigliando  il  filo 
del  Poema,  riferisce  alcuni  fatti  di  Bradamante,  che,  ponte  tuttora  di  gelosia 
per  Ruggiero,  lo  sfida  a  battaglia. 


Chi  salirà  per  me,  Madonna,  in  cielo 
A  riportarne  il  mio  perdalo  ingegno. 
Che,  poi  eh'  asci  da'  bei  vostri  occhi  il  telo 
Che  '1  cor  mi  fisse,  ognor  perdendo  vegno? 
Nò  di  tanta  iattura  mi  querelo, 
Parche  non  cresca,  ma  stia  a  qnesto  segno  ; 
Ch'  io  dabito,  se  più  si  va  scemando. 
Di  yenir  tal,  qoal  ho  descritto  Orlando. 

Per  riaver  V  ingegno  mìo  m' è  avviso 
Che  non  bisogna  che  per  l' aria  io  poggi 
Nel  cerchio  della  lana  o  in  paradiso  ; 
Che  '1  mio  non  credo  che  tanto  alto  alloggi. 
Ne' bei  vostri  occhi  e  nel  sereno  viso, 
Nel  sen  d' avorio  e  alabastrini  poggi 
Se  ne  va  errando  ;  ed  io  con  qaeste  labbia 
Lo  corrò,  se  vi  par  eh'  io  lo  riabbia. 

Per  gli  ampli  tetti  andava  il  paladino 
Tolte  mirando  le  fatare  vite, 
Poi  eh'  ebbe  visto  sai  fatai  molino 
Volgersi  qaelle  eh'  erana  già  ordite  : 
E  scòrse  un  vello  che  più  che  d' òr  fino 
Splender  parea;  nò  sarian  gemme  tritai 
S' in  filo  si  tirassero  con  arte. 
Da  comparargli  alla  mìllesma  parte. 


263  OKLANDO  FUBIOSO. 

4  Mirabiliiiente  il  bel  yello  gli  piacque , 
Che  tra  inGniti  paragon  non  ebbe  ; 

E  di  sapere  alto  disio  gli  nacque, 
Quando  sarà  tal  Yìta,  e  a  chi  si  debbe. 
L' Evangelista  nulla  glie  ne  tacque  : 
Che  venti  anni  principio  prima  avrebbe, 
Che  con*  H  e  col  D  fosse  notato 
L' anno  corrente  dal  Verbo  incarnato. 

5  E  come  di  splendore  e  di  beltade 
Quel  vello  non  avea  simile  o  pare  ; 
Cosi  saria  la  fortunata  etade. 

Che  dovea  uscirne,  al  mondo  singulare  ; 
Perchè  tutte  le  grazie  inclite  e  rade. 
Ch'alma  natura,  o  proprio  studio  dare, 
0  benigna  fortuna  ad  uomo  puote. 
Avrà  in  perpetua  ed  infallibil  dote. 

6  Del  re  de'  fiumi  fra  l' altiere  coma 
Or  siede  umil,  diceagli,  e  piccol  borgo; 
Dinanzi  il  Po,  di  dietro  gli  soggiorna 
D' alta  palude  un  nebuloso  gorgo  ; 
Che,  volgendosi  gli  anni,  la  più  adorna 
Di  tutte  le  città  d'Italia  scorgo. 

Non  pur  di  mura  e  d' ampli  tetti  regi, 
Ma  di  bei  stodj  e  di  costumi  egregi. 

7  Tanta  esaltazione  e  cosi  presta, 
Non  fortuita  o  d' avventura  casca  ; 

Ma  l'ha  ordinata  il  Ciel,  perché  sia  questa 

Degna  in  che  Tuom,  di  ch'io  ti  parlo,  nasca: 

Che,  dove  il  frutto  ha  da  venir,  s' innesta 

E  con  studio  si  fa  crescer  la  frasca  ; 

E  l'artefice  l' oro  adinar  suole. 

In  che  legar  gemma  di  pregio  vuole. 

8  Né  si  leggiadra  né  si  bella  veste 

Unqua  ebbe  altr'  alma  in  quel  terrestre  regno; 

E  raro  é  sceso  e  scenderà  da  queste 

Sfere  superne  un  spirito  si  degno. 

Come  per  farne  Ippolito  da  Este 

N'  ave  l' eterna  Mente  alto  disegno. 

Ippolito  da  Esle  sarà  detto 

L' uomo  a  chi  Dio  si  ricco  dono  ha  eletto. 


CANTO  TaENTESIMOQUINTO.  264 

9      Qaegli  ornamenti  che  divisi  in  molti, 
A  molti  basterian  per  tutti  ornarli. 
In  suo  ornamento  avrà  tutti  raccolti 
Costui,  di  e' hai  voluto  ch'io  ti  parli. 
Le  virtudi  per  lui,  per  lui  soffolti 
Saran  gli  studj  ;  e  s' io  vorrò  narrar  li 
Alti  suoi  merti,  al  On  son  si  lontano, 
Gh'  Orlando  il  senno  aspetterebbe  invano. 

10     Così  venia  V  imitator  di  Cristo 
Ragionando  col  duca  :  e  poi  che  tutte 
Le  stanze  del  gran  luogo  ebbene  visto, 
Onde  l'umane  vite  eran  condotte, 
Sul  fiume  uscire,  che  d' arena  misto 
Con  r  onde  discorrea  torbide  e  brutte  ; 
£  vi  trovar  quel  vecchio  in  su  la  riva, 
Che  con  gì'  impressi  nomi  vi  veniva. 

a     Non  so  se  vi  sia  a  mente,  io  dico  quello 
Ch'ai  fin  dell'altro  Canto  vi  lasciai. 
Vecchio  di  faccia,  e  si  dì  membra  snello. 
Che  d'ogni  cervio  è  più  veloce  assai. 
Degli  altrui  nomi  egli  si  empia  il  mantello  ; 
Scemava  il  monte,  e  non  finiva  mai: 
Ed  in  quel  fiume  che  Lete  si  noma, 
Scarcava,  anzi  perdea  la  ricca  soma. 

^12     Dico  che,  come  arriva  in  su  la  sponda 
Del  fiume,  quel  prodigo  vecchio  scuole 
11  lembo  pieno,  e  nella  turbida  onda 

•  Tutte  lascia  cader  V  impresse  note. 
Un  numer  senza  fin  se  ne  profonda, 
Ch'  uh  minimo  uso  aver  non  se  ne  puole  ; 
E  di  cento  migliaia  che  l' arena 
Sul  fondo  inveivo,  un  se  ne  serva  appena. 

13     Lungo  e  d' intorno  quel  fiume  volando 
Givano  corvi  ed  avidi  avoltori. 
Mulacchie  e  varj  augelli,  che  gridando 
Facean  discordi  strepiti  e  romori  ; 
Ed  alla  preda  correan  tutti,  quando 
Sparger  vedean  gli  amplìssimi  tesori  : 
E  chi  nel  becco,  e  chi  neirugna  torta 
Ne  prende  ;  ma  loiilan  [.oco  gli  porla. 


264  OBLANDO  FURIOSO. 

ié     Come  vogliono  alzar  per  Y  aria  i  voli, 
Non  han  poi  forza  che  '1  peso  sostegna  ; 
Si  che  convien  che  Lete  pur  involi 
De'  ricchi  nomi  la  memoria  degna. 
Fra  tanti  augelli  son  duo  cigni  soli. 
Bianchi,  signor,  come  è  la  vostra  insegna, 
Che  vengon  lieti  riportjindo  in  bocca 
Sicuramente  il  nome  che  lor  tocca. 

io     Cosi  contro  i  pensieri  empi  e  maligni 
Del  vecchio,  che  donar  li  vorria  al  fiume, 
Alcun  ne  salvan  gli  augelli  benigni: 
Tutto  r  avanzo  obblivion  consume. 
Or  se  ne  van  notando  i  sacri  cigni. 
Ed  or  per  l'aria  battendo  le  piume. 
Finché  presso  alla  ripa  del  fiume  empio 
Trovano  un  colle,  e  sopra  il  colle  un  tempio. 

iS      All'  Immortalitade  il  luogo  è  sacro, 
Ove  una  bella  ninfa  giù  del  colle 
Viene  alla  ripa  del  leteo  lavacro, 
E  di  bocca  dei  cigni  i  nomi  lolle  ; 
E  quelli  affigge  intorno  al  simulacro 
Ch'  in  mezzo  il  tempio  una  colonna  estolle. 
Quivi  li  sacra,  e  ne  fa  tal  governo, 
Che  vi  si  puon  veder  tutti  in  eterno. 

i7      Chi  sia  quel  vecchio,  e  perchè  tutti  al  rio 
Senza  alcun  frutto  i  bei  nomi  dispensi, 
E  degli  augelli ,  e  di  quel  luogo  pio 
Onde  la  bella  ninfa  al  fiume  viensi, 
Aveva  Astolfo  di  saper  desio 
I  gran  misteri  e  gli  incogniti  sensi  ; 
E  domandò  di  tutte  queste  còse 
L'uomo  di  Dìo,  che  cosi  gli  rispose: 

48     Tu  dèi  saper  che  non  si  muove  fronda 
Laggiù,  che  segno  qui  non  se  ne  faccia. 
Ogni  effetto  convien  che  corrisponda 
In  terra  e  in  ciel,  ma  con  diversa  faccia. 
Quel  vecchio,  la  cui  barba  il  petto  inonda. 
Veloce  si  che  mai  nulla  l'impaccia, 
Gli  effetti  pari  e  la  medesima  opra 
Che  '1  Tempo  fa  laggiù,  fa  qui  di  sopra. 


CANTO  TBENTESIMOQDINTO.  265 

i9     Volle  che  son  le  fìia  in  sa  la  ruota, 
Laggiù  la  vita  umana  arrìva  al  fine. 
La  faooa  là,  qui  ne  riman  la  nota  ; 
Ch'  immortali  sariano  ambe  e  divine, 
Se  non  che  qui  quel  dalla  irsuta  gota, 
E  laggiù  il  Tempo  ognor  ne  fa  rapine. 
Questi  le  getta,  come  vedi,  al  rio: 
E  quel  r  immerge  neir  eterno  obblio.  * 

20  E  come  quassù  i  corvi  e  gli  avoUori 
E  le  mulacchie  e  gli  altri  vari  augelli 
S' affaticano  tutti  per  trar  fuori 

Deir  acqua  i  nomi  che  veggion  più  belli  ; 
Cosi  laggiù  ruffiani,  adulatori, 
Buffon,  cinedi,  accusatori,  e  quelli 
Che  vivono  alle  corti,  e  che  vi  sono 
Più  grati  assai  che  '1  virtuoso  e  '1  buono  ; 

21  E  son  chiamati  cortìgìan  gentili, 
Perchè  sanno  imitar  V  asino  e  '1  ciacco  ; 
De'  lor  signor  tratto  che  n'  abbia  i  fili 
La  giusta  Parca,  anzi  Venere  e  Bacco, 
Questi  di  ch'io  li  dico,  inerti  e  vili. 
Nati  solo  ad  empir  di  cibo  il  sacco. 
Portano  in  bocca  qualche  giorno  il  nome  ; 
Poi  neir  obblio  lascian  cader  le  some. 

22  Ma  come  i  cigni,  che  cantando  lieti 
Rendono  salve  le  medaglie  al  tempio  ; 
Cosi  gli  nomini  degni  da'  poeti 

Son  tolti  dall'  obblio,  più  che  morte  empio. 

0  bene  accorti  prìncipi  e  discreti. 
Che  seguite  di  Cesare  l'esempio, 
E  gli  scrittor  vi  fate  amici,  donde 
Non  avete  a  temer  di  Lete  l' onde! 

23  Son,  come  i  cigni,  anco  i  poeti  rari. 
Poeti  che  non  sian  del  nome  indegni, 
Si  perchè  il  Ciel  degli  uomini  preclari 
Non  pale  mai  che  troppa  copia  regni, 
Si  per  gran  colpa  dei  signori  avari 
Che  lascian  mendicare  i  sacri  ingegni  ; 
Che  le  virtù  premendo,  ed  esaltando 

1  vizj,  caccian  le  buone  arti  in  bando. 

II.  2S 


266  OBLÀKDO  FURIOSO. 

24  Credi  che  Dio  questi  ignoranti  ha  privi 
Dello  'ntelletto,  e  loro  offasca  i  lami; 
Che  della  poesia  gli  ha  fatto  schivi, 
Acciò  che  morte  il  tutto  ne  consumi. 
Oltre  che  del  sepolcro  nscirian  vivi , 
Ancor  eh'  avesser  tutti  i  rei  costumi  ; 
Purché  sapesson  farsi  amica  Cirra , 

^iù  grato  odore  avrian,  che  nardo  o  mirra. 

25  Non  si  pietoso  Enea,  né  forte  Achille 
Fu,  come  è  fama,  né  sì  fiero  £ttorre  ; 
E  ne  son  stati  e  mille  e  mille  e  mille 
Che  lor  si  pnon  con  verità  anteporre: 
Ma  i  donati  palazzi  e  le  gran  ville 

Dai  discendenti  lor,  gli  ha  fatto  porre 
In  questi  senza  fin  soblimi  onori 
Dair  onorate  man  degli  scrittori. 

26  Non  fu  stianto  nò  benigno  Augusto, 
Come  la  tuba  di  Virgilio  suona. 
L'avere  avuto  in  poesia  buon  gusto, 
La  proscrizione  iniqua  gli  perdona. 
Nessun  sapria  se  Neron  fosse  ingiusto. 
Né  sua  fama  saria  forse  men  buona , 
Avesse  avuto  e  terra  e  ciel  nimici. 

Se  gli  scrittor  sapea  tenersi  amici. 

27  Omero  Agamennon  vittorioso, 
E  fé  i  Troian  parer  vili  ed  inerti  ; 
E  che  Penelopea,  fida  al  suo  sposo. 
Dai  prochi  mille  oltraggi  avea  soffèrti. 

E  se  tu  vuoi  che  '1  ver  non  ti  sia  ascoso, 
Tutta  al  contrario  V  istoria  converti  : 
Che  i  Greci  rotti,  e  che  Troia  vitlrice, 
E  che  Penelopea  fu  meretrice. 

28  Dall'altra  parte  odi  che  fama  lascia 
Elisa,  ch'ebbe  il  cor  tanto  pudico; 
Che  ripotata  viene  una  bagascia. 
Solo  perchè  Maron  non  le  fu  amicò. 

Non  ti  maravigliar  ch'io  n'  abbia  ambascia, 
E  se  di  ciò  diffusamente  io  dico. 
'  Gli  scrittori  amo,  e  fo  il  debito  mio  ; 

Ch'  al  vostro  mondo  fui  scrittore  anch'  io. 


CANTO  TRENTESIMOQUINTO.  267 

29  E  sopra  tutti  gli  altri  io  feci  acquisto 
Che  non  mi  può  levar  tempo  né  morte  : 
E  ben  convenne  al  mio  lodato  Cristo 
Rendermi  guidardon  di  si  gran  sorte. 
Ducimi  di  quei  che  sono  al  tempo  tristo, 
Quando  la  cortesia  chiuso  ha  le  porte  ; 
Che  con  pallido  viso  e  macro  e  asciutto 
La  notte  e  '1  di  vi  picchian  senza  frutto. 

30  Si  che,  continuando  il  primo  detto, 
Sono  i  poeti  e  gli  studiosi  pochi  ; 
Che  dove  non  han  pasco  nò  ricetto, 
Insin  le  fere  abbandonano  i  lochi. 
Cosi  dicendo  il  vecchio  benedetto 

Gli  occhi  inGammò,  che  parveno  duo  fuochi  ; 
Poi  volto  al  duca  con  un  saggio  riso, 
Tornò  sereno  il  conturbato  viso. 

31  Resti  con  lo  scrittor  dell'  Evangelo 
Astolfo  ormai,  ch'io  voglio  far  un  salto, 
Quanto  sia  in  terra  a  venir  fìn  dal  cielo  : 
Ch'  io  non  posso  più  star  su  V  ali  in  alto. 
Torno  alla  donna ,  a  cui  con  grave  telo 
Mosso  avea  gelosia  crudele  assalto. 

Io  la  lasciai  eh'  avea  con  breve  guerra 
Tre  re  gittati,  un  dopo  l' altro,  in  terra  ; 

38     E  che  giunta  la  sera  ad  un  castello 
Ch'alia  via  di  Parigi  si  ritrova, 
D'Agramante  che,  rotto  dal  fratello, 
S' era  ridotto  in  Arli,  ebbe  la  nuova. 
Certa  che  '1  suo  Ruggier  fosse  con  quello^ 
Tosto  ch'apparve  in  ciel  la  luce  nuova, 
Verso  Provenza,  dove  ancora  intese 
Che  Carlo  lo  seguia,  la  strada  prese. 

33     Verso  Provenza  per  la  via  più  dritta 
Andando,  s' incontrò  in  una  donzella, 
Ancorché  fosse  lacrimosa  e  afflitta. 
Bella  di  faccia,  e  di  maniere  bella. 
Questa  era  quella  si  d'amor  trafitta 
Per  lo  Ogliuol  di  Monodante,  quella 
Donna  gentil  eh'  avea  lasciato  al  ponte 
L'amante  suo^prigion  di  Rodomonte. 


268  ORLANDO  FURIOSO. 

34     Ella  venia  cercando  un  cavaliere, 
Ch'a  far  battaglia  usato,  come  lontra 
In  acqua  e  in  terra  fosse,  e  cosi  fiero, 
Che  lo  potesse  al  pagan  porre  incontra. 
La  sconsolata  amica  di  Ruggiero, 
Come  quest'altra  sconsolata  incontra, 
Cortesemente  la  saluta,  e  poi 
Le  chiede  la  cagion  dei  dolor  suoi. 

36      Fiordiligi  lei  mira,  e  veder  parie 
Un  cavalier  eh'  al  suo  bisogno  fia  ; 
£  comincia  del  ponte  a  ricontarle. 
Ove  impedisce  il  re  d'Algier  la  via  ; 
E  eh'  era  stato  appresso  di  levarle 
L' amante  suo  :  non  che  più  forte  sia  ; 
Ma  sapea  darsi  il  Saracino  astuto 
Col  ponte  stretto  e  con  quel  fiume  aiuto. 

36  Se  sei,  dicea,  si  ardito  e  si  cortese. 
Come  ben  mostri  V  uno  e  l*  altro  in  vista, 
Mi  vendica,  per  Dio,  di  chi  mi  prese 

11  mio  signore,  e  mi  fa  gir  si  trista  ; 
O  consigliami  almeno  in  che  paese 
Possa  io  trovare  un  ch'a  colui  resista, 
E  sappia  tanto  d'arme  e  di  battaglia, 
Che  '1  fiume  e  '1  ponte  al  pagan  poco  vaglia. 

37  Oltre  che  tu  farai  quel  che  conviensi 
Ad  uom  cortese  e  a  cavaliere  errante, 
In  beneficio  il  tuo  valor  dispensi 

Del  più  fcdel  d' ogni  fedele  amante. 
Dell'  altre  sue  virtù  non  appartiensi 
A  me  narrar;  che  sono  tante  e  tante. 
Che  chi  non  n'ha  notizia,  si  può  dire 
Che  sia  del  veder  privo  e  dell'  udire. 

3S      La  magnanima  donna,  a  cui  fu  grata 
Sempre  ogni  impresa  che  può  farla  degna 
D' esser  con  laude  e  gloria  nominata , 
Subito  al  ponte  di  venir  disegna  : 
Ed  ora  tanto  più,  eh'  è  disperata,     ° 
Vien  volentier,  quando  anco  a  morir  vegna  ; 
Che  credendosi,  miserai  esser  priva 
Del  suo  Ruggiero,  ha  in  odio  d'  esser  viva. 


^"T- 


CANTO  TRENTESIHOQCINTD»  269 

3d     Per  quel  ch'io  YSlglio,  giovane  amorosa, 
Rispose  Bradamante,  io  m'offerisco 
Di  far  Y  impresa  dura  e  perigliosa, 
Per  altre  cause  ancor,  eh'  io  preterisco  ; 
Ma  più,  che  del  tuo  amante  narri  cosa 
Che  narrar  di  pochi  uomini  avvertisco. 
Che  sìa  in  amor  fedel  ;  eh'  affé  ti  giuro 
Gh'  in  ciò  pensai  eh'  ognun  fosse  pergiuro. 

40  Con  un  sospir  quesi'  ultime  parole 
Finì,  con  un  sospir  ch'usci  dal  core  ; 
Poi  disse  :  Andiamo  ;  e  nel  seguente  sole 
Giunsero  al  fiume,  al  passo  pien  d' orrore. 
Scoperte  dalla  guardia  che  vi  suole 
Farne  segno  col  corno  al  suo  signore, 

11  pagan  s'arma;  e,  quale  é  '1  suo  costume, 
Sul  ponte  s' appresenta  in  ripa  al  fiume  : 

41  E  come  vi  compar  quella  guerriera. 
Di  porla  a  morte  subito  minaccia, 
Quando  dell'arme  e  del  deslrier,  su  eh' era , 
Al  gran  sepolcro  oblazion  non  faccia. 
Bradamante  che  sa  l'istoria  vera, 

Come  per  lui  morta  Isabella  giaccia, 
Che  Fiordiligi  detto  le  l' avea. 
Al  Saracin  superbo  rispondea  : 

42  Perchè  vuoi  tu,  bestiai,  che  gl'innocenti 
Facciano  penilenzia  del  tuo  fallo  ? 

Del  sangue  tuo  placar  costei  convienti  : 
Tu  r  uccidesti  ;  e  tutto  '1  mondo  salto. 
Sì  che  di  tutte  l' arme  e  guernimenti 
Di  tanti  che  gittati  hai  da  cavallo. 
Oblazione  e  vittima  più  accetta 
Avrà,  ch'io  te  le  uccida  in  sua  vendetta. 

43  E  di  mia  man  le  fia  più  grato  il  dono , 
Quando,  com'ella  fu,  son  donna  anch'io: 
Né  qui  venuta  ad  altro  effetto  sono, 

Ch'  a  vendicarla  ;  e  questo  sol  disio. 

Ma  far  tra  noi  prima  alcun  patto  è  buono. 

Che  '1  tuo  valor  si  compari  col  mio. 

S' abbattuta  sarò,  di  me  farai 

Quel  che  degli  altri  tuoi  prigion  fatt'  hai  : 


270  ORLANDO  FORtOSO. 

44  Ma  sMo  i'  abbatta,  come  io  credo  e  spero, 
Guadagnar  voglio  il  tao  cavallo  e  l'armi, 

E  qaelle  offerir  sole  al  cimitero, 

£  tutte  r  altre  distaccar  da'  marmi  ; 

E  voglio  che  ta  lasci  ogni  guerriero. 

Rispose  Rodomonte  :  Giusto  parmi 

Che  sia  come  tu  di';  ma  i  prigion  darti 

Già  non  potrei,  ch'io  non  gli  ho  in  queste  parti. 

45  Io  gli  ho  al  mio  regno  in  Arrìca  mandati: 
Ma  ti  prometto  e  ti  do  ben  la  fede, 

Che  se  m' avvien  per  casi  inopinati 

Che  tu  stia  in  sella,  e  ch'io  rimanga  a  piede, 

Farò  che  saran  tutti  liberati 

In  tanto  tempo  quanto  si  richiede 

Di  dare  a  un  messo  eh'  in  fretta  si  mandi 

A  far  quel  che,  s'io  perdo,  mi  comandi. 

46  Ma  8*  a  te  tocca  star  di  sotto,  come 
Più  si  conviene,  e  certo  so  che  fia, 

Non  vo'  che  lasci  l' arme,  né  il  tuo  nome, 
Come  di  vinta,  sottoscritto  sia  : 
Al  tuo  bel  viso,  a' begli  occhi,  alle  chiome, 
Che  spiran  tutti  amore  e  leggiadria, 
Voglio  donar  la  mia  vittoria  ;  e  basti 
Che  ti  disponga  amarmi,  ove  m'odiasti. 

47  Io  son  di  tal  valor,  son  dì  tal  nerbo, 
Ch'  aver  non  dèi  d' andar  di  sotto  a  sdegno. 
Sorrise  alquanto,  ma  d' un  riso  acerbo, 
Che  fece  d'ira,  più  che  d'altro  segno, 

La  donna  :  né  rispose  a  quel  superbo  ; 
Ma  tornò  in  capo  al  ponticel  di  legno. 
Spronò  il  cavallo,  e  con  la  lancia  d' oro 
Venne  a  trovar  queir  orgoglioso  Moro. 

48  Rodomonte  alla  giostra  s' apparecchia  : 
Viene  a  gran  corso  ;  ed  è  si  grande  il  suono 
Che  rende  il  ponte,  ch'intronar  l'orecchia 
Può  forse  a  molti  che  lontan  ne  sono. 

La  lancia  d' oro  fé  l' usanza  vecchia  ; 
Che  quel  pagan,  si  dianzi  in  giostra  buono, 
Levò  di  sella,  e  in  aria  lo  sospese. 
Indi  sul  ponte  a  capo  ingiù  lo  stese* 


"ì 


CANTO  tRENTESIMOQUiKTÒ.  tH 

49  Nel  trapassar  ritrovò  appena  loco 
Ove  entrar  col  destrier  qaella  guerriera  ; 
£  fu  a  gran  risco,  e  ben  vi  mancò  poco, 
Gh'  ella  non  traboccò  nella  riviera  ; 

Ma  Rabicano,  il  quale  il  vento  e  '1  fuoco 
Concetto  avean,  si  destro  ed  agii  era,. 
Che  nel  margine  estremo  trovò  strada  ; 
E  sarebbe  ito  anco  s' un  fìl  di  spada. 

50  Ella  si  volta,  e  centra  rabbattuto 
Pagan  ritoma;  e  con  leggiadro  motto. 
Or  puoi,  disse,  veder  chi  abbia  perduto , 
E  a  chi  di  noi  tocchi  di  star  di  sotto. 
Di  maraviglia  il  pagan  resta  muto, 

Ch*  una  donna  a  cader  l' abbia  condotto  ; 
E  far  risposta  non  potè  o  non  volle, 
E  fu  come  nom  pien  di  stupore  e  folle. 

61  Di  terra  si  levò  tacfto  e  mesto  ; 

E  poi  eh'  andato  fu  quattro  o  sei  passi , 

Lo  scudo  e  Telmo,  e  dell' altre  arme  il  resto 

Tutto  si  trasse,  e  gittò  centra  i  sassi  ; 

E  solo  e  a  pie  fu  a  dileguarsi  presto  : 

Non  che  commission  prima  non  lassi 

A  un  suo  scudier,  che  vada  a  far  V  effetto 

Dei  prigion  suoi,  secondo  che  fu  detto. 

62  Partissi  ;  e  nulla  poi  più  se  n'  intese, 
•  Se  non  che  stava  in  una  grotta  scura. 

Intanto  Bradamante  avea  sospese 
Di  costui  r  arme  air  alta  sepoltura  ; 
E  fattone  levar  tutto  T arnese. 
Il  qual  dei  cavalieri,  alla  scrittura, 
Conobbe  della  corte  esser  di  Carlo, 
Non  levò  il  resto,  e  non  lasciò  levarlo. 

63  Oltr'a  quel  del  figlinol  di  Monodante, 
V'è  quel  di  Sansonetto  e  d'Oliviero, 
Che,  per  trovare  il  principe  d' Anglante, 
Quivi  condusse  il  più  dritto  sentiero. 
Quivi  far  presi,  e  furo  il  giorno  innante 
Mandati  via  dal  Saracino  altiero  : 

Di  questi  l' arme  fé  la  donna  tórre 
Dall'alta  mole,  e  chiuder  nella  torre, 


272  ORLANDO  FURIOSO. 

64     Tutte  r  altre  lasciò  pender  dai  sassi, 
Che  fur  spogliate  ai  cavalier  pagani. 
Y'eran  Tarme  d* un  re,  del  quale  i  passi 
Per  Frontalatte  mal  fur  spesi  e  vani  : 

10  dico  r  arme  del  re  de'  Circassi, 
Che  dopo  lungo  errar  per  colli  e  piani, 
Venne  quivi  a  lasciar  V  altro  destriero  ; 
£  poi  senz'  arme  andossene  leggero. 

55  S' era  partito  disarmato  e  a  piede 
Quel  re  pagan  dal  periglioso  ponte, 

Si  come  gli  altri,  ch'eran  di  sua  Fede, 

Partir  da  sé  lasciava  Rodomonte. 

Ma  di  tornar  più  al  campo  non  gli  diede 

11  cor;  ch'ivi  apparir  non  avria  fronte; 
Che,  per  quel  che  vanlossi,  troppo  scorno 
Gli  saria  farvi  in  tal  guisa  ritorno. 

56  Di  pur  cercar  nuovo  desir  lo  prese 
Colei  che  sol  avea  Ossa  nel  core. 

Fu  l'avventura  sua,  che  tosto  intese 

(lo  non  vi  saprei  dir  chi  ne  fu  autore] 

Ch'  ella  tornava  verso  il  suo  paese  : 

Ond'  esso,  come  il  punge  e  sprona  Amore, 

Dietro  alla  pesta  subito  si  pone. 

Ma  tornar  voglio  alla  Gglia  d' Amone. 

57  Poi  che  narrato  ebbe  con  altro  scritto, 
Come  da  lei  fu  liberalo  il  passo  ; 

A  Fiordiligi  eh'  avea  il  core  afiQitto, 
E  tenea  il  viso  lacrimoso  e  basso, 
Domandò  umanamente  ov*  ella  dritto 
Yolea  che  fosse,  indi  partendo,  il  passo. 
Rispose  Fiordiligi  :  Il  mio  cammino 
Yo'che  sia  in  Arli  al  campo  Saracino, 

58  Ove  navilio  e  buona  compagnia 
Spero  trovar,  da  gir  neir  altro  lite. 
Mai  non  mi  fermerò,  finchi'  io  non  sia 
Venuta  al  mio  signore  e  mio  marito. 
Voglio  tentar,  perchè  in  prìgion  non  stia, 
Pia  modi  e  più  :  che,  se  mi  vien  fallito 
Questo  che  Rodomonte  t' ha  promesso, 
Ne  voglio  avere  uno  ed  un  altro  appresso. 


CANTO  TRENTESIHOQUINTO.  273 

59  Io  m'offerisco,  disse  Bradamante, 

D' accompagnarti  un  pezzo  della  strada  y 
Tanto  che  tu  ti  vegga  Arli  davante, 
Ove  per  amor  mio  vo'  che  tu  vada 
A  trovar  quel  Ruggier  del  re  Agramante, 
Che  del  suo  nome  ha  piena  ógni  contrada; 
£  che  gli  rendi  questo  buon  destriero, 
Onde  abbattuto  ho  il  Saracino  altiero. 

60  Voglio  eh'  a  punto  tu  gli  dica  questo  : 
Un  cavalier  che  di  provar  si  crede, 

E  fare  a  tutto  '1  mondo  manifesto 
Che  contra  lui  sei  mancator  di  fede  ; 
Acciò  ti  trovi  apparecchiato  e  presto, 
Questo  destrier,  perch'io  tei  dia,  mi  diede. 
Dice  che  trovi  tua  piastra  e  tua  maglia, 
£  che  r  aspetti  a  far  teco  battaglia. 

01  Digli  questo,  e  non  altro  ;  e  se  quel  vuole 
Saper  da  te  ch'io  son,  di  che  noi  sai. 
Quella  rispose  umana  come  suole  : 

Non  sarò  stanca  in  tuo  servizio  mai 
Spender  la  vita ,  non  che  le  parole  ; 
Che  tu  ancora  per  me  cosi  fatto  hai. 
Grazie  le  rende  Bradamante,  e  piglia 
Frontino,  e  le  lo  porge  per  la  briglia. 

02  Lungo  il  fiume  le  belle  pellegrine 
Giovani  vanno  a  gran  giornate  insieme, 
Tanto  che  veggono  Arli,  e  le  vicine 
Bive  odon  risonar  del  mar  che  freme. 
Bradamante  si  ferma  alle  confine 
Quasi  de' borghi  ed  alle  sbarre  estreme, 
Per  dare  a  Fiord iligi  atto  intervallo. 
Che  condurre  a  Ruggier  possa  il  cavallo. 

03  Yien  Fìordiligi,  ed  entra  nel  rastrello. 
Nel  ponte  e  nella  porta;  e  seco  prende 
Chi  le  fa  compagnia  fino  all'  ostello 
Ove  abita  Ruggiero,  e  quivi  scende; 

£,  secondo  il  mandato,  al  damigello 

Fa  l'imbasciata,  e  il  buon  Frontin  gli  rende: 

Indi  va,  che  risposta  non  aspetta. 

Ad  eseguire  il  suo  bisogno  in  fretta. 


1 


274  OBLANDO  FURIOSO. 

64  Raggìer  riman  confoso  e  in  pensier  grande, 
E  non  sa  ritrovar  capo  né  via 

Di  saper  chi  Io  sfide,  e  chi  gli  mande 
A  dire  oltraggio,  e  a  fargli  cortesia. 
Che  costui  senza  fede  lo  domande, 
O  possa  domandar  nomo  che  sia. 
Non  sa  veder  né  immaginare;  e  prima, 
Ch'  ogni  altro  sia  che  Bradamante,  istima. 

65  Che  fosse  Rodomonte,  era  {hù  presto 
Ad  aver,  che  fosse  altri,  opinione  ; 

E  perchè  ancor  da  lai  debba  udir  questo, 
Pensa,  né  immaginar  può  la  cagione. 
Fuorché  con  lui,  non  sa  di  tutto  '1  resto 
Del  mondo  con  chi  lite  abbia  e  tenzone. 
In  tanto  la  donzella  di  Dordona 
Chiede  battaglia,  e  forte  il  corno  suona. 

66  Vien  la  nuova  a  Marsilio  e  ad  Agramante, 
Ch'  un  cavalier  di  fuor  chiede  battaglia. 

A  caso  Serpcntin  loro  era  avante. 
Ed  impetrò  di  vestir  piastra  e  maglia, 
E  promesse  pigliar  questo  arrogante. 
Il  popol  venne  sopra  la  muraglia  ; 
Né  fanciullo  restò,  né  restò  veglio. 
Che  non  fosse  a  veder  chi  fesse  meglio. 

67  Con  ricca  sopravvesta  e  bello  arnese 
Serpentin  dalla  Stella  in  giostra  venne. 
Al  primo  scontro  in  terra  si  distese  : 

11  destrier  aver  parve  a  fuggir  penne. 
Dietro  gli  corse  la  donna  cortese, 
E  per  la  brìglia  al  Saracin  lo  tenne, 
E  disse  :  Monta,  e  fa  che  '1  tuo  signore 
Mi  mandi  un  cavalier  di  te  migliore. 

68  II  re  african ,  eh'  era  con  gran  famiglia 
Sopra  le  mura  alla  giostra  vicino. 

Del  cortese  atto  assai  sì  maraviglia, 
Ch'  usato  ha  la  donzella  a  Serpentino. 
Di  ragion  può  pigliarlo,  e  non  lo  piglia, 
Diceva,  udendo  il  popol  Saracino. 
Serpentin  giunge  ;  e  com'  ella  comanda, 
Un  miglior  da  sua  parte  al  re  domanda. 


CANTO  TRBNTBSIBfOQCINTO.  275 

69  Grandonio  di  VoUerna  farìbondo, 
Il  più  superbo  cavalier  di  Spagna, 
Pregando  fece  si,  che  fu  il  secondo , 
£d  usci  con  minacce  alla  campagna  : 
Tua  cortesia  nulla  ti  vaglia  al  mondo  ; 
Che,  quando  da  me  vinto  tu  rimagna, 
Al  mio  signor  menar  preso  ti  voglio  : 
Ma  qui  morrai ,  s' io  posso  come  soglio. 

70  La  donna  disse  lui  :  Tua  villania 
Non  vo'  che  men  cortese  far  mi  possa, 
Ch'  io  non  ti  dica  che  tu  torni,  pria 
Che  sul  duro  terren  ti  doglian  Y  ossa. 
Ritorna,  e  di  al  tuo  re  da  parte  mia. 
Che  per  simile  a  te  non  mi  son  mossa  ; 

Ma  per  trovar  guerrier  che  '1  pregio  vaglia, 
Son  qui  venuta  a  domandar  battaglia. 

71  II  mordace  parlare  acre  ed  acerbo. 
Gran  fuoco  al  cor  del  Saracino  attizza  ; 
Si  che,  senza  poter  replicar  verbo, 
Volta  il  destrier  con  collera  e  con  stizza. 
Volta  la  donna,  e  centra  quel  superbo 
La  lancia  d' oro  e  Rabicano  drizza. 
Come  r  asta  fatai  lo  scudo  tocca. 

Coi  piedi  al  cielo  il  Saracin  trabocca. 

72  II  destrier  la  magnanima  guerriera 
Gli  prese,  e  disse:  Pur  tei  prediss'io. 
Che  far  la  mia  imbasciata  meglio  t'era. 
Che  della  giostra  aver  tanto  disio. 

Di  al  re,  ti  priego,  che  fuor  della  schiera 
Elegga  un  cavalier  che  sia  par  mio  ; 
Né  voglia  con  voi  altri  affalicarme, 
Ch'  avete  poca  esperienzia  d' arme. 

73  Quei  dalle  mura,  che  stimar  non  sanno 
Chi  sia  il  guerriero  in  su  Tarcion  si  saldo, 
Quei  più  famosi  nominando  vanno. 

Che  tremar  li  fan  spesso  al  maggior  caldo. 
Che  Brandimarte  sia,  molti  detto  hanno  : 
La  più  parte  s' accorda  esser  Rinaldo  : 
Molti  su  Orlando  avrian  fatto  disegno  ; 
Ma  il  suo  caso  sapean,  di  pietà  degno. 


276  oiLAXDO  rcuoso. 

74  La  terza  giostra  D  figlio  di  Lanfusa 
Chiedendo,  disse  :  Non  che  vincer  sperì, 
Ma  perchè  di  cader  più  degna  scasa 
Abbian,  cadendo  anch'io,  questi  goerrìerì. 
E  poi  di  lotto  qod  eh'  in  giostra  s*  usa. 

Si  messe  in  ponto  ;  e  di  cento  destrìerì 
Che  tenea  in  staila,  d'nn  tolse  l' eletta, 
Ch'  ayea  il  correre  acconcio,  e  di  gran  fretta. 

75  Contra  la  donna  per  giostrar  si  fece; 
Ma  prima  salalolla,  ed  ella  lai. 
Disse  la  donna  :  Se  saper  mi  lece, 
Ditemi  in  cortesìa  chi  siate  yoì. 

Di  questo  Ferraù  la  satisfece  ; 
Ch'  usò  di  rado  di  celarsi  aUrui. 
Ella  soggiunse:  Voi  già  non  rifiato; 
Ma  ayria  pia  Yolentieri  altri  voluto. 

76  E  chi?  Ferraà  disse.  Ella  rispose  : 
Ruggiero;  e  appena  il  potè  proferire, 
E  sparse  d' un  color,  come  di  rose, 
La  bellissima  faccia  in  questo  dire. 
Soggiunse  al  detto  poi  :  Le  cai  famose 
Lode  a  tal  prova  m' han  fatto  venire. 
Altro  non  bramo,  e  d' altro  non  mi  cale. 
Che  di  provar  com'  egli  in  giostra  vale. 

77  Semplicemente  disse  le  parole 

Che  forse  alcuno  ha  già  prese  a  malizia. 
Rispose  Ferraà  :  Prima  si  vuole 
Provar  tra  noi  chi  sa  più  di  milizia. 
Se  di  me  avvien  quel  che  di  molli  suole. 
Poi  verrà  ad  emendar  la  mia  tristizia 
Quel  gentil  cavalier  che  tu  dimostri 
Aver  tanto  desio  che  teco  giostri. 

7S      Parlando  tutta  volta  la  donzella, 
Teneva  la  visiera  alta  dal  viso. 
Mirando  Ferraù  la  faccia  bella, 
Si  sente  rimaner  mezzo  conquiso  ; 
E  taciturno  dentro  a  sé  favella  : 
Questo  un  angel  mi  par  del  paradiso  ; 
E  ancorché  con  la  lancia  non  mi  tocchi , 
Abbattuto  son  già  da'  suoi  begli  occhi. 


CANTO  TRENTESIBIOQUINTO. 


277 


79  Preson  del  campo:  e,  come  agli  altri  avvenne , 
Ferraù  se  n'  usci  di  sella  netto. 

Bradamante  il  destrier  suo  gli  ritenne, 
E  disse:  Torna,  e  serva  quel  e' hai  detto. 
Ferraù  vergognoso  se  ne  venne, 
E  ritrovò  Ruggier  eh'  era  al  conspetto 
Del  re  Agramante  ;  e  gli  fece  sapere 
Ch'  alla  battaglia  il  cavalier  lo  chere. 

80  Ruggier,  non  conoscendo  ancor  chi  fosse 
Che  a  sfidar  lo  mandava  alla  battaglia. 
Quasi  certo  di  vincere,  allegrosse; 

E  le  piastre  arrecar  fece  e  la  maglia  : 
Né  r  aver  visto  alle  gravi  percosse 
Che  gli  altri  sian  caduti,  il  cor  gli  smaglia. 
Come  s'armasse,  e  come  uscisse,  e  quanto 
Poi  ne  segui,  lo  serbo  all' altro  Canto. 


WOTS. 


St.  ^,p.b'%,'^E  scórse  §m  vello  ee. 
Io  qnel  vello  si  denota  il  corso  Titale  del 
cardinale  Ippolito  da  Este,  ch'ebbe  l'A- 
riosto in  soa  corte. 

St.  4.  ».  6-8 Che  venti  anni  pri" 

ma  ee.  Il  cardinale  Ippolito  nacque 
nel  i479|  ed  erano  allora  compiuti 
fenti  anni  prima  del  1500. 

St.  9.  V.  6.  —  Soffblti.-  sostenuti. 

St.  il.  V.  lj—-Edin  qneljiume,  che 
Late  si  noma  .*  fiume  dell'  obblio»  finto 
dal  Poeta  nella  luna,  come  Dante  lo 
finse  nel  paradiso  terrestre. 

St.  14.  V.  6. —  Come  è  la  vo^ 
stra  insegnai  come  l'aquila  di  casa 
d'Este. 

St.  84.  V.  7.  —  Cirra  .*  cittk  nella 
Focide,  presso  Delfo,  alle  radici  del 
Parnaso.  I  poeti  la  finsero  starna  delle 
Muse;  ed  k  qui  nominata  per  indicare 
i  poeti. 

St.  S5. 9,  ^—.Ba fatto  porre  .*  cosi 
legge  l'ediiione  del  1616,  e  non  han 
fatt9  porre,  come  altre  leggono. 

St.  28.  V.  2.  —  Elisa  t  ossb  Didone, 


regina  di  Cartagine.  Vedi  mXL* Eneide 
i  di  lei  amori  con  Enea. 

St,  31.  V.  ò Con  grave  telo: 

con  acuto  dardo» 

St.  33.  V.  5-6 —  Questa  era  queU 
la  ee.  Fiordiligi.  —  Lojìgliuol  di  Mo' 
nodanie:  Brandimarte. 

«yt.  34.  V.  2.3.  —  Lontra  ee.  Ani- 
male rapace  ed  anfibio. 

St.  40.  «^.  8.  —  .y  appresenta.  Cosi 
ha  l'ediiione  del  1516;  e  si  è  creduto 
dover  preferire  questa  lesione  alla  co- 
mune s'  apparecchia» 

St.bi.  v.ò. — Delre  de'Circassi: 
di  Sacripante,  primo  posseditore  di 
Frontalatte,  che,  venuto  in  poter  di 
Ruggiero,  fu  poi  detto  Frontino.  Vedi 
la  St.  71  del  Canto  XXVII. 

St.  70.  V.  6-8.— iVoj»  mison  mos» 
sa...  Son  qui  venuta»  Sì  può  facilmente^ 
perdonare  al  Poeta  l' abbaglio  di  avete 
con  quei  due  aggiunti  manifestato  il 
sesso  di  Bradamante,  quando  nella 
St.  60,  V.  2,  essa  medesima  si  dice  ca» 
«'a/ierej*  e  tale  vien  creduta,  nella  Starna 
24 


278  OBLA!nM>  FCUOSO. 

Ta^Agli  ■pctlJtoriJdnwliHiiwiBH    i         5iL80.r.6.  —  Il em- gli tmmgnm 
St.  77.  r.  5^.  Hk-  aM&i.  L'cdbàow  1  SmmgiUre  «ale  ] 


CAHT9   mEXTESIlIMIE9T9« 


PMiisUada  BnaanaBte  nello  sfiaan  Roggioo»  Xarfisa,  che  lo  ha  preveiralo,  h 
nNCsdaU  pia  toIu  dalla  magica  lancia;  e  allora  si  accende  miichia  tra  i  cava- 
Keri  deir  on  campo  e  delT  allro  ,  spetutorì  della  contesa.  Bradamante,  che  fra 
qnelU  ha  lieonoscsnto  Rof  giero^  si  scaglia  contro  di  Ini  ;  ma  non  soSèrcndo  di 
faif  ti  oltraggio,  si  getU  su  ■  Mori  e  li  disperde.  Ridottasi  poi  con  Ruggiero  in 
luogo  appartato,  in  cni  sorge  un  avello,  ivi  giunge  Marfisa,  con  la  quale  Bra- 
damante si  attacca  di  nuovo.  Ruggiero  si  sforsa  invano  di  separare  le  due  com- 
battenti; e  mentr'egli  pure  e*9Ììt  prese  con  Tostinata  Ifaifisa,  una  voce  uscita 
dall'  avello  li  manifesta  per  fratdio  e  sorella. 

i      Convìen  ch'ovanqae  sia,  sempre  cortese 
Sia  un  cor  gentil,  eh'  esser  non  paó  allrimente  ; 
Che  per  natura  e  per  abito  prese 
Quel  che  di  mutar  poi  non  ò  possente. 
Convien  eh'  ovunque  sia,  sempre  palese 
Un  cor  villan  si  mostri  similmente. 
Natura  inchina  al  male  ;  e  viene  a  farsi 
L' abito  poi  difficile  a  mutarsi. 

2  Di  cortesia,  di  gentilezza  esempj 
Fra  gli  antiqui  guerrier  si  vider  molti, 
E  pochi  fra  i  moderni  ;  ma  degli  empj 
Costumi  avvien  eh'  assai  ne  vegga  e  ascolti. 
In  quella  guerra,  Ippolito,  che  i  tempj 

Di  segni  ornaste  agi'  inimici  tolti, 
£  che  traeste  lor  galee  captive 
Di  preda  carche  alle  paterne  rive, 

3  Tutti  gli  atti  crudeli  ed  inumani 

Ch*  usasse  mai  Tartaro  o  Turco  o  Moro, 
Non  già  con  volontà  de' Veneziani, 
Che  sempre  esempio  di  giustìzia  foro, 
Usaron  l' empie  e  scellerate  mani 
Di  rei  soldati,  mercenarj  loro. 
Io  non  dico  or  di  tanti  accesi  fuochi , 
Ch'arson  le  ville  e  i  nostri  ameni  lochi. 


'  CANTO  TRENTESIMOSESTO.  279 

4  Benché  fu  quella  ancor  brutta  vendetta  y 
Slassimamente  contra  voi,  ch'appresso 
Cesare  essendo,  mentre  Padua  stretta 
Era  d'assedio,  ben  sapea  che  spesso 

Per  voi  più  d' una  fiamma  fu  interdetta, 
£  spento  il  fuoco  ancor,  poi  che  fu  messo. 
Da  villaggi  e  da  templi  ;  come  piacque 
All'  alta  cortesia  che  con  voi  nacque. 

6     Io  non  parlo  di  questo,  nò  dì  tanti 
Altri  lor  discortesi  e  crudeli  atti  ; 
Ma  sol  di  quel  che  trar  dai  sassi  ì  pianti 
Debbe  poter,  qual  volta  se  ne  tratti. 
Quel  di,  signor,  che  la  famiglia  innanti 
Vostra  mandaste  là  dove  ritratti 
Dai  legni  lor  con  importuni  auspici 
S' erano  in  luogo  forte  gì'  inimici  : 

6  Qual  Ettorre  ed  Enea  sin  dentro  ai  flutti. 
Per  abbruciar  le  navi  greche,  andaro  ; 

Un  Ercol  vidr'e  un  Alessandro,  indutti 
Da  troppo  ardir,  partirsi  a  paro  a  paro  ; 
£  spronando  i  destrier,  passarci  tutti, 
E  i  nemici  turbar  fin  nel  riparo  ; 
£  gir  si  innanzi,  ch'ai  secondo  molto 
Aspro  fu  il  ritornare,  e  al  primo  tolto. 

7  Salvossi  il  Ferruffin,  restò  il  Gantelmo. 
Che  cor,  duca  di  Sora,  che  consiglio 

Fu  allora  il  tuo,  che  trar  vedesti  l' elmo 

Fra  mille  spade  al  generoso  figlio, 

E  menar  preso  a  nave,  e  sopra  un  schelmo 

Troncargli  il  capo  ?  Ben  mi  maraviglio 

Che  darti  morte  lo  spettacol  solo 

Non  potò,  quanto  il  ferro  a  tuo  figliuolo. 

5  Schiavon  crudele,  onde  hai  tu  il  modo  appreso 
Della  milizia?  In  qual  Scizia  s'intende 
Ch'uccider  si  debba  un,  poi  ch'egli  é  preso, 
Che  rende  l'arme,  e  più  non  sì  difende? 
Dunque  uccidesti  lui,  perchò  ha  difeso 

La  patria?  Il  sole  a  torto  oggi  risplende, 
Crodel  secolo ,  poi  che  pieno  sei 
Dì  Tiesti,  di  Tantali  e  di  Atrei. 


280  OBLAHDO  FIJUOSO. 

f     Festi,  Baiiiar  cradH,  del  capo  scemo 
Il  più  ardilo  ganon  cbe  dì  sua  etade 
Fosse  da  od  polo  all'  altro,  e  dalF  estremo 
Lito  degf  Indi  a  qoeOo  ore  il  Sol  cade. 
Potea  in  Antropo6go,  in  Polifemo 
La  bella  e  gli  anni  sooi  trorar  pleiade  ; 
Ma  non  in  te,  più  erodo  e  più  feDooe 
IKogni  Gclope  e  d*ogni  Lestrìgone. 

10  Simile  esempio  non  credo  che  sia 
Fra  gli  antiqui  goerrìer,  di  qoai  il  stadi 
Tatti  fmr  gentilezza  e  cortesia  ; 

Né  dopo  la  vittoria  erano  erodi 
Bradamante  non  sol  non  era  rìa 
A  qoei  ch'ayea,  toccando  lor  gli  scodi , 
Fatto  oscir  della  sella  ;  ma  tenea 
Loro  i  cavalli,  e  rimontar  facea. 

11  Di  questa  donna  valorosa  e  bella 

10  vi  dissi  di  sopra,  che  abbattoto 
Aveva  Serpentin  qoei  daMi  Stella, 
Grandonio  di  Volterna  e  Ferraoto, 

E  ciascun  d' essi  poi  rimesso  in  sella  ; 
E  dissi  ancor,  che  il  terzo  era  venuto, 
Da  lei  mandato  a  disGdar  Ruggiero, 
Là  dove  era  stimata  un  cavaliero. 

12  Ruggier  tenne  lo  'nvito  allegramente, 
£  r  armatura  sua  fece  venire. 

Or,  mentre  che  s'armava,  al  re  presente 
Tornaron  quei  signor  di  nuovo  a  dire, 
Chi  fosse  il  cavalìer  tanto  eccellente, 
Che  dì  lancia  sapea  si  ben  ferire; 
£  Ferraù,  che  parlalo  gli  avea. 
Fu  domandalo  se  lo  conoscea. 

13  Rispose  Ferraù:  Tenete  certo 

Che  non  è  alcun  di  quei  eh'  avete  dello. 
A  me  parea,  eh'  il  vidi  a  viso  aperto, 

11  fratel  di  Rinaldo  giovinetto; 

Ma  poi  eh'  io  n'  ho  l' alto  valore  esperto, 
£  so  che  non  può  tanto  Ricciardetto, 
Penso  che  sia  la  sua  sorella,  molto 
(Per  quel  ch'io  n'odo)  a  lai  simil  di  volto. 


CANTO  TRENTESIltOSBSTO.  281 

ié     Ella  ha  ben  fama  d' esser  forte  a  pare 
Del  suo  Rinaldo  e  d' ogni  paladino; 
Ma,  per  qnanto  io  ne  veggo  oggi,  mi  pare 
Che  vai  più  del  fratel,  più  del  cugino. 
Come  Ruggier  lei  sente  ricordare. 
Del  vermiglio  color  che  'I  mattatine 
Sparge  per  l'aria,  si  dipinge  in  faccia, 
E  nel  cor  trìema,  e  non  sa  che  si  faccia. 

15     A  qoesto  annunzio,  stimolato  e  punto 
Dall'amoroso  strai,  dentro  infiammarse, 
E  per  r  ossa  senti  tutto  in  un  punto 
Correre  un  giaccio  che  1  timor  vi  sparse  ; 
Timor  eh'  un  nuovo  sdegno  abbia  consunto 
Quel  grande  amor  che  già  per  lui  si  l' arse. 
Di  ciò  confuso,  non  si  risolveva, 
S*  incontra  uscirle,  oppur  restar  doveva. 

i6     Or  quivi  ritrovandosi  MarGsa, 

Che  d' uscire  alla  giostra  avea  igran  voglia, 
Ed  era  armata,  perchè  in  altra  guisa 
È  raro,  o  notte  o  di,  che  tu  la  coglia  ; 
Sentendo  che  Ruggier  s'arma,  s'avvisa 
Che  di  quella  vittoria  ella  si  spoglia, 
Se  lascia  che  Ruggiero  esca  fuor  prima  : 
Pensa  ire  innanzi,  e  averne  il  pregio  stima. 

17  Salta  a  cavallo,. e  vien  spronando  in  fretta 
Ove  nel  campo  la  6glia  d' Amone 

Con  palpitante  cor  Ruggiero  aspetta, 
Desiderosa  farselo  prigione; 
E  pensa  solo  ove  la  lancia  metta. 
Perchè  del  colpo  abbia  minor  lesione, 
liarfisa  e^  ne  vien  fuor  della  porta, 
E  sopra  l'elmo  una  fenice  porta: 

18  O  sia  per  sua  superbia,  dinotando 

Sé  stessa  unica  al  mondo  in  esser  forte; 
O  pur  sua  casta  intenzion  lodando. 
Di  viver  sempre  mai  senza  consorte. 
La  figliuola  d' Amen  la  mira  ;  e  quando 
Le  fattezze  eh'  amava  non  ha  scorte, 
Come  si  nomi  le  domanda;  et  ode 
Esser  colei  che  del  suo  amor  si  gode  ; 

24* 


282  ORLANDO  FURIOSO. 

i9     Of  per  dir  mefglio,  esser  colei  che  crede 
Che  goda  del  suo  amor,  colei  che  tanto 
Ha  in  odio  e  in  ira,  che  morir  si  vede, 
Se  sopra  lei  non  vendtct  il  suo  pianto. 
Volta  il  cavallo ,  e  con  gran  furia  riede, 
Non  per  desir  di  porla  in  terra,  quanto 
Di  passarle  con  V  asta  in  mezzo  il  petto, 
E  libera  restar  d' ogni  saspetto. 

I  so     Forza  è  a  MarGsa  eh'  a  quel  colpo  yada 

A  provar  se  '1  terreno  è  duro  o  molle  ; 
E  cosa  tanto  insolita  le  accada, 
Gh'  ella  n'  é  per  venir  di  sdegno  folle. 
Fu  in  terra  appena,  che  trasse  la  spada, 
E  vendicar  di  quel  cader  si  volle. 
La  figliuola  d' Amen  non  meno  altiera 
Gridò:  Che  fai?  tu  sei  mia  prigioniera. 

21     Sebbene  uso  con  gli  altri  cortesia. 
Usar  teco,  Marfisa,  non  la  voglio; 
Come  a  colei  che  d' ogni  villania 
Odo  che  sei  dotata  e  d' ogni  orgoglio. 
Marfisa  a  quel  parlar  fremer  s' udìa 
Come  un  vento  marino  in  uno  scoglio. 
Grida,  ma  si  per  rabbia  si  confonde. 
Che  non  può  esprimer  fuor  quel  che  risponde. 

ss     Mena  la  spada,  e  più  ferir  non  mira 
Lei,  che  '1  destrier,  nel  petto  e  nella  pancia; 
Ma  Bradamante  al  suo  la  briglia  gira, 
£  quel  da  parte  subito  si  lancia  ; 
E  tutto  a  un  tempo  con  isdegno  ed  ira 
La  figliuola  d' Amen  spinge  la  lancia, 
E  con  quella  Marfisa  tocca  appena, 
Che  la  fa  riversar  sopra  r  arena. 

23     Appena  ella  fa  in  terra,  che  rizzosse, 
Cercando  far  con  la  spada  mal'  opra. 
Di  nuovo  Tasta  Bradamante  mosse, 
E  Marfisa  di  nuovo  andò  sozzopra. 
Benché  possente  Bradamante  fosse, 
Non  però  si  a  Marfisa  era  di  sopra, 
Che  r  avesse  ogni  colpo  riversata; 
Ma  tal  virtù  neir  asta  era  incantata. 


CANtO  TRENTESiafOSESTO.  ^S^ 

24     Alcuni  cavalieri  in  questo  mezzo. 
Alcuni,  dico,  della  parie  nostra 
Se  n'  erano  venuti  dove,  in  mezzo 
L'un  campo  e  l'altro,  si  facea  la  giostra 
(Che  non  eran  lontani  un  miglio  e  mezzo) , 
Veduta  la  virtù  che  '1  suo  dimostra; 
Il  suo,  che  non  conoscono  altri  mente 
Che  per  un  cavalìer  della  lor  gente. 

26     Questi  vedendo  il  generoso  figlio 
Di  Troiano  alle  mura  approssimarsi, 
Per  ogni  caso ,  per  ogni  periglio 
Non  volse  sprovveduto  ritrovarsi  ; 
E  fé  che  molti  air  arme  dier  di  piglio, 
£  che  fuor  dei  ripari  appresentàrsi. 
Tra  questi  fu  Ruggiero,  a  cui  la  fretta 
Di  Marfisa  la  giostra  avea  intercetta. 

26  L' innamorato  giovene  mirando 
Stava  il  successo,  e  gli  tremava  il  core. 
Della  sua  cara  moglie  dubitando  ; 

Che  di  Marfisa  ben  sapea  il  valore. 
Dubitò,  dico,  nel  princìpio,  quando 
Si  mosse  1*  una  e  V  altra  con  furore  ; 
Ma  visto  poi  come  successe  il  fatto. 
Restò  maraviglioso  e  stupefatto  : 

27  E  poiché  fin  la  lite  lor  non  ebbe. 

Come  avean  Y  altre  avuto,  al  primo  incontro* 
Nel  cor  profondamente  gli  ne  'ncrebbe, 
Dubbioso  pur  di  qualche  strano  incontro. 
'  Deir  una  egli  e  dell'  altra  il  ben  vorrebbe , 
Ch'  ama  amendue  ;  non  che  da  porre  incontro 
Sien  questi  amori:  è  1*  un  fiamma  e  furore, 
V  altro  benivolenza  più  eh'  amore. 

28  Partita  volentier  la  pugna  avria. 
Se  con  suo  onor  potuto  avesse  farlo. 

Ma  quei  ch'egli  avea  seco  in  compagnia, 
Perchè  non  vinca  la  parte  di  Carlo, 
Che  già  lor  par  che  superior  ne  sia, 
Saltan  nel  campo,  e  vogliono  turbarlo. 
Dall'  altra  parte  i  cavalier  cristiani 
Si  fanno  innanzi ,  e  son  quivi  alle  mani* 


284  OILANDO  FUtiosa 

29  Di  qua  di  là  gridar  si  sente  all'  arme, 
Come  osati  eran  far  quasi  ogni  giorno. 
Monti  chi  è  a  pie,  chi  non  è  armato  s' arme, 
Alla  bandiera  ognan  faccia  ritorno, 

Dicea  con  chiaro  e  bellicoso  carme 
Più  d*  ona  tromba  che  scorrea  d' intomo: 
E  come  quelle  svegliano  i  cavalli. 
Svegliano  i  fanti  i  timpani  e  i  taballi. 

30  La  scaramuccia  fiera  e  sangainosa» 
Quanto  si  possa  immaginar,  si  mesce. 
La  donna  di  Dordona  yalorosa, 

A  cui  mirabilmente  aggrava  e  incresoe 
Che  quel  di  eh'  era  tanto  disìosa, 
Di  por  Marfisa  a  morte,  non  riesce  ; 
Di  qua  di  là  si  volge  e  si  raggira. 
Se  Ruggier  può  veder,  per  cui  sospira. 

SI     Lo  riconosce  all'  aquila  d' argento 
€'  ha  nello  scodo  azzurro  il  giovinetto. 
Ella  con  gli  occhi  e  col  pensiero  intento 
Si  ferma  a  contemplar  le  spalle  e  '1  petto, 
Le  leggiadre  fattezze,  e  1  movimento 
Pieno  di  grazia  ;  e  poi  con  gran  dispetto, 
Immaginando  ch'altra  ne  gioisse, 
Da  furore  assalita  cosi  disse  : 

Si     Dunque  baciar  si  belle  e  dolci  labbia 
Deve  altra,  se  baciar  non  le  poss'  io? 
Ah  non  sia  vero  già  eh'  altra  mai  t' abbia  ; 
Che  d'altra  esser  non  dèi,  se  non  sei  mio. 
Piuttosto  che  morir  sola  di  rabbia, 
Che  meco  di  mia  man  mori,  disio; 
Che  sebben  qui  ti  perdo,  almen  l'inferno 
Poi  mi  ti  renda,  e  sUi  meco  in  eterno. 

33     Se  tu  m' eccidi,  è  ben  ragion  che  deggi 
Darmi  della  vendetta  anco  conforto  ; 
Chò  voglion  tutti  gli  ordini  e  le  leggi, 
Che  chi  dà  morte  altrui,  debba  esser  morto. 
Nò  par  eh'  anco  il  tao  danno  il  mio  pareggi: 
Chò  to  mori  a  ragione,  io  moro  a  torto. 
Farò  morir  chi  brama,  oimè!  eh'  io  mora  ; 
Ma  tOy  crudele  chi  t' ama  e  chi  t' adora. 


CANTO  TREMTESIMOSESTO.  28i$ 

34  Perché  non  dèi  tu,  mano,  essere  ardita 
D'aprir  col  ferro  al  mio  nimico  il  core? 
Che  tante  volte  a  morte  m' ha  ferita 
Sotto  la  pace  in  sicurtà  d' amore  > 

Ed  or  può  consentir  termi  la  vita. 
Né  pur  aver  pietà  del  mio  dolore. 
Centra  quest'empio  ardisci,  animo  forte: 
Vendica  mille  mìe  con  la  sua  morte. 

35  Gli  sprona  centra  in  questo  dir;  ma  prima. 
Guardati,  grida,  perOdo  Ruggiero  : 

Tu  non  andrai,  s'io  posso,  della  opima 
.    Spoglia  del  cor  d' una  donzella  altiero. 
Come  Ruggiero  ode  il  parlare,  estima 
Che  sia  la  moglie  sua,  com'era  in  vero; 
La  cui  voce  in  memoria  si  bene  ebbe, 
Ch'in  mille  riconoscer  la  potrebbe. 

36  Ben  pensa  quel  che  le  parole  denno 
Volere  inferir  più  ;  eh'  ella  V  accusa 
Che  la  convenzion  ch'insieme  fenno. 
Non  le  osservava:  onde,  per  farne  iscusa. 
Di  volerle  parlar  le  fece  cenno. 

Ma  quella  già  con  la  visiera  chiusa 
Venia,  dal  dolor  spinta  e  dalla  rabbia ^ 
Per  porlo,  e  forse  ove  non  era  sabbia. 

37  Quando  Ruggier  la  vede  tanto  accesa. 
Si  ristringe  neli'  arme  e  nella  sella  : 

La  lancia  arresta  ;  ma  la  tien  sospesa , 

Piegata  in  parte  ove  non  nuoccia  a  quella. 

La  donna,  eh' a  ferirlo  e  a  fargli  offesa 

Venia  con  mente  di  pietà  rubella, 

Non  potè  sofferir,  come  fu  appresso, 

Di  porlo  in  terra,  e  fargli  oltraggio  espresso. 

38  Cosi  lor  lance  van  d' effetto  vuote 

A  quello  incontro  ;  e  basta  ben  s' Amore 
Con  l'un  giostra  e  con  l'altro,  e  gli  percuote 
D' una  amorosa  lancia  in  mezzo  il  core. 
Poi  che  la  donna  sofferir  non  puote 
Di  far  onta  a  Ruggier,  volge  il  furore, 
Che  r  arde  il  petto,  altrove  ;  e  vi  fa  cose 
Che  saran,  Gnchè  giri  il  ciel,  famose. 


286  ORLANDO  FURIOSO. 

39  In  poco  spazio  ne  gittò  per  terra 
Trecento  e  più  con  quella  lancia  d' oro. 
Ella  sola  quel  di  vinse  la  guerra, 
Messe  ella  sola  in  fuga  il  popol  moro. 
Ruggier  di  qua  di  là  s' aggira  ed  erra 
Tanto,  che  se  le  accosta  e  dice:  Io  moro, 
S' io  non  ti  parlo  :  oimè  !  che  t' ho  fatt'  io, 
Che  mi  debbi  fuggire?  Odi,  per  Dio. 

40  Come  ai  meridional  tiepidi  venti, 
Che  spirano  dal  mare  il  fiato  caldo. 
Le  nievi  si  disciolveno  e  i  torrenti, 

£  il  ghiaccio  che  pur  dianzi  era  sì  saldo  ; 

Cosi  a  quei  prieghi,  a  quei  brevi  lamenti 

Il  cor  della  sorella  di  Rinaldo 

Subito  ritornò  pietoso  e  molle. 

Che  l'ira,  più  che  marmo,  indurar  volle. 

41  Non  vuol  dargli, 0  non puote,  altra  risposta; 
Ma  da  traverso  sprona  Rabicano, 

E  quanto  può  dagli  altri  si  discosta. 
Ed  a  Ruggiero  accenna  con  la  mano. 
Fuor  della  moltitudine  in  reposta 
Valle  si  trasse,  ov'era  un  piccol  piano, 
Ch'  in  mezzo  avea  un  boschetto  di  cipressi 
Che  parean  d' una  stampa  tutti  impressi. 

42  In  quel  boschetto  era  di  bianchi  marmi 
Fatta  di  nuovo  un'  alla  sepoltura. 

Chi  dentro  giaccia,  era  con  brevi  carmi 
Notato  a  chi  saperlo  avesse  cura. 
Ma  quivi  giunta  Bradamante,  parmi 
Che  già  non  pose  mente  alla  scrittura. 
Ruggier  dietro  il  cavallo  affretta  e  punge 
Tanto,  eh'  al  bosco  e  alla  donzella  giunge. 

43  Ma  ritorniamo  a  Marfisa,  che  s' era 
In  questo  mezzo  in  sul  destrier  rimessa, 
E  venia  per  trovar  quella  guerriera 

Che  l'avea  al  primo  scontro  in  terra  messa; 
E  la  vide  partir  fuor  della  schiera, 
£  partir  Ruggier  vide,  e  seguir  essa  ; 
Né  si  pensò  che  per  amor  seguisse. 
Ma  per  finir  con  l' arme  ingiurie  e  risse. 


CANTO  TBENTESIMOSESTO.  287 

Ai     Urta  il  cavallo,  e  vien  dietro  alla  pesta 
Tanto,  eh'  a  un  tempo  con  lor  quasi  arriva. 
Quanto  sua  giunta  ad  ambi  sia  molesta» 
Chi  vive  amando  il  sa,  senza  eh'  io  'i  scriva. 
Ma  Bradamanle  offesa  più  ne  resta; 
Che  colei  vede,  onde  il  suo  mal  deriva. 
Chi  le  può  tor  che  non  creda  esser  vero 
Che  r  amor  ve  la  sproni  di  Ruggiero? 

45  E  perfido  Ruggier  di  muovo  chiama. 
Non  ti  bastava,  perfido,  disse  ella. 
Che  tua  perfidia  sapessi  per  fama, 

Se  non  mi  facevi  anco  veder  quella? 
Di  cacciarmi  da  te  veggo  e'  hai  brama . 
£  per  sbramar  tua  voglia  inìqua  e  fella, 

10  vo'  morir  ;  ma  sforzerommi  ancora 
Che  muora  meco  chi  è  cagion  eh'  io  mora. 

46  Sdegnosa  più  che  vipera,  si  spicca 
Cosi  dicendo,  e  va  centra  Marfìsa  ; 
Ed  allo  scudo  Y  asta  si  le  appicca,- 
Che  la  fa  addietro  riversare  in  guisa. 
Che  quasi  mezzo  V  elmo  in  terra  ficca  ; 
Né  si  può  dir  che  sìa  colta  improvvisa: 
Anzi  fa  incontra  ciò  che  far  si  puote  ; 
Eppure  in  terra  del  capo  percuote. 

47  La  figliuola  d'Amen,  che  vuol  morire 
0  dar  morte  a  Marfìsa,  è  in  tanta  rabbia. 
Che  non  ha  mente  di  nuovo  a  ferire 

Con  r  asta,  onde  a  gittar  di  nuovo  l'abbia  ; 
Ma  le  pensa  dal  busto  dipartire 

11  capo  mezzo  fìtto  nella  sabbia  : 
Getta  da  sé  la  lancia  d' oro,  e  prende 
La  spada,  e  del  destri er  subito  scende. 

4S     Ma  tarda  è  la  sua  giunta  :  che  si  trova 
Marfìsa  incontra,  e  di  tanta  ira  piena 
(Poiché  s' ha  vista  alla  seconda  prova 
Cader  si  facilmente  su  l'arena), 
Che  pregar  nulla,  e  nulla  gridar  giova 
A  Ruggier,  che  di  questo  avea  gran  pena  : 
Si  l' odio  e  r  ira  le  guerriere  abbaglia, 
Che  fan  da  disperate  la  battaglia* 


ORLANDO  FURIOSO. 

49  A  mezza  spada  vengono  di  botto  ; 

E  per  ]a  gran  superbia  che  1*  ha  accese, 
Yan  pur  innanzi,  e  si  son  già  si  sotto, 
Ch'  altro  non  paon  che  venire  alle  prese. 
Le  spade,  il  cui  bisogno  era  interrotto, 
Lascian  «adere,  e  cercan  nuove  offese. 
Priega  Ruggiero  e  supplica  amendue  ; 
Ma  poco  frutto  han  le  parole  sue. 

50  Quando  pur  vede  che  '1  pregar  non  vale, 
Di  partirle  per  forza  si  dispone  : 

Leva  di  mano  ad  amendue  il  pugnale, 
Ed  al  pie  d' un  cipresso  li  ripone. 
Poiché  ferro  non  han  più  da  far  male,  . 
Con  prieghi  e  con  minacce  s' interpone  : 
Ma  tutto  è  invan  :  che  la  battaglia  fanno 
A  pugni  e  a  calci,  poi  eh*  altro  non  hanno. 

51  Ruggier  non  cessa  ;  or  V  una  or  Y  altra  preRde 
Per  le  man,  per  le  braccia,  e  la  ritira; 

£  tanto  fa  che  di  MarGsa  accende 
Centra  di  sé,  quanto  si  può  piìi,  Tira. 
Quella,  che  tutto  il  mondo  vilipende. 
Air  amicizia  di  Ruggier  non  mira. 
Poi  che  da  Bradamante  si  distacca, 
Gorre  alla  spada,  e  con  Ruggier  s' attacca. 

52  Tu  fai  da  discortese  e  da  villano, 
Ruggiero,  a  disturbar  la  pugna  altrui  ; 
Ma  ti  farò  pentir  con  questa  mano. 
Che  vo'  che  basti  a  vincervi  ambedui. 
Cerca  Ruggier  con  parlar  molto  umano 
MarGsa  mitigar;  ma  centra  lui 

La  trova  in  modo  disdegnosa  e  fiera, 
Ch'  un  perder  tempo  ogni  parlar  seco  era. 

63      Air  ultimo  Ruggier  la  spada  trasse. 
Poiché  l' ira  anco  lui  fé  rubicondo. 
Non  credo  che  spettacolo  mirasse 
Atene  o  Roma  o  luogo  altro  del  mondo, 
Che  cosi  a'  riguardanti  dilettasse,  . 
Come  dilettò  questo  e  fu  giocondo 
Alla  gelosa  firadamante,  quando 
Questo  le  pose  ogni  sospetto  in  bando. 


CANTO  TRENTESIMOSESTO.  289 

64  La  sua  spada  avea  tolta  ella  di  terra , 
£  tratta  a'  era  a  riguardar  da  parte  ; 

E  1«  parea  veder  che  '1  Dìo  di  guerra 
Fosse  Ruggiero  alla  possanza  e  all'  arte. 
Una  furia  infemal,  quando  si  sferra. 
Sembra  MarGsa,  se  quel  sembra  Marte. 
Vero  è  eh'  un  pezzo  il  giovene  gagliardo 
Dì  non  far  il  poter  ebbe  riguardo. 

65  Sapea  ben  la  virtù  della  sua  spada  ; 
Che  tante  esperienze  n'  ha  già  fatto. 
Ove  giunge,  convien  che  se  ne  vada 
L'incanto,  o  nulla  giovi,  e  stia  di  piatto  ; 
Sk  che  ritien  che  '1  colpo  suo  non  cada 
Di  taglio  o  punta,  ma  sempre  di  piatto. 
Ebbe  a  questo  Ruggier  lunga  avvertenza  ; 
Ma  perde  pure  un  tratto  la  pazienza, 

56  Perchè  Marfisa  una  percossa  orrenda 
Gli  mena  per  divìdergli  la  testa. 

Leva  lo  scudo,  che  '1  capo  difenda, 
Ruggiero,  e  '1  colpo  in  su  V  aquila  pesta. 
Vieta  lo  'ncanto  che  lo  spezzi  o  fenda  ; 
Ma  di  stordir  non  però  il  braccio  resta  : 
E  s' avea  altr'  arme  che  quelle  d' Ettorre, 
Gli  potea  il  Gero  colpo  il  braccio  torre  : 

57  E  saria  sceso  indi  alla  testa,  dove 
Disegnò  di  ferir  V  aspra  donzella. 
Ruggiero  il  braccio  manco  a  pena  muove, 
A  pena  più  sostien  l' aquila  bella. 

Per  questo  ogni  pietà  da  sé  rimuove  ; 
Par  che  negli  occhi  avvampi  una  facoltà. 
E  quanto  può  cacciar,  caccia  una  punta. 
Marfisa,  mal  per  te,  se  n'eri  giunta. 

58  Io  non  vi  so  ben  dir  come  si  fosse  : 
La  spada  andò  a  ferire  in  un  cipresso, 
E  un  palmo  e  più  nell'  arbore  cacciosse  : 
In  modo  era  piantato  il  luogo  spesso. 

In  quel  momento  il  monte  e  il  piano  scosse 
Un  gran  tremooto,  e  si  senti  con  esso 
Da  queir  avel  eh'  in  mezzo  il  bosco  siede. 
Gran  voce  uscir,  eh'  ogni  mortale  eccede. 
n.  25 


20&  ORBANDO  FURIOSO. 

69     Grida  la  voce  orrìbile  :  Non  sia 
Lite  tra  voi  :  gii  è  ingiusto  ed  inomano 
Ch'  alla  sorella  il  fratel  morte  dia,  • 

0  la  sorella  necida  il  sao  germano. 
Ta,  mio  Ruggiero,  e  tu,  Marfisa  mia, 
Credete  al  mio  parlar  che  non  ò  vano  : 
In  un  medésimo  utero  d'un  seme 

Foste  concetti,  e  usciste  al  mondo  insieme. 

60      Concetti  foste  da  Ruggier  secondo  : 
Vi  fu  Galaciella  genitrice, 

1  cui  fratelli  avendole  dal  mondo 
Cacciato  il  genitor  vostro  infelice, 
Senz^L  guardar  eh'  avesse  in  corpo  il  pondo 
Di  voi,  ch'usciste  pur  di  lor  radice. 

La  fer,  perchè  s'avesse  ad  affogare, 
S' un  debol  legno  porre  in  mezzo  al  mare. 

6t      Ma  Fortuna  che  voi,  benché  non  nati, 
Avea  già  eletti  a  gloriose  imprese, 
Fece  che  1  legno  ai  liti  inabitati 
Sopra  le  Sirti  a  salvamento  scese  ; 
Ove,  poi  che  nel  mondo  v' ebbe  dati, 
L' anima  eletta  al  paradiso  ascese. 
Come  Dio  volse  e  fu  vostro  destino: 
A  questo  caso  io  mi  trovai  vicino. 

62  Diedi  alla  madre  sepoltura  onesta, 
Qual  potea  darsi  in  si  deserta  arena  ; 
E  voi  teneri,  avvolti  nella  vesta, 
Meco  portai  sul  monte  di  Carena  ; 

E  mansueta  uscir  della  foresta 
Feci  e  lasciare  i  figli  una  leena, 
Delle  cui  poppe  dieci  mesi  e  dieci 
Ambi  nutrir  con  molto  studio  feci. 

63  Un  giorno  che  d' andar  per  la  contrada, 
E  dalla  stanza  allontanar  m' occorse» 

Vi  sopravvenne  a  caso  una  masnada 
D' Arabi  (e  rìcordarvene  de'  forse), 
Che  te,  Marfisa,  tolser  nella  strada; 
Ma  non  poter  Ruggier,  che  meglio  corse. 
Restai  della  tua  perdita  dolente, 
E  di  Ruggier  guardian  pia  diUgenle. 


CANTO  TaBNTESIMOSBSTO.  291 

6é     Raggìer,  se  ti  guardò ,  mentre  che  visse, 
U  tuo  maestro  Atlante,  ta  lo  sai. 
Di  te  sentii  predir  le  stelle  fisse, 
Che  tra'  Cristiani  a  tradigion  morrai  : 
E  perché  il  mar  influsso  non  seguisse. 
Tenertene  lontan  m' affaticai  ; 
Nò  ostare  alfin  potendo  alla  tua  voglia, 
Infermo  caddi,  e  mi  morii  di  doglia. 

65  Ma  innanzi  a  morte,  qui  dove  previdi 
Che  con  Marfisa  aver  pugna  dovevi. 
Feci  raccor  con  ìnfernal  sussidi 

A  formar  quésta  tomba  i  sassi  grevi; 
Ed  a  Garon  dissi  con  alti  gridi  : 
Dopo  morte  non  vo*  lo  spirto  levi 
Di  questo  bosco,  flnchò  non  ci  giugna 
Ruggier  con  la  sorella  per  far  pugna. 

66  Cosi  Io  spirto  mio  per  le  belle  ombre 
Ha  molti  di  aspettato  il  venir  vostro  : 
Si  che  mai  gelosìa  più  non  t' ingombre, 
0  Bradamante,  eh'  ami  Ruggier  nostro. 
Ma  tempo  ò  ormai  che  della  luce  sgombre, 
E  mi  conduca  al  tenebroso  chiostro. 

Qui  si  tacque  ;  e  a  Marfisa  ed  alla  figlia 
D' Amen  lasciò  e  a  Ruggier  gran  maraviglia. 

67  Riconosce  Marfisa  per  sorella 
Ruggier  con  molto  gaudio,  ed  ella  lui  ; 
E  ad  abbracciarsi,  senza  offender  quella 
Che  per  Ruggiero  ardea,  vanno  ambidui: 
E  rammentando  dell'  età  novella 
Alcune  cose  :  Io  feci,  io  dissi,  io  fui  ; 
Vengon  trovando  con  più  certo  effetto. 
Tutto  esser  ver  quel  e'  ha  lo  spirto  detto. 

68  Ruggiero  alla  sorella  non  ascose 
Quanto  avea  nel  cor  fissa  Bradamante  ; 
E  narrò  con  parole  affettuose 

Delle  obbligazion  che  le  avea  tante  : 
E  non  cessò,  eh'  in  grand'  amor  compose 
Le  discordie  eh'  insieme  ebbene  avante  ; 
E  fé,  per  segno  di  pacificarsi. 
Ch'umanamente  andare  ad  abbracciarsi» 


292  ORLANDO  FURIOSO. 

60     A  domandar  poi  ritornò  Marfisa 
Chi  stato  fosse,  e  di  che  gente  il  padre; 
E  chi  r  avesse  morto,  ed  a  che  guisa, 
S' in  campo  chioso,  o  fra  V  armate  squadre  ; 
E  chi  commesso  avea  che  fosse  accisa 
Dal  mar  atroce  la  misera  madre  : 
Che,  se  già  Tayea  udito  da  fanciulla, 
Or  ne  tenea  poca  memoria  o  nulla. 

^0     Ruggiero  incominciò  :  che  da'  Troiani 
Per  la  linea  d' Ettorre  erano  scesi  ; 
Che  poi  che  Astianatte  delle  mani 
Campò  d' Ulisse  e  dalli  agguati  tesi, 
Avendo  un  de'  fanciulli  coetani 
Per  lui  lasciato,  usci  di  quei  paesi  ; 
E  dopo  un  lungo  errar  per  la  marina , 
Venne  in  Sicilia,  e  dominò  Messina. 

71  I  descendenti  suoi  di  qua  dal  Faro 
Signoreggiar  della  Calabria  parte  ; 

E  dopo  più  successioni  andare 

Ad  abitar  nella  città  di  Marte. 

Più  d' uno  imperatore  e  re  preclaro 

Fu  di  quel  sangue  in  Roma  e  in  altra  parte, 

Cominciando  a  Costante  e  a  Costantino, 

Sino  a  re  Carlo,  figlio  di  Pipino. 

72  Fu  Ruggier  primo,  e  Gianbaron  di  questi, 
Buovo,  Rambaldo,  alfin  Ruggier  secondo. 
Che  fe^  come  d' Atlante  udir  potesti. 

Di  nostra  madre  V  utero  fecondo. 
Della  progenie  nostra  i  chiari  gesti 
Per  r  istorie  vedrai  celebri  al  mondo. 
Segui  poi,  come  venne  il  re  Agolante 
Con  Almonte  e  col  padre  d' Agramante  : 

73  E  come  menò  seco  una  donzella 
Ch'  era  sua  figlia,  tanto  valorosa, 
Che  molti  paladin  gittò  di  sella, 

E  di  Ruggiero  alfin  venne  amorosa, 
E  per  suo  amor  del  pa'dre  fu  ribella, 
E  battezzossi,  e  diventògli  sposa. 
Narrò  come  Beltramo  traditore 
Per  la  cognata  arse  d' incesto  amore  ; 


CANTO  TRENTESIMOSESTO.  293 

74  £  che  la  patria  e  '1  padre  e  dao  fratelli 
Tradì,  cosi  sperando  acquistar  lei  ; 
Aperse  Risa  agi' inimici,  e  quelli 

Fer  di  lor  tutti  i  portamenti  rèi  : 
Come  Agolante  e  i  figli  iniqui  e  felli 
Poser  Galacìella,  che  di  sei 
Mesi  era  grave,  in  mar  senza  governo, 
Quando  fu  tempestoso  al  maggior  verno. 

75  Stava  Marfisa  con  serena  fronte 
Fisa  al  parlar  che  i  suo  german  facea; 
Ed  esser  scesa  dalla  bella  fonte, 
Ch'avea  si  chiarì  rivi,  si  godea. 
Quinci  Mongrana,  e  quindi  Ghiaramonte, 
Le  due  progenie  derivar  sapea, 

Ch'  al  mondo  fur  molti  e  moli'  anni  e  lustri 
Splendide,  e  senza  par,  d' nomini  illustri. 

76  Poi  che  '1  fratello  alfin  le  venne  a  dire 
Che  M  padre  d' Agramante  e  l'avo  e  '1  zio 
Ruggiero  a  tradi&:ion  feron  morire, 

£  posero  la  moglie  a  caso  rio  ; 

Non  lo  potè  più  la  sorella  udire, 

Che  lo  'nterroppe,  e  disse  :  Fratel  mio 

(Salva  tua  grazia),  avuto  hai  troppo  torto 

A  non  ti  vendicar  del  padre  morto. 

77  Se  in  Almonte  e  in  Troian  non  ti  potevi 
Insanguinar,  ch'erano  morti  innante. 
Dei  figli  vendicar  tu  ti  dovevi. 

Perché,  vivendo  tu,  vive  Agramante? 
Questa  è  una  macchia  che  mai  non  ti  levi 
Dal  viso;  poi  che,  dopo  ofiese  tante, 
Non  pur  posto  non  hai  questo  re  a  morte, 
Ma  vivi  al  soldo  suo  nella  sua  corte. 

78  Io  fo  ben  voto  a  Dio  (eh'  adorar  voglio 
Cristo  Dio  vero,  ch'adorò  mio  padre). 
Che  di  questa  armatura  non  mi  spoglio, 
Finché  Ruggìer  non  vendico  e  mia  madre. 
E  vo' dolermi,  e  finora  mi  doglio. 

Di  te,  se  più  ti  veggo  fra  le  squadre 

Del  re  Agramante,  o  d'altro  signor  moro. 

Se  non  col  ferro  in  man  per  danno  loro. 


294  ORLANDO  FOUIOSO. 

79  Oh  come  a  quel  parlar  leva  la  faccia 
La  bella  Bradamante,  e  ne  gioisce  I 

£  conforta  Ruggier,  che  cosi  faccia, 

Come  Marfisa  saà  ben  V  ammonisce  ; 

E  venga  a  Carlo  e  conoscer  si  faccia, 

Che  tanto  onora,  lauda  e  riverisce 

Del  sao  padre  Ruggier  la  chiara  fama, 

Ch'  ancor  goerrìer  senza  alcun  par  lo  chiama. 

80  Ruggiero  accortamente  le  rispose. 
Che  da  principio  questo  far  dovea  ; 
Ma  per  non  bene  aver  note  le  cose. 
Come  ebbe  poi,  tardato  troppo  avea. 
Ora,  essendo  Agramante  che  gli  pose 
La  spada  al  6anco,  farebbe  opra  rea 
Dandogli  morte,  e  saria  traditore. 
Che  già  tolto  r  avea  per  suo  signore. 

81  Ben,  come  a  Bradamante  già  promesse, 
Promettea  a  lei  di  tentare  ogni  via. 
Tanto  eh'  occasione,  onde  potesse 
Levarsi  con  suo  onor,  nascer  faria. 

E  se  già  fatto  non  Tavea,  non  desse 
La  colpa  a  lui,  ma  al  re  di  Tartaria, 
Dal  qual  nella  battaglia  che  seco  ebbe, 
Lasciato  fu,  come  saper  si  debbo: 

82  Ed  ella,  che  ogni  di  gli  venia  al  letto, 
Buon  testimon,  quanto  alcun  altro,  n'era. 
Fu  sopra  questo  assai  risposto  e  detto 
Dall'  una  e  dall'  altra  inclita  guerriera. 
L'ultima  conclusion,  l'ultimo  effetto 

£,  che  Ruggier  ritorni  alla  bandiera 
Del  suo  signor,  fìnchè  cagion  gli  accada 
Che  giustamente  a  Carlo  se  ne  vada. 

83  Lascialo  pur  andar,  dicea  MarGsa 
A  Bradamante,  e  non  aver  timore: 
Fra  pochi  giorni  io  farò  bene  in  guisa 
Che  non  gli  fia  Agramante  più  signore. 
Cosi  dice  ella  ;  né  però  divisa 
Quanto  di  voler  fare  abbia  nel  core. 
Tolta  da  lor  licenzia  alfin  Ruggiero, 
Per  tornare  al  suo  re  volgea  il  destriero  ] 


CANTO  TRENTESlMOSEStÒ. 

84      Quando  un  pianto  s' udì  dalle  vicine 
Yalli  sonar,  che  li  fé  tutti  attenti. 
A  quella  voce  fan  V  orecchie  chine  » 
Che  di  femmina  par  che  si  lamenti. 
Ma  voglio  questo  Canto  abbia  q4]i  fine, 
£  di.quel  che  voglio  io  siale  contenti  ; 
Che  miglior  cose  vi  prometto  dire, 
S' all'  altro  Canto  mi  verrete  a  udire. 


29^ 


W9TS. 


St.  2.  V,  4-8. — in  quella  guerra  te: 
Pailasi  della  guerra  fra  i  Veneti  e  gli 
EsUasi,  accaduta  nel  1509,  nella  quale 
il  cardinale  Ippolito  riportò  la  ▼iltoria 
del  SS  decembre,  mentovata  nella  St.  57 
del  Canto  III,  facendo  poi  sospendere 
nella  chiesa  di  Ferrara  i  rostri  delle  ga- 
lere e  le  insegne  tolte  ai  nemiei. 

Su  4.  9,  i»4.  —  Benché  fu  queliti 
ancor  bruita  vendetta  ec.  1  Veneiiani, 
rinfrancatisi  dopo  la  sconfitta  di  Gbiara- 
dadda  ch'ebbero  nel  14  maggio  del  1509, 
riacquistarono  Padova,  la  quale  fu  poi 
cinta  d'assedio  dall'imperatore  Mas- 
•imiliano.  Il  duca  Alfonso  nel  3  set- 
tembre spedi  il  cardinale  Ippolito  con 
gente  d' armi  a  rioforso  dell'  imperato- 
re, il  quale  nondimeno ,  dopo  qualche 
tempo,  dovè  levare  l'assedio.  Allora 
i  Veneii  si  scagliarono  con  poderosa 
armata  snl  Ferrarese  sino  a  Franco- 
lino, mettendo  a  fuoco  e  a  sacco  tutto 
quanto  incontravano,  senaa  nb  anche 
rispettare  le  chiese. 

St.  5.  f'.  3*4. — Ma  soldi  quel  ec. 
Ecco  io  succinto  il  fatto,  che  il  Poeta  ac- 
cenna in  questa  e  nelle  dueStanze  seguen- 
ti. L'invasione  dei  Veneti  sopra  enun- 
ciata fu  respinta  da  Ippolito  in  modo,  che 
gli  aggressori  dovettero  raccogliersi  alla 
Polesella,  ov'eressero  una  bastila  e  vi  si 
fitrtificarooo.  Nel  30  novembre  1509^ 


Ippolito  spinse  le  sue  genti  ad  attaccare 
la  bastira.  Fra  queste  erano  Ercole  Gan* 
telmo  figlio  di  Sigismondo  già  duca  di  - 
Sora,  e  Alessandro  Ferrufiìno;  i  quali 
rome  più  aninàosi,  essendosi  troppo 
inoltrati,  avvenne  che  il  Gantelmo  cadde 
prigioniero  degli  Schiavoni,  i  quali  gli 
mozzarono  il  capo;  e  il  Ferruffino  si 
salvò  a  stento. 

Si.  l.v.  5.  —  Sopra  un  sehelmo. 
Dicesi  sehelmo  ed  anche  sealmo  la  ca- 
viglia a  cui  si  lega  il  remo  nelle  piccole 
barche,  come  a  punlo  d'  appoggio  per 
remigare.  E  nei  navigli  di  maggior  por- 
tata, si  dà  lo  stesso  nome  agl'incavi  che 
ad  eguali  distanze  e  per  lo  stesso  ef- 
fetto si  praticano  suU'  orlo  delle  due 
bande. 

St.  8.  V,  8.  —  Di  Tiesti^  di  Tan» 
tali^  d'Jtrei.  Di  Tieste  e  di  Atreo  si 
è  avuta  opportunità  di  parlare  altrove. 
Tantalo  h  anch' egli  noto  per  la  sua 
crudeltà,  avendo,  secondo  i  poeti,  im- 
bandita la  mensa  con  le  carni  di  Pelope 
suo  figliuolo,  per  esperimentare  la  divi- 
nità de'  suoi  ospiti. 

St,  9.  9.  ò-^.^Poli/emo:  crudelis- 
simo fra  i  Ciclopi,  ucciso  da  Ulisse  con 
un  tizzone;  ne  parlano  Omero  nell'O- 
dissea,  e  Virgilio  nel  III  dell' JEiie/</0. 
—  Lestrigone:  vedila  nota  alla  St.  3$ 
del  Canto  XXXI V. 


296 


OUAIOM)  FOUOSO. 


Si.  39.  r.  t.^Tmkmi&.  knubmilo 
oUmbéUlùwaotinautaiiùmmaicùtwi^ 
teteo,  wptàtt  A  tiwpano,  cw  U  cusa 
di  noe  loiiiftléncas  altre  Tolte  dioeTaà 

A.  65.  r.  4-6.  —  5lri«  dk'  pi*Uos 
«tia  aafcosto,  eoane  se  ooa  tì  fouc.— 
Ifa  sempre  di  jnattot  naa  •empie  col 
piaao  della  spada. 

St.  60.T.3— f'i/»  GatmeielU  ge~ 
mitrice.  È  questa  Im.  disperata  Jlgiie 
drAgoUmU,  di  cm  nella  5t.  ZI  del  Caa- 
to  IL  Veoota  col  padre  in  Europa,  s*in- 
namoiò  di  Rn^gìero  li,  signore  di  Risa, 
ossia  di  Reggio  in  Calabria  ;  e  per  ispo- 
sarlo  ai  separò  dal  padre ,  e  si  fisce  cri- 
stiana. Beltramo  di  lei  cognato  se  nt 
invaghì,  •  per  averla  tradi  il  fratello, 
aprendo  le  porte  di  Risa  ad  Àgolante, 
che  entratovi,  uccise  Ruggiero^  e,  fatta 
porre  la  figlia  incinta  in  una  barca  seoxa 
gov«mo,rabbandoaò  al  mare.  La  barca 
pervenne  sulle  Sirti,  cioè  sulle  secca- 
gae  della  costa  africana,  dove  Galaciella 
si  sgravò  ad  un  parto  di  Ruggiero  e  di 
Marfisa.  Il  resto  di  questa  romantica 


nairaaioae,  eha  oocopa  la  SCans  ie« 
gnentifino  a  tntu  la  74^  è  cbivodi 
per  se  ;  ae  non  cbe  giova  avvertile,  ck 
Marfisa  portaU  dagli  Arabi  in  Penìa, 
fu  Vendola  a  qnd  re  ;  e  de  cnsditfa 
di  anni,  di  bclletra  e  di  valore.  Io  ncciie 
a  £fesa  deUa  propria  onestà.  S'inpa- 
droni  quindi  del  regno;  poi  ne  putì,  e 
passò  in  Francia  cercando  bcUieoie  sf- 
ventnre.  Tutto  ciò  trovasinei  Cenni  ed 
Ferrarlo  suUm  vita  di  Cario  Megme, 
sult  imprese  di  Orlamdo  ec, 

St.  6S.  9.  6. — ^«eitn.'lioneua. 

Su  7d.  p.  5-6.  —  Qtùmci  Meagre^ 
na,  e  quindi  Chiaramomte  ec»  Nooù 
dielle  due  case  a  cui  appartengono  i  per- 
sonaggi notati  nella  Genealogia  degK 
eroi  romantici,  riporUta  dal  Ferrano 
nei  Ceami  ansidelti. 

Sl  77.  9.  %,~-Ma  vi9i  al  fido 
suo  netta  Sita  corte,  Ncm  e  che  Rag* 
giero  avesse  soldo  da  Agramante;  na 
Maifisa  vuol  puugeroe  l'amor  proprio 
con  quella  espressione  di  avvilimenlOy 
onde  determinarlo  ad  abbandonare  Je 
bandiere  moresche. 


297 

Accennando  yari  scrittori  cbe  adoperarono  le  loro  penne  nell'  encomiafe  il  bel 
Msso,  toglie  il  Poeta  opportanita  di  lodare  Vittoria  Colonna,  e  le  rime  gentili 
da  lei  consacrate  alla  menioria  del  marche&e  di  Pescara  suo  sposo.  Introduce 
quindi  UUania,  la  messaggiera  della  regina  dell*  Isola  Perdutala  narrare  a 
Ruggiero,  a  Bradamante  e  a  Marfisa  1*  indegna  usania  stabilita  da  Marganorre 
nel  proprio  castello  a  vitupero  delle  donne;  di  che  Je  due  guerriere  e  Ruggiero 
fàuno  subire  a  colui  la  meritata  punisione. 


i     Se,  come  in  acquistar  qaalch' altro  dono 
Che  senza  indastria  non  può  dar  natura, 
Affaticale  notte  e  di  si  sono 
Con  somma  dìligenzia  e  lunga  cura 
Le  valorose  donne,  e  se  con  buono 
Successo  n'  è  uscit'  opra  non  oscura  ; 
Cosi  si  fosson  poste  a  quelli  studi 
Gii"  immortai  fanno  le  mortai  virtudi  ; 

2  E  che  per  sé  medesime  potuto 
Avesson  dar  memoria  alle  sue  lode. 
Non  mendicar  dagli  scrittori  aiuto. 

Ai  quali  astio  ed  invidia  il  cor  si  rode, 
Che  '1  ben  che  ne  puon  dir,  spesso  è  taciuto , 
£  '1  mal,  quanto  ne  san,  per  tutto  s*ode; 
Tanto  il  lor  nome  sorgeria,  che  forse 
Yìril  fama  a  tal  grado  unqua  non  sorse. 

3  Non  basta  a  molti  di  prestarsi  V  opra 
In  far  Y  un  V  altro  glorioso  al  mondo, 
Ch'  anco  studian  di  far  che  si  discuopra 
Ciò  che  le  donne  hanno  fra  lor  d' immondo. 
Non  le  vorrian  lasciar  venir  di  sopra, 

£  quanto  puon,  fan  per  cacciarle  al  fondo: 
Dico  gli  antiqui  ;  quasi  V  onor  debbia 
D' esse  il  lor  oscurar,  come  il  Sol  nebbia. 


298  OULANDO  rUBIOSO. 

4     Ila  non  ebbe  e  non  ha  mano  né  lìngua» 
Formando  in  Yoce  o  descrìvendo  in  carte 
(Qaantanqoe  il  mal^qoanto  può,  accresce  eimpiogoa, 
E  minuendo  il  ben  va  con  ogni  arte). 
Poter  però,  che  delle  donne  estingua 
La  gloria  si,  che  non  ne  resti  parte  ; 
Ma  non  già  tal,  che  presso  al  segno  giunga, 
Nò  eh'  anco  se  gli  accosti  di  gran  lunga  : 

6     Ch' Arpalice  non  fu,  non  fu  Tomirì, 
Non  fu  chi  Turno,  non  chi  Ettor  soccorse; 
Non  chi  seguita  da'  Sidonj  e  Tiri 
Andò  per  lungo  mare  in  Libia  a  porse; 
Non  Zenobia,  non  quella  che  gli  Assiri, 

I  Persi  e  gì'  Indi  con  vittoria  scorse  : 
Non  fur  queste  e  poch' altre  degne  sole, 
Di  cui  per  arme  eterna  fama  volo. 

6  E  di  fedeli  e  caste  e  sagge  e  forti 

State  ne  son,  non  pur  in  Grecia  e  In  Roma, 
Ma  in  ogni  parte,  ove  fra  gì'  Indi  e  gli  orti 
Delle  Esperide  il  Sol  spiega  la  chioma  ; 
Delle  quai  sono  i  pregi  e  gli  onor  morti, 
Si  eh'  a  pena  di  mille  una  si  noma  ; 
E  questo  perchò  avuto  hanno  ai  lor  tempi 
Gli  scrittori  bugiardi,  invidi  ed  empi. 

7  Non  restate  però,  donne,  a  cui  giova 

II  bene  oprar,  di  seguir  vostra  via  ; 
Nò  da  vostr'  alta  impresa  vi  rimuova 
Tema  che  degno  onor  non  vi  si  dia  : 
Chò,  come  cosa  buona  non  si  trova 
Che  duri  sempre ,  cosi  ancor  nò  ria. 
Se  le  carte  sin  qui  state  e  gì'  inchiostri 
Per  voi  non  sono,  or  sono  a'  tempi  nostri. 

8  Dianzi  Marallo  ed  il  Pohtan  per  vui 
Sono,  e  duo  Strozzi,  il  padre  e  '1  figlio,  stati  : 
C  ò  il  Bembo,  e'  ò  il  Capei,  e'  ò  chi,  qaal  lai 
Vediamo,  ha  tali  i  cortigian  formati: 

C'ò  un  Luigi  Alaman;  ce  ne  son  dui. 
Dì  par  da  Marte  e  dalle  Muse  amati  ; 
Ambi  del  sangue  che  regge  la  terra 
Che  '1  Menzo  fende,  e  d' alti  slagni  serra. 


CANTO  TRBNTESIMOSETTIMO.  299 

9      Di  questi  l'uno,  oltre  che  '1  proprio  ìnstinto 
Ad  onorarvi  e  a  riverirvi  inchina, 
E  far  Parnaso  risonare  e  Cinto 
Di  vostra  laude,  e  porla  al  ciel  vicina; 
L'amor,  la  fede,  il  saldo  e  non  mai  vinto 
Per  minacciar  di  strazj  e  di  raina, 
Animo  eh'  Isabella  gli  ha  dimostro, 
Lo  fa  assai  più,  che  di  sé  stesso,  vostro: 

iO     Si  che  non  è  per  mai  trovarsi  stanco 
Di  farvi  onor  nei  suoi  vivaci  carmi. 
E  s*  altri  vi  dà  biasmo,  non  è  eh'  anco 
Sia  più  pronto  di  lui  per  pigliar  V  armi. 
E  non  ha  il  mondo  cavalier  che  manco 
La  vita  sua  per  la  virtù  risparmi. 
Dà  insieme  egli  materia  ond'  altri  scriva  ; 
E  fa  la  gloria  altrui,  scrivendo,  viva. 

41      Ed  è  ben  degno  che  si  ricca  donna, 
Ricca  di  tutto  quel  valor  che  possa 
Esser  fra  quante  al  mondo  portin  gonna, 
Mai  non  si  sia  di  sua  costanzia  mossa  ; 
E  sia  stata  per  lui  vera  colonna. 
Sprezzando  di  Fortuna  ogni  percossa  : 
Di  lei  degno  egli,  e  degna  ella  di  lui; 
Né  meglio  s' accoppiare  unque  altri  dal. 

it     Nuovi  trofei  pon  su  la  riva  d' Oglio  ; 

Ch'in  mezzo  a  ferri,  a  fuochi,  a  navi,  a  ruote 
Ha  sparso  alcun  tanto  ben  scritto  foglio. 
Che  '1  vicin  fiume  invidia  aver  gli  puote. 
Appresso  a  questo  un  Ercol  Bentivoglio 
Fa  chiaro  il  vòstro  onor  con  chiare  note, 
E  Renato  Trivulcio,  e  '1  mio  Guidetto, 
E  '1  Molza,  a  dir  di  voi  da  Febo  eletto. 

13     C  é  '1  duca  de'  Carnuti  Ercol,  figliuolo 
Del  duca  mio,  che  spiega  Tali,  come 
Canoro  cigno,  e  va  cantando  a  volo, 
E  fin  al  cielo  udir  fa  il  vostro  nome. 
C'è  il  mio  signor  del  Vasto,  a  cui  non  solo 
Di  dare  a  mille  Atene  e  a  mille  Rome 
Di  sé  materia  basta  ;  eh'  anco  accenna 
Volervi  eterne  far  con  la  sua  penna. 


tOO  OB LANDÒ  F0B108O. 

U     Ed  oKre  a  qaesti  ed  altri  eh'  oggi  avete, 
Che  y'  hanno  dato  gloria,  e  ve  la  danno, 
Voi  per  voi  stesse  dar  ve  la  potete  : 
Poiché  molte,  lasciando  l'ago  e  '1  panno, 
Son  con  le  Mose  a  spegnersi  la  sete 
Al  fonte  d'Aganìppe  andate,  e  vanno  ; 
E  ne  ritornan  tai,  che  l'opra  vostra 
£  più  bisogno  a  noi,  eh' a  voi  la  nostra. 

io      Se  chi  sian  queste,  e  di  ciascuna  voglio 
Render  buon  conto,  e  degno  pregio  darle. 
Bisognerà  ch'io  verghi  più  d' un  foglio, 
E  eh'  oggi  il  Canto  mio  d' altro  non  parie  : 
E  s'a  lodarne  cinque  o  sei  ne  loglio. 
Io  potrei  r  altre  offendere  e  sdegnarle. 
Che  farò  dunque?  Ho  da  tacer  d' ognuna, 
Oppur  fra  tante  sceglierne  sol  una? 

i6     Sceglieronne  una  :  e  sceglieroUa  tale, 
Che  superato  avrà  l'invidia  in  modo, 
Che  nessun'  altra  potrà  avere  a  male, 
Se  l'altre  taccio,  e  se  lei  sola  lodo. 
Quest*  una  ha  non  pur  sé  fatta  immortale 
Col  dolce  stil  dì  che  il  meglior  non  odo  ; 
Ma  può  qualunque,  di  cui  parli  o  scriva, 
Trar  del  sepolcro,  e  far  eh'  eterno  viva. 

i7      Come  Febo  la  candida  sorella 
Fa  più  di  luce  adorna,  e  più  la  mira, 
Che  Venere  o  che  Maia,  o  eh'  altra  stella 
Che  va  col  cielo,  o  che  da  sé  si  gira: 
Cosi  facondia,  più  eh' all' altre,  a  quella 
Di  eh' io  vi  parlo,  e  più  dolcezza  spira; 
E  dà  tal  forza  air  alte  sue  parole, 
Ch'  orna  a'  di  nostri  il  ciel  d'  un  altro  sole. 

i8     Vittoria  è  '1  nome  ;  e  ben  conviensi  a  nata 
Fra  le  vittorie,  ed  a  chi,  o  vada  o  stanzi, 
Dì  trofei  sempre  e  di  trionfi  ornata. 
La  vittoria  abbia  seco,  o  dietro  o  innanzi. 
Questa  è  un'altra  Artemisia,  che  lodata 
Fu  dì  pietà  verso  il  suo  Mausolo  ;  anzi 
Tanto  mags^ior,  quanto  è  più  assai  bell'opra, 
Che  por  sotterra  un  uom,  trarlo  di  sopra. 


CANTO  TaBNTBSIMOSBTTlHO.  301 

i9     Se  Laodamia,  se  la  moglier  di  Bruto, 
S' Arria,  s' Argia,  s' Evadne,  e  s' altre  molte 
Meritar  laude  per  aver  voluto, 
Morti  i  mariti,  esser  con  lor  sepolte  ; 
Quanto  onore  a  Vittoria  è  più  dovuto. 
Che  di  Lete  e  del  rio  che  nove  volte 
L'ombre  circonda,  ha  tratto  il  suo  consorte, 
Malgrado  delle  Parche  e  della  Morte! 

20     S' al  fiero  Achille  invìdia  della  chiara 
Meonia  tromba  il  Macedonico  ebbe  ; 
Quanto,  invitto  Francesco  di  Pescara, 
Maggiore  a  te,  se  vivesse  or,  l' avrebbe I 
Che  si  casta  mogliere,  e  a  te  si  cara, 
Canti  r  eterno  onor  che  ti  si  debbo  ; 
E  che  per  lei  si  '1  nome  tuo  rimbombo. 
Che  da  bramar  non  hai  più  chiare  trombe. 

Si      Se  quanto  dir  se  ne  potrebbe,  o  quanto 

10  n'ho  desir,  volessi  porre  in  carte, 
Ne  direi  lungamente  ;  ma  non  tanto, 
Ch\a  dir  non  ne  restasse  anco  gran  parte  : 
£  di  Marfisa  e  dei  compagni  intanto 

La  bella  istoria  rimarria  da  parte, 
La  quale  io  vi  promisi  di  seguire, 
S' in  questo  Canto  mi  verreste  a  udire. 

2X      Ora  essendo  voi  qui  per  ascoltarmi. 
Ed  io  per  non  mancar  della  promessa, 
Serberò  a  maggior  ozio  di  provarmi 
Ch'  ogni  laude  di  lei  sia  da  me  espressa  ; 
Non  perch'  io  creda  bisognar  mìei  carmi 
A  chi  se  ne  fa  copia  da  sé  stessa  ; 
Ma  sol  per  satisfare  a  questo  mio, 
C  ho  d' onorarla  e  di  lodar,  disio. 

23     Donne,  io  conchiudo  in  somma,  ch'ogni  etale 
Molte  ha  di  voi  degne  d' istoria  avute  ; 
Ma,  per  invidia  di  scrittori,  state 
Non  sete  dopo  morte  conosciute  : 

11  che  non  più  sarà,  poiché  voi  fato 
Per  voi  stesse  immortai  vostra  virtute. 
Se  far  le  due  cognate  sapean  questo, 
Si  sapria  meglio  ogni  lor  degno  gesto. 


302  ORLANDO  FURIOSO. 

24     Di  Bradamante  e  di  Marfisa  dico, 
Le  coi  vittoriose  inclite  prove 
Di  ritornare  in  loco  m' affatico  ; 
Ma  delle  diece  mancanmi  le  nove. 
Queste  eh'  io  so,  ben  volentieri  esplico  ; 
Si  perchè  ogni  beli'  opra  si  de',  dove 
Occalta  sia,  scoprir  :  si  perchè  bramo 
A  voi,  donne,  aggradir,  ch'onoro  ed  amo. 

S5     Stava  Boggier,  com'io  vi  dissi,  in  atto 
Di  partirsi,  ed  avea  commiato  preso, 
£  dall'  arbore  il  brando  già  ritratto, 
Che,  come  dianzi,  non  gli  fa  conteso  ; 
Quando  un  gran  pianto,  che  non  lungo  tratto 
Era  lontan ,  lo  fé  restar  sospeso, 
E  con  le  donne  a  quella  via  si  mosse 
Per  aiutar,  dove  bisogno  fosse. 

26  Spingonsi  innanzi,  e  via  più  chiaro  il  suon  ne 
Viene,  e  via  più  son  le  parole  intese. 

Giunti  nella  vallea,  trovan  tre  donne 
Che  fan  quel  duolo,  assai  strane  in  arnese; 
Che  fin  all'  ombilico  ha  lor  le  gonne 
Scorciate  non  so  chi  poco  cortese  ; 
E  per  non  saper  meglio  elle  celarsi, 
Sedeano  in  terra,  e  non  ardian  levarsi. 

27  Come  quel  figlio  di  Vulcan ,  che  venne 
Fuor  della  polve  senza  madre  in  vita, 

E  Pallade  nutrir  fé  con  solenne 
Cura  d' Aglauro  al  veder  troppo  ardita ^ 
Sedendo,  ascosi  i  brutti  piedi  tenne 
Su  la  quadriga  da  lui  prima  ordita  : 
Cosi  quelle  tre  giovani  le  cose 
Secreto  lor  tenean,  sedendo,  ascose. 

28  Lo  spettacolo  enorme  e  disonesto 
L' una  e  l' altra  magnanima  guerriera 
Fé  del  color  che  nei  giardin  di  Pesto 
Esser  la  rosa  suol  da  primavera. 
Biguardò  Bradamante,  e  manifesto 
Tosto  le  fu,  eh'  Ullania  una  d' esse  era, 
UUania  che  dall'  Isola  Perduta 

In  Francia  messaggiera  era  venuta  : 


CANTO  TRENTESIMOSETTIMO.  303 

S9     E  rìeanobbe  non  men  V  altre  dae  ; 
Che  dove  vide  lei,  vide  egse  ancora. 
Ma  se  n'  andaron  le  parole  sae 
A  quella  delle  tre,  eh'  ella  più  onora  ; 
E  le  domanda  chi  si  iniquo  fae , 
E  si  di  legge  e  di  costami  faora. 
Che  quei  segreti  agli  occhi  altrui  riveli, 
Che,  quanto  può,  par  che  Natura  celi. 

30  Ullania  che  conosce  Bradamante , 
Non  meno  eh'  alle  insegne,  alla  favella, 
Esser  colei  che  pochi  giorni  innante 
Avea  gittati  i  tre  guerrier  di  sella  ; 
Narra  che  da  un  castel  poco  distante 
Una  ria  gente  e  di  pietà  ribella, 

Oltre  all' ingiuria  di  scorciarle  i  panni, 
L'avea  battuta,  e  fattoi' altri  danni. 

31  Né  le  sa  dir  che  dello  scudo  sia, 
Né  dei  tre  re  che  per  tanti  paesi 
Fatto  le  avean  si  lunga  compagnia  ; 
Non  sa  se  morti,  o  sìan  restati  presi; 
E  dice  e' ha  pigliata  questa  via. 
Ancor  eh'  andare  a  pie  molto  le  pesi, 
Per  richiamarsi  dell'  oltraggio  a  Carlo, 
Sperando  che  non  sia  per  tollerarlo. 

32  Alle  guerriere  ed  a  Ruggier,  che  meno 
Non  han  pietosi  ì  cor,  eh'  audaci  e  forti, 
De'  bei  visi  turbò  l' aer  sereno 

V  udire,  e  più  il  veder,  si  gravi  torti*; 
Ed  obbliando  ogni  altro  affar  che  avieno, 
£  senza  che  li  prieghi  o  che  gli  esorti 
La  donna  afflìtta  a  far  la  sua  vendetta, 
Piglìan  la  via  verso  quel  luogo  in  fretta. 

33  Di  comune  parer  le  sopravveste, 
Mosse  da  gran  bontà,  s' aveano  tratte, 
Ch'  a  ricoprir  le  parli  meno  oneste 

Di  quelle  sventurate  assai  furo  atte. 
Bradamante  non  vuol  eh'  Ullania  peste 
Le  strade  a  pie,  eh' avea  a  piede  anco  fatte, 
E  se  la  leva  in  groppa  del  destriero  : 
L'altra  Marflsa,  l'altra  il  buon  Ruggiero. 


304  OBLIÌIDO  tUBlOSO. 

34     Cllanìa  a  Bradamante  che  la  porta, 
Mostra  la  via  che  Ta  al  castel  più  dritta: 
Bradamante  all'incontro  lei  conforta, 
Che  la  vendicherà  di  chi  V  ha  afiDitta. 
Lascìan  la  yalle,  e  per  yia  lunga  e  torta 
Sagliono  nn  colle  or  a  man  manca  or  ritta  ; 
E  prima  il  Sol  fa  dentro  il  mare  ascoso, 
Che  Yolesser  tra  via  prender  riposo. 

U     Trovaro  una  villetta  che  la  schena 
D*an  erto  colle,  aspro  a  salir,  tenea; 
Ove  ebbon  buono  albergo  e  buona  cena, 
Quale  avere  in  quel  loco  si  potea. 
Si  mirano  d' intomo,  e  quivi  piena 
Ogni  parte  di  donne  si  vedea, 
Qnai  giovani,  quai  vecchie;  e  in  tanto  slaolo 
Faccia  non  v'  apparia  d' un  nomo  solo. 

SS     Non  più  a  Giason  di  maraviglia  donno, 
Né  agli  Argonauti  che  venian  con  lui, 
Le  donne  che  i  mariti  morir  fenno, 
E  i  figli  e  i  padri  coi  fratelli  sui, 
Si  che  per  tutta  V  isola  di  Lenno 
Di  viril  faccia  non  si  vider  dui  ; 
Che  Ruggier  quivi,  e  chi  con  Ruggier  era. 
Maraviglia  ebbe  all'  alloggiar  la  sera. 

37  Fero  ad  Ullania  ed  alle  damigelle 
Che  venivan  con  lei,  le  due  guerriere 
La  sera  provveder  di  tre  gonnelle, 
Se  non  cosi  polite,  almeno  intere. 

A  sé  chiama  Ruggiero  una  di  quelle 
Donne  ch'abitan  quivi,  e  vuol  sapere 
Ove  gli  uomini  sian ,  eh'  un  non  ne  vede  ; 
Ed  ella  a  lui  questa  risposta  diede  : 

38  Questa  che  forse  è  maraviglia  a  voi, 
Che  tante  donne  senza  uomini  siamo, 
È  grave  e  intollerabil  pena  a  noi. 
Che  qui  bandite  misere  viviamo. 

E  perchè  il  duro  esilio  più  ci  annoi. 
Padri,  figli  e  mariti,  che  si  amiamo. 
Aspro  e  lungo  divorzio  da  noi  fanno, 
Come  piace  al  crudel  nostro  tiranno. 


CANTO  TRENIfiSlàlOSEtTlMO.  30(S 

38     Balle  sae  terre,  le  qua!  son  vicine 
A  noi  due  leghe,  e  dove  noi  siam  nate, 
Qui  ci  ha  mandato  il  barbaro  in  conflne, 
Prima  di  mille  scorni  ingiuriate  ; 
Ed  ha  gli  uomini  nostri  e  noi  meschine 
Di  morte  e  d' ogni  strazio  minacciale. 
Se  quelli  à  noi  verranno ,  o  gli  (ìa  detto 
Che  noi  diam  lor,  venendoci,  ricetto. 

40  Nimico  è  si  costui  del  nostro  nome. 

Che  non  ci  vuol  più,  ch'io  vi  dico,  appresso, 
Né  eh' a  noi  venga  alcun  de' nostri,  come 
L' odor  r  ammorbi  del  femmineo  sesso. 
Già  due  volle  l' onor  delle  lor  chiome 
S' hanno  spogliato  gli  alberi  e  rimesso , 
Da  indi  in  qua  che  '1  rio  signor  vaneggia 
In  furor  tanto  ;  e  non  è  chi  '1  correggia  : 

41  Che  *\  popolo  ha  di  lui  quella  paura 
Che  maggior  aver  può  l' uom  della  morte  ; 
Ch'  aggiunto  al  mal  voler  gli  ha  la  natura 
Una  possanza  fuor  d'  umana  sorte. 

11  corpo  suo  di  gigantea  statura, 
È  più,  che  di  cent'  altri  insieme,  forte. 
Né  pur  a  noi  sue  suddite  è  molesto  ; 
Ma  fa  alle  strane  ancor  peggio  di  questo. 

42  Se  r  onor  vostro,  e  queste  tre  vi  sono 
Punto  care,  eh'  avete  in  compagnia. 
Più  vi  sarà  sicuro,  utile  e  buono 

Non  gir  più  innanzi,  e  trovar  altra  via. 
Questa  al  Castel  dell'  uom  di  eh'  io  ragiono, 
A  provar  mena  la  costuma  ria 
Che  v'  ha  posta  il  crudel,  con  scorno  e  danno 
Di  donne  e  di  guerrier  che  di  là  vanno. 

43  Marganor  il  fellon  (cosi  si  chiama 
Il  signore,  il  tiran  di  quel  castello), 

Del  qual  Nerone,  o  s*  altri  è  eh'  abbia  fama 
Di  crudeltà,  non  fa  più  iniquo  e  fello. 
Il  sangue  uman,  ma  '1  femminil  più  brama 
Che  *1  lopo  non  lo  brama  dell'  agnello. 
Fa  con  onta  scacciar  le  donne  tutte 
Da  lor  ria  sorte  a  quel  Castel  condutte. 

20* 


1 


Fregar  etlei,  eh*  n  i 

Fa  M  B^Bor  del  eulcl,  fa 

ScBipR  eivdcly  MBpve  niHBaBO  e  ■ero; 

Ma  toiae  «a  teaqio  fl  < 

5é  si  fasdó  coaeacer  eoa  ( 


»     ChéaMatiedaasaoifi^cnMnfi, 
Molto  direni  dai  palerai  stifi, 
Cii'aaiaTaa  forestieri, ed  eraa  scUfi 
Di  eniddiade  e  degfi  allri  atti  tìIì, 
QiBTÌ  le  eofftesie  fiorìTaa,  qaÌYi 
I  bei  costami,  e  l' opeie  gentili: 
Che  1  padre  mai,  qoantnaqoe  avaro  foste, 
Da  qoei  che  lor  piaeea,  non  li  rimosse. 

46  Le  donne  e  I  cayalier  che  questa  Tìa 
Facean  talor,  yenìan  si  ben  raccolti. 
Che  si  parUan  dell'  alta  cortesia 

Dei  doo  germani  innamorati  molti. 
Amendai  qaesti  di  cayallerìa 
Parimente  i  santi  ordini  arean  tolti  : 
Cilandro  l' on,  l'altro  Tanacro  detto. 
Gagliardi  e  arditi,  e  di  reale  aspetto. 

47  Ed  eran  veramenCe,  e  sarian  stati 
Sempre  di  lande  degni  e  d' ogni  onore, 
S' in  preda  non  si  fossino  si  dati 

A  qael  disir  che  nominiamo  amore; 
Per  cai  dal  baon  sentier  far  traviati 
Al  labirinto  ed  al  cammin  d'errore; 
E  ciò  che  mai  di  buono  aveano  fatto, 
Restò  contaminato  e  bratto  a  an  tratto. 

48  Capitò  quivi  an  cavalier  di  corte 
Del  greco  imperator,  che  seco  avea 
Una  sua  donna  di  maniere  accorte, 
Bella  quanto  bramar  più  si  potea. 
Cilandro  in  lei  s' innamorò  si  forte, 
Che  morir,  non  l'avendo,  gli  pareat 
Gli  parea  che  dovesse,  alla  partita 
Di  lei ,  partire  ìnsiemo  la  sua  vita. 


''^^^^ 


CANTO  TRENTESIMOSETTItfO.  ^07 


49     E  perchè  ì  prieghi  non  y'  avriano  loco, 
Di  volerla  per  forza  si  dispose. 
Armossi,  e  dal  castel  lontano  un  poco. 
Ove  passar  dovean,  cheto  s'ascose. 
L*  osata  audacia  e  V  amoroso  faooo 
Non  gli  lasciò  pensar  troppo  le  cose  : 
Si  che  vedendo  il  cavalier  venire, 
L' andò  lancia  per  lancia  ad  assalire. 

60     Al  primo  incontro  credea  porlo  in  terra, 
Portar  la  donna  e  la  vittoria  indietro  ; 
Ma  '1  cavalier,  che  mastro  era  di  guerra, 
L'osbergo  gli  spezzò,  come  di  vetro. 
Venne  la  nuova  al  padre  nella  terra, 
Che  lo  fé  riportar  sopra  un  feretro  ; 
E  ritrovandol  morto,  con  gran  pianto 
Gli  dio  sepolcro  agii  antiqui  avi  accanto. 

51     Né  più  però  né  manco  si  contese 

L'albergo  e  l'accoglienza  a  questo  e  a  qoello, 

Perchè  non  men  Tanacro  era  cortese, 

Né  meno  era  gentil  di  soo  fratello. 

L' anno  medesmo  di  lontan  paese 

Con  la  moglie  un  baron  venne  al  castello, 

A  meraviglia  egli  gagliardo,  ed  ella. 

Quanto  sì  possa  dir,  leggiadra  e  bella  ; 

63     Né  men  che  bella,  onesta  e  valorosa, 
E  degna  veramente  d' ogni  loda  ; 
Il  cavalier  di  stirpe  generosa, 
Di  tanto  ardir,  quanto  più  d' altri  s^  oda. 
E  ben  conviensi  a  tal  valor,  che  cosa 
Di  tanto  prezzo  e  si  eccellente  goda. 
Olindro  il  cavalier  da  Lungavilla  ; 
La  donna  nomina'ta  era  Drusilla. 

hs     Non  men  di  questa  il  giovene  Tanacro 
Arse,  che  '1  suo  fratel  di  quella  ardesse, 
Che  gli  fé  gustar  One  acerbo  ed  acro 
Del  desiderio  ingiusto  eh'  in  lei  messe. 
Non  men  di  lui  di  violar  del  sacro 
E  santo  ospizio  ogni  ragione  elesse. 
Piuttosto  che  patir  che  '1  duro  e  forte 
Nuovo  desir  lo  conducesse  a  morte* 


3M  òBLAMbo  roaioso. 

M     Ma  perch'avea  dinanzi  agli  occhi  il  tema 
Del  800  fratel,  che  n'  era  stato  morto. 
Pensa  di  torta  in  guisa,  che  non  tema 
Ch'  Olìndro  s' abbia  a  yendicar  del  torto. 
Tosto  8*  estingue  in  lui,  non  par  si  scema 
Quella  virtù,  so  che  solea  star  sorto; 
Che  non  lo  sommergean  dei  yizj  Tacque, 
Delle  quai  sempre  al  fondo  il  padre  giacque. 

65     Con  gran  silenzio  fece  quella  notte 
Seco  raccor  da  vent'  uomini  armati  : 
E  lontan  dal  castel  fra  certe  grotte, 
Che  si  trovan  tra  via,  messe  gli  agguati. 
Quivi  ad  Olindro  il  di  le  strade  rotte, 
E  chiusi  i  passi  fur  da  tutti  i  lati  ; 
E  benché  fé  lunga  difesa  e  molta. 
Pur  la  moglie  e  la  vita  gli  fu  tolta. 

U     Ucciso  Olindro,  ne  menò  capti  va 
La  bella  donna,  addolorata  in  guisa, 
Ch'  a  patto  alcun  restar  non  volea  viva, 
£  di  grazia  chiedea  d' esser  uccisa. 
Per  morir  si  gì  Ito  giù  d' una  riva 
Che  vi  trovò  sopra  un  vallone  assisa  : 
E  non  potè  morir  :  ma  colla  testa 
Rotta  rimase,  e  tutta  fiacca  e  pesta. 

57  Altrimente  Tanacro  riportarla 
A  casa  non  potè,  che  s' una  bara. 
Fece  con  diligenzia  medicarla  ; 
Che  perder  non  voleà  preda  si  cara. 
E  mentre  che  s' indugia  a  risanarla 
Di  celebrar  le  nozze  si  prepara  ; 
Ch'  aver  si  bella  donna  e  si  pudica 
Debbo  nome  di  moglie,  e  non  d' amica. 

58  Non  pensa  altro  Tanacro,  altro  non  brama, 
D' altro  non  cura,  e  d' altro  mai  non  parla. 

Si  vede  averla  offesa,  e  se  ne  chiama 
In  colpa,  e  ciò  che  può,  fa  d'emendarla. 
Ma  tutto  è  invano  :  quanto  egli  più  V  ama» 
Quanto  più  s' affatica  di  placarla, 
Tant'ella  odia  più  lui,  tanto  è  più  forte. 
Tanto  è  più  ferma  in  voler  porlo  a  morte. 


T'T?^^ 


CANTO  TBENTBSIHOSETTIMO.  309 

69      Ma  non  però  quest'  odio  cosi  ammorza 
La  conoscenza  in  lei,  che  non  comprenda 
Che,  se  vuol  far  quanto  disegna,  è  forza 
Ghefiimuli,  ed  occulte  insidie  tenda; 
E  che  '1  desir  sotto  contraria  scorza 
(Il  quale  è  sol,  come  Tanacro  offenda) 
Veder  gli  faccia  ;  e  che  si  mostri  tolta 
Dal  primo  amore,  e  tutto  a  lui  rivolta. 

60  Simula  il  viso  pace  ;  ma  vendetta 
Chiama  il  cor  dentro,  e  ad  altro  non  attende. 
Molte  cose  rivolge,  alcune  accetta, 

Altre  ne  lascia,  ed  altre  in  dubbio  appende. 
Le  par  che  quando  essa  a  morir  si  metta, 
Avrà  il  suo  intento  ;  e  quivi  alGn  s' apprende. 
£  dove  meglio  può  morire,  o  quando  » 
Che  '1  suo  caro  marito  vendicando? 

61  Ella  si  mostra  tutta  lieta  «  e  finge 
Di  queste  nozze  aver  sommo  disio  ; 

E  ciò  che  può  indugiarle  addietro  spìnge. 
Non  eh'  ella  mostri  averne  il  cor  restio. 
Più  dell'altre  s'adorna  e  sì  dipìnge: 
Olindro  al  tutto  par  messo  in  obblio; 
Ma  che  sian  fatte  queste  nozze  vuole, 
Come  nella  sua  patria  far  si  suole. 

62  Non  era  però  ver  che  questa  usanza, 
Che  dir  volea,  nella  sua  patria  fosse; 

Ma  perchè  in  lei  pensier  mai  non  avanza. 
Che  spender  possa  altrove,  immaginosse 
Una  bugia,  la  qual  le  die  speranza 
Di  far  morir  chi  '1  suo  signor  percosse  : 
E  disse  di  voler  le  nozze  a  guisa 
Della  sua  patria  ;  e  '1  modo  gli  devisa. 

63  La  vedovella  che  marito  prende. 
Deve,  prima  (dicea)  eh'  a  lui  s'appresso, 
Placar  l'alma  del  morto  ch'ella  offende. 
Facendo  celebrargli  ofllcj  e  messe, 

In  remission  delle  passate  mende. 
Nel  tempio  ove  di  quel  son  l' ossa  messe; 
E  dato  fin  ch'ai  sacrificio  sia, 
AlU  sposa  l'anel  lo  sposo  dia: 


310  ORLANDO  FURIOSO. 

64  Ma  eh'  abbia  in  questo  mezzo  il  sacerdote 
Sul  vino  ivi  portato  a  tale  effetto 
Appropriate  orazion  devote, 

Sempre  il  liquor  benedicendo,  detH^; 
Indi  che  'I  Oasco  in  una  coppa  vote, 
£  dia  alti  sposi  il  vino  benedetto  : 
Ma  portare  alla  sposa  il  vino  tocca, 
Ed  esser  prima  a  porvi  su  la  bocca. 

65  Tanacro ,  che  non  mira  quanto  importe 
Ch'ella  le  nozze  alla  sua  usanza  faccia, 
Le  dice  :  Purché  '1  termine  si  scorte 
D'essere  insieme,  in  questo  si  compiaccia. 
Né  s' avvede  il  meschin  eh'  essa  la  morte 
D' Olindro  vendicar  cosi  procaccia  ; 

E  si  la  voglia  ha  in  uno  oggetto  intensa. 
Che  sol  di  quello,  e  mai  d'altro  non  pensa. 

66  Avea  seco  Drusilla  una  sua  vecchia. 
Che  seco  presa,  seco  era  rimasa. 

A  sé  chiamolla,  e  le  disse  all'orecchia, 
Si  che  non  potè  udire  uomo  di  casa  : 
Un  subitane  tosco  m' apparecchia, 
Qual  so  che  sai  comporre,  e  me  lo  invasa; 
C'ho  trovato  la  via  di  vita  torre  > 

Il  traditor  figliuol  di  Marganorre; 

67  E  me  so  come,  e  te  salvar  non  meno; 
Ma  differisco  a  dirtelo  più  ad  agio. 
Andò  la  vecchia,  e  apparecchiò  il  veneno, 
Ed  acconciollo,  e  ritornò  al  palagio. 

Di  vin  dolce  di  Candia  un  fiasco  pieno 
Trovò  da  por  con  quel  succo  malvagio, 
E  lo  serbò  pel  giorno  delle  nozze  ; 
Ch'  omai  tutte  l' indugio  erano  mozze. 

68  Lo  statuito  giorno  al  tempio  venne. 
Di  gemme  ornata  e  di  leggiadre  gonne  ; 
Ove  d' Olindro,  come  gli  convenne. 
Fatto  avea  l' arca  alzar  su  due  colonne. 
Quivi  r  officio  si  cantò  solenne  : 
Trasseno  a  udirlo  tutti ,  uomini  e  donne  ; 

^,^  E  lieto  Marganor  più  dell'  usato, 

\  Venne  col  figlio  e  con  gli  amici  a  lato. 


CANTO  TRENTBSIMOSKTTIMO.  311 

69  Tosto  eh'  al  fin  le  sanie  esequie  foro, 
£  fa  col  tosco  il  vino  benedetto, 

Il  sacerdote  in  una  coppa  d' oro 
Lo  Terso,  come  avea  Drusilla  detto. 
Ella  ne  bebbe  quanto  al  suo  decoro 
Si  conveniva,  e  potea  far  V  effetto  : 
Poi  die  allo  sposo  con  viso  giocondo 
Il  nappo  ;  e  quel  gli  fé  apparire  il  fondo. 

70  Renduto  il  nappo  al  sacerdote^  lieto 
Per  abbracciar  Drusilla  apre  le  braccia. 
Or  quivi  il  dolce  stile  e  mansueto 

In  lei  si  cangia,  e  quella  gran  bonaccia. 
Lo  spìnge  addietro,  e  gli  ne  fa  divieto, 
E  par  eh'  arda  negli  occhi  e  nella  faccia  ; 
E  con  voce  terribile  e  incomposta 
Gli  grida:  Traditor,  da  me  ti  scosta. 

71  Tu  dunque  avrai  da  me  sollazzo  e  gioia. 
Io  lagrime  da  te,  martiri  e  guai? 

10  vo'  per  le  mie  man  eh*  ora  tu  muoia  : 
Questo  è  stato  venen ,  se  tu  noi  sai. 
Ben  mi  duol  e'  hai  troppo  onorato  boia. 
Che  troppo  lieve  e  facil  morie  fai  ; 

Che  mani  e  pene  io  non  so  si  nefande, 
Che  fosson  pari  al  tuo  peccato  grande. 

72  Mi  duol  di  non  vedere  in  questa  morte 

11  sacrificio  mìo  tutto  perfetto: 

Che  s'io  '1  poteva  far  di  quella  sorte 
Ch'era  il  disio,  non  avria  alcun  difetto. 
Di  ciò  mi  scusi  il  dolce  mio  consorte  : 
Riguardi  al  buon  volere,  e  l'abbia  accetto; 
Che  non  potendo  come  avrei  voluto, 

10  t' ho  fatto  morir  come  ho  potuto. 

73  E  la  punìzion  che  qui ,  secondo 

11  desiderio  mio,  non  posso  darti. 
Spero  r  anima  tua  nell'  altro  mondo 
Veder  patire  ;  ed  io  starò  a  mirarti. 
Poi  disse,  alzando  con  viso  giocondo 
I  turbidi  occhi  alle  superne  parti  : 
Questa  vittima,  Olindro,  in  tua  vendetta 
Col  buon  voler  della  tua  moglie  accetta  ; 


312  ORLANDO  FURIOSO. 

74  Ed  impetra  per  me  dal  Signor  nostro 
Grazia,  eh'  in  paradiso  oggi  io  sia  teco. 
Se  ti  dirà  che  senza  merto  al  vostro 
Regno  anima  non  vien,  di  ch'io  l'ho  meco: 
Che  di  questo  empio  e  scellerato  mostro 

Le  spoglie  opime  al  santo  tempio  arreco. 
£  che  morti  esser  puon  maggior  di  questi, 
Spenger  si  brutte  e  abbominose  pesti? 

75  Fini  il  parlare  insieme  con  la  yita; 
E  morta  anco  parea  lieta  nel  volto 
D' aver  la  crudeltà  cosi  punita 

Di  chi  il  caro  marito  le  avea  tolto. 
Non  so  se  prevenuta  o  se  seguita 
Fu  dallo  spirto  di  Tanacro  sciolto. 
Fu  prevenuta,  credo;  ch'effetto  ebbe 
Prima  il  veneno  in  lui,  perchè  più  bebbe. 

76  Marganor  che  cader  vede  il  figliuolo, 
E  poi  restar  nelle  sue  braccia  estinto. 
Fu  per  morir  con  lui,  dal  grave  duolo, 
Ch'alia  sprovvista  lo  trafisse,  vinto. 
Duo  n'  ebbe  un  tempo-;  or  si  ritrova  solo  : 
Duo  femmine  a  quel  termine  1'  han  spinto. 
La  morte  all'un  dall'una  fu  causata; 

E  l'^altra  all'  altro  di  sua  man  V  ha  data. 

77  Amor,  pietà,  sdegno,  dolore  ed  ira. 
Disio  di  morte  e  di  vendetta  insieme 
Quell'infelice  ed  orbo  padre  aggira. 

Che  come  il  mar  che  turbi  il  vento  freme. 
Per  vendicarsi   va  a  Drusìlla,  e  mira 
Che  di  sua  vita  ha  chiuse  l' ore  estreme  : 
E  come  il  punge  e  sferza  1'  odio  ardente. 
Cerca  offendere  il  corpo  che  non  sente. 

78  Qual  serpe  che  nell'  asta  eh'  alla  sabbia 
La  tenga  fissa ,  indarno  i  denti  metta  ; 

O  qual  mastin  eh'  al  ciottolo  che  gli  abbia 
Gittato  il  viandante,  corra  in  fretta, 
E  morda  invano  con  stizza  e  con  rabbia. 
Né  se  ne  voglia  andar  senza  vendetta  : 
Tal  Marganor,  d'ogni  mastin,  d'ogni  angue 
Via  più  crudel,  fa  centra  il  corpo  esangue. 


CAMTO  TUENTfiSlMOSETTlMO.  313 

79  E  poiché  per  stracciarlo  e  farne  scempio 
Non  si  sfoga  il  fellon  né  disacerba, 

Vien  fra  le  donne  di  che  è  pieno  il  tempio , 
Nò  più  r  ana  dell'  altra  ci  riserba  ; 
Ma  di  noi  fa  col  brando  crudo  ed  empio 
Quel  che  fa  con  la  falce  il  villan  d' erba. 
Non  vi  fa  alcun  ripar  ;  eh'  in  un  momento 
Trenta  n'  uccìse,  e  ne  feri  ben  cento. 

80  Egli  dalla  sua  gente  è  si  temuto, 

Ch'  uomo  non  fu  eh'  ardisse  alzar  la  testa. 
Fuggon-le  donne  col  popol  minuto 
Fuor  della  chiesa,  e  chi  può  uscir  non  resta. 
Quel  pazzo  impelo  aIGn  fu  ritenuto 
Dagli  amici  con  prieghi  e  forza  onesta  ; 
E  lasciando  ogni  cosa  in  pianto  al  basso. 
Fatto  entrar  nella  rocca  in  cima  al  sasso. 

81  E  tuttavia  la  collera  durando. 
Di  cacciar  tutte  per  partilo  prese  ; 
Poiché  gli  amici  e  '1  popolo  pregando. 
Che  non  ci  uccise  affatlo,  gli  contese: 
E  quel  medesmo  di  fé  andare  un  bando. 
Che  tulle  gli  sgombrassimo  il  paese  ; 

E  darci  qui  gli  piacque  le  confine. 
Misera  chi  al  castel  più  s' avvicino  I 

S2     Dalle  mogli  così  furo  i  mariti, 
Dalle  madri  cosi  i  figli  divisi. 
S' alcuni  sono  a  noi  venire  arditi. 
Noi  sappia  già  chi  Marganor  n'  avvisi  ; 
Che  di  multe  gravissime  puniti 
N'ha  molti,  e  molti  crudelmente  uccisi. 
Al  suo  castello  ha  poi  fallo  una  legge, 
Di  cui  peggior  non  s' ode  né  si  legge. 

83      Ogni  donna  che  trovin  nella  valle. 
La  legge  vuol  (eh'  alcuna  pur  vi  cade} 
Che  percuolan  con  vimini  alle  spalle, 
E  la  faccian  sgombrar  queste  contrade  : 
Ma  scorciar  prima  i  panni,  e  mostrar  falle 
Quel  che  natura  asconde  ed  onestade  ; 
E  s' alcuna  vi  va,  ch'armata  scorta 
Abbia  di  cavalier,  vi  resta  morta. 

u  S7 


3l4  ORLANDO  FURIOSO. 

84  Quelle  e'  hanno  per  scorta  cavalieri, 
Son  da  questo  nimico  di  pietate, 
Come  vittime,  tratte  ai  cimiteri 

Dei  morti  figli,  e  di  sua  man  scannate. 
Leva  con  ignominia  arme  e  destrieri, 
E  poi  caccia  in  prigion  chi  V  ha  guidate  : 
£  lo  può  far  ;  che  sempre  notte  e  giorno 
Si  trova  più  di  mille  uomini  intomo. 

85  £  dir  di  più  vi  voglio  ancora ,  eh'  esso, 
S' alcun  ne  lascia,  vuol  che  prima  giuri 
Su  l'ostia  sacra,  che  '1  femmineo  sesso 
In  odio  avrà  finché  la  vita  duri. 

Se  perder  queste  donne  e  voi  appresso 
Dunque  vi  pare,  ite  a  veder  quei  muri 
Ove  alberga  il  fellone,  e  fate  prova 
S*  in  luì  più  forza  o  crudeltà  si  trota. 

86  Cosi  dicendo,  le  guerriere  mosse 
Prima  a  pietade,  e  poscia  a  tanto  sdegno, 
Che  se,  com'era  notte,  giorno  fosse, 
Sarian  corse  al  Castel  senza  ritegno. 

La  bella  compagnia -quivi  pososse; 
£  tosto  che  r  aurora  fece  segno 
Che  dar  dovesse  al  Sol  loco  ogni  stella, 
Ripigliò  r  arme,  e  si  rimesse  in  sella. 

87  Già  sendo  in  atto  di  partir,  s' udirò 
Le  strade  risonar  dietro  le  spalle 

D'un  lungo  calpestio,  che  gli  occhi  in  giro 
Fece  a  tutti  voltar  giù  nella  valle  : 
£  lungi  quanto  esser  potrebbe  un  tiro 
Di  mano,  andar  per  uno  istretto  calle 
Vider  da  forse  venti  armati  in  schiera, 
Di  che  parte  in  arcion,  parte  a  pied'era; 

88  £  che  traean  con  ìor  sopra  un  cavallo 
Donna  ch'ai  viso  aver  parea  molt'anni, 
A  guisa  che  si  mena  un  che  per  fallo 

A  fuoco  0  a  ceppo  o  a  laccio  si  condanni  : 
La  qual  fu,  non  ostante  l'intervallo, 
Tosto  riconosciuta  al  viso  e  ai  panni. 
La  rìconobber  queste  della  villa 
.   Esser  la  cameriera  di  Drusiila: 


CANTO  TRENTESIMOSETTIMO.  3l5 

89  La  cameriera  che  con  lei  fa  presa 
Dal  rapace  Tanacro,  come  ho  delto» 
£d  a  chi  fa  di  poi  data  V  impresa 

Di  quel  venen  che  fé  '1  crudele  effetto. 
Non  era  entrata  ella  con  Y  altre  in  chiesa  ; 
Che  dì  quel  che  seguì  stava  in  sospetto  : 
Anzi  in  quel  tempo,  della  villa  uscita, 
Ov*  esser  sperò  salva,  era  fuggita. 

90  Avuto  Marganor  poi  di  lei  spia, 
La  qual  s*  era  ridotta  in  Ostericche, 
Non  ha  cessato  mai  di  cercar  via 

Come  in  man  l'abbia,  acciò  T  abbruci  o  impicche: 

E  finalmente  l'avarizia  ria. 

Mossa  da  doni  e  da  profferte  ricche, 

Ha  fatto  eh'  un  baron,  eh'  assicurata 

L' avea  in  sua  terra,  a  Marganor  l' ha  data  : 

91  E  mandata  glie  l' ha  fin  a  Costanza 
Sopra  un  somier,  come  la  merce  s' usa, 
Legata  e  stretta,  e  toltole  possanza 

Di  far  parole ,  e  in  una  cassa  chiusa  : 
Onde  poi  questa  gente  l' ha,  ad  instanza 
Dell'  uom  eh'  ogni  pìetade  ha  da  sé  esclusa , 
Quivi  condotta  con  disegno  eh'  abbia 
L' empio  a  sfogar  sopra  di  lei  sua  rabbia. 

92  Come  il  gran  fiume  che  di  Yesulo  esce, 
Quanto  più  innanzi  e  verso  il  mar  discende, 
E  che  con  lui  Lambro  e  Ticin  si  mesce. 

Et  Adda,  e  gli  altri  onde  tributo  prende, 
Tanto  più  altiero  e  impetuoso  cresce  ; 
Cosi  Ruggier,  quante  più  colpe  intende 
Di  Marganor,  cosi  le  due  guerriere 
Se  gli  fan  centra  più  sdegnose  e  fiere. 

93  Elle  fur  d' odio,  elle  fur  d' ira  tanta 
Centra  il  crudel,  per  tante  colpe,  accese. 
Che  di  punirlo,  malgrado  di  quanta 
Gente  egli  avea,  conclusion  si  prese. 

Ma  dargli  presta  morte  troppo  santa 
Pena  lor  parve,  e  indegna  a  tante  offese; 
Ed  era  meglio  fargliela  sentire. 
Fra  strazio  prolungandola  e  martire. 


316  ORLANDO  FCJBIOSO. 

94     Ma  prima  liberar  la  donna  è  onesto, 
Che  sia  condotta  da  quei  birri  a  morte. 
Lentar  di  briglia  coi  calcagno  presto 
Fece  a'  presti  destrier  far  le  vie  corte. 
Non  ebbon  gli  assali tivnai  di  questo 
Uno  incontro  più  acerbo  né  più  forte  ; 
Si  che  han  di  grazia  di  lasciar  gli  scodi 
E  la  donna  e  V  arnese,  e  fuggir  nudi  : 

96      Si  come  il  lupo  che  di  preda  vada 
Carco  alla  tana,  e  quando  più  si  crede 
D' esser  sicur,  dal  cacciator  la  strada 
E  da'  suoi  cani  attraversar  si  vede  ; 
Getta  la  soma,  e  dove  appar  men  rada 
La  scura  macchia  innanzi,  affretta  il  piede: 
Già  men  presti  non  fur  quelli  a  fuggire , 
Che  li  fusson  qaest'  altri  ad  assalire. 

96  Non  pur  la  donna  e  Tarme  vi  lasciaro, 
Ma  de' cavalli  ancor  lasciaron  molli, 

E  da  rive  e  da  grotte  si  lanciaro , 
Parendo  lor  cosi  d' esser  più  sciolti. 
Il  che  alle  donne  ed  a  Ruggier  fu  caro  ; 
Che  tre  di  quei  cavalli  ebbono  tolti, 
Per  portar  quelle  tre  che  '1  giorno  d' ieri 
Feron  sudar  le  groppe  ai  tre  destrieri. 

97  Quindi  espedìti  seguono  la  strada 
Verso  r  infame  e  dispietata  villa. 
Voglion,  che  seco  quella  vecchia  vada, 
Per  veder  la  vendetta  di  Drusilla. 
Ella,  che  teme  che  non  ben  le  accada. 

Lo  niega  indarno,  e  piange  e  grida  e  strilla; 
Ma  per  forza  Ruggier  la*  leva  in  groppa 
Del  buon  Frontino,  e  via  con  lei  galoppa. 

98  Giunsero  in  somma  onde  vedeano  al  basso 
Di  molte  case  un  ricco  borgo  e  grosso, 

Che  non  serrava  d'alcun  lato  il  passo, 
Perchè  né  muro  intorno  avea  né  fosso. 
Avea  nel  mezzo  un  rilevato  sasso, 
Ch'  un'  alta  rocca  sostenea  sul  dosso. 
A  quella  si  drizzar  con  gran  baldanza. 
Ch'esser  sapean  dì  Marganor  la  stanza. 


CANTO  TbENTESiaiOSETTIMO.  317 

99      Tosto  che  son  nel  borgo ,  alcanì  fanti 
Che  v'erano  alla  guardia  dell' entrata, 
Dietro  chiudon  la  sbarra,  e  già  davanti 
Yeg?ion  che  V  altra  uscita  era  serrata  : 
Ed  ecco  Marganorre,  e  seco  alquanti 
A  pie  e  a  cavallo,  e  tutta  gente  armata; 
Che  con  brevi  parole,  ma  orgogliose, 
La  ria  costuma  di  sua  terra  espose. 

ioo     Marfisa ,  la  qua!  prima  avea  composta 
Con  Bradamante  e  con  Ruggier  la  cosa, 
Gli  spronò  incontro  in  cambio  di  risposta  : 
E  com'  era  possente  e  valorosa , 
Senza  eh'  abbassi  lancia,  o  che  sia  posta 
In  opra  quella  spada  si  famosa. 
Col  pugno  in  guisa  V  elmo  gli  martella, 
Che  lo  fa  tramortir  sopra  la  sella. 

401      Con  Marfisa  la  giovane  di  Francia 

Spìnge  a  un  tempo  il  destrier;  né  Ruggier  resta, 

Ma  con  tanto  valor  corre  la  lancia. 

Che  sei,  senza  levarsela  di  resta, 

N'uccide,  uno  ferito  nella  pancia. 

Duo  nel  petto,  un  n^l  collo,  un  nella  testa: 

Nel  sesto,  che  fuggìa,  l'asta  si  roppe. 

Ch'entrò  alle  schene,  e  riuscì  alle  poppe. 

102      La  Ogliuola  d'Amon  quanti  ne  tocca 
Con  la  sua  lancia  d' òr,  tanti  ne  atterra  : 
Fulmine  par  che  '1  cielo  ardendo  scocca, 
Che  ciò  ch'incontra,  spezza  e  getta  a  terra. 
11  popol  sgombra,  chi  verso  la  rocca. 
Chi  verso  il  piano;  altri  si  chiude  e  serra. 
Chi  nelle  chiese,  e  chi  nelle  sue  case: 
'  Né,  fuorché  morti,  in  piazza  uomo  rimase. 

i03     Marfisa  Marganorre  avea  legato 
Intanto  con  le  man  dietro  alle  rene. 
Ed  alla  vecchia  di  Drusilla  dato, 
Ch'  appagata  e  contenta  se  ne  tiene. 
D' arder  quel  borgo  poi  fu  ragionato, 
S' a  penitenzia  del  suo  error  non  viene  : 
Levi  la  legge  ria  di  Marganorre, 
E  questa  accetti,  eh'  essa  vi  vuol  porre. 

27* 


318  ORLANDO  FURIOSO. 

104     Non  fu  già  d' ottener  questo  fatica  ; 
Che  quella  gente,  oltre  al  timor  ch'avea 
Che  più  faccia  Marfisa  che  non  dica, 
Gh'  uccider  tutti  ed  abbruciar  volea , 
Di  Marganorre  affatto  era  nimica, 
E  della  legge  sua  crudele  e  rea. 
Ma  '1  popolo  facea,  come  i  più  Tanno, 
€h'  ubbidiscon  più  a  quei  che  più  in  odio  hanno. 

i06      Perocché  Y  un  dell'  altro  non  si  fida, 
E  non  ardisce  conferir  sua  voglia, 
Lo  lascian  eh' un  bandisca,  un  altro  uccida, 
A  quel  V  avere,  a  questo  V  onor  toglia. 
Ma  il  cor  che  tace  quì^  su  nel  ciel  grida. 
Finché  Dìo  e  Santi  alla  vendetta  invoglia  ; 
La  qual,  sebben  tarda  a  venir,  compensa 
V  indugio  poi  con  punizione  immensa. 

106  Or  quella  turba,  d'ira  e  d' odio  pregna, 
Con  fatti  e  con  mal  dir  cerca  vendetta. 
Com'è  in  proverbio,  ognun  corre  a  far  legna 
All'  arbore  che  '1  vento  in  terra  getta. 

Sia  Marganorre  esempio  di  chi  regna  ; 
ChQ  chi  mal  opra,  male  alfine  aspetta. 
Di  vederlo  punir  de'  suoi  nefandi 
Peccati,  avean  piacer  piccioli  e  grandi. 

107  Molti,  a  chi  for  le  mogli  o  le  sorelle 
O  le  fittile  0  le  madri  da  luì  morte. 
Non  più  celando  l' animo  ribelle, 

'    Correan  per  dargli  di  lor  man  la  morte  : 
E  con  fatica  lo  difeser  quelle 
Magnanime  guerriere  e  Ruggier  forte  ; 
Che  disegnato  avean  farlo  morire 
D' affanno,  di  disagio  e  di  martire. 

i08     A  quella  vecchia,  che  l' odiava  quanto 
Femmina  odiare  alcun  nimico  possa. 
Nudo  in  mano  lo  dier,  legato  tanto, 
Che  non  si  scioglierà  per  una  scossa  ; 
Ed  ella,  per  vendetta  del  suo  pianto, 
Gli  andò  facendo  la  persona  rossa 
Con  un  stimulo  aguzzo  eh' un  villano, 
Che  quivi  si  trovò,  le  pose  in  mano. 


CANTO  tRENTESIMOSEtTlMO.  dl9 

409     La  messaggiera  e  le  sue  giovani  anco, 
Che  qaeir  onta  non  son  mai  per  scordarsi , 
Non  s' hanno  più  a  tener  le  mani  al  fianco^ 
Né  meno  che  la  vecchia,  a  vendicarsi. 
Ma  si  è  il  desir  d' offenderlo,  che  manco 
Viene  il  potere,  e  pur  vorrian  sfogarsi  : 
Chi  con  sassi  il  percuote,  chi  con  Y  unge  ; 
Altra  lo  morde,  altra  cogli  aghi  il  punge. 

HO     Come  torrente  che  superbo  faccia 
Lunga  pioggia  talvolta  o  nievi  sciolte, 
Va  ruinoso,  e  già  da'  monti  caccia 
Gli  arbori  e  i  sassi  e  i  campi  e  le  ricolte  ; 
Vien  tempo  poi,  che  l'orgogliosa  faccia 
Gli  cade,  e  si  le  forze  gli  son  tolte, 
Ch'  un  fanciullo,  una  femmina  per  tutto 
Passar  lo  puote,  e  spesso  a  piede  asciutto: 

Hi     Cosi  già  fu  che  Marganorre  intorno 
Fece  tremar,  dovunque  udìasi  il  nome  : 
Or  venuto  è  chi  gli  ha  spezzato  il  corno 
Di  tanto  orgoglio,  e  si  le  forze  dome, 
Che  gli  puon  far  sin  a' bambini  scorno, 
Chi  pelargli  la  barba,  e  chi  le  chiome. 
Quindi  Ruggiero  e  le  donzelle  il  passo 
Alla  rocca  voltar,  eh'  era  sul  sasso. 

112     La  die  senza  contrasto  in  poter  loro 
Chi  v'era  dentro,  e  cosi  i  ricchi  arnesi, 
Ch'  in  parte  messi  a  sacco,  in  parte  foro 
Dati  ad  Ullania  ed  a'  compagni  offesi. 
Ricovrato  vi  fu  lo  scudo  d' oro, 
E  quei  tre  re  eh'  avea  il  tiranno  presi , 
Li  quai  venendo  quivi,  come  parmi 
D'avervi  detto,  erano  a  pie  senz'  armi  ; 

ii3     Perchè  dal  di  che  fur  tolti  di  sella 
Da  Bradamante,  a  pie  sempre  eran  iti 
Se^jjf'arme,  in  compagnia  della  donzella 
La  qual  venia  da  si  lontani  liti. 
Non  so  se  meglio  o  peggio  fu  di  quella, 
Che  di  lor  armi  non  fusson  guerniti. 
Era  ben  meglio  esser  da  lor  difesa  ; 
Ma  peggio  assai,  se  ne  perdean  l'impresa: 


-rr-W'^ 


320  ORLANDO  PDAIOSO. 

Ile      Perchè  siala  sarìa,  com'eran  latte 
Quelle  eh'  armale  avean  seco  le  scorte, 
Al  cimitero  misere  condutle 
Dei  duo  fratelli,  e  in  sacrificio  morte. 
Gli  è  por  meo  che  morir,  mostrar  le  brulle 
E  disoneste  parti,  duro  e  forte; 
E  sempre  questo  e  ogni  altro  obbrobrio  ammorza 
Il  poter  dir  che  le  sia  fatto  a  forza.  ! 

116      Prima  eh'  indi  si  partan  le  guerrierey  i 

Fan  venir  gli  abitanti  a  giuramento/  . 

Che  daranno  i  mariti  alle  mogliere  ' 

Della  terra  e  del  tutto  il  reggimento  ;  I 

E  castigalo  con  pene  severe  | 

Sarà  chi  contrastare  abbia  ardimento. 
In  somma,  quel  ch'altrove  è  del  marito, 
Che  sia  qui  della  moglie  è  statuito. 

116      Poi  si  fecion  promettere  eh'  a  quanti 
Mai  verrian  quivi,  non  darian  ricetto, 
0  fosson  cavalieri,  o  fosson  fanti  ; 
Né  'ntrar  gli  lascerian  pur  sotto  un  tetto. 
Se  per  Dio  non  giurassi  no  e  per  Santi, 
O  s'altro  giuramento  v'è  più  stretto, 
Che  sarian  sempre  delle  donne  amici, 
E  dei  nimici  lor  sempre  nimici  ; 

il 7     E  s' avranno  in  quel  tempo,  e  se  saranno, 
Tardi  o  più  toslo,  mai  per  aver  moglie. 
Che  sempre  a  quelle  sudditi  saranno, 
E  ubbidienti  a  tulle  le  lor  voglie. 
Tornar  Marfisa,  prima  ch'esca  l'anno. 
Disse,  e  che  perdan  gli  arbori  le  foglie; 
E  se  la  legge  in  uso  non  trovasse, 
Fuoco  e  ruina  il  borgo  s' aspettasse. 

118     Nò  quindi  si  partir,  che  dell'  immondo 
Luogo  dov'era,  fer  Drusilla  torre, 
E  col  marito  in  uno  avel,  secondo 
Ch'ivi  polean  più  riccamente,  porre. 
La  vecchia  facea  intanto  rubicondo 
Con  lo  slimulo  il  dosso  a  Marganorre  : 
Sol  sì  dolca  di  non  aver  tal  lena. 
Che  potesse  non  dar  Iriegua  alia  pena. 


CANTO  TRENTESIHOSJKTTIMO.  321 

119      L' animose  guerriere  a  lato  un  tempio 
Yideno  quivi  una  colonna  in  piazza, 
Nella  qual  fall'  avea  quel  tiranno  empio 
Scrìver  la  legge  sua  crudele  e  pazza. 
Elle,  imitando  d' un  trofeo  1*  esempio, 
Lo  scudo  v'  attaccare  e  la  corazza 
Di  Marganorre,  e  l' elmo  ;  e  scriver  fenno 
La  legge  appresso,  ch'esse  al  loco  denno. 

d20     Quivi  s'indugiar  tanto,  che  Marfìsa 
Fé  por  la  legge  sua  nella  colonna. 
Contraria  a  quella  che  già  v'  era  incisa 
A  morte  ed  ignominia  d' ogni  donna. 
Da  questa  compagnia  restò  divisa 
Quella  d' Islanda,  per  rifar  la  gonna; 
Che  comparire  in  corte  obbrobrio  stima, 
Se  non  si  veste  ed  orna  come  prima. 

131      Quivi  rimase  Ullania  ;  e  Marganorre 
Di  lei  restò  in  potere:  ed  essa  poi, 
Perchè  non  s' abbia  in  qualche  modo  a  sciorre, 
£  le  donzelle  un'altra  volta  annoi, 
Lo  fé  un  giorno  saltar  giù  d' una  torre. 
Che  non  fé  il  maggior  salto  a'  giorni  suoi. 
Non  più  di  lei,  né  più  dei  suoi  si  parli  ; 
Ma  della  compagnia  che  va  verso  Arli. 

122     Tutto  quel  giorno ,  e  V  altro  fin  appresso 
L' ora  di  terza  andare,  e  poi  che  furo 
Giunti  dove  in  due  strade  è  il  cammin  fesso 
(L' una  va  al  campo,  e  l' altra  d' Arli  al  muro]. 
Tornar  gli  amanti  ad  abbracciarsi,  e  spesso 
A  tor  commiato,  e  sempre  acerbo  e  duro. 
Alfin  le  donne  in  campo,  e  in  Arli  è  gito 
Ruggiero  ;  ed  io  il  mio  Canto  ho  qui  finito. 


sroTS. 


Si,  5.  9.  UB.^Jrpaltce:  figlia 
del  te  di  Tracia,  che  difese,  come  si  è 
gi^  detto,  il  regno  paterno  contro  Neot« 
tolcmo,  ossia  Pirro,  figliuolo  d*  Achil- 


le.—  Totpifi,  regina  de'Massageti, 
della  quale  Erodoto  narra  la  vit- 
toria sopra  Ciro  persiano.  —  Non  /a 
chi  Turno  ec.Accenna  £7afftmi7/a^ figlia 


322 


ORLANDO  FCRIOSO. 


del  re  de'  Volsci,  la  quale  di^  aiuto  a 
Turno ,  come  si  accennò  altrove.  — 
Ncn  chi  Ettor  soccorse  tTpzrìz  di  Pen- 
tesiff.a,  regina  delle  Amaisoni,  ricor- 
data più  addietro,  quale  ausiliaria  dei 
Troiani. — Ifon  ehi  seguita  ec.  Allude 
a  Z7f/foRe>cliey rimasta  vedova  di  Sicheo» 
«  quindi  emigrata  da  Tiro,  si  condusse 
sulla  costa  d*  Africa,  dove  fondò  Carta- 
gine. —  Zenobia,  celebre  regina  di  Pai* 
mira,  che  dopo  essersi  difesa  con  molto 
valore  contro  l'imperatore  Aureliano, 
restò  di  lui  prigioniera.  —  Non  quella 
che  gli  Assiri  ec.  Questa  h  Semirami- 
de^ nominata  in  altro  luogo,  e  qui  men- 
tovata per  le  bellicose  sue  gesta. 

SL  6.  V.  3-4. — Ove  fra  gì'  ìndi  e 
gli  orli  Delle  Esperide  ec  .Prendesi  qui 
r  India  per  Y  estremo  continente  a  levan- 
te; e  gli  orti  dell'  Esperidi  per  Y  uUima 
terra  a  ponente.  Si  finsero  quegli  «ti 
nella  parte  occidentale  dell' Etiopia ,  e 
appartenenti  alle  tre  figlie  di  Espero, 
cbe  ivi  tenevano  sotto  la  guardia  di  un 
drago  i  pomi  d*  oro  recati  in  dote  da 
Giunone  a  Giove. 

St.  8.  V.  1-8.  —  In  questa  Stanca 
e  in  altre  che  seguono,  il  Poeta  nomina 
vari  letterati  che  scrissero  in  lode  delle 
donne,  e  dei  quali  si  darà  breve  cenno. 
—  Marnilo  t  ebbe  nome  Michele,  nato 
da  genitori  greci,  ma  allevato  in  Italia; 
fu  ingegnoso  scrittore  di  epigrammi  e 
d'inni,  detti  da  lui  naturali:  mori  som- 
merso nel  fiume  Cecina  in  Toscana.  — 
Ed  il  Pontan  ec.  Grande  e  meritata  fa- 
ma ebbe'nelle  lettere  Giovanni  o  6io- 
viano  Fontano,  nato  a  Cereto  nello 
Spoletino  r  anno  i4S6.  Ritrasse  in  sb 
atesso  le  grasie  e  l' eleganca  degli  anti- 
chi poeti,  e  mori  nel  ìòO'ò. — E  duo 
Strozzi,  il  padre  e  'l  figlio.  Il  padre  fu 
Tito  Vespasiano^  discendente  dagli 
Strossi  di  Firense.  Cominciò  ad  essere 
celebrato  nel  secolo  XV;  e  tutti  gli  scrit- 
tori di  que'tempi  esaltarono  con  somme 
lodi  le  di  lui  rime.  Finiva  di  vivere 
circa  il  1508.11  figlio  chiamavasi  JErco- 
Uf  e  superò  il  padre.  Fu  stimato  am- 


mirabile nella  poesia  latina,  felicissimo 
neir  italiana,  e  dotto  nella  lingua  greca. 
Mori  ucciso  a  tradimento  nel  6  giugno 
1508. —  //  Bembo.  L'esimio  merito 
letterario  di  Pietro  Bembo  e  ben  cono- 
sciuto, rfacque  egli  in  Venesia  nel  90 
maggio  1470  ;  fu  storiografo  di  quella 
repubblica,  e  cardinale  nel  1539.  Era 
amicissimo  del  Poeta,  e  mori  nel  18 
gennaio  1547.  —  //  Capei.  Fioriva  nel 
secoloXVI  Bernardino  Capella,  roma- 
no; e  le  di  lui  poesie  latine  sono  lodate 
dal  Giraldi.— CA  j^  qnal  lui  Fediamo, 
ha  tali  i  cortigìan  formati,  intende  di 
Baldassar  Castiglione,  mantovano, 
nato  nel  1468,  pieno  di  emdisione,  ri- 
matore elegante,  ed  anche  più  rinomalo 
pel  suo  libro  del  (7orff^raRO.Cessò  di  vi- 
vere in  Toledo  nel  1529. — Luif^i  Ala* 
man,  E  questi  l'elegante  poeta  Luigi 
Alamanni,  nato  in  Firense  nel  S8  ot- 
tobre 1495,  autore  della  Coltivazione, 
e  di  altri  due  poemi,  uno  intitolato 
Girone  il  cortese,  e  l'altro,  VAvar- 
chide,  —  Ce  ne  son  dui  di  par  da 
Marte  ec.  Accenna  Luigi  Gonzaga, 
secondo  conte  di  Sabbioneta,  sopranno- 
minato Rodomonte,  e  Francesco  Gon- 
Maga,  marito  d'Isabella  d*Este.ll  primo 
nacque  nel  1500,  e  mori  in  età  di  33 
anni.  L*  altro  fu  marchese  di  Mantova 
dal  1484  al  1519;  e  amendue  si  di- 
mostrarono cosi  fervidi  proteggitori , 
come  gentili  cultori  delle  buone  lettere, 
e  prodi  nell'armi.  —  Za  terra  Che  'l 
Menzo  fende  ec.  .*  Mantova,  situata  in 
meiso  di  un  lago  formato  dal  Mincio. 

SÌ.  9.  V.  3-8.  —  Cinto  .*  monte  del- 
l'isola di  Delo,  e  luogo  natale  dì  Apol- 
lo.— L'amor,  la  f ed  ecc. Cìtmenìty  II  f 
irritato  perchè  Luigi  Gonsaga  favoriva 
i  Pallavicino  contro  i  Rangoni,  voleva 
impedire  con  minacce  il  matrimonio 
stabilito  tra  esso  Luigi  e  Isabella  figlia 
di  Vespasiano  Colonna  duca  di  Traetlo; 
la  quale,  malgrado  del  papa,  mantenne 
al  Gonzaga  la  data  fede,  e  il  matrimo- 
nio ebbe  luogo  nel  1531. 

«$"^12.  p.5.8 —  Un  ErcolBenU90» 


CANTO  TRENTESIUOSETTIMO. 


glfo.Qutiiì  nacque  in  Bologna  DeH506, 
anno  in  cui  la  sua  famiglia  perde  la 
signoria  di  quella  citta.  Educato  nella 
corte  di  Alfonso  I  di  cui  era  nipote,  ag- 
giunse lustro  alla  nobiltà  della  stirpe 
col  suo  valore  nella  volgar  poesia.—»  E 
Benato  Trivulcio,  e  '/  mio  Guidetto, 
i  E  'l  Molta  ec.  Il  prìoio  fondò  in  Mila- 
no, o  almeno  restaurò  circa  il  1543  l'ac- 
cademia detta  de'  Fenicj.  V  altro  era 
Francesco  Guidetti,  uno  dei  collabo- 
ratori air  edisione  del  Boccaccio  fatta 
nel! 527;  e  Francesco  Maria  MoUa, 
nato  in  Modena  il  18  giugno  Ì4S9,  ed 
ivi  morto  nel  28  febbraio  1544,  riusci 
felicemente  in  tutti  i  generi  di  poesia 
in  cui  piacquegli  esercitarsi. 

.y^.l  3. 9. 1  -8.— C?**  'Iduca  de'  Car^ 
nuiiErcol  figliuolo  tfcErcoIe  II,6glio 
d'Alfonso  I, ch'ebbe  da  Luigi XII,  insie- 
me con  altre  signorie,  il  ducato  di  Char. 
tres,  città  detta  dai  Latini  Chamutum, 
fu  splendido  fautore  e  coltivatore  delle 
buone  lettere. —  C  è  il  mio  signor  del 
Vasto  ec.  Annoverasi  fra  i  mecenati  e 
cultori  della  letteratura  anche  Alfonso 
d^  Avalos,  marchese  del  Vasto,  co- 
gnato del  marchese  di  Pescara^  di  cui 
più  sotto. 

Su  14. 9,  ^,^AlJonte  d'Aganip» 
pe.  Quel  fonte  scendeva  dal  monte  Eli- 
cona, era  consacrato  ad  Apollo  e  alle 
Muse  ;  e  le  sue  acque  avevano  la  virtù 
d' ispirare  i  poeti. 

St.  17.  V,  3. —  Maiag  una  delle 
Pleiadi,  nella  costellatione  del  Toro; 
od  anche  il  pianeta  Mercurio,  a  cui  si 
è  dato  il  nome  di  quel  Dio  che  fu  fi- 
gliuolo di  Maia. 

St.i%.  V.  1-6 Vittoria  ò  'l  no^ 

me.  Parlasi  di  Vittoria  Colonna,  nata 
in  Marino,  fèudo  di  sua  casa,  circa 
il  1490.  Fu  sposa  a  Ferdinando  Fran- 
cesco d'Avalos',  marchese  di  Pescara. 
Fornita  di  rare  doti  di  corpo  e  di  spiri- 
to, restò  vedova  nel  1525,  e  con  egregie 
rime,  che  celebrarono  la  memoria  del 
perduto  sposo,  cercò  sfogo  al  dolore 
della  Tcdovaosa.  Mori  in  Roma  nel  feb- 


braio del  1547.  —  Un  altra  Artemia 
sia  ec.  Questa  regina  di  Caria,  oltreché 
fece  costruire  al  marito  un  mausoleo, 
che  fu  una  delle  sette  maraviglie  del 
mondo,  ne  inghiotti  le  ceneri,  non 
trovando  pel  suo  sposo  un  più  degno 
sepolcro. 

St.  19.  V.  1-7. —  Laodamia:  figlia 
di  Acasto,  e  moglie  di  Protesilao,  uc- 
ciso da  Ettore,  non  gli  volle  sopravvi- 
vere, e  si  gettò  nelle  fiamme.— Xa  nuH 
glier  di  Bruto  :  ebbe  nome  Porzia,  e 
morto  il  marito,  si  uccise  ingoiandc 
carboni  acoesi. — Arria:  moglie  di  Ce- 
cina Peto,  implicato  in  una  congiura 
contro  l'imperator  Claudio.  Non  po- 
tendo salvare  il  marito,  s' immerke  un 
pugnale  nel  ytllo.-^  Argia:  moglie  di 
Polinice,  fatta  morire  da  Creonte  ti- 
ranno di  Tebe,  per  aver  data  sepoltura 
all'ucciso  marito  malgrado  il  divieto 
fatto  dal  tiranno.— fifacfne .-  moglie  di 
Capaneo  morto  nella  oppugnatione  di 
Tebe.  Pel  dolore  di  quella  perdita  si 
gettò  anch'essa  nel  rogo. — Del  rio  che 
nove  volte  L'ombre  circonda  :  del  fiu^ 
me  Stige,  a  cui  Virgilio  dà  nove  giri. 

St.  20.  V.  2-3.  —  //  Macedonico  .• 
Alessandro,  figliuol  di  Filippo,  re  di 
Macedonia,  invidiava  ad  Achille  l'essere 
stato  celebrato  da  Omero. — Francesco 
di  Pescara:  lo  sposo  di  Vittoria  Co- 
lonna, mentovata  più  sopra.  Egli  pro- 
tesse con  munificensa  e  coltivò  con 
amore  le  buone  lettere  ;  fu  assai  valoroso 
nell'armi,  e  mori  di  ferite  riportate  com- 
battendo per  Carlo  V  nella  famosa  bat- 
taglia di  Pavia,  Tanno  1525. 

St.  27.  V,  1-4.  —  Come  tfueljlglio 
di  Vulcan  ec.  Fu  detto  Erittonio,  e 
nacque  coi  piedi  di  dragone.  Cresciuto 
per  le  cure  di  Aglauro,  figlia  di  Eritteo 
re  d'Atene,  inventò  il  cocchio  per  co- 
prire, sedendo  in  esso,  la  deformità  de' 
suoi  piedi.  —  Al  veder  troppo  ardita. 
Rammenta  il  Poeta  questa  circostansa, 
perchè  Aglauro,  portando  invidia  ad 
Erse  sua  sorella,  amata  da  Mercurio, 
po^e  jostacoli  agli  amori  del  nnmei  « 


324 


ORLANDO  P0B1O8O. 


per  questa  colpa  fu  da  Ini  coavertita  ìb 
lauo. 

Sl  36.  V,  i-6.  —  NoM  pia  «  Già- 
$9m  ee.  Racconta  Staiio  nel  V  della  Te- 
baide  che  Giasone ,  approdato  con  gli 
Argonauti  in  LcBDo ,  trovò  quell'isola 
abitata  soltanto  da  femmine  «  perchè 
tutti  i  masebi  erano  stali  messi  a  morte 
da  quelle. 

Si.  44.  V.  4 — //  conio;  il  rac 
conto. 

St.  45.  e».  2.  —  Stili:  modi,  co* 

Su  54.  V.  i-6.  —  Temm:  srgo- 


mento ,  qui  esempio.  —  Su  che  soleé 
star  sorto:  sulla  quale  solea  star  fermo, 
reggersi. 

Sl  90.  V.  T~^Oslericehe:  Austria. 

St  93.  P.  Uk.-.  Il  gran  fumé  :[\ 
Vo.-'Vesido:  monte  Viso^  uno  dei 
monti  liguri  che  fanno  parte  defle  Alpi 
Cosie.  Altre  volte  fu  chiamato  Fejeiw  e 
Fesulo.  —  Lamhro  e  Tieim....  Et  Ai- 
da :  tre  6umi  di  Lombardia. 

St.  93.  V.  5-6.  —  Troppo  sewte 
Pena  lor  porve  e  indegna  a  tante  offe- 
se: pena  troppo  bella,  e  di  cui  egli  noe 
era  degno. 


VANTO  TREIKTESiinOTTATO. 


Ruggiero,  fedele  ali*  onore  che  lo  chiama  presso  Agramente,  va  in  Arli.  Si  presen- 
Uno  alla  Corte  di  Carlo,  Bradamante  e  Marfisa  ;  e  questa  riceve  il  battesimo. 
D*  altra  parte  Astolfo  con  un  esercito  di  Nubj  mette  rAIfrica  a  soqquadro,  e 
minaccia  Biserta.  Agramente,  di  ciò  istruito,  ottiene  da  Carlo  die  si  decida  la 
guerra  fra  loro  col  combattimento  di  due  campioni  eletti  uno  per  parte. 

i      Cortesi  donne,  che  benigna  udienza 
Date  a'  miei  versi,  io  vi  veggo  al  sembiante, 
Che  quesl'  altra  si  subita  partenza 
Che  fa  Roggier  dalla  sua  fida  amante, 
Vi  dà  gran  noia,  e  avete  displicenza 
Poco  minor  eh'  avesse  Bradamante  ; 
E  fate  anco  argomento,  eh'  esser  poco 
In  lui  dovesse  Y  amoroso  foco. 

2      Per  ogni  altra  cagion  eh'  allontanato 
Conlra  la  voglia  d' essa  se  ne  fusse, 
Ancor  ch'avesse  più  tesor  speralo. 
Che  Creso  o  Crasso  insieme  non  ridusse  ; 
lo  crederla  con  voi,  che  penetralo 
Non  fosse  al  cor  lo  strai  che  lo  percosse  : 
Ch'un  almo  gaudio,  un  cosi  gran  conlento 
Non  potrebbe  comprare  oro  né  argento. 


CANTO  TRENTESlMOTTAVa  325 

3  Par,  per  salvar  V  onor,  non  solamente 
D'escnsa,  ma  di  lande  è  degno  ancora; 
Per  salvar,  dico,  in  caso  eh'  altrimente 
Facendo,  bìasmo  ed  ignominia  fora: 

£  se  la  donna  fosse  renitente, 
Ed  ostinata  in  fargli  far  dimora, 
Darebbe  di  sé  indizio  e  chiaro  segno 
O  d' amar  poco,  o  d'aver  poco  ingegno. 

4  Che  se  V  amante  dell'  amato  deve 
La  vita  amar  più  della  propria,  o  tanto 
(Io  parlo  d' ano  amante  a  cui  non  lieve 
Colpo  4*  Amor  passò  più  là  del  manto); 
Al  piacer  tanto  più,  ch'esso  riceve, 
L'onor  di  qaello  antepor  deve,  qaanto 
L'onore  è  di  più  pregio  che  la  vita, 
Gh'  a  tatti  altri  piaceri  è  preferita. 

6     Fece  Raggiere  il  debito  a  segaire 
Il  sao  signor;  che  non  se  ne  potea, 
Se  non  con  ignominia,  dipartire; 
Ghò  ragion  di  lasciarlo  non  avea. 
E  s' Almonte  gli  fé  il  padre  morire, 
Tal  colpa  in  Agramante  non  cadea; 
Gh'  in  molti  effetti  avea  con  Raggier  poi 
Emendato  ogni  error  dei  maggior  saoi. 

6  Farà  Raggiere  il  debito  a  tornare 
Al  sno  signore;  ed  ella  ancor  lo  fece, 
Ghe  sforzar  non  lo  volse  di  restare , 
Geme  potea,  con  iterata  prece. 
Raggier  potrà  alla  donna  satisfare 

A  un  altro  tempo,  s'or  non  satisfece: 

Ma  all'onor,  chi  gli  manca  d'nn  momento, 

Non  paò  in  cento  anni  satisfar  nò  in  cento. 

7  Torna  Raggiere  in  Arli,  ove  ha  ritratta 
Agramante  la  gente  che  gli  avanza. 
Bradamante  e  Marfisa,  che  contratta 

Gol  parentado  avean  grande  amistanza. 
Andare  insieme  ove  re  Garlo  fatta 
La  maggior  prova  avea  di  saa  possanza. 
Sperando,  o  per  battaglia  e  per  assedio. 
Levar  di  Francia  cosi  lungo  tedio. 

il.  28 


320  ORLANDO  F0BIO8O. 

8  Di  Bradamante,  poi  che  conosciata 
In  campo  fo,  si  fé  letizia  e  festa. 
Ognan  la  riTerisce  e  la  saluta  ; 

Ed  ella  a  questo  e  a  quel  china  la  testa. 
Rinaldo,  come  adi  la  sua  venata, 
Le  venne  incontra;  nò  Ricciardo  resta, 
Né  Ricciardetto,  od  altri  di  sua  gente, 
E  la  raccoglion  tutti  allegramente. 

9  Come  s'intese  poi  che  la  compagna 
Era  Marfisa,  in  arme  si  famosa, 
Che  dal  Cataio  ai  termini  di  Spagna 
Di  mille  chiare  palme  iva  pomposa  ; 
Non  è  povero  o  ricco  che  rimagna 
Nel  padìglion  :  la  turba  disiosa 

Vien  quinci  e  quindi,  e  s' urta,  storpia  e  preme, 
Sol  per  veder  si  bella  coppia  insieme. 

iO      A  Carlo  riverenti  appresentàrsì. 
Questo  fu  il  primo  di,  scrive  Turpino, 
Che  fa  vista  Marfisa  inginocchiarsi; 
.  Che  sol  le  parve  il  figlio  di  Pipino 
Degno,  a  cui  tanto  onor  dovesse  farsi. 
Tra  quanti  o  mai  nel  popol  Saracino 
O  nel  cristiano,  imperatori  e  regi 
Per  virtù  vide  o  per  ricchezza  egregi. 

il     Carlo  benignamente  la  raccolse, 
E  le  osci  incontra  fuor  dei  padiglioni  ; 
E  che  sedesse  a  lato  suo  poi  volse 
Sopra  tutti,  re,  principi  e  baroni. 
Si  dio  licenzia  a  chi  non  se  la  tolse  ; 
Si  che  tosto  restaro  in  pochi  e  buoni. 
Restaro  1  paladini  e  i  gran  signori  : 
La  vilipesa  plebe  andò  di  fuori. 

4S      Marfisa  cominciò  con  grata  voce: 
Eccelso,  invitto  e  glorioso  Augusto, 
Che  dal  mar  Indo  alla  Tirinzia  foce, 
Dal  bianco  Scita  all'  Etiope  adusto 
Riverir  fai  la  tua  candida  croce, 
Nò  di  te  regna  il  più  saggio  o  'I  più  giusto  ; 
Tua  fama,  ch'alcun  termine  non  serra. 
Qui  tratto  m' ha  fin  dall'  estrema  terra. 


CANtO  tRBNTESIBtOTTAVO.  ^É? 

i3     E,  per  narrarti  il  ver,  sola  mi  mosse 
Invidia,  e  sol  per  farti  guerra  io  venni, 
Acciò  che  si  possente  un  re  non  fosse, 
Che  non  tenesse  la  legge  eh'  io  tenni. 
Per  questo  ho  fatto  le  campagne  rosse 
Del  Cristian  sangue  ;  ed  altri  fieri  cenni 
Era  per  farti  da  crudél  nimica. 
Se  non  cadea  chi  mi  l' ha  fatto  amica. 

14     Quando  nuocer  pensai  più  alle  tue  squadre, 
Io  trovo  (e  come  sìa  dirò  più  ad  agio) 
Che  '1  buon  Ruggier  di  Risa  fu  mio  padre, 
Tradito  a  torto  dal  fratel  malvagio. 
Portommi  in  corpo  mia  misera  madre 
Di  là  dal  mare,  e  nacqui  in  gran  disagio. 
Nutrìmmi  un  mago  infin  al  settimo  anno, 
A  cui  gli  Arabi  poi  rubata  m' hanno; 

i5     E  mi  venderò  in  Persia  per  ischiava 
A  un. re  che,  poi  cresciuta,  io  posi  a  morte , 
Che  mia  virginità  tor  mi  cercava. 
Uccìsi  lui  con  tutta  la  sua  corte  : 
Tutta  cacciai  la  sua  progenie  prava; 
E  presi  il  regno,  e  tal  fu  la  mìa  sorte. 
Che  diciotto  anni  d'  uno  o  di  duo  mesi 
Io  non  passai,  che  sette  regni  presi. 

iS     E  di  tua  fama  invidiosa,  come 

10  t' ho  già  detto,  avea  fermo  nel  core 
La  grande  altezza  abbatter  del  tuo  nome  : 
Forse  il  faceva,  o  forse  era  in  errore. 

Ma  ora  avvien  che  questa  voglia  dome^ 
E  faccia  cader  Tale  al  mio  furore. 
L'aver  inteso,  poi  che  qui  son  giunta, 
Come  io  ti  son  d' afifinità  congiunta. 

17  E  come  il  padre  mio  parente  e  servo 
Ti  fu,  ti  son  parente  e  serva  anch'io  : 
E  quella  invidia  e  queir  odio  protervo, 

11  qual  io  t' ebbi  un  tempo,  or  tutto  obblìo ; 
Anzi  contra  Agramante  io  lo  riservo, 

E  contra  ogni  altro  che  sia  al  padre  o  al  zio 
Di  lui  stato  parente,  che  fur  rei 
Di  porre  a  morte  i  genitori  miei* 


3Ì8  OILAHDO  FUUOSO. 

i$     E  seguitò»  yoler  cristiana  farsi, 

E,  dopo  eh'  avrà  estinto  il  re  Agramante, 
Voler,  piacendo  a  Carlo,  ritornarsi 
A  batteizare  il  suo  regno  in  Lerante, 
Et  indi  centra  tutto  il  mondo  armarsi. 
Ore  Macon  s' adori  e  Trìvigante  ; 
E  con  promission,  ch'ogni  sno  acquisto 
Sia  don*  imperio,  e  della  Fé'  di  Cristo. 

19     L'imperator,  che  non  meno  eloquente 
Era,  che  fosse  yaloroso  e  saggio, 
Molto  esaltando  la  donna  eccellente, 
E  molto  il  padre  e  molto  il  sno  lignaggio, 
Rispose  ad  ogni  parte  umanamente, 
E  mostrò  in  fronte  aperto  il  suo  coraggio; 
E  conchiose  nell'ultima  parola, 
Per  parente  accettarla  e  per  figlinola. 

SO     E  qui  si  lera,  e  di  nuovo  l' abbraccia, 
E,  come  figlia,  bacia  nella  fronte. 
Vengono  tutti  con  allegra  faccia 
Quei  di  Mongrana  e  quei  di  Chiaramente. 
Lungo  a  dir  fora  quanto  pnor  le  faccia 
Rinaldo ,  che  di  lei  le  prove  conte 
Vedute  avea  più  volte  al  paragone, 
Quando  Albracca  assediar  col  suo  girone. 

Si     Lungo  a  dir  fora  quanto  il  giovinetto 
Guidon  s'allegri  di  veder  costei, 
Aquilante  e  Grifone  e-Sansonetto, 
Ch'  alla  città  erudel  foron  con  lei  ; 
Malagigi  e  Viviano  e  Ricciardetto, 
Gh'  air  occision  de'  Maganzesi  rei, 
E  di  quei  venditori  empj  di  Spagna 
L' aveano  avuta  si  fedel  compagna. 

S2      Apparecchiar  per  lo  seguente  giorno, 
Ed  ebbe  cura  Carlo  egli  medesmo. 
Che  fosse  un  luogo  riccamente  adomo, 
Ove  prendesse  Marfisa  battesmo. 
I  vescovi  e  gran  chierici  d' intorno. 
Che  le  leggi  sapean  del  cristianesmo, 
Fece  raccorrò,  acciò  da  loro  in  tutta 
La  santa  Fé'  fosse  Marfisa  instrutta. 


CANTO  TRENTESmOTTAVO.  329 

13     Venne  in  pontiGcale  abito  sacro 
V  arcìvesco  Tarpino,  e  battezzolla  : 
Carlo  dal  salatìfero  lavacro 
Con  cerimonie  debite  levolla. 
Ma  tempo  è  ormai  eh'  al  capo  voto  e  macro 
Di  senno  si  soccorra  con  l'ampolla, 
Con  che  dal  ciel  più  basso  ne  venia 
11  duca  Astolfo  sai  carro  d' Elia. 

24  Sceso  era  AstoKo  dal  giro  lucente 
Alla  maggiore  altezza  della  terra. 
Con  la  felice  ampolla  che  la  mente 
Dóvea  sanare  al  gran  mastro  di  guerra. 
Un'erba  quivi  di  virtù  eccellente 
Mostra  Giovanni  al  duca  d'Inghilterra: 
Con  essa  vuol  eh'  al  suo  ritorno  tocchi 
Al  re  di  Nubia  e  gli  risani  gli  occhi; 

25  Acciò  per  questi  e  per  li  primi  merli 
Gente  gli  dia,  con  che  Biserta  assaglia. 
E  come  poi  quei  popoli  inesperti 
Armi  ed  acconci  ad  uso  di  battaglia, 

E  senza  danno  passi  pei  deserti 
Ove  l'arena  gli  uomini  abbarbaglia, 
A  punto  a  punto  l'ordine  che  tegna, 
Tutto  il  Vecchio  santissimo  gl'insegna. 

26  Poi  lo  fé  rimontar  su  quello  alato 
Che  di  Ruggiero,  e  fu  prima  d'Aliante. 
Il  paladin  lasciò,  licenziato 

Da  San  Giovanni,  le  contrade  sante; 
E  secondando  il  Nilo  a  lato  a  lato. 
Tosto  i  Nobj  apparir  si  vide  innante  ; 
E  nella  terra  che  del  regno  è  capo. 
Scese  dall'aria  y  e  ritrovò  il  Senape. 

27  Molto  fu  il  gaudio  e  molta  fu  la  gioia 
Che  portò  a  quel  signor  nel  suo  ritorno; 
Che  ben  si  raccordava  della  noia 

Che  gli  avea  tolta,  dell'Arpie,  d'intorno. 
Ma  poi  che  la  grossezza  gli  discuoia 
Di  quello  umor  che  già  gli  tolse  il  giorno, 
E  che  gli  rende  la  vista  di  prima, 
L'adora  e  cole,  e  come  un  Dio  sublima: 

28* 


J3Ù  OlLiNDO  FTBIOSO. 

n     Si  che  DOD  por  lai  gente  che  gli  chiede 
Per  maoTer  guerra  al  regno  di  Biserta, 
Ma  ceolo  mila  sopra  gli  ne  diede, 
E  gli  fé  ancor  di  soa  persona  ollerta. 
ìa  genìe  appena,  ch'era  fatta  a  piede, 
Potea  capir  nella  campagna  aperta; 
Che  di  cavalli  ha  qoel  paese  inopia. 
Ma  d'defiuiti  e  di  cammelli  copia. 

29  La  notte  innanzi  11  di  che  a  suo  cammino 
L'esercito  di  Nabia  doTea  porse. 

Montò  sa  V  Ippogrìfo  il  paladino , 
E  Terso  Mezzodì  con  fretta  corse. 
Tanto  che  gionse  al  monte  che  V  aostrìno 
Vento  predace,  e  spira  centra  Y  Orse. 
TroTò  la  cara,  onde  per  stretta  bocca, 
Quando  si  desta,  il  lìirioso  scocca. 

30  E,  come  raccordògli  il  sao  maestro. 
Area  seco  arrecato  nn  otre  voto. 

Il  qoal,  mentre  nell'antro  oscuro  alpestro 
Affaticato  dorme  il  fiero  Noto, 
Allo  spiraglio  pon  tacito  e  destro; 
Ed  è  r  agguato  in  modo  al  vento  ignoto. 
Che,  credendosi  uscir  fuor  la  dimane. 
Preso  e  legato  in  quello  atre  rimane. 

31  Di  tanta  preda  il  paladino  allegro , 
Ritoma  in  Nnbia,  e  la  medesma  luce 
Si  pone  a  camminar  col  popol  negro, 
E  vettovaglia  diètro  sì  conduce. 

A  salvamento  con  lo  stuolo  Integro 
Verso  l'Atlante  II  glorioso  duce 
Pel  mezzo  vieh  della  minuta  sabbia, 
-  Senza  temer  che  '1  vento  a  nuocer  gli  abbia. 

32  E  giunto  poi,  di  qua  dal  giogo,  In  parte 
Onde  il  pian  si  dlscuopfe  e  la  marina, 
Astolfo  elegge  la  più  nobil  parie 

Del  campo,  e  la  meglio  atta  a  disciplina; 

E  qua  e  là  per  ordine  la  parte 

Appiè  d'un  colle,  ove  nel  pian  confina. 

Quivi  la  lascia,  e  su  la  cima  ascende 

in  vista  d' uom  eh'  a  gran  pensieri  intende. 


CANTO  TaENTESIMOTTAVO.  331 

33  Poi  che,  inchinando  le  ginocchia,  fece 
Al  santo  suo  maestro  orazione, 

Sicuro  che  sia  udita  la  sua  prece , 
Copia  di  sassi  a  far  cader  si  pone. 
Oh  quanto,  a  chi  ben  crede  in  Cristo,  lecet 

I  sassi,  fuor  di  naturai  ragione 
Crescendo,  si  vedean  venire  in  giuso, 

E  formar  ventre  e  gambe  e  collo  e  muso  : 

34  E  con  chiari  annitrir  giù  per  quei  calli 
Yenian  saltando;  e  giunti  poi  nel  piano, 
Scuotean  le  groppe,  e  fatti  eran  cavalli , 
Chi  baio  e  chi  leardo  e  chi  rovano. 

La  turba  eh'  aspettando  nelle  valli 
Stava  alla  posta,  lor  dava  di  mano: 
Si  che  in  poche  ore  fur  tutti  montati  ; 
Che  con  sella  e  con  freno  erano  nati. 

35  Ottanta  mila  cento  e  dna  in  un  giorno 
Fé,  di  pedoni,  Astolfo  cavalieri. 

Con  questi  tutta  scorse  Africa  intorno, 
Facendo  prede,  incendj  e  prigionieri. 
Posto  Agramante  avea,  fin  al  ritorno, 

II  re  di  Fersa  e  '1  re  degli  Algazeri, 
Col  re  firanzardo  a  guardia  del  paese  : 
E  questi  si  fer  centra  al  duca  inglese  ; 

36  Prima  avendo  spacciato  un  suttil  legno, 
Ch'a  vele  e  a  remi  andò  battendo  Tali, 
Ad  Agramante  avviso,  come  il  regno 
Patia  dal  re  de'  Nubj  oltraggi  e  mali. 
Giorno  e  notte  andò  quel  senza  ritegno, 
Tanto  che  giunse  ai  liti  provenzali  : 

E  trovò  in  Arli  il  suo  re  mezzo  oppresso  : 
Che  '1  campo  avea  di  Carlo  un  miglio  appresso. 

37  Sentendo  il  re  Agramante  a  che  periglio. 
Per  guadagnare  il  regno  di  Pipino, 
Lasciava  il  suo,  chiamar  fece  a  consiglio 
Principi  e  re  del  popol  Saracino. 

E  poi  eh'  una  o  due  volte  girò  il  ciglio 
Quinci  a  Marsilio  e  quindi  al  re  Sobrino^ 
I  quai  d'  ogni  altro  fur,  che  vi  venisse, 
I  duo  più  antiqui  e  saggi,  cosi  disse; 


332  ORLANDO  FURIOSO. 

38  Qaantanqae  io  sappia  come  mal  conregna 
A  un  capitano  dir,  Non  me  '1  pensai, 

Por  lo  dirò;  che  quando  un  danno  vegna 
Da  ogni  discorso  uman  lontano  assai, 
A  quel  fallir  par  che  sìa  escosa  degna  : 
E  qai  si  versa  il  caso  mio;  eh'  errai 
A  lasciar  d' arme  l' Africa  sfornita, 
Se  dalli  Nabj  esser  dovea  assalita. 

39  Ma  chi  pensato  avria,  fuorché  Dio  solo, 
A  cui  non  ò  cosa  f atara  ignota. 

Che  dovesse  venir  con  si  gran  stuolo 
A  fame  danno  gente  si  remota? 
Tra  i  quali  e  noi  giace  V  instabil  suolo 
Di  queir  arena  ognor  da'  venti  mota. 
Pur  ò  venuta  ad  assediar  Biserta , 
Ed  ha  in  gran  parte  V  Africa  deserta. 

40  Or  sopra  ciò  vostro  consiglio  chiegglo  : 
Se  partirmi  di  qui  senza  far  frutto, 
Oppur  seguir  tanto  V  impresa  deggio. 
Che  prigion  Carlo  meco  abbi  condutto  ; 
O  come  insieme  io  salvi  il  nostro  seggio, 
E  questo  imperiai  lasci  distratto. 

S' alcun  di  voi  sa  dir,  prego  noi  taccia, 
Acciò  si  trovi  il  meglio,  e  quel  si  faccia. 

éì      Cosi  disse  Agramante  ;  e  volse  gli  occhi 
Al  re  di  Spagna,  che  gli  sedea  appresso. 
Come  mostrando  di  voler  che  tocchi. 
Di  quel  e'  ha  detto,  la  risposta  ad  esso. 
E  quel,  poi  che  surgendo  ebbe  i  ginocchi 
Per  riverenzia,  e  cosi  il  capo  flesso, 
Nel  suo  onorato  seggio  si  raccolse  ; 
Indi  la  lingua  a  tai  parole  sciolse  : 

4S     O  bene  o  mal  che  la  Fama  ci  apporti. 
Signor,  di  sempre  accrescere  ha  in  usanza. 
Perciò  non  sarà  mai  eh'  io  mi  sconforti, 
O  mai  più  del  dover  pigli  baldanza 
Per  casi,  o  buoni  o  rei ,  che  sieno  sorti; 
Ma  sempre  avrò  di  par  tema  e  speranza 
Ch'  esser  debban  minori ,  e  non  del  modo 
Ch'  a  noi  per  tante  lingue  venir  odo. 


CANTO  TRENTESIMOTTAVO.  333 

43  E  tanto  men  prestar  gli  debbo  fede, 
Quanto  più  al  verisimile  s' oppone. 
Or  se  gli  è  verisimile  si  vede, 

Ch'  abbia  con  tanto  numer  di  persone 
Posto  nella  pugnace  Africa  il  piede 
Un  re  di  si  lontana  regione. 
Traversando  1*  arene  a  cui  Gambise 
Con  male  augurio  il  popol  suo  commise. 

44  Crederò  ben  che  sian  gli  Arabi  scesi 
Dalle  montagne,  ed  abbian  dato  il  guasto, 
E  saccheggiato,  e  morti  uomini  e  presi, 
Ove  trovato  avran  poco  contrasto  ; 

E  che  Branzardo,  che  di  quei  paesi 
Luogotenente  e  viceré  è  rimasto. 
Per  le  decine  scriva  le  migliaia. 
Acciò  la  scusa  sua  più  degna  paia. 

45  Vo'  concedergli  ancor,  che  sieno  1  Nubi 
Per  miracol  dal  ciel  forse  piovuti  ; 

O  forse  ascosi  venner  nelle  nubi. 
Poiché  non  fur  mai  per  cammin  veduti. 
Temi  tu  che  tal  gente  Africa  rubi, 
Sebben  di  più  soccorso  non  V  aiuti  ? 
Il  tuo  presidio  avria  ben  trista  pelle. 
Quando  temesse  un  popolo  si  imbelle. 

46  Ma  se  tu  mandi  ancor  che  poche  navi, 
Purché  si  veggan  gli  stendardi  tuoi, 
Non  scioglieran  di  qua  si  tosto  i  cavi. 
Che  fuggiranno  nei  confini  suoi 
Quésti,  o  sien  Nubj  o  sieno  Arabi  ignavi. 
Ai  quali  il  ritrovarti  qui  con  noi, 
Separato  pel  mar  dalla  tua  terra, 

Ha  dato  ardir  di  romperti  la  guerra. 

47  Or  piglia  il  tempo  che,  per  esser  senza 
II  suo  nipote  Carlo,  hai  di  vendetta. 
Poich' Orlando  non  c'è,  far  resistenza 
Non  ti  può  alcun  della  nemica  setta. 

Se  per  non  veder  lasci,  o  negligenza, 
L'onorata  vittoria  che  t'aspetta. 
Volterà  il  calvo  ove  ora  il  crin  ne  mostra. 
Con  molto  danno  e  lunga  infamia  nostra. 


334  ORLANDO  Fumoso. 

48  Con  qaesto  ed  altri  detti  accortamente 
V  Ispano  persoader  vnol  nel  concilio, 
Che  non  esca  di  Francia  questa  gente, 
Fìnchò  Carlo  non  sìa  spinto  in  esilio. 
Ma  il  re  Sobrin,  che  vide  apertamente 
Il  cammino  a  che  andava  il  re  Marsilio, 
Che  più  per  V  ntil  proprio  qneste  cose, 
Che  pel  comon,  dicea,  cosi  rispose: 

49  Qnando  io  ti  confortava  a  stare  in  pace, 
Foss'  io  stato,  signor,  falso  indovino  ; 

O  tu,  s' io  dovea  pare  esser  verace, 
Creduto  avessi  al  tuo  fedel  Sobrino, 
E  non  piuttosto  a  Rodomonte  audace, 
A  Marbalusto,  a  Alzirdo  e  a  Martasino, 
Li  quali  ora  vorrei  qui  avere  a  fronte  : 
Ma  vorrei  più  degli  altri  Rodomonte, 

60  Per  rinfacciargli  che  volea  di  Francia 
Far  quel  che  si  farla  d' un  fragil  vetro, 
E  in  cielo  e  nello  'nferno  la  tua  lancia 
Seguire,  anzi  lasciarsela  di  dietro  ; 

Poi  nel  bisogno  si  gratta  la  pancia, 
Neil*  ozio  immerso  abbominoso  e  tetro  : 
Ed  io,  che  per  predirti  il  vero,  allora 
Codardo  detto  fui,  son  teco  ancora  ; 

61  E  sarò  sempre  mai,  finch'io  finisca 
Questa  vita,  eh' ancor  che  d'anni  grave. 
Porsi  incontra  ogni  di  per  te  s' arrisca 
A  qualunque  di  Francia  più  nome  bave. 
Né  sarà  alcun,  sia  chi  si  vuol,  ch'ardisca 
Di  dir  che  l'opre  mie  mai  fosser  prave: 
£  non  han  più  di  me  fatto  nò  tanto 
Molti  che  si  donar  di  me  più  vanto. 

63      Dico  cosi,  per  dimostrar  che  quello 
Ch'  io  dissi  allora,  e  che  ti  voglio  or  dire, 
Nò  da  viltade  vien  nò  da  cor  fello. 
Ma  d' amor  vero  e  da  fedel  servire. 
Io  ti  conforto  eh'  al  paterno  ostello. 
Più  tosto  che  tu  puoi,  vegli  redire  ; 
Chò  poco  saggio  si  può  dir  colui 
Che  perde  il  suo  per  acquistar  i'  altrui. 


CANTO  TRBNTBSlMOTTAyO.  335 

53     S*  acquisto  e'  è,  tu  '1  sai.  Trentadui  fummo 
Re  tuoi  vassalli  a  uscir  teco  del  porto  : 
Or  se  di  nuovo  il  conto  ne  rassummo, 
C  è  appena  il  terzo,  e  tutto  '1  resto  è  morto. 
Che  non  ne  cadan  più,  piaccia  a  Dio  summo  : 
Ma  se  tu  vuoi  seguir,  temo  di  corto, 
Che  non  ne  rimarrà  quarto  né  quinto  ; 
E  '1  miser  popol  tuo  fia  tutto  estinto. 

64     Ch'Orlando  non  ci  sia,  ne  aiuta;  ch'ove 
Siam  pochi,  forse  alcun  non  ci  saria. 
Ma  per  questo  il  periglio  non  rimuove, 
Sebben  prolunga  nostra  sorte  ria. 
Ecci  Rinaldo,  che  per  molte  prove 
Mostra  che  non  minor  d' Orlando  sia. 
C'ò  il  suo  lignaggio,  e  tutti  ì  paladini, 
Timore  etemo  a'  nostri  Saracini  ; 

66     Ed  hanno  appresso  quel  secondo  Marte 
(Benché  i  nemici  al  mio  dispetto  lodo), 
Io  dico  il  valoroso  Brandimarte, 
Non  men  d' Orlando  ad  ogni  prova  sodo  ; 
Del  qual  provata  ho  la  virtude  in  parte» 
Parte  ne  veggo  air  altrui  spese  et  odo. 
Poi  son  più  di  che  non  e'  é  Orlando  stato  ; 
E  più  perduto  abbiam,  che  guadagnato. 

66  Se  per  addietro  abbiam  perduto ,  io  temo 
Che  da  qui  innanzi  perderem  più  in  gròsso. 
Del  nostro  campo  Mandricardo  é  scemo  ; 
Gradasso  il  suo  soccorso  n'  ha  rimosso  ; 
Marfisa  n'  ha  lasciati  al  punto  estremo  ; 

E  cosi  il  re  d'Algier,  di  cui  dir  posso 
Che,  se  fosse  fedel  come  gagliardo. 
Poco  uopo  era  Gradasso  o  Mandricardo. 

67  Ove  sono  a  noi  tolti  questi  aiuti, 
E  tante  mila  son  dei  nostri  morti  ; 

E  quei  eh' a  venir  bau  son  già  venuti. 
Né  s' aspetta  altro  legno  che  n'  apporti  : 
Quattro  son  giunti  a  Carlo,  non  tenuti 
Manco  d' Orlando  o  di  Rinaldo  forti  ; 
E  con  ragion,  che  da  qui  sino  a  Battro 
Potresti  mal  trovar  tali  altri  quattro. 


336  OBLÀNDO  FURIOSO. 

5$     Non  80  se  sai  chi  sia  Guidon  Selvaggio 
E  Saosonetto  e  i  figli  d' Oliviero. 
Di  questi  fo  più  stima  e  più  tema  aggio. 
Che  d' ogni  altro  lor  duca  e  cavaliero 
Che  di  Lamagna,  o  d' altro  stran  linguaggio, 
Sia  centra  noi  per  aiutar  V  impero  ; 
Bench'  importa  anco  assai  la  gente  nuova 
Gh'  a'  nostri  danni  in  campo  si  ritrova. 

69     Quante  volte  uscirai  alla  campagna, 
Tante  avrai  la  peggiore,  o  sarai  rotto. 
Se  spesso  perde  il  campo  Africa  e  Spagna, 
Quando  sian  stati  sedici  per  otto  ; 
Che  sarà  poi  eh'  Italia  e  che  Lamagna 
Con  Francia  è  unita,  e  '1  popolo  angle  e  scotto, 
E  che  sei  centra  dodici  saranno? 
Ch'altro  si  può  sperar,  che  biasmo  e  danno? 

60  La  gente  qui,  là  perdi  a  un  tempo  il  repo, 
S' in  questa  impresa  più  duri  ostinato  ; 

Ove,  s'al  ritornar  muti  disegno, 
L' avanzo  di  noi  servi  con  lo  stato. 
Lasciar  Marsilio  è  di  te  caso  indegno  ; 
Gh'  ognun  te  ne  terrebbe  molto  ingrato. 
Ma  e'  è  rimedio  :  far  con  Garlo  pace  ; 
Gh'  a  lui  deve  piacer,  se  a  te  pur  piace. 

61  Pur  se  ti  par  che  non  ci  sia  il  tuo  onore. 
Se  tu,  che  prima  offeso  sei,  la  chiedi  ; 

E  la  battaglia  più  ti  sta  nel  core, 
Ghe,  come  sia  fin  qu»  successa,  vedi  ; 
Studia  almen  dì  restarne  vincitore  : 
Il  che  forse  avverrà,  se  tu  mi  credi. 
Se  d' ogni  tua  querela  a  un  cavaliero 
Darai  l' assunto  ;  e  se  quel  fia  Ruggiero. 

62  Io  '1  so,  e  tu  '1  sai,  che  Ruggier  nostro  è  tale, 
Ghe  già  da  solo  a  sol  con  l' arme  in  mano, 
Non  men  d' Orlando  o  di  Rinaldo  vale, 

Nò  d' alcun  altro  cavalier  cristiano. 
Ma  se  tu  vuoi  far  guerra  universale. 
Ancorché  '1  valor  suo  sia  soprumano, 
Egli  però  non  sarà  più  eh'  un  solo. 
Ed  avrà  di  par  suoi  centra  uno  stuolo. 


CANTO  TBENTESIMOTTAVO.  337 

63  A  me  par,  s' sk,  (e  par,  eh'  a  dir  si  mandi 
Al  re  Cristian,  che  per  finir  le  liti, 

£  perchè  cessi  il  sangue  che  tu  spandi 
Ognor  de' suoi,  egli  de' tuoi  infiniti. 
Che  contra  un  tuo  guerrier  tu  gii  domandi 
Che  metta  in  campo  uno  dei  suoi  più  arditi  ; 
£  faccìan  questi  duo  tutta  la  guerra, 
Finché  r un  vinca,  e  l'altro  resti  in  terra: 

64  Con  patto,  che  qual  d'essi  perde,  faccia 
Che  '1  suo  re  all'  altro  re  tributo  dia. 
Questa  condizion  non  credo  spiaccia 

A  Carlo,  ancor  che  sul  vantaggio  sia. 
Mi  fido  si  nelle  robuste  braccia 
Poi  di  Ruggier,  che  vincitor  ne  fia; 
£  ragion  tanta  ò  dalla  nostra  parte, 
Che  vincerà,  s' avesse  incontra  Marte. 

65  Con  questi  ed  altri  più  efficaci  detti 
Fece  Sobrin  si,  che  '1  partito  ottenne; 
£  gì'  interpreti  fur  quel  giorno  eletti, 
£  quel  di  a  Carlo  l' imbasciata  venne. 
Carlo,  ch'avea  tanti  guerrier  perfetti. 
Vinta  per  sé  quella  battaglia  tenne. 

Di  cui  r  impresa  al  buon  Rinaldo  diede, 
In  ch'avea,  dopo  Orlando,  maggior  fede. 

66  Di  questo  accordo  lieto  parimente 
L' uno  esercito  e  1'  altro  si  godea  ; 
Che  '1  travaglio  del  corpo  e  della  mente 
Tutti  avea  stanchi,  e  a  tutti  rincrescea. 
Ognun  di  riposare  il  rimanente 

Della  sua  vita  disegnato  avea  ; 

Ognun  maledicea  l' ire  e  i  furori 

Ch'  a  risse  e  a  gare  avean  lor  desti  i  cori. 

67  Rinaldo  che  esaltar  molto  si  vede. 
Che  Carlo  in  luì  dì  quel  che  tanto  pesa, 
Via  più  ch'in  tutti  gli  altri,  ha  avuto  fede. 
Lieto  si  mette  all'onorata  impresa: 
Ruggier  non  stima  ;  e  veramente  crede 
Che  contra  sé  non  potrà  far  difesa  : 

Che  suo  pari  esser  possa  non  gli  è  avviso, 
Sebben  in  campo  ha  Mandricardo  ucciso. 


338  ORLANDO  FURIOSO. 

6S      Raggìer  dall' altra  parte,  ancorché  molto 
Ooor  gli  sia  che  'I  soo  re  l' abbia  eletto, 
E  pel  miglior  di  tatti  i  beoni  tolto, 
A  cai  commetta  an  si  importante  etTetto; 
Par  mostra  affanno  e  gran  mestizia  in  volto: 
Non  per  paora  che  gli  turbi  il  petto  ; 
Che  non  eh'  an  sol  Rinaldo,  ma  non  teme 
Se  fosse  con  Rinaldo  Orlando  insieme; 

69  Ma  perchè  vede  esser  di  lai  sorella 
La  saa  cara  e  fidissima  consorte, 
Ch'ognor  scrìvendo  stimola  e  martella, 
Come  colei  eh'  è  ingiuriata  forte. 

Or  s' alle  vecchie  offese  aggiunge  quella 
D' entrare  in  campo  a  porle  il  frate  a  morte, 
Se  la  farà,  d'amante,  cosi  odiosa, 
Ch'  a  placarla  mai  più  fia  dura  cosa. 

70  Se  tacito  Ruggier  s' affligge  ed  auge 
Della  battaglia  che  mal  grado  prende, 
La  sua  cara  moglier  lacrima  e  piange, 
Come  la  nuova  indi  a  poche  ore  intende. 
Batte  il  bel  petto,  e  l'auree  chiome  frange, 
E  le  guance  innocenti  irriga  e  offende  ; 

E  chiama  con  rammarichi  e  querele 
Ruggiero  ingrato,  e  il  suo  destìn  crudele. 

71  D'ogni  fin  che  sortisca  la  contesa, 
A  lei  non  può  venirne  altro  che  doglia, 

Ch'  abbia  a  morir  Ruggiero  in  questa  impresa 
Pensar  non  vuol;  che  par  che  '1  cor  le  toglia. 
Quando  anco,  per  punir  più  d'una  offesa, 
La  ruina  di  Francia  Cristo  voglia. 
Oltre  che  sarà  morto  il  suo  fratello. 
Seguirà  un  danno  a -lei  più  acerbo  e  fello; 

72  Che  non  potrà,  se  non  con  biasmo  e  scorno 
E  nimicizia  di  tutta  sua  gente. 

Fare  al  marito  suo  mai  più  ritorno. 
Si  che  lo  sappia  ognun  pubblicamente, 
Come  s'avea,  pensando  notte  e  giorno, 
Più  volte  disegnato  nella  mente  : 
E  tra  lor  era  la  promessa  tale, 
.C)ie  '1  ritrarsi  e  il  pentir  più  poco  vale. 


J 


CANTO  TRE.NTESIMOTTAVO.  339 

73  Ma  quella  osata  nelle  cose  avverse 
Di  non  mancarle  di  soccorsi  fidi, 
Dico  Melissa  maga,  non  sofferse 
Udirne  il  pianto  e  i  dolorosi  gridi  ; 
E  venne  a  consolarla,  e  le  profferse, 
Quando  ne  fosse  il  tempo,  alti  sussidi, 
£  disturbar  quella  pugna  futura, 

Di  eh'  ella  piange  e  si  pon  tanta  cura. 

74  Rinaldo  intanto  e  F  inclito  Ruggiero 
Appareccfaiavan  Tarme  alla  tenzone, 
Di  cui  dovea  V  eletta  al  cavaliero 

Che  del  romano  imperio  era  campione. 
E  come  quel  che,  poi  che  '1  buon  destriero 
Perde  Baiardo,  andò  sempre  pedone. 
Si  elesse  a  pie,  coperto  a  piastra  e  a  maglia. 
Con  r  azza  e  col  pugnai  far  la  battaglia. 

75  O  fosse  caso,  o  fosse  pur  ricordo 
Di  Malagigi  suo  provvido  e  saggio, 
Che  sapea  quanto  Balisarda  ingordo 

Il  taglio  avea  di  fare  all'arme  oltraggio. 
Combatter  senza  spada  fur  d'accordo 
L'  uno  e  V  altro  guerrier ,  come  detto  aggio 
Del  luogo  s'  accordar  presso  alle  mura 
Dell'antiquo  Arli,  in  una  gran  pianura. 

76  Appena  avea  la  vigilante  Aurora 
Dall'  ostel  di  Titon  fuor  messo  il  capo. 
Per  dare  al  giorno  terminato,  e  all'  ora 
Ch'era  prefissa  alla  battaglia,  capo; 
Quando  di  qua  e  di  là  vennero  fuora 

1  deputati  ;  e  questi  in  ciascun  capo 
DegU  steccati  i  padiglion  tirare, 
Appresso  ai  quali  ambi  un  aitar  fermare. 

77  Non  molto  dopo,  instrutto  a  schiera  a  schiera, 
Si  vide  uscir  l' esercito  pagano. 

In  mezzo  armato  e  sontuoso  v'  era 
Di  barbarica  pompa  il  re  africano  ; 
E  s*  un  baio  corsier  di  chioma  nera , 
Di  fronte  bianca,  e  di  duo  pie  balzano, 
A  par  a  par  con  lui  venia  Ruggiero, 
A  cui  servir  non  é  Marsilio  altiero. 


d40  ORLANDO  FDBIOSO. 

78  V  elmo  che  dianzi  con  travaglio  tanto 
Trasse  di  testa  al  re  di  Tartaria, 

L' elmo  che  celebrato  in  maggior  Canto 
Portò  il  troiano  Ettor  mill'anni  pria, 
Gli  porta  il  re  Marsilio  a  canto  a  canto: 
Altri  principi  ed  altra  baronia 
S' hanno  partite  Y  altr'  arme  fra  loro, 
Bieche  di  gioie  e  ben  fregiate  d' oro. 

79  Dall'  altra  parte  faor  dei  gran  ripari 
Re  Carlo  usci  con  la  sua  gente  d'arme. 
Con  gli  ordini  medesmi  e  modi  pari 
Che  terria  se  venisse  al  fatto  d' arme. 
Cingonlo  intorno  i  suoi  famosi  Pari  ; 

E  Rinaldo  è  con  lai  con  tatto  l' arme, 
Fuorché  l' elmo  che  fu  del  re  Mambrino, 
Che  porta  Uggier  danese,  paladino. 

SO     E  di  due  azze  ha  il  duca  Namo  V  una, 
E  r  altra  Salamon  re  di  Bretagna. 
Carlo  da  un  lato  i  suoi  tutti  raguna  ; 
Dall'  altro  son  quei  d' Africa  e  di  Spagna. 
Nel  mezzo  non  appar  persona  alcuna  ; 
Voto  riman  gran  spazio  di  campagna  : 
Che  per  bando  comune  a  chi  vi  sale. 
Eccetto  ai  duo  guerrieri,  ò  capitale. 

81     Poi  che  dell'  arme  la  seconda  eletta 
Si  dio  al  campion  del  popolo  pagano. 
Duo  sacerdoti,  l' un  dell'  una  setta, 
L'altro  dell'altra,  uscir  coi  libri  in  mano. 
In  quel  del  nostro  ò  la  vita  perfetta 
Scritta  di  Cristo,  e  l'altro  è  l'Alcorano: 
Con  quel  dell'  Evangelio  si  fé  innante 
L' imperator,  con  V  altro  il  re  Agramante. 

ss     Giunto  Carlo  all'  aitar  che  statuito 
I  suoi  gli  aveano,  al  ciel  levò  le  palme, 
E  disse:  0  Dio,  ch'hai  di  morir  patito 
Per  redimer  da  morte  le  nostr'  alme  ; 
O  Donna,  il  cui  valor  fu  si  gradito. 
Che  Dio  prese  da  te  V  umane  salme, 
E  nove  mesi  fu  nel  tuo  santo  alvo. 
Sempre  serbando  il  fior  virgineo  salvo; 


CANTO  TRENTESIBtOTTAVO.  34  i 

S3     Siatemi  testimoni,  ch'io  prometto 
Per  me  e  per  ogni  mia  saccessione, 
Al  re  Agramente,  ed  a  chi  dopo  eletto 
Sarà  al  governo  di  sua  regione. 
Dar  venti  some  ogni  anno  d'oro  schietto, 
S' oggi  qai  riman  vinto  il  mio  campione  ; 
E  eh'  io  prometto  subito  la  triegua 
Incominciar,  che  poi  perpetua  segua  : 

84  E  se  'n  ciò  manco,  subito  s' accenda 
La  formidabil  ira  d' ambidui , 

La  qual  me  solo  e  i  miei  figliuoli  offenda. 
Non  alcun  altro  che  sia  qui  con  nui  ; 
Si  che  in  brevissima  ora  si  comprenda 
Che  sia  il  mancar  della  promessa  a  vui. 
Cosi  dicendo,  Carlo  sul  Vangelo 
Tenea  la  mano,  e  gli  occhi  fissi  al  cielo. 

85  Si  levan  quindi,  e  poi  vanno  all'altare 
Che  riccamente  avean  pagani  adorno  ; 
Ove  giurò  Agramente,  eh' oltre  al  mare 
Con  l'esercito  suo  farà  ritorno, 

Ed  a  Carlo  daria  tributo  pare, 
Se  restasse  Ruggier  vinto  quel  giorno; 
E  perpetua  tra  lor  triegua  saria, 
Coi  patti  eh'  avea  Carlo  delti  pria. 

86  E  similmente  con  parlar  non  basso. 
Chiamando  in  testimonio  il  gran  Maumette, 
Sul  libro  che  in  man  tiene  il  suo  papasso, 
Ciò  che  detto  ha,  tutto  osservar  promette. 
Poi  del  campo  si  partono  a  gran  passo, 

E  tra  i  suoi  l' uno  e  l' altro  si  rimette  : 
Poi  quel  par  di  campioni  a  giurar  venne  ; 
E  '1  giuramento  lor  questo  contenne  : 

87  Ruggier  promette,  se  della  tenzone 
Il  suo  re  viene  o  manda  a  disturbarlo. 
Che  uè  suo  guerrier  più,  né  suo  barone 
Esser  mai  vuol,  ma  darsi  tutto  a  Carlo. 
Giura  Rinaldo  ancor,  che  se  cagione 
Sarà  dei  suo  signor  quindi  levarlo. 
Finché  non  resti  vìnto  egli  o  Ruggiero, 
Si  farà  d' Agramente  cavaliere. 

20* 


34^  ORLANDO  FllRIOSd. 

88  Poi  che  le  cerimonie  finite  hanno, 
Si  ritorna  ciascun  dalla  sua  parte  ; 
Né  v'indugiano  molto,  che  lor  danno 
Le  chiare  trombe  segno  al  fiero  Marte. 
Or  gli  animosi  a  ritrovar  si  vanno. 
Con  senno  i  passi  dispensando  ed  arte. 
Ecco  si  vede  incominciar  V  assalto. 
Sonar  il  ferro,  or  girar  basso,  or  alto. 

89  Or  innanzi  col  calce,  or  col  martello 
Accennan  quando  al  capo  e  quando  al  piede, 
Con  tal  destrezza  e  con  modo  si  snello, 
Ch'  ogni  credenza  il  raccontarlo  eccede. 
Buggier,  che  combattea  centra  il  fratello 

Di  chi  la  misera  alma  gli  possiede, 
A  ferir  lo  venia  con  tal  riguardo, 
Che  stimato  ne  fu  manco  gagliardo. 

90  Era  a  parar,  più  eh' a  ferire,  intento; 
E  non  sapea  egli  stesso  il  suo  desire. 
Spegner  Rinaldo  saria  mal  contento  ; 
Né  vorria  volentieri  egli  morire. 

Ma  ecco  giunto  al  termine  mi  sento, 
Ove  convien  V  istoria  differire. 
NelF  altro  Canto  il  resto  intenderete, 
S' udir  neir  altro  Canto  mi  vorrete. 


iroTS. 


tS'^  2.  V.  4.  —  Creso  o  Crasso: 
V  uno  fa  re  dì  Lidia»  1*  altro  patriiìo  ro- 
mano, amendue  rinomati  per  le  loro 
ricchesBe. 

St,  15.  V,  d.—Jlia  TirintUfoce! 
allo  stretto  di  Gibilterra,  formato  dalle 
colonne  d*  Ercole,  soprannominato  al- 
cune Tolte  Tiriosio,  perchè  educato  in 
Tirinta,  antica  città  del  Peloponneso. 

St.  i9.  9,  6.  —  Coraggio:  qui  pure 
animo  t  il  che  in  altro  luogo  si  disse. 

St.  so.  V.  8.—  Col  Étto  girone.  Si  h 
notato  altra  volta  che  questa  voce  de- 


nota il  circuito  delle  mura  di  una  città; 
e  qui  può  significare  il  cerdiio  delle 
mura  della  fortena  d'Albracca,  e  la 
fortesaa  medesima. 

J«.  SI.  V.  8.  —  Sansonetto.  Non 
sarà  facile  il  conciliare  la  prescnsa  di 
Sansonetto  al  ricevimento  di  Marfiia 
nella  corte  di  Carlo,  quando  si  è  veduto 
nel  Canto  XXXV,  St.  63,  ch'egli  era 
stato  mandato  in  Africa,  come  prigio- 
niero di  Rodomonte. 

St.  S6.  p.i Su  queih  éiUU: 

intendesi  l'Ippogrilo. 


ÈANTO  TREtrrESIMOtTAVO. 


m 


St.  S7.  y,  5.6.  —  La  grosse**»  gfl 
discuoia  Di  quello  umor  che  già  gii 
tolse  il  giorno  r  toglie  via  la  pellicola 
che  racchiudeva  qneU'nmoTe  ec 

St.  39.  V.  ò-%.~~  A  ustrino  Vento: 
Tento  che  spira  da  mestogiomo. 

Sl  31.  V,  S. — Eia  medesma  luce: 
e  nello  stesao  giorno. 

St.  34.  f'.  A.^Chi  baio  e  chi  lear* 
do  e  chi  royano:  nomi  di  diversi  colori 
che  hanno  i  mantelli  dei  cavalli.  Il  baio 
•  variamente  macchiato  ;  il  leardo  è  di 
fondo  bianco ,  sparso  di  macchie  nerei 
il  rovano  h  grigio,  ma  col  crine  e  tntte 
l'cstremitk  nere,  tranne  la  testa. 

St.  36.  V.  6.  —  lire  di  Ftrsa  e  il 
re  degli  Jlga%eri.  Dice  il  Berni,  nel 
Canto  LVII  i^W Orlando  Innamorato ^ 
che  il  primo  nominavasi  FoWo,  e  T  al- 
tro Buciftur. 

St.  89. 1».  6. — Mota:  mossa,  agitata. 

St.  41.  V.  6.  —  Flesso:  piegato , 
indiinato. 

St.  43.  9,  7-8.  —  L'arene  a  cui 
Cambisa  ee.  Sì  legge  in  Erodoto»  che 
questo  re  di  Persia  spedì  un  esercito  con- 
tro gli  Ammoni,  popolo  della  Libia  ai 
confini  della  Cirenaica,  e  che  i  soldati 
restarono  sepolti  sotto  V  arena  sollevata 
dal  vento.—  Commise:  affidò. 

St.  46.  V.  3.-^  Cavi:  canapi  gros- 
si, che  si  adoperano  nelle  navi. 

A.  47.  P.  7. —  Folterà  il  calvo  ove 
era  a  cria  ne  mostra:  ci  diverrli  con- 
traria, quand*  ora  ci  favorisce.  La  For- 
tuna rappresentasi  dai  mitologi  con  un 


sol  ciuffi)  di  capelli  sul  davanti  del  capo, 
e  calva  in  tutto  il  rimanente  { cosi  che 
non  possa  più  affirrarsi,  se  abbia  rivolta 
la  fronte. 

St.  53.  V.  6.  — Redire:  riedere,  ri- 
tornare. 

St.  53.  V.  3.  ».  Rassmmmot  rtas* 
sumo. 

St.  57.  V.  l.—Battro:  antica  città, 
tra  il  monte  Caucaso  ed  il  mar  Caspio. 

St.  60.  V.  A.  — Servi:  conservi. 

St.  74.  V.  8.  —  jiìuat  arme  in  asta 
lunga  circa  tre  braccia,  con  ferro  in  ci- 
ma, posto  in  traverso,  dall'  una  delle 
parti  appuntato,  e  dall'  altra  paru  fatto 
a  guisa  di  martello. 

St.  76.  V.  3.  —  Terminato  :  deUr- 
minalo,  stabilito. 

St.n.v.i'^.'^/nstrutto:  ordi- 
nato, disposto.-^^a/aano  .*  dicesi  d' un 
cavallo,  quando,  avendo  il  mantello  di 
altro  colore,  ha  i  piedi  bianchi. — Rug" 
giero,  A  cui  servir  non  è  Marsilio 
altiero  :  Ruggiero,  a  cui  Marsilio  non 
isdegna  servire. 

4$*^.  78.  V.  Z.—'Tn  maggior  Canto: 
ndl'  Iliade  di  Omero. 

St.  79.  v.ò.-^I  suoi  famosi  Pari: 
i  paladini,  ch'erano  dodici,  e  cosi  detti 
perche  tutti  di  egual  dignitli  nella  corte 
di  Carlo. 

St.  80.  V.  3-8.  —  Bretagna:  nome 
di  un*  antica  provincia  di  Francia.  — 
È  capitale:  h  delitto  da  punirsi  con  la 
morte. 

St.  86.  V.  Z.^ Papasso:  sacerdote. 


d44  ORLANDO  PCRIOSO. 


CAinro  TKEBFnmmasiomo. 


lldiiaa  col  mrsio  di  uà  incantesimo  fii  cbe  Agramante  rompa  i  patti  giurati  nello 
atabiliic  il  duello  i  quindi  Tengono  alle  mani  i  due  eserciti,  e  i  Mori  hanno  la 
peggio.  Astolfo  fa  prodeine  in  Africa  e  tì  crea  una  flotta.  Egli  e  i  suoi  compigni 
a'  imbattono  in  Orlando,  e  Astolfo  gli  rende  il  senno.  Agramente,  postosi  iHa 
vela  con  le  sue  truppe,  incontra  la  flotta  cristiana»  da  cui  Tiene  assalito. 


f      L' atfoDDO  di  Rdggier  ben  Teramente 
È  sopra  ogni  altro  darò,  acerbo  e  forte, 
Di  cui  travaglia  il  corpo,  e  più  la  mente. 
Poiché  di  due  fuggir  non  può  nna  morte: 
O  da  Rinaldo,  se  di  lui  possente 
Fia  meno  ;  o  se  fia  più,  dalia  consorte:     • 
Che  se  '1  f ratei  le  uccide,  sa  eh'  incorre 
Nell'odio  suo,  che  più  che  morte  abborre. 

2  Rinaldo,  che  non  ha  simil  pensiero, 
In  tutti  i  modi  alla  vittoria  aspira: 
Mena  dell'  azza  dispettoso  e  fiero  ; 
Quando  alle  braccia  e  quando  al  capo  mira. 
Volteggiando  con  l' asta  il  buon  Ruggiero 
Ribatte  il  colpo,  e  quinci  e  quindi  gira  ; 

E  se  percuote  pur,  disegna  loco 
Ove  possa  a  Rinaldo  nuocer  poco. 

3  Alla  più  parte  dèi  signor  pagani 
Troppo  par  disegnai  esser  la  zuffa  : 

Troppo  è  Ruggier  pigro  a  menar  le  mani  ;  i 

Troppo  Rinaldo  il  giovine  ribuffa.  I 

Smarrito  in  faccia  il  re  degli  Africani 
Mira  r  assalto,  e  ne  sospira  e  sbuffa  ; 
Ed  accusa  Sobrin,  da  cui  procede 
Tutto  r  error,  che  '1  mal  consiglio  diede 


CANTO  TRBNTBSIIIONONO.  348 

\     Melissa  in  questo  tempo,  eh'  era  fonte 
Di  qnanto  sappia  incantatore  o  mago, 
Avea  cangiata  la  femminil  fronte, 
E  del  gran  re  d' Algier  presa  V  imago. 
Sembrava  al  viso,  ai  gesti  Rodomonte, 
E  parea  armata  di  pelle  di  drago; 
E  tal  lo  scudo,  e  tal  la  spada  al  fianco 
Area,  quale  usava  egli,  e  nulla  manco. 

Spinse  il  Demonio  innanzi  al  mesto  figlio 
Del  re  Troiano,  in  Torma  di  cavallo; 
E  con  gran  voce  e  con  turbato  ciglio 
Disse:  Signor,  questo  è  pur  troppo  fallo, 
Ch'  un  giovane  inesperto  a  far  periglio 
Contra  un  sì  forte  e  si  famoso  Gallo 
Abbiate  eletto  in  cosa  di  tal  sorte, 
Che'l  regno  e  Toner  d'Africa  n' importe. 

Non  ri  lassi  seguir  questa  battaglia. 
Che  ne  sarebbe  in  troppo  detrimento. 
Su  Rodomonte  sia;  nò  ve  ne  caglia 
L'avere  il  patto  rotto  e  '1  giuramento. 
Dimostri  ognun,  come  sua  spada  taglia: 
Poich'io  ci  sono,  ognun  di  voi  vai  cento. 
Potò  questo  parlar  si  in  Agramante, 
Che,  senza  più  pensar,  si  cacciò  innante. 

Il  creder  d'aver  seco  il  re  d'Algieri 
Fece  che  si  curò  poco  del  patto; 
E  non  avria  di  mille  cavalieri 
Giunti  in  suo  aiuto  si  gran  stima  fatto. 
Perciò  lance  abbassar,  spronar  destrieri 
Di  qua  di  là  veduto  fu  in  un  tratto. 
Melissa,  poi  che  con  sue  finte  larve 
La  battaglia  attaccò,  subito  sparve. 

t     I  duo  campion  che  vedono  turbarsi, 
Contra  ogni  accordo,  contra  ogni  promessa, 
Senza  più  l'un  con  l'altro  travagliarsi. 
Anzi  ogni  ingiuria  avendosi  rimessa. 
Fede  si  dan,  nei  qua  nò  là  impacciarsi , 
Finchò  la  cosa  non  sia  meglio  espressa, 
Chi  stato  sia  che  i  patti  ha  rotto  innante, 
O'I  vecchio  Carlo,  o'I  giovene  Agramante. 


:M0  ORLANDO  FUfilOSO. 

9     E  replican  con  nuovi  giaramenti 
D* esser  nimici  a  chi  mancò  di  fede. 
Sozzopra  se  ne  van  tutte  le  genti  : 
Chi  porta  innanzi,  e  chi  ritorna  il  piede. 
Chi  sia  fra  i  vili,  e  chi  tra  i  più  vaienti, 
In  un  atto  medesimo  si  vede. 
Son  tutti  parimente  al  correr  presti; 
Ma  quei  corrono  innanzi ,  e  indietro  questi. 

10     Come  levrier  che  la  fugace  fera 
Correre  intorno  ed  aggirarsi  mira, 
Né  può  con  gli  altri  cani  andare  in  schiera, 
Che'l  cacciator  lo  tien,  si  strugge  d'ira, 
Si  tormenta,  s'aflQigge  e  si  dispera, 
Schiattisce  indarno,  e  si  dibatte  e  tira  : 
Cosi  sdegnosa  infìn  allora  stata 
Marfisa  era  quel  di  con  la  cognata. 

li     Fin  a  queir  ora  avean  quel  di  vedute 
Si  ricche  prede  in  spazioso  piano; 
£  che  fosser  dal  patto  ritenute 
Di  non  poter  seguirle  e  porvi  mano. 
Rammaricate  s' erano  e  dolute , 
£  n'  avean  molto  sospirato  invano. 
Or  che  i  patti  e  le  triegue  vider  rotte , 
Liete  saltar  nell'africane  frotte. 

12  Marfisa  cacciò  l'asta  per  lo  petto 

Al  primo  che  scontrò,  due  braccia  dietro: 

Poi  trasse  il  brando,  e  in  men  che  non  l'ho  detto, 

Spezzò  quattro  elmi  che  sembrar  di  vetro. 

Bradamante  non  fé  minore  efielto; 

Ma  r  asta  d' òr  tenne  diverso  metro  : 

Tutti  quei  che  toccò,  per  terra  mise  ; 

Duo  tanti  fur,  né  però  alcuno  uccise. 

13  Questo  si  presso  l' una  all'  altra  fero, 
Che  testimonio  se  ne  fur  tra  loro; 

Poi  si  scostare,  ed  a  ferir  si  diero. 
Ove  le  trasse  l' ira,  il  popol  moro. 
Chi  potrà  conto  aver  d'ogni  guerriero 
Ch'  a  terra  mandi  quella  lancia  d' oro? 
O  d' ogni  testa  che  tronca  o  divisa 
Sia  dalla  orribil  spada  di  Marfisa? 


CANTO  TRENTESIMONONO.  347 

14     Come  al  soffiar  de'  più  benigni  venti, 
Quando  Apennin  scaopre  V  erbose  spalle, 
MuoYonsi  a  par  duo  turbidi  torrenti, 
Che  nel  cader  fan  poi  diverso  calle  ; 
Svellono  i  sassi  e  gli  arbori  eminenti 
Dall'  alte  ripe,  e  portan  nella  valle 
Le  biade  e  ì  campi  ;  e  quasi  a  gara  fanno 
A  chi  far  può  nei  suo  cammin  più  danno: 

io     Cosi  le  due  magnanime  guerriere, 
Scorrendo  il  campo  per  diversa  strada, 
Gran  strage  fan  nell'  africane  schiere, 
L' una  con  l' asta,  e  V  altra  con  la  spada. 
Tiene  Agramante  a  pena  alle  bandiere 
La  gente  sua,  eh'  in  fuga  non  ne  vada. 
Invan  domanda,  invan  volge  la  fronte; 
Né  può  saper  che  sia  di  Rodomonte. 

16      A  conforto  di  lui  rotto  avea  il  patto 
(Cosi  credea)  che  fu  solennemente, 
I  Dei  chiamando  in  testimonio,  fatto; 
Poi  s' era  dileguato  si  repente. 
Né  Sobrìn  vede  ancor.  Sobrin  ritratto 
In  Arli  s'era,  e  dettosi  innocente; 
Perchè  di  quel  pergiuro  aspra  vendetta 
Sopra  Agramante  il  di  medesmo  aspetta. 

i7     Marsilio  anco  é  fuggito  nella  terra  ; 
Si  la  religion  gli  preme  il  core. 
Perciò  male  Agramante  il  passo  serra 
A  quei  che  mena  Carlo  imperatore, 
D' Italia,  di  Lamagna  e  d'Inghilterra, 
Che  tutti  gente  son  d'alto  valore  ; 
Ed  hanno  i  paladin  sparsi  tra  loro^ 
Come  le  gemme  in  un  ricamo  d' oro  : 

48      E  presso  ai  paladini  alcun  perfetto, 
Quanto  esser  possa  al  mondo  cavaliere, 
Guidon  Selvaggio,  l'intrepido  petto, 
£  i  duo  famosi  figli  d' Oliviero. 
Io  non  voglio  ridir,  eh'  io  l' ho  già  detto. 
Di  quel  par  di  donzelle  ardito  e  fiero. 
Questi  uccidean  di  genti  Saracino 
Tanto,  che  non  v'è  numero  né  fine. 


348  OALANDO  FDBIOSO. 

i9     Ma,  differendo  questa  pugna  alquanto, 
Io  vo'  passar  senza  navilio  il  mare. 
Non  ho  con  quei  di  Francia  da  far  tanto, 
Ch'  io  non  m*  abbia  d'Astolfo  a  ricordare. 
La  grazia  che  gli  die  TApostol  Santo 

10  v'  ho  già  detto,  e  detto  aver  mi  pare 
Che  '1  re  Branzardo  e  il  re  dell'  Algazera 
Per  girgli  incontra  armasse  ogni  saa  schiera. 

20  Faron  di  qnei  eh'  aver  poteano  in  fretta , 
Le  schiere  di  tutt'  Africa  raccolte, 

"  Non  men  d' inferma  età  che  di  perfetta  ; 
Quasi  eh'  ancor  le  femmine  for  tolte. 
Agramante  ostinato  alla  vendetta, 
Avea  già  vota  l'Africa  due  volte. 
Poche  genti  rimase  erano,  e  quelle 
Esercito  facean  timido  e  imbelle. 

21  Ben  lo  mostrar;  che  gl'inimici  appena 
Vider  lontan ,  che  se  n'  andaron  rotti. 
Astolfo,  come  pecore,  li  mena 
Dinanzi  ai  suoi  di  guerreggiar  più  dotti, 
E  fa  restarne  la  campagna  piena  : 
Pochi  a  Biserta  se  ne  son  ridotti  : 
Prigion  rimase  Bucifar  gagliardo  ; 
Salvossi  nella  terra  il  re  Branzardo, 

22  Via  più  dolete  sol  di  Bucìfaro , 
Che  se  tutto  perduto  avesse  il  resto. 
Biserta  è  grande ,  e  farle  gran  riparo 
Bisogna,  e  senza  lui  mal  può  far  questo. 
Poterlo  riscattar  molto  avria  caro. 
Mentre  vi  pensa,  e  ne  sta  aflQitto  e  mesto, 
Gli  viene  in  mente  come  tien  prigione 
Già  molti  mesi  il  paladin  Dudone. 

23  Lo  prese  sotto  a  Monaco  in  riviera 

11  re  di  Sarza  nel  primo  passaggio. 

Da  indi  in  qua  prigiòn  sempre  stato  era 
Dudon,  che  del  danese  Tu  lignaggio. 
Mutar  costui  col  re  dell'  Algazera 
Pensò  Branzardo,  e  ne  mandò  messa^io 
Al  capitan  de' NubJ,  perchè  intese 
Per  vera  spia,  eh'  egli  era  Astolfo  inglese. 


CANTO  TBENTESIMONONO.  349 

24  Essendo  Astolfo  paladin,  comprende 
Che  dee  aver  caro  an  paladino  sciorre. 
Il  gentil  duca,  come  il  caso  intende, 
Col  re  Branzardo  in  an  voler  concorre. 
Liberato  Dudon,  grazie  ne  rende 

Al  duca,  e  seco  si  mette  a  disporre 
Le  cose  che  appartengono  alla  gaerra. 
Cosi  quelle  da  mar,  come  da  terra. 

25  Avendo  Astolfo  esercito  ìnBnito 
Da  non  gli  far  sette  Afriche  difesa; 
£  rammentando  come  fa  ammonito 

Dal  Santo  Vecchio,  che  gli  die  l'impresa, 
Di  tor  Provenza  e  d' Acqaamorta  il  lite 
Di  man  de'  Saracin  che  V  avean  presa  : 
D*  ana  gran  torba  fece  naova  eletta, 
Qaella  eh'  al  mar  gli  parve  manco  inetta. 

26  Ed  avendosi  piene  ambe  le  palme. 
Quanto  potean  capir,  di  varie  fronde 
A  lauri,  a  cedri  tolte,  a  olive,  a  palme, 
Venne  sul  mare,  e  le  gittò  nell'  onde. 
Oh  felici  e  dal  Ciel  ben  dilette  alme! 
Grazia  che  Dio  raro  a'  mortali  infonde! 
Oh  stupendo  miracolo  che  nacque 

Di  quelle  frondi,  come  fur  neir  acquei 

27  Crebbero  in  quantità  fuor  d'ogni  stima  ; 
Si  feron  curve  e  grosse  e  lunghe  e  gravi; 
Le  vene  eh'  a  traverso  aveano  prima. 
Mutare  in  dure  spranghe  e  in  grosse  travi; 
E  rimanendo  acute  in  ver  la  cima. 

Tutte  in  un  tratto  diventare  navi 
Di  differenti  qualitadi,  e  tante. 
Quante  raccolte  fur  da  varie  piante. 

28  Mìracol  fu  veder  le  fronde  sparte 
Produr  fusto,  galee,  navi  da  gabbia. 
Fa  mirabile  ancor,  che  vele  e  sarte 

E  remi  avean,  quanto  alcun  legno  n'abbia. 
Non  mancò  al  duca  poi  chi  avesse  l' arte 
Di  governarsi  alla  ventosa  rabbia  ; 
Che  di  Sardi  e  di  Corsi  non  remoti, 
Nocchier,  padron,  penosi  ebbe  e  piloti 
II.  s$ 


380  ORLANDO  FURIOSO. 

29  Quelli  che  entraro  in  mar,  contati  foro 
Yentìseìmila,  e  gente  d' ogni  sorte. 
Dodon  andò  per  capitano  loro, 

Cavalier  saggio,  e  in  terra  e  in  acqua  forte. 
Stava  l'armata  ancora  al  lito  moro, 
Miglior  vento  aspettando  che  la  porte, 
Quando  un  navilio  giunse  a  quella  riva, 
Che  di  presi  guerrier  carco  veniva. 

30  Portava  quei  eh'  al  periglioso  ponte. 
Ove  alle  giostre  il  campo  era  si  stretto, 
Pigliato  avea  l'audace  Rodomonte, 
Come  più  volte  io  v'  ho  di  sopra  detto. 
Il  cognato  tra  questi  era  del  conte, 

£  '1  Tedel  Brandimarte  e  Sansonetto, 
£d  altri  ancor,  che  dir  non  mi  bisogna, 
D' Alemagna,  d' Italia  e  di  Guascogna. 

31  Quivi  il  nocchier,  eh'  ancor  non  s' era  accorto 
Degl'inimici,  entrò  coii  la  galea, 
Lasciando  molte  miglia  addietro  il  porto 

D'  Algieri,  ove  calar  prima  volea. 
Per  un  vento  gagliardo  eh'  era  sorto, 
£  spinto  oltre  il  dover  la  poppa  avea. 
Venir  tra  i  suoi  credette,  e  in  loco  fido. 
Come  vien  Progne  al  suo  loquace  nido. 

32  Ma  come  poi  l'imperiale  augello, 

I  gigli  d' oro,  e  ì  pardi  vide  appresso. 

Restò  pallido  in  faccia,  come  quello 

Che  '1  piede  incauto  d' improvviso  ha  messo 

Sopra  il  serpente  venenoso  e  fello. 

Dal  pigro  sonno  in  mezzo  l'erbe  oppresso; 

Che  spaventato  e  smorto  si  ritira, 

Fuggendo  quel  eh'  è  pien  di  tosco  e  d' ira. 

33  Già  non  potè  fuggir  quindi  il  nocchiero, 
Né  tener  seppe  i  prigion  suoi  di  piatto. 
Con  Brandimarte  fu,  con  Oliviero, 

Con  Sansonetto  e  con  molti  altri  tratto 
Ove  dal  duca  e  dal  figliuol  d'Uggiero 
Fu  lieto  viso  agli  suo'  amici  fatto  ; 
E  per  mercede,  luì  che  li  condusse, 
Telson  che  condannato  al  remo  fosse. 


Canto  trentesimoNoNO.  38 1 

54     Come  io  vi  dico,  dal  figliDol  d' Olone 
I  cavalier  Cristian  faron  ben  visti, 
£  di  mensa  onorati  al  padiglione, 
D*  arme  e  di  ciò  che  bisognò  provvistL 
Per  amor  d' essi  differì  Dudone 
L*  andata  sua  ;  che  non  minori  acquisti 
Dì  ragionar  con  tai  baroni  estima, 
Che  d'esser  gito  uno  o.dno  giorni  prima. 

35  In  che  stato,  in  che  termine  si  trove 
E  Francia  e  Carlo,  instruziqn  vera  ebbe; 
E  dovè  più  sicuramente,  e  dove. 

Per  far  miglior  effètto,  calar  debbe. 
Mentre  da  lor  venia  intendendo  nuove, 
S*  udì  un  rumor  che  tuttavia  più  crebbe  ; 
E  un  dar  all'  arme  ne  segui  si  fiero, 
Che  fece  a  tutti  far  più  d' un  pensiero. 

36  II  duca  Astolfo  e  la  compagnia  bella, 
Che  ragionando  insieme  si  trovaro. 

In  un  momento  armati  furo  e  in  sella , 

E  verso  il  maggior  grido  in  fretta  andare, 

Di  qua  di  là  cercando  pur  novella 

Di  quel  remore  ;  è  in  loco  capitare , 

Ove  videro  un  uom  tanto  feroce. 

Che  nudo  e  solo  a  tutto  '1  campo  nuoce. 

37  Menava  un  suo  baston  di  legno  in  volta, 
Ch'  era  si  duro  e  si  grave  e  si  fermo. 
Che  declinando  quel,  facea  ogni  volta 
Cader  in  terra  un  uom  peggio  eh'  infermo. 
Già  a  più  di  cento  avea  la  vita  tolta  ; 

Né  più  se  gli  facea  riparo  o  schermo , 

Se  non  tirando  dì  lontan  saette  : 

Da  presso  non  è  alcun  già  che  l' aspette. 

38  Dudone,  Astolfo,  Brandimarte  essendo 
Corsi  in  fretta  al  remore,  ed  Oliviero, 
Della  gran  forza  e  del  valor  stupendo 
Stavan  maraviglìosi  di  quel  fiero  ; 
Quando  venir  s'un  palafren  correndo 
Videro  una  donzella  investir  nero. 

Che  corse  a  Brandimarte  e  salutollo, 

£  gli  alzò  a  un  tempo  ambe  le  braccia  al  collo. 


*^T 


354  ORLANDO  IrtIRIOSO. 

49     Lo  scado  roppe  solo,  e  so  Y  elmetto 
Tempestò  si,  che  Dadon  cadde  in  terra. 
Menò  la  spada  a  an  tempo  Sansonetto, 
E  del  baston  più  di  dao  braccia  afferra 
Con  valor  tal,  che  tatto  il  taglia  netto. 
Brandimarte,  ch'addosso  se  gli  serra, 
Gli  cinge  i  fianchi,  qaanto  paò,  con  ambe 
Le  braccia,  e  Astolfo  il  piglia  nelle  gambe. 

60     Scaotesi  Orlando,  e  langi  dieci  passi 
Da  sé  r  inglese  fé  cader  riverso: 
Non  fa  però  che  Brandimarte  il  lassi. 
Che  con  più  forza  V  ha  preso  a  traverso. 
Ad  Olivier,  che  troppo  innanzi  fassi. 
Menò  an  pagno  si  duro  e  si  perverso, 
Che  lo  fé  cader  pallido  ed  esangue, 
E  dal  naso  e  dagli  occhi  uscirgli  il  sangue. 

51      E  se  non  era  V  elmo  più  che  buono 
Ch'  avea  Olivier,  V  avria  quel  pugno  ucciso: 
Cadde  però,  come  se  fatto  dono 
Avesse  dello  spirto  al  paradiso. 
Budone  e  Astolfo  che  levati  sono, 
Benché  Dudone  abbia  gonfiato  il  viso, 
E  Sansonetto  che  '1  bel  colpo  ha  fatto. 
Addosso  a  Orlando  son  tutti  in  un  tratto. 

63      Dudon  con  gran  vigor  dietro  T  abbraccia. 
Pur  tentando  col  pie  farlo  cadere: 
Astolfo  e  gli  altri  gli  ban  prese  le  braccia, 
Né  lo  puon  tutti  insieme  anco  tenere. 
Chi  ha  visto  toro  a  cui  si  dia  la  caccia, 
E  eh'  alle  orecchie  abbia  le  zanne  fiere, 
Correr  mugliando,  e  trarre  ovunque  corre 
I  cani  seco,  e  ìiqn  potersi  sciorre; 

53     Immagini  eh'  Orlando  fosse  tale. 
Che  tutti  quei  guerrier  seco  traea. 
In  quel  tempo  Olivier  di  terra  sale» 
Là  dove  steso  il  gran  pugno  V  avea; 
E  visto  che  cosi  si  potea  male 
Far  di  lui  quel  eh' Astolfo  far  volea, 
Si  pensò  un  modo,  et  ad  effetto  il  messe, 
Di  far  cader  Orlando,  e  gli  successe. 


CANTO  TRENTESiMONONÓ.  355 

54     Si  fé  quivi  arrecar  più  d' una  fané, 
£  con  nodi  correnti  adattò  presto; 
Ed  alle  gambe  ed  alle  braccia  alcune 
Fé  porre  al  conte,  ed  a  traverso  il  resto. 
Di  quelle  1  capi  poi  parti  in  comune, 
£  li  diede  a  tenere  a  quello  e  a  questo. 
Per  quella  via  che  maniscalco  atterra 
Cavallo  0  bue,  fu  tratto  Orlando  in  terra. 

65     Come  egli  è  in  terra,  gli  son  tutti  addosso 
E  gli  legan  più  forte  e  piedi  e  mani. 
Assai  di  qua  di  là  s'è  Orlando  scosso; 
Ma  sono  i  suoi  risforzi  tutti  vani. 
Comanda  Astolfo  che  sia  quindi  mosso. 
Che  dice  voler  far  che  si  risani. 
Dudon  eh'  è  grande,  il  leva  in  so  le  schene> 
£  porta  al  mar  sopra  V  estreme  arene. 

56  Lo  fa  lavar  Astolfo  sette  volte, 
£  sette  volte  sotto  acqua  Tattufia; 

Si  che  dal  viso  e  dalle  membra  stolte 
Leva  la  brutta  ruggine  e  la  muffa: 
.    Poi  con  ceri'  erbe,  a  questo  effetto  colte, 
La  bocca  chiuder  fa,  che  soffia  e  buffa; 
Che  non  volea  eh'  avesse  altro  meato 
Onde  spirar,  che  per  lo  naso,  il  fiato. 

57  Aveasi  Astolfo  apparecchiato  il  vaso. 
In  che  il  senno  d' Orlando  era  rinchiuso; 
£  quello  in  modo  appropinquogli  al  naso. 
Che  nel  tirar  che  fece  il  fiato  in  suso, 
Tutto  il  votò.  Maraviglioso  caso  l 

Che  ritornò  la  mente  al  primier  uso; 
£  ne'  suoi  bei  discorsi  l' intelletto 
Rivenne,  più  che  mai  lucido  e  netto. 

58  Come  chi  da  noioso  e  grave  sonno. 
Ove  a  veder  abbominevol  forme 

Di  mostri  che  non  son,  né  ch'esser  ponno, 
O  gli  par  cosa  far  strana  ed  enorme, 
Ancor  si  maraviglia,  poi  che  donno 
£  fatto  de' suoi  sensi,  e  che  non  dorme; 
Cosi,  poi  che  fu  Orlando  d'error  tratto , 
Restò  maraviglioso  e  stupefatto. 


380  ÓBLANDO  FUfiiO^. 

09      E  firandimarte,  e  il  f ratei  d'Alda  bella, 
£  qael  che  '1  senno  in  capo  gli  rìdasse. 
Par  pensando  riguarda,  e  non  favella, 
Com'egli  qaivi,  e  quando  si  condusse. 
Girava  gli  occhi  in  questa  parte  e  in  quella , 
Né  sapea  immaginar  dove  si  fosse. 
Si  maraviglia  che  nudo  si  vede, 
£  tante  foni  ha  dalle  spalle  al  piede. 

60  Poi  disse,  come  già  disse  Sileno 
A  quei  che  lo  legar  nel  cavo  speco: 
Solvile  me,  con  viso  si  sereno, 

Con  guardo  si  men  dell'  usato  bieco, 
Che  fu  slegato,  e  de' panni  ch'avieno 
Fatti  arrecar  parteciparon  seco, 
Consolandolo  tutti  del  dolore. 
Che  lo  premea,  di  quel  passato  errore. 

61  Poi  che  fu  all'  esser  primo  ritornato 
Orlando  più  che  mai  saggio  e  virile, 

D'*amor  si  trovò  insieme  liberato  ; 
Si  che  colei  che  si  bella  e  gentile 
Gli  parve  dianzi,  e  eh'  avea  tanto  amalo, 
Non  stima  più,  se  non  per  cosa  vile. 
Ogni  suo  studio ,  ogni  disio  rivolse 
A  racquistar  quanto  già  amor  gli  tolse. 

62  Narrò  Bardino  intanto  a  Brandimarfe, 
Che  morto  era  il  suo  padre  Monodante; 
£  che  a  chiamarlo  al  regno  egli  da  parte 
Veniva  prima  del  fratel  Gigliante, 

Poi  delle  genti  eh'  abitan  le  sparte 
Isole  in  mare,  e  l'ultime  in  Levante; 
Dì  che  non  era  un  altro  regno  al  mondo 
SI  ricco,  popoloso y  o  si  giocondo. 

63  Disse,  tra  più  ragion,  che  dovea  farlo, 
Che  dolce  cosa  era  la  patria  ;  e  quando 
Si  disponesse  di  voler  gustarlo, 

Avria  poi  sempre  in  odio  andar  errando. 
Brandimarle  rispose,  voler  Carlo 
Servir  per  tutta  questa  guerra  e  Orlando; 
E  se  potea  vederne  il  fin,  che  poi 
Penseria  meglio  sopra  i  casi  suoi. 


-^^^T" 


CANTO  TRENTBSIMONONO.  357 

64     II  di  seguente  la  sua  armata  spìnse 
Verso  Provenza  il  figlio  del  Danese  : 
Indi  Orlando  col  duca  si  ristrinse, 
Ed  in  che  stato  era  la  guerra,  intese  : 
Tutta  fiiserta  poi  d'assedio  cinse. 
Dando  però  Y  onore  al  duca  inglese 
D'ogni  vittoria;  ma  quel  duca  il  tutto 
Facea,  come  dal  conte  venia  instrntto. 

66     Gh'  ordine  abbian  tra  lor,  come  s' assaglia 
La  gran  Diserta,  e  da  che  lato  e  quando  » 
Come  fu  presa  alla  prima  battaglia, 
Chi  neironor  parte  ebbe  con  Orlando, 
S'io  non  vi  seguito  ora,  non  vi  caglia; 
Ch'  io  non  me  ne  vo  molto  dilungando. 
In  questo  .mezzo  di  saper  vi  piaccia 
Come  dai  Franchi  i  Mori  hanno  la  caccia. 

66  Fu  quasi  il  re  Agramante  abbandonato 
Nel  pericol  maggior  di  quella  guerra; 
Che  con  molti  pagani  era  tornato 
Marsilio  e  '1  re  Sobrin  dentro  alla  terra; 
Poi  su  l'armata  e  questo  e  quel  montato, 
Che  dubbio  avean  di  non  salvarsi  in  terra  ; 
E  duci  e  cavalier  del  popol  moro 

Molti  seguito  avean  l' esempio  loro. 

67  Pure  Agramante  la  pugna  sostiene; 
E  quando  finalmente  più  non  puote, 
Volta  le  spalle,  e  la  via  dritta  tiene 
Alle  porte  non  troppo  indi  remote. 
Rabican  dietro  in  gran  fretta  gli  viene, 
Che  firadamante  stimola  e  percuote. 
D'ucciderlo  era  disiosa  molto; 

Che  tante  volte  il  suo  Ruggier  le  ha  tolto. 

68  II  medesmo  desir  Marfisa  avea. 
Per  far  del  padre  suo  tarda  vendetta, 
E  con  gli  sproni,  quanto  più  potea, 
Facea  il  destrier  sentir  eh'  ella  avea  fretta. 
Ma  né  l' una  né  V  altra  vi  giungea 

Si  a  tempo,  che  la  via  fosse  intercetta 
Al  re  d'entrar  nella  città  serrata, 
Et  indi  poi  salvarsi  in  su  l' armata. 


358  ORLANDO  FURIOSO. 

69  Come  dae  belle  e  generose  pardo 
Che  fuor  del  lascio  sien  di  pari  ascite, 
Poscia  eh'  i  cervi  o  le  capre  gagliarde 
Indarno  aver  si  veggano  seguite. 
Vergognandosi  quasi,  che  fur  tarde, 
Sdegnose  se  ne  tornano  e  pentite; 
Cosi  tornar  le  due  donzelle,  quando 
Videro  il  pagan  salvo,  sospirando. 

70  Non  però  si  fermar;  ma  nella  frotta 
Degli  altri  che  fuggivano  cacciarsi, 
Di  qua  di  là  facendo  ad  ogni  botta 
Molti  cader,  senza  mai  più  levarsi. 

A  mal  partito  era  la  gente  rotta, 
Che  per  fuggir  non  potea  ancor  salvarsi; 
Ch'  Agramante  avea  fatto,  per  suo  scampo, 
Chiuder  la  porta  eh'  uscia  verso  il  campo, 

71  E  fatto  sopra  il  Rodano  tagliare 
I  ponti  tutti.  Ah  sfortunata  plebe. 
Che  dove  del  tiranno  utile  appare. 
Sempre  è  in  conto  di  pecore  e  di  zebe! 
Chi  s' affoga  nel  fiume  e  chi  nel  mare, 
Chi  sanguinose  fa  di  sé  le  glebe. 
Molti  perir,  pochi  restar  prigioni  ; 
Che  pochi  a  farsi  taglia  erano  buoni. 

72  Della  gran  moltitudine  eh'  uccisa 

Fu  da  ogni  parte  in  quest'  ultima  guerra 
(Benché  la  cosa  non  fu  ugual  divisa, 
Ch'  assai  più  andar  dei  Saracin  sotterra 
Per  man  di  Bradamante  e  di  Marfisa], 
Se  ne  vede  ancor  segno  in  quella  terra: 
Che  presso  ad  Arli,  ove  il  Rodano  stagna. 
Piena  di  sepolture  é  la  campagna. 

73  Fatto  avea  intanto  il  re  Agramante  sciorre 
E  ritirar  in  alto  i  legni  gravi, 
Lasciando  alcuni,  e  i  più  leggieri,  a  torre 
Quei  che  volean  salvarsi  in  su  le  navi. 

Vi  ste'  duo  di,  per  chi  fuggia  raccorrò: 
£  perché  i  venti  eran  contrarj  e  pravi» 
Fece  lor  dar  le  vele  il  terzo  giorno; 
Ch'  in  Africa  credea  di  far  ritorno. 


CANTO  TRENTESIMONONO.  359 

74  II  re  Marsilio,  che  sta  in  gran  paura 
Ch'alia  sua  Spagna  il  fio  pagar  non  tocche, 
E  la  tempesta  orribilmente  oscura 

Sopra  i  suoi  <?ampi  air  ultimo  non  scocche  ; 
Si  fé  porre  a  Valenza,  e  con  gran  cura 
Cominciò  a  riparar  castella  e  rocche, 
£  preparar  la  guerra  che  fu  poi 
La  sua  ruina  e  degli  amici  suoi. 

75  Terso  Africa  Agramente  alzò  le  vele. 
De' legni  male  armati,  e  voti  quasi; 
D'uomini  voti,  e  pieni  di  querele, 
Perch'  in  Francia  i  tre  quarti  eran  rimasi. 
Chi  chiama  il  re  superbo,  chi  crudele, 
Chi  stolto;  e,  come  avviene  in  simil  casi, 
Tutti  gli  voglion  mal  ne'lor  secreti; 

Ma  timor  n'  hanno,  e  stan  per  forza  cheti. 

76  Por  duo  talora  o  tre  schiudon  le  labbia, 
Ch'  amici  sono,  e  che  tra  lor  s' han  fede, 
E  sfogano  la  collera  e  la  rabbia; 

E  'I  misero  Agramente  ancor  si  crede 
Ch' ognun  gli  porti  amore,  e  pietà  gli  abbia: 
£  questo  gì'  intervien,  perchè  non  vede 
Mai  visi  se  non  finti,  e  mai  non  ode 
Se  non  adulazion,  menzogne  e  frode. 

77  Erasi  consigliato  il  re  africano 

Di  non  smontar  nel  porto  di  Bisertn, 
Però  ch'avea  del  popol  nubiano, 
Che  quel  lito  tenea,  novella  certa; 
Ma  tenersi  di  sopra  sì  lontano. 
Che  non  fosse  acre  la  discesa  ed  erta; 
Mettersi  in  terra,  e  ritornare  al  dritto 
A  dar  soccorso  al  suo  popolo  afflitto. 

7S     Ma  il  suo  fiero  destin ,  che  non  risponde 
A  quella  intenzion  provida  e  saggia. 
Vuol  che  r  armata  che  nacque  di  fronde 
Miracolosamente  nella  spiaggia, 
E  vien  solcando  inverso  Francia  l'onde, 
Con  questa  ^d  incontrar  di  notte  s' aggia, 
A  nubiloso  tempo,  oscuro  e  tristo. 
Perchè  sìa  in  più  disordine  sprovvisto* 


OELAlfDO  rUBIOSO. 

79     Non  ha  avuto  Agramante  ancora  spia, 
Ch'  Astolfo  mandi  nn'  armata  si  grossa; 
Né  creduto  anco,  a  chi  '1  dicesse,  avria, 
Che  cento  navi  nn  ramnscel  far  possa: 
E  vien  senza  temer  eh'  intomo  sia 
Chi  centra  lai  s' ardisca  di  far  mossa; 
Né  pone  guardie  né  veletta  in  gabbia. 
Che  di  ciò  che  si  scoopre  avvisar  abbia. 

SO     SI  che  i  navili  che  d' Astolfo  avuti 
Avea  Dndon,  di  buona  gente  armati, 
E  che  la  sera  avean  questi  veduti^  ' 
Ed  alla  volta  lor  s' eran  drizzati. 
Assalir  gli  nimici  sprovveduti, 
Gittaro  i  ferri,  e  sensi  incatenati, 
Poich'  al  parlar  certificati  foro 
Ch'erano  Morì,  e  gl'inimici  loro. 

8i     Neil'  arrivar  che  i  gran  navili  fenno 
(Spirando  il  vento  a' lor  desir  secondo}. 
Nei  Saracin  con  tale  impeto  donno. 
Che  molti  legni  ne  cacciare  al  fondo: 
Poi  cominciare  oprar  le  mani  e  il  senno, 

'    E  ferro  e  fuoco  e  sassi  di  gran  pondo 
Tirar  con  tanta  e  si  fiera  tempesta. 
Che  mai  non  ebbe  il  mar  simile  a  questa. 

82  Quei  di  Dndone,  a  cui  possanza  e  ardire 
Più  del  solito  è  lor  dato  di  sopra 

(Che  venuto  era  il  tempo  di  punire 

I  Saracin  di  più  d' una  mal'  opra). 

Sanno  appresso  e  lontan  si  ben  ferire. 

Che  non  trova  Agramante  ove  si  cuopra. 

Gli  cade  sopra  un  nembo  di  saette; 

Da  lato  ha  spade  e  graffi  e  picche  e  accette. 

83  D' alto  cader  sente  gran  sassi  e  gravi, 
Da  macchine  cacciati  e  da  tormenti; 

E  prore  e  poppe  fracassar  di  navi. 

Ed  aprire  usci  al  mar  larghi  e  patenti: 

E  '1  maggior  danno  è  degl'incendj  pravi, 

A  nascer  presti,  ad  ammorzarsi  lenti. 

La  sfortunata  ciurma  si  vuol  torre 

Del  gran  periglio,  e  via  più  ognor  vi  corr& 


CANTO  TRENTESIMONONQ.  361 

84  Altri  9  che  '1  ferro  e  Y  inimico  caccia  » 
Nel  mar  si  getta,  e  vi  s'affoga  e  resta; 
Altri,  che  maove  a  tempo  piedi  e  braccia. 
Va  per  salvarsi  o  in  quella  barca  o  in  questa  ; 
Ma  quella,  grave  oltre  il  dover,  lo  scaccia, 

E  la  man,  per  salir  troppo  molesta, 
Fa  restare  attaccata  nella  sponda  : 
Ritorna  il  resto  a  far  sanguigna  V  onda. 

85  Altri,  che  spera  in  mar  salvar  la  vita, 
0  perderla  vi  almen  con  minor  pena, 
Poiché  notando  non  ritrova  aita , 

£  mancar  sente  l'animo  e  la  lena. 
Alla  vorace  fiamma  e'  ha  fuggita , 
La  tema  di  annegarsi  anco  rimena: 
S'abbraccia  a  un  legno  ch'arde,  e  per  timore 
C'ha  di  due  morti,  in  ambe  se  ne  muore. 

86  Altri,  per  tema  di  spiedo  o  d'accetta 

Ghe  vede  appresso,  al  mar  ricorre  invano  »    ^ 
Perchè  dietro  gli  vien  pietra  o  saetta 
Che  non  lo  lascia  andar  troppo  lontano. 
Ma  saria  forse,  méntre  che  diletta 
Il  mio  cantar,  consiglio  utile  e  sano 
Di  finirlo,  piuttosto  che  seguire 
Tanto,  che  v'  annoiasse  il  troppo  dire. 


W  O  T  X. 


St,  8.  V.  4.  —  Troppo..^  ribuffa  f 
troppo  (i  agita,  li  affretta  a  menar 
colpi. 

Si.  6.  p.  5,  ^-  j4/ar  periglio  t  a  far 
prova  di  th,  a  cimentarsi. 

4^/.  SS.  v,$,-^llpaladin  Dadone: 
personaggio  che  figura  nel  più  ▼ohe  ri- 
cordato poema  del  Boiardo.  Nacque  da 
Ermellina,  figlia  di  N;imo  duca  di  Ba- 
viera^ e  moglie  di  Uggiero  il  Da- 
nese. Fa  preso  da  Rodomonte  a  Mo« 
baco  di  Proveàsa,  come  si  accenna 
■ella  Stanta  segurote  ;  quindi  mandato 


in  Africa,  e  dato  in  custodia  a  Bran« 
sardo. 

Si.  28.  p.  S.8.  —  Navi  da  gabbiai 
navi  di  maggior  portata  che  le  fuste 
e  le  galee,  che  hanno  gli  alberi  priori- 
pali  maniti  deMe  gabhig,  altra  ▼olta 
menlf>9»tt.-—  Nocchieri.,,,  e  piloti. — 
Vedi  nella  nota  alla  St.  16  del  Gan. 
to  XXIII  la  distinxione  Era  questi  ufHc] 
marinareschi. —  /'eiicW.*  ufficiali  su* 
balterni  nelle  navi,  cuni  de' quali  h 
stirare  e  distiVare  i  diversi  oggetti  che 
sono  a  Lui  do. 

51 


362 


ORLANDO  FURIOSO. 


St.  30.  V,  5. — //  cognato.,,  del  con* 
te:  Oliviero  di  Vienna,  fratello  di  Alda, 
moglie  d*  Orlando^  come  ti  notò  in  al- 
tro luogo.  ^ 

«Sir.Sl.v.8. — Comovien  Progneoc. 
La  rondine,  Tolatile  in  cui  fn  tramatala 
Progne  figlia  di  Pandione  re  di  Atene, 
e  moglie  di  Tereo.  «—  Loquace  nido  : 
cosi  detto  pel  garrire  de' pulcini,  quando 
h  madre  reca  ad  essi  il  cibo. 

Si.  SS.  p,  i-S.— X'  imperiale  aw 
gelloj  1  gigli  d'oro j  e  i  pardi  :  inse- 
gne di  Carlo  Magno,  di  Francia  e  d*  In- 
ghilterra. 

St.  AO.  V,  3-4. — Un  vecchio  ^ava» 
liero  ec:  Bardino,  del  quale  si  parla  nella 
SU  seguente.  Egli  era  al  servigio  del  re 
Monodante,  a  cui,  per  un  dispiacere  ric^ 
'vutone,  tolse  il  figliuoletto  Brandimarte, 
e  Io  Tende  al  conte  di  Rocca  Silvana. 
Il  conte  lo  adottò  per  figlio,  e  a  lui  fatto 
adulto  lasciò  la  signoria.  Ma  il  giova- 
ne, vago  di  avventure  cavalleresche ,  e 
andandone  in  traccia,  restò  prigione 
della  fata  Morgana ,  che  teneva  preso 
anche  ZiKante,  o  Gigliante,  fratello  di 
Brandimarte.  Ambidue  però  furono  li- 
berati  da  Orlando.  Cosi  il  Berni  nel- 
V  Orlando  Innamorato. 

Si.  42.  V. l,"-' Precessi:  preceduti, 
passati. 

St,  47.  V,  6.  -—  Dadon  santo  :  chia- 
ma così  Dudone,  forse  perchè  i  roman- 
xieri  notarono  ch'egli  lasciò,  dopo  un 


certo  tempo, la  vita  militare  e  si  applicò 
alla  devota. 

St.  55.  V.  4. — Ris forti  :  sforai  in 
contrario, reasioni.  Il  Vocabolario  spiega 
risforzi  per  sforzi  reiterati,  e  cita  que- 
sto passo.  Qui  pure  si  è  creduto  dover 
seguire  l'edisioDe  del  1516  e  quella 
del  1532,  che  leggono  risforù.  e  non 
rinforzi,  come  hanno  diverse  altre. 

St.  60.  V.  ^.  —  Solvile  me:  parole 
che  Virgilio,  nelPEcIoga  VI,  fa  dire  a 
Sileno,  legato  per  ischerao  da  alcuni 
pastori. 

St.69.  v.l.—- Lascio:  lassa,  gnin* 
taglio. 

Stl  li.  V.  4-8 Z^ebe:  capre.— 

Taglia:  qui  prezzo  dei  riscatto  di 
schiavij  onde,  buoni  a  farsi  tagli» 
vale  capaci  di  riscattarsi  con  denaro» 

St,  72.  •».  7-8 — Jd  Arli,  ove  il 
Rodano  stagna:  parole  tolte  di  pianta 
dall'Alighieri,  nel  Canto  IX,  v.  liS 
dell*  Inferno.  —  Piena  di  sepolture: 
piena  di  tumuli,  creduti  da  alcuna  ap- 
partenere ai  tempi  de*  Romani. 

Si.  79.  V,  7. — Ni  veletta  in  gab" 
bia.  Si  dichiarò  in  atiro  luogo  che  ve» 
letta  o  vedetta  significa  sentinella,  a 
che  dicesi  gabbia  un  piano  di  tavole 
costrutto  sulle  crocette  degli  alberi  della 
nave. 

St.  83.  V,  2.  —  Tormenti:  mac« 
chine  da  lanciare  proiettili^come  allrora 
si  è  dello. 


363 
CAIVTO  «IIARAUrTEflIiniO. 


Disfatta  ed  arsa  la  flotta  di  Agramante,  segue  l' oppugoaiione  di  Biserta,  cb*  è 
presa  per  forza  d*  armi)  e  abbandonata  al  saccheggio  e  alle  Samme.  Agramante. 
con  Sobrino  si  ricovera  in  Lampedusa  ;  e  trovato  Gradasso  in  qnell*  isola^  è 
fermato  tra  loro  il  consiglio  d*  invitare  colà  Orlando  ed  altri  dae  cavalieri  a 
battaglia.  Orlando  accoglie  di  buon  grado  V  invito,  e  ti  elegge  a  compagni 
Brandimarte  e  Oliviero.  Intanto  Ruggiero,  tornato  in  Arli,  libera  sette  re 
africani,  condottivi  prigionieri  da  Dudone,  e  poscia  viene  alle  mani  eon  lui* 


Lungo  sarebbe,  se  i  diversi  easi 
Volessi  dir  di  quel  naval  conflitto  ; 
£  raccontarlo  a  voi  mi  parria  quasi , 
Ma{;nanimo  fìgliuol  d' Ercole  invitto, 
Portar,  come  si  dice,  a  Samo  vasi, 
Nottole  a  Atene,  e  crocodili  a  Egitto: 
Che  quanto  per  udita  io  ve  ne  parlo, 
Signor,  miraste,  e  feste  altrui  mirarlo. 

Ebbe  lungo  spettacolo  il  fedele 
Vostro  popol  la  notte  e  'l  di  che  stette. 
Come  in  teatro,  rinìmiche  vele 
Mirando  in  Po  tra  ferro  e  fuoco  astrette. 
Che  gridi  udir  si  possano  e  querele, 
Ch'  onde  veder  di  sangue  umano  infette, 
Per  quanti  modi  in  tal  pugna  si  muora, 
Vedeste,  e  a  molti  il  dimostraste  allora. 

Noi  vidi  io  già,  ch'era  sei  giorni  innanti, 
Mutando  ogni  ora  altre  vetture,  corso 
Con  molta  fretta  e  molla  ai  piedi  santi 
Del  gran  Pastore  a  domandar  soccorso: 
Poi  né  cavalli  bisognar  né  fanti; 
Ch'  intanto  al  Leon  d'  òr  Y  artiglio  e  *ì  morso 
Fu  da  voi  rotto  sì,  che  più  molesto 
Non  r  ho  sentito  da  quel  giorno  a  questo. 


364  OULANDO  FURIOSO. 

4  Ma  Alfonsin  Trotto,  il  qnal  si  trovò  in  Tatto, 
Annibal  e  Pier  Moro  e  Àfranio  e  Alberto, 

E  tre  Ariosti,  e  il  Bagno  e  il  Zerbinalto 
Tanto  me  ne  contar,  eh*  io  ne  fui  certo: 
Me  ne  chiarir  poi  le  bandiere  affatto. 
Vistone  al  tempio  il  gran  namero  offerto, 
£  quindici  galee  eh'  a  queste  riye 
Con  mille  legni  star  vidi  captive. 

b     Chi  vide  quelli  incendj  e  quei  naufragi, 
Le  tante  uccisioni  e  s\  diverse, 
Che,  vendicando  i  nostri  arsi  palagi, 
Finqhè  fu  preso  ogni  navilio,  forse; 
Potrà  veder  le  morti  anco  e  i  disagi 
Che  '1  miser  popol  d'Africa  sofferse 
Col  re  Agramante  in  mezzo  Fonde  salse. 
La  scura  notte  che  Dudon  l'assalse. 

6  Era  la  notte,  e  non  si  vedea  lume, 
Quando  s' incominciar  l'aspre  contese; 
Ma  poi  che  '1  zolfo  e  la  pece  e  '1  bitume 
Sparso  in  gran  copia,  ha  prore  e  spónde  accese, 
E  la  vorace  fiamma  arde  e  consume 

Le  navi  e  le  galee  poco  difese; 

Si  chiaramente  ognun  si  vedea  intorno. 

Che  la  notte  parea  mutata  in  giorno. 

7  Onde  Agramante,  che  per  l' aer  scuro 
Non  avea  l'inimico  in  si  gran  stima, 
Né  aver  contrasto  si  credea  si  duro, 
Che,  resìstendo,  alfin  non  lo  reprima; 
Poi  che  rimosse  le  tenebre  furo, 

E  vide  quel  che  non  credeva  in  prima. 
Che  le  navi  nemiche  eran  duo  tante; 
Fece  pensier  diverso  a  quel  d'ayante. 

5  Smonta  con  pochi,  ove  in  più  lieve  barca 
Ha  Brigliadoro  e  l' altre  cose  care. 

Tra  legno  e  legno  taciturno  varca. 

Finché  si  trova  in  più  sìciif o  mare 

Da'  suoi  lontan,  che  Dudon  preme  e  carca, 

E  mena  a  condizioni  acri  ed  amare. 

Gh  arde  il  fuoco,  il  mar  sorbe,  il  ferro  strugge: 

Egli,  che  n'é  cagion,  via  se  ne  fugge. 


CANTO  QdARANTESiSfO.  Z6ti 

9  Fogge  Agramante,  ed  ha  con  lui  Sobrìno, 
Con  cai  sì  duol  di  non  gli  aver  credulo, 
Quando  previde  con  occhio  divino, 

E  '1  mal  gli  annunziò,  eh'  or  gli  è  avvenuto. 
Ma  torniamo  ad  Orlando  paladino, 
Che,  prima  che  Biserta  abbia  altro  aiuto, 
.    Consiglia  Astolfo  che  la  getti  in  terra, 
Si  che  a  Francia  mai  più  non  faccia  guerra. 

10  E  cosi  fu  pubblicamente  detto, 

Che  '1  campo  in  arme  al  terzo  di  sia  instrutto. 

Molti  navili  Astolfo  a  questo  effetto  ^ 

Tenuti  avea,  né  Dudon  n'ebbe  il  tutto; 

Di  quai  diede  il  governo  a  Sansonetto, 

Si  buon  guerrier  al  mar  come  all'  asciutto  : 

£  quel  si  pose,  in  su  l'ancore  sorto. 

Centra  a  Biserta,  un  miglio  appresso  al  porto. 

il      Come  veri  cristiani,  Astolfo  e  Orlando, 
Che  senza  Dio  non  vanno  a  rischio  alcuno  ^ 
Nell'esercito  fan  pubblico  bando. 
Che  sieno  orazion  fatte  e  digiuno  ; 
E  che  si  trovi  il  terzo  giorno,  quando 
Si  darà  il  segno,  apparecchiato  ognuno 
Per  espugnar  Biserta,  che  data  hanno. 
Vinta  che  s' abbia,  a  fuoco  e  a  saccomanno. 

13     E  cosi,  poi  che  le  astinenzie  e  i  voti 
Devotamente  celebrati  foro. 
Parenti,  amici,  e  gli  altri  insieme  noti 
Si  cominciare  a  convitar  tra  loro. 
Dato  restauro  a'  corpi  esausti  e  voti , 
Abbracciandosi  insieme  lacrimoro  ; 
Tra  loro  usando  i  modi  e  le  parole 
Che  tra  i  più  cari  al  dipartir  si  suole. 

i3     Dentro  a  Biserta  i  sacerdoti  santi, 
Supplicando  col  popolo  dolente, 
Battonsi  il  petto,  e  con  dirotti  pianti 
Chiamano  il  lor  Macon,  che  nulla  sente. 
Quante  vigìlie,  quante  offerte,  quanti 
Doni  promessi  son  privatamente  ! 
Quanto  in  pubblico  templi,  statue,  altari, 
Memoria  eterna  de*  lor  casi  amari  l 

51' 


k  3^6  ÒBLANOO  FtJBIOSO. 

f  u     E  poi  che  dal  Cadì  fa  benedetto  » 

r  Prese  il  popolo  V  arme,  é  tornò  al  maro. 

Ancor  giacea  col  suo  Tlton  nel  le(to 
La  bella  Aurora,  ed  era  il  cielo  oscaro, 
I  Quando  Astolfo  da  un  canto,  e  Sansonetto 

Da  un  altro,  armati  agli  ordini  lor  furo  ; 
£  poi  che  'l  segno,  che  die  il  conte ,  adiro, 
Biserta  con  grande  impeto  assalirò. 

15      Avea  Biserta  da  duo  canti  il  mare, 
Sedea  dagli  altri  duo  nel  lito  asciutto. 
Con  fabbrica  eccellente  e  singulare 
Fa  antiquamente  il  suo  muro  costrutto. 
Poco  altro  ha  che  V  aiuti  o  la  ripare  ; 
Che  poi  che  '1  re  Branzardo  fa  ridutto 
Dentro  da  quella,  pochi  mastri  e  poco 
Potè  aver  tempo  a  riparare  il  loco. 

io     Astolfo  dà  r  assunto  al  re  de'  Neri, 
Che  faccia  a'  merli  tanto  nocumento 
Con  falariche,  fonde,  e  con  arcieri. 
Che  levi  d'affacciarsi  ogni  ardimento; 
Si  che  passin  pedoni  e  cavalieri 
Fin  sotto  la  muraglia  a  salvamento. 
Che  vengon,  chi  di  pietre  e  chi  di  travi, 
Chi  d'asse  e  chi  d' altra  materia  gravi. 

17      Chi  questa  cosa  e  chi  queir  altra  getta 
Dentro  alla  fossa,  e  vien  di  mano  in  mano; 
Di  cui  r  acqua  il  di  innanzi  fu  intercetta 
Sì,  che  in  più  parti  si  scopria  il  pantano. 
Elia  fu  piena  ed  atturata  in  fretta, 
E  fatto  uguale  insin  al  muro  il  piano. 
Astolfo,  Orlando  ed  Olivier  procura 
Di  far  salire  i  fanti  in  su  le  mura. 

i8      I  Nubj  d' ogni  indugio  impazienti, 
Dalla  speranza  del  guadagno  tratti. 
Non  mirando  a' pei[icoli  imminenti, 
Coperti  da  testuggini  e  da  gatti. 
Con  arieti  e  loro  altri  instrumenti 
A  forar  torri,  e  porte  rompere  atti, 
Tosto  si  fero  alla  città  vicini  ; 
Nò  trovare  sprovvisti  i  Saracini: 


CANtO  QCARANtESmO.  ^6? 

i9      Che  ferro  e  faoco  e  merli  e  tetti  gravi 
Cader  facendo  a  guisa  di  tempeste, 
Per  forza  aprìan  le  tavole  e  le  travi 
Delle  macchine  in  lor  danno  conteste. 
Nell'aria  oscura  e  nei  prìnctpj  pravi 
Molto  patir  le  battezzate  teste  ; 
Ma  poi  che  i  sole  usci  del  ricco  albergo, 
Voltò  Fortunaai  Saracini  il  tergo. 

20     Da  tutti  i  canti  risforzar  V  assalto 
Fé  il  conte  Orlando  e  da  mare  e  da  terra. 
Sansonetto,  ch'avea  V  armata  in  alto, 
Entrò  nel  porto,  e  s' accostò  alla  terra  ; 
£  con  frombe  e  con  archi  facea  d' alto, 
£  con  varj  tormenti  estrema  guerra  ; 
£  facea  insieme  espedir  lance  e  scale. 
Ogni  apparecchio  e  munizion  navale. 

2i     Facea  Oliviero,  Orlando  e  Brandimarte,, 
E  quel  che  fu  si  dianzi  in  aria  ardito, 
Aspra  e  fiera  battaglia  dalla  parte 
Che  lungi  al  mare  era  più  dentro  al  lito. 
Ciascun  d' essi  venia  con  una  parte 
Deli'  oste  che  s' avean  quadripartito. 
Quale  a  mur,  quale  a  porte,  e  quale  altrove, 
Tutti  davan  di  sé  lucide  prove. 

23     II  valor  di  ciascun  meglio  si  puote 
Veder  cosi,  che  se  fosser  confusi  : 
Chi  sia  degno  di  premio  e  chi  di  note, 
Appare  innanzi  a  mill'  occhi  non  chiusi. 
Torri  di  legno  trannosi  con  ruote, 
E  gli  elefanti  altre  ne  portano  usi. 
Che  su  lor  dossi  cosi  in  alto  vanno. 
Che  i  merli  sotto  a  molto  spazio  stanno. 

23      Vien  Brandimarte,  e  pon  la  scala  a'  muri, 
E  sale,  e  di  salir  altri  conforta  : 
Lo  seguon  molti  intrepidi  e  sicuri; 
Che  non  può  dubitar  chi  V  ha  in  sua  scorta. 
Non  è  chi  miri,  o  chi  mirar  si  curi. 
Se  quella  scala  il  gran  peso  comporta. 
Sol  Brandimarte  agi'  inimici  attende  ; 
Pugnando  sale,  e  alfine  un  merlo  prende. 


368  ORLANDO  FUBIOSO. 

24  £  con  mano  e  con  piò  quivi  s' attacca, 
Salta  sui  merli,  e  mena  il  brando  in  volta, 
Urta,  riversa  e  fende  e  fora  e  ammacca, 
E  di  sé  mostra  esperienza  molta. 

Ma  tutto  a  un  tempo  la  scala  si  fiacca, 
Che  troppa  soma  e  di  soperchio  ha  tolta  : 
£,  fuor  che  Brandimarte,  giù  nel  fosso 
Vanno  sozzopra,  e  V  uno  all'  altro  addosso. 

25  Per  ciò  non  perde  il  cavalier  V  ardire , 
Nò  pensa  riportare  addietro  il  piede  ; 
Benchò  de'  suoi  non  vede  alcun  seguire, 
fienchò  berzaglio  alla  città  si  vede. 
Pregavan  molli  (e  non  volse  egli  udire) 
Che  ritornasse;  ma  dentro  si  diede: 
Dico  che  giù  nella  città  d' un  salto 

Dal  muro  entrò,  che  trenta  braccia  era  allo. 

26  Come  trovato  avesse  o  piume  o  paglia, 
Presse  il  duro  terren  senza  alcun  danno  ; 

£  quei  e' ha  intorno  afifrappa  e  fora  e  taglia, 
Come  s' affrappa  e  taglia  e  fora  il  panno. 
Or  contra  questi  or  centra  quei  si  scaglia  ; 
E  quelli  e  questi  in  fuga  se  ne  vanno. 
Pensano  quei  di  fuor,  che  l' han  veduto 
Dentro  saltar,  che  tardo  fia  ogni  aiuto. 

27  Per  tutto  '1  campo  alto  rumor  sì  spande 
Di  voce  in  voce,  e  '1  mormorio  e  '1  bisbiglio. 
La  vaga  fama  intorno  si  fa  grande, 

£  narra,  ed  accrescendo  va  il  periglio. 
Ove  era  Orlando  (perché  da  più  bande 
Si  dava  assalto),  ove  d' Olone  il  figlio, 
Ove  Olivier,  quella  volando  venne. 
Senza  posar  mai  le  veloci  penne. 

28  Questi  guerrier,  e  più  di  tutti  Orlando, 
Ch'  amano  Brandimarte  e  l' hanno  in  pregio. 
Udendo  che,  se  van  troppo  indugiando. 
Perderanno  un  compagno  cosi  egregio, 
Piglìan  le  scale,  e  qua  e  là  montando. 
Mostrano  a  gara  animo  altiero  e  regio, 

Con  si  audace  sembiante  e  si  gagliardo. 
Che  i  nemici  tremar  fan  con  lo  sguardo. 


CANTO  QUARAMTESIBlO.  36d 

29  Come  nel  mar  che  per  tempesta  freme  ^ 
Assaglìob  Tacque  il  temerario  legno» 
Ch'or  dalla  prora,  or  dalle  parli  estreme 
Cercano  entrar  con  rabbia  e  con  isdegno; 
Il  pallido  nocchier  sospira  e  geme. 
Ch'aiutar  deve,  e  non  ha  cor  né  ingegno; 
Una  onda  viene  alfin»  eh'  occupa  il  tutto, 
E  dove  quella  entrò ,  segue  ogni  flutto: 

30  Cosi,  di  poi  ch'ebbono  presi  i  muri 
Questi  tre  primi,  fu  sì  largo  il  passo. 
Che  gli  altri  ormai  seguir  ponno  sicuri, 
Che  mille  scale  hanno  fermate  al  basso. 
Aveano  intanto  gli  arieti  duri 

Rotto  in  più  lochi,  e  con  si  gran  fracasso, 
Che  si  poteva  in  più  che  in  una  parte 
Soccorrer  l' animoso  Brandimarte. 

31  Con  quel  furor  che  '1  re  de'  fiumi  altièro. 
Quando  rompe  talvolta  argini  e  sponde, 

£  che  nei  campi  Ocnei  s'apre  il  sentiero, 
£  i  grassi  solchi  e  le  biade  feconde, 
£  con  le  sue  capanne  il  gregge  intiero, 
E  coi  cani  i  pastor  porta  nell'  onde  ; 
Guizzano  ì  pesci  agli  olmi  in  su  la  cima 
Ove  solean  volar  gli  augelli  in  prima: 

32  Con  quel  furor  l' impetuosa  gente , 
Là  dove  avea  in  più  parti  il  muro  rotto. 
Entrò  col  ferro  e  con  la  face  ardente 

A  distruggere  il  popol  mal  condotto. 
Omicidio,  rapina,  e  man  violente 
Nel  sangue  e  nell' aver,  trasse  di  botto 
La  ricca  e  trionfai  città  a  ruina, 
Che  fu  di  tutta  l' Africa  regina. 

33  D' uomini  morti  pieno  era  per  tatto  ; 
E  delle  innumerabili  ferito 

Fatto  era  un  stagno  più  scuro  e  più  brutto 

Di  quel  che  cinge  la  città  di  Dite. 

Di  casa  in  casa  un  lungo  incendio  indutto 

Ardea  palagi,  portici  e  meschite. 

Di  pianti  e  d' urli  e  di  battuti  petti 

Suonano  i  voti  e  depredati  tetti. 


370  ORLANDO  FURIOSO. 

34      I  vincitori  uscir  delle  faneste 
Porte  vedeansi  di  gran  preda  onusti , 
Chi  con  bei  vasi  e  chi  con  ricche  veste, 
Chi  con  rapiti  argenti  a'  Dei  vetusti  : 
Chi  traea  i  figli ,  e  chi  le  madri  meste. 
Far  fatti  stupri  e  mille  altri  atti  ingiusti, 
Dei  quali  Orlando  una  gran  parte  intese, 
Né  lo  potè  vietar,  nò  '1  duca  inglese. 

36     Fa  Bncifar  dell'  Algazera  morto 
Con  esso  un  colpo  da  Olivier  gagliardo. 
Perduta  ogni  speranza,  ogni  conforto, 
S' uccise  di  sua  mano  il  re  firanzardo. 
Con  tre  ferite,  onde  mori  di  corto. 
Fa  preso  Folvo  dal  duca  dal  Pardo. 
Questi  eran  tre  eh'  al  suo  partir  lasciato 
Avea  Agramante  a  guardia  dello  stato. 

36  Agramante,  ch'intanto  avea  deserta 
L'armata,  e  con  Sobrin  n'era  fuggito. 
Pianse  da  lungi  e  sospirò  Biserta, 
Veduto  si  gran  fiamma  arder  sul  lite. 
Poi  più  d' appresso  ebbe  novella  certa 
Come  della  sua  terra  il  caso  era  ito  : 

£  d'uccider  sé  slesso  in  pensier  venne, 
£  lo  facea;  ma  il  re  Sobrin  lo  tenne. 

37  Bicea  Sobrin:  Che  più  vittoria  lieta, 
Signor,  potrebbe  il  tuo  nimico  avere. 
Che  la  tua  morte  udire,  onde  quieta 
Si  spereria  poi  l'Arrica  godere? 
Questo  contento  il  viver  tuo  gli  vieta: 
Quindi  avrà  cagion  sempre  di  temere. 
Sa  ben  che  lungamente  Africa  sua 
£sser  non  può,  se  non  per  morte  tua. 

38  Tutti  i  sudditi  tuoi,  morendo,  privi 
Della  speranza,  un  ben  che  sol  ne  resta. 
Spero  che  n'  abbi  a  liberar,  se  vivi, 

£  trar  d' aflfanno  e  ritornarne  in  festa. 
So  che,  se  muori,  siam  sempre  captivi. 
Africa  sempre  tributaria  e  mesta. 
Dunque,  s' in  ntil  tuo  viver  non  vuoi, 
Viviy  signor,  per  non  far  danno  ai  tuoi. 


CANTO  QUARANTESIMO.  371 

39  Dal  Soldano  d'Egitto,  tuo  vicino, 
Certo  esser  puoi  d' aver  danari  e  gente  : 
Mal  volentieri  il  figlio  dì  Pipino 

In  Africa  vedrà  tanto  potente. 
Verrà  con  ogni  sforzo  Norandino 
Per  ritornarti  in  regno,  il  tuo  parente: 
Armetii,  Turchi,  Persi,  Arabi  e  Medi, 
Tutti  in  soccorso  avrai ,  se  tu  li  chiedi. 

40  Con  tali  e  simil  detti  il  vecchio  accorto 
Studia  tornare  il  suo  signore  in  speme 

Di  racquistarsi  l'Africa  di  corto; 

Ma  nel  suo  cor  forse  il  contrario  teme. 

Sa  ben  quanto  è  a  mal  termine  e  a  mal  porto, 

£  come  spesso  invan  sospira  e  geme 

Chiunque  il  regno  suo  si  lascia  torre, 

E  per  soccorso  a'  barbari  ricorre. 

4t      Annibal  e  lugurta  di  ciò  foro 

Buon  testimoni,  ed  altri  al  tempo  antico: 

Altempo  nostro  Ludovico  il  Moro, 

Dato  in  poter  d' un  altro  Ludovico. 

Vostro  fratello  Alfonso  da  costoro 

Ben  ebbe  esempio  (a  voi,  signor  mio,  dico). 

Che  sempre  ha  riputato  pazzo  espresso 

Chi  più  si  fida  in  altri,  eh'  in  sé  stesso. 

42  £  però  nella  guerra  che  gli  mosse 
Del  pontefice  irato  un  duro  sdegno. 
Ancorché  nelle  deboli  sue  posse 
Non  potesse  egli  far  molto  disegno, 
£  chi  lo  difendea,  d'Italia  fosse 
Spinto,  e  n'avesse  il  suo  nimico  il  regno; 
Né  per  minacce  mai  né  per  promesse 

S' indusse  che  lo  stato  altrui  cedesse. 

43  II  re  Agramante  all'  Oriente  avea 
Volta  la  prora,  e  s'era  spinto  in  alto  ; 
Quando  da  terra  una  tempesta  rea 
Mosse  da  banda  impetuoso  assalto. 

Il  nocchier  eh'  al  governo  vi  sedea, 
Io  veggo  (  disse  alzando  gli  occhi  ad  alto) 
Una  procella  apparecchiar  si  grave, 
Che  contrastar  non  le  potrà  la  nave. 


372  OHLAMDO  FURIOSO. 

44  S'attendete,  signori,  al  mio  consiglio. 
Qui  da  man  manca  ha  nn'  isola  vicina, 
A  coi  mi  par  eh'  abbiamo  a  dar  di  piglio, 
Finché  passi  il  furor  della  marina. 
Gonsenli  il  re  Agramante,  e  di  periglio 
Usci,  pigliando  la  spiaggia  mancina. 
Che  per  salute  de'  nocchieri  giace 

Tra  gli  Afri,  e  di  Yolcan  l'alia  fornace. 

4&     D' abitazioni  è  l' isoletta  vota. 
Piena  d' omil  mortelle  e  di  ginepri  ; 
Gioconda  solitudine  e  remota 
A  cervi,  a  daini,  a  caprioli,  a  lepri  : 
E,  fuor  eh' a  pescatori,  è  poco  nota. 
Ove  sovente  a  rimondati  vepri 
Sospendon,  per  seccar,  l' umide  reti  : 
Dormono  intanto  i  pesci  in  mar  quieti. 

46  Quivi  trovar  che  s' era  un  altro  legno, 
Cacciato  da  fortuna,  già  ridutto. 

Il  gran  guerrier  eh'  in  Sericana  ha  fegno, 

Levato  d'Arli,  avea  quivi  condotto. 

Con  modo  riverente  e  di  so  degno 

L' un  re  con  ì*  altro  s' abbracciò  ^l' asciutto  ; 

Ch'erano  amici,  e  poco  innanzi  foro 

Compagni  d' arme  al  parigino  muro. 

47  Con  molto  dispiacer  Gradasso  intese 
Del  re  Agramante  le  fortune  avverse  : 
Poi  confortollo,  e,  come  re  cortese. 
Con  la  propria  persona  se  gli  offerse  ; 
Ma  ch'egli  andasse  all'infedel  paese 
D'Egitto,  per  aiuto,  non  sófferae. 
Che  vi  sia,  disse,  periglioso  gire, 

Do V ria  Pompeio  i  profogi  ammonire. 

45  E  perchè  detto  m' hai  che  con  l' aiuto 
Degli  Etìopi  sudditi  al  Senapo, 
Astolfo  a  torli  l'Africa  é  venuto; 

E  ch'arsa  ha  la  città  che  n'era  capo; 
E  ch'Orlando  è  con  lui,  cbediminato 
Poco  innanzi  di  senno  aveva  il  capo; 
Mi  pare  al  tutto  un  ottimo  rimedio 
Aver  pensato  a  farti  uscir  di  tedio. 


^v 


CANTO  QUÀSANTESIMO.  373 

49     Io  pig1ier6  per  amor  tuo  Y  impreM 
D' entrar  col  conto  a  singolar  certame. 
Centra  me  so  che  non  avrà  difesa» 
Se  tatto  fosse  di  ferro  o  di  rame. 
Morto  lei,  stimo  la  cristiana  Chiesa 
Qael^che  V  agnello  il  lupo  eh'  abbia  fame. 
Ho  poi  pensato,  e'mi  fia  cosa  lieroy 
Di  fare  i  NabJ  uscir  d'Africa  in  broTe. 

60     Farò  che  gli  altri  NiibJ  che  da  toro 

.    Il  Nito  parte  e  la  diversa  togge» 
E  gli  Arabi  e  i  Macrobi,  questi  d' oro 
Ricchi  e  di  gente,  e  quei  d' equino  gregge, 
Persi  e  Caldei  (perchè  tutti  costoro 
Con  altri  molti  il  mio  scettro  corregge). 
Farò  eh'  in  Nubia  lor  faran  tal  guerra. 
Che  non  si  fermeran  nella  tna  terra. 

M     Al  re  Agramanto  assai  parrò  opportuna 
Del  re  Gradasso  la  seconda  offerta; 
E  si  chiamò  obbligato  alla  Fortuna, 
Che  V  area  tratto  air  isola  deserto  : 
Ma  non  tuo!  torre  a  condizione  alcuna. 
Se  racquistar  credesse  indi  Diserto , 
Che  battoglia  per  lui  Gradasso  prenda  ; 
Che  'n  ciò  gli  par  che  Toner  troppo  oflénda. 

sa     SU  disfidar  s' ha  Ortondo,  son  qnèlT  lo» 
Rtopoee,  a  cui  to  pugna  più  conviene  ; 
E  pronto  ri  sarò  :  poi  faceto  Dio 
Di  me  come  gli  pare,  o  mato  o  bene. 
Facciam,  disse  Gradasso,  al  modo  mio, 
A  un  nuovo  modo  eh'  in  pensier  mi  viene  : 
Questo  battoglto  pigltomo  ambedui 
Incontra  Orlando,  e  un  altro  sto  con  luL 

ss     Pureh'  io  non  resti  fuor,  non  me  ne  lagno, 
Disse  Agramante,  o  sia  primo  e  secondo  : 
Ben  so  eh'  in  arme  ritrovar  compagno 
Di  to  miglior  non  il  può  in  tutto  '1  mondo. 
Ed  io,  disse  Sobrin,  dove  rìmagnoT 
E  se  vecchio  vi  paio,  vi  rispondo 
Ch'  io  debbo  esser  più  esperto;  e  nel  perìglio 
Presso  alto  fona  è  buono  aver  consiglio. 


374  ORLANDO  FURIOSO. 

64     D*  ana  recchìezza  valida  e  robusta 
Era  Sobrìno,  e  di  famosa  prora; 
E  dice  ch'in  vigor  Fetà  vetusta 
Si  sente  pari  alla  già  verde  e  nuova. 
Stimata  fa  la  soa  domanda  giasta  ; 
£  senza  indugio  un  messo  si  ritrova» 
Il  qoal  si  mandi  agli  africani  lidi, 
E  da  lor  parte  il  conte  Orlando  sfidi; 

55     Che  s'abbia  a  ritrovar  con  kiumef  pare 
Di  cavalieri  armali  in  Lipàdusa. 
Una  isoletta  è  questa,  che  dal  mare 
11  edesmo  che  li  cinge  è  circonrnsa. 
Non  cessa  il  messo  a  vela  e  a  remi  andare, 
Come  quel  che  prestezza  al  bisogno  usa, 
Che  fu  a  Biserta  ;  e  trovò  Orlando  quivi, 
Ch'  a'  suoi  le  spoglie  dividea  e  i  captivi 

46      Lo  'nvito  di  Gradasso  e  d'Àgraikiahte 
E  di  Sobrino  in  pubblico  fu  espresso. 
Tanto  giocondo  al  principe  d'Anghinte, 
Che  d' ampli  doni  onorar  fece  il  messo. 
Avea  dai  suoi  compagni  udito  innante, 
Che  Durindana  al  fianco  s' avea  messo 
11  re  Gradasso  ;  ond'  egli,  per  desire 
Di  racquistarla,  in  India  volea  gire, 

67     Stimando  non  aver  Gradasso  altiròi^, 
Poi  eh'  udi  che  di  Francia  era  partito. 
Or  più  vicin  gli  è  offerto  luogo;  dove 
Spera  che  '1  suo  gli  fia  restituito. 
Il  bel  corno  d'Almonte  anco  lo  muove 
Ad  accettar  si  volentìer  lo  'nviio, 
E  Brigliador  non  men  ;  che  sapèa  in  mano 
Esser  venuti  al  figlio  di  Troiano. 

68     Per  compagno  s*  elegge  alla  battaglia 
Il  fedel  Brandimarle  e  '1  suo  cognato. 
Provato  ha  quanto  l' uno  e  l' altro  vaglia  ; 
Sa  che  da  entrambi  è  sommamente  amato. 
Buon  destrier,  buona  piastra  e  buona  maglia, 
E  spade  cerca  e  lance  in  ogni  lato 
A  sé  e  a'  compagni.  Che  sappiate  parme, 
Che  nessun  d' essi  avea  le  solile  arme. 


CANTO  QUARANTESIMO.  375 

&9     Orlandp  (come  io  v'  ho  detto  più  volte) 
Delle  sae  sparse  per  furor  la  terra  : 
Agli  altri  ha  Rodomonte  le  lor  tolte, 
Gh'  or  alta  torre  in  ripa  un  Oume  serra. 
Non  se  ne  pu^  per  Africa  aver  molte, 
Si  perchè  in  Francia  avea  tratto  alla  guerra 
•  Il  re  Agramante  ciò  ch'era  di  buono. 
Si  perchè  poche  in  Africa  ne  sono.  > 

60  Ciò  che  di  rugginoso  «  di  brunito 
Aver  si  può,  fa  ragunare  Orlando  ; 
£  coi  compagni  intanto  va  pel  lito 
Della  futura  pugna  ragionando. 

Gli  avvien  eh'  essendo  fuor  del  campo  uscito 
Più  di  tre  miglia,  e  gli  occhi  al  mare  alzando , 
Vide  calar  con  le  vele  alte  un  legno 
Verso  il  lito  african  senza  ritegno. 

61  Senza  nocchieri  e  senza  naviganti, 
Sol  come  il  vento  e  sua  fortuna^dl  mena. 
Venia  con  le  vele  alle  il  le^no  avanti 
Tanto,  che  si  ritenne  in  su  l'arena. 

Ma  prima  che  di  questo  più  vi  canti, 
L' amor  eh'  a  Ruggier  porto,  mi  rimena 
Alla  sua  istoria,  e  vuol  eh'  io  vi  racconto 
Di  lui  e  del  guerrier  di  Chiaramente. 

63      Di  questi  duo  guerrier  dissi,  che  tratti 
S'erano  fuor  del  marziale  agone, 
Viste  convenzion  rompere  e  patti, 
E  turbarsi  ogni  squadra  e  legione. 
Chi  prima  i  giuramenti  abbia  disfatti, 
£  stato  sia  di  tanto  mal  cagione, 
O  r  imperator  Carlo  o  il  re  Agramante^ 
Studian  saper  da  chi  lor  passa  ayante. 

63     Un  servitor  intanto  di  Ruggiero, 
Ch'  era  fedele  e  pratico  ed  astuto. 
Né  pel  conflitto  dei  duo  campi  Òero 
Avea  di  vista  il  patron  mai  perduto. 
Venne  a  trovarlo,  q  la  spada  e  1  destriero 
Gli  diede,  perchè  a'  suoi  fosse  in  aiuto. 
Montò  Ruggiero,  e  la  sua  spada  tolse. 
Ma  nella  zuffa  entrar  non  però  volse. 


37« 


i  parte ;■»  prìaumMiTa 
[  che  eoa  Rinaldo  avet: 

fl  aea  Afranaiile  CroTa, 
1  la  aea  sella  rea. 

Bggìer  ine  allia  proTa 
t  Tobe  ;  na  solo  allendea 
'  queste  e  qodle,  e  a  domaDdail» 
L  loppe,  e  1  le  Agiamante  o  Carlo. 

U     Ode  da  tatto  1  flMmdo,  che  la  parte 
JM  le  AgraoMole  fa  che  roppe  prima. 
Boggìero  ama  Agramanle;  e  se  al  parte 
Da  ini  per  questo,  error  non  lleTe  stima. 
Far  le  genti  africane  e  rotte  e  sparte 
(Questo  ho  già  detto  innanzi),  e  dalla  cima 
Della  ¥01000  mota  tratte  al  fondo. 
Come  piacque  a  colei  eh'  aggira  il  mondo. 

M     Tra  sé  TolTe  Roggiero,  e  fa  discorso, 
Se  restar  dere,  o  il  suo  signor  segoire. 
Gli  pon  Y  amor  della  sua  donna  on  morso, 
Per  non  lasciarlo  in  Africa  più  gire  : 
Lo  Tolta  e  gira,  ed  a  contrario  corso 
Lo  sprona,  e  lo  minaccia  di  punire. 
Se  1  patto  e  '1  ginramento  non  lien  saldo, 
Che  fatto  avea  col  paladin  Rinaldo. 

67  Non  men  dall'  altra  parte  sferza  e  sprona 
La  Tigilante  e  stìmolosa  cura. 

Che  s'Agramante  in  qael  caso  abbandona, 
A  viltà  gli  sia  ascritto  ed  a  paora. 
Se  del  restar  la  causa  parrà  buona 
A  molti,  a  molti  ad  accettar  6a  dura. 
Molti  diran  che  non  si  dò' osservare 
Quel  eh'  era  ingiusto  e  illicito  a  giurare. 

68  Tutto  quel  giorno  e  la  notte  seguente 
Stette  solingo,  e  cosi  V  altro  giorno. 
Pur  travagliando  la  dubbiosa  mente. 
Se  partir  deve,  o  far  quivi  soggiorno. 
Pel  signor  suo  conclude  finalmente 

Di  fargli  dietro  in  Africa  ritorno. 
Potea  in  lui  molto  il  coniugale  amore. 
Ma  vi  potea  più  il  debito  e  l'onore. 


CANTO  QUARANTESIMO.  377 

69  Torna  verso  Arlì  ;  che  trovar  vi  spera 
L'armata  ancor ,  eh' in  Africa  il  transpprti: 
Né  legno  in  mar  né  dentro  alla  rivera. 

Né  Saracini  vede  se  non  morti. 
Seco  al  partire  ogni  legno  che  v'  era 
Trasse  Agramante,  e  '1  resto  arse  nei  porti. 
Fallitogli  il  pensìer,  prese  il  cammino 
Verso  Marsilia  pel  lito  marino. 

70  A  qualche  legno  pensa  dar  di  piglio, 
Ch'  a  prìeghi  o  forza  il  porti  all'  altra  riva. 
Già  v'  era  giunto  del  Danese  il  figlio 

Con  r  armala  de'  barbari  captiva. 
Non  si  avrebbe  potuto  un  gran  di  miglio 
Gittar  nell'  acqua  :  tanto  la  copriva 
La  spessa  moltitudine  di  navi, 
Di  vincitori,  e  di  prigioni,  gravi. 

7t      Le  navi  de' pagani,  ch'avanzare 
5)al  fuoco  e  dal  naufragio  quella  notte. 
Eccetto  poche  ch'in  fuga  n'  andare. 
Tutte  a  Marsilia  avea  Dudon  condotte. 
Sette  di  quei  ch'in  Africa  regnare, 
Che,  poi  che  le  lor  genti  vider  rotte, 
Con  sette  legni  lor  s'eran  renduti, 
Stavan  dolenti ,  lacrimosi  e  muti. 

73     Era  Dudon  sopra  la  spiaggia  uscito, 
Ch'  a  trovar  Carlo  andar  volea  quel  giorno  ; 
E  de'  captivi  e  di  lor  spoglie  ordito 
Con  lunga  pompa  avea  un  trionfo  adorno. 
Eran  tutti  i  prigion  stesi  nel  lito, 
E  i  Nubj  vincitori  allegri  intorno. 
Che  faceano  del  nome  di  Dudone 
Intorno  risonar  la  regione. 

73     Venne  in  speranza  dì  lontan  Kuggiero, 
Che  questa  fosse  armata  d' Agramanle; 
E,  per  saperne  il  vero,  urtò  il  destriero; 
Ma  riconobbe,  come  fu  più  innante , 
Il  re  di  Nasamona  prigioniero, 
fiambirago,  Agricalte  e  Farurante, 
Manilardo  e  Balastro  e  Rimedonte, 
Che  piangendo  tenean  bassa  la  fronte. 

32» 


378  ORLANDO  FOBIOSO. 

74  Raggier  che  gli  ama,  sofferir  non  puote 
Che  stiao  nella  miseria  in  che  li  trova. 
Qaivì  sa  eh' a  venir  con  le  man  vuote, 
Senza  osar  forza,  il  pregar  poco  giova. 
La  lancia  ahhassa,  e  chi  li  tien  percaote  ; 
E  fa  del  sao  valor  f  osata  prova  : 
Stringe  la  spada,  e  in  on  piccol  momento 
Ne  fa  cadere  intorno  più  di  cento. 

75  Dadone  ode  il  ramor,  la  strage  vede. 
Che  fa  Raggier  ;  ma  chi  sia  non  conosce  : 
Vede  i  suoi  e'  hanno  in  fuga  volto  il  piede 
Con  gran  timor,  con  pianto  e  con  angosce. 
Presto  il  destrier,  lo  scudo  e  Y  elmo  chiede  ; 
Che  già  avea  armato  e  petto  e  braccia  e  cosce  : 
Salta  a  cavallo,  e  si  fa  dar  la  lancia; 

E  non  obblìa  eh'  è  paladin  di  Francia. 

76  Grida  che  si  ritiri  ognun  da  canto, 
Spinge  il  cavallo,  e  fa  sentir  gli  sproni. 
Ruggìer  cent'  altri  n'  avea  uccisi  intanto, 
£  gran  speranza  dato  a  quei  prigioni  : 

£  come  venir  vide  Dudon  santo 
Solo  a  cavallo,  e  gli  altri  esser  pedoni, 
Stimò  che  capo  e  che  signor  lor  fosse  ; 
£  centra  lui  con  gran  desir  si  mosse. 

77  Già  mosso  prima  era  Dudon,  ma  quando 
Senza  lancia  Ruggier  vide  venire. 
Lungo  da  sé  la  sua  gittò,  sdegnando 

Con  tal  vantaggio  il  cavalier  ferire. 
Ruggiero,  al  cortese  atto  riguardando. 
Disse  fra  sé:  Costui  non  può  mentire, 
Ch'  uno  non  sia  di  quei  guerrier  perfetti 
Che  paladin  di  Francia  sono  detti. 

1s     S*  impetrar  lo  potrò,  vo' che  1  suo  nome, 
Innanzi  che  segua  altro,  mi  palese  : 
\  £  cosi  domandone  ;  e  seppe  come 

Era  Dudon,  figliuol  d'Uggier  danese. 
Dudon  gravò  Raggier  poi  d'ugual  some; 
£  parimente  lo  trovò  cortese. 
Poi  che  i  nomi  tra  lor  s' ebbene  detti, 
Si  disfidare,  e  vennero  agli  effetti. 


CANTO  QUARANtESlMO.  379 

79     Avea  Dadon  quella  ferrata  mazza  y 
Ch'  in  mille  imprese  gli  die  eterno  onore. 
Con  essa  mostra  ben,  ch'egli  è  dì  razza 
Di  quel  Danese  pien  d' alto  valore. 
La  spada  ch'apre  ogni  elmo,  ogni  corazza , 
Di  che  non  era  al  mondo  la  migliore , 
Trasse  Ruggiero,  e  fece  paragone 
Di  sua  virtude  al  paladin  Dudone. 

S)     Ma  perchè  in  mente  ognora  avea  di  meno 
Offender  la  sua  donna ,  che  potea  ; 
Ed  era  certo,  se  spargea  il  terreno 
Del  sangue  di  costui,  che  la  offendea 
(Delle  case  di  Francia  instrutto  appieno , 
La  madre  di  Dudone  esser  sapea 
Armelina,  sorella  di  Beatrice, 
Gh'  era  di  Bradamante  genitrice)  ; 

81  Per  questo  mai  di  punta  non  gli  trasse, 
£  di  taglio  rarissimo  feria. 
Schermiasi,  ovunque  la  mazza  calasse, 
Or  ribattendo,  or  dandole  la  via. 

Crede  Turpin  che  per  Buggier  restasse, 
Che  Dudon  morto  in  pochi  colpi  avria  ; 
Né  mai,  qualunque  volta  si  scoperse, 
Ferir,  se  non  di  piatto,  lo  sofferse. 

82  Di  piatto  usar  potea,  come  di  taglio, 
Buggier  la  spada  sua,  eh' avea  gran  schena; 
£  quivi  a  strano  giuoco  di  sonaglio 

Sopra  Dudon  con  tanta  forza  mena. 
Che  spesso  agli  occhi  gli  pon  tal  barbaglio, 
Che  si  ritien  di  non  cadere  a  pena. 
Ma  per  esser  più  grato  a  chi  m' ascolta, 
Io  differisco  il  Canto  a  un'  altra  volta. 


VOTZ. 

St.  i,  9.  6-6.— Portar...  a  Stimo  |         St,  8.  v,  M,-^ Al  Leon  d'errar* 

vasi,  NoiloU  a  Atene  e  eroeodili  a  tiglio  e  'l  morso  ec.  Ripete  della  scon- 

Egitto.  Antico  proverbio,  che  qui  denota  [  fitta  data  sul  Po  ai  Veneziani  dal  cardi* 

narrar  le  cose  a  chi  n'  è  bene  informato»  I  nal  d' Esle* 


JLi3lr.l té 


cdb  àt>w  A  nfttcra  3  proéeuik  cke 

l'I.  IS.  r.  4^^-d>perfl  dk  iMtefu 
ftel  «  dm,  gmtii,  Cra  mrUUee,  La  to- 
stmgfimm  cn  «icdiiin  munk  d'oftu, 
IbnuU  da  hm  tctton  MnmpposU  a 
qoattro  Invi,  e  coperta  di  cuoio  fieseo 
|icr  §afaatìria  dal  fnoco:  giniTa  miUc 
rooCCye  polca  irolgcrsi  da  ogni  banda. 
Sotto  di  CSM  stavano  i  soldati  riparati 
dalk  offiuc  del  neniicoy  per  far  agire  al- 
tre maccbinc,  o  per  altre  opcrasiooi; 
ed  era  £  piò  maoiere.  Una  di  queste 
dicevasi  dai  Romani  arUtarta,  perchè 
sotto  di  essa  pendeva  orizsontalmente 
Varieté^  ch'era  una  trave  fierrata  in  nna 
delle  soe  estremile,  e  con  essa  si  balte- 
vano  le  mura  nemiche.  Al  di  sopra  della 
testuggine  sorgeva  nna  torretta  a  quat- 
tro palchi,  sol  più  alto  de' quali  stavano 
altra  macchine  proicieoti,  e  gli  altri 
erano  serbato)  d*acqua  pei  casi  d*  incen- 
dio» Testuggine  si  chiamava  altreii  una 
manovra»  con  la  quale  i  soldati  uniti  a 
schiera  alsavano  sul  loro  capo  il  Lrac« 
ciò  armato  di  scudo;  onde  venivano  a 
Dirsene  an  copertoi  e  cosi  difesi  prece» 
devano  sotto  le  mura  che  doveano  as- 
salire. Il  gatto  era  una  specie  di  testug- 
gine, •  consisteva  in  un  tetto,  o  tavolato 
intessnlo  di  vimini,  e  coperto  anch'esso 
di  pelli  crude,  sotto  il  quale  pendeva  o 
V  ariete,  o  un  forte  rampicone  di  ferro 
eoo  cui  si  aggrappavano  i  merli  del 


;.ìei 


(dosarti 


b  lesU  e 
atStJAfrfTì         il 

A.  SI.  r.  T^E^mtl  Aejm  à. 


Jk.SS.r.C — DoÈbftUktàuù 


A.SiLr.9L — J£rmffms  tàmtéà, 
taglia  a  pcsaaL 

SL  31.  r.  1-X— /l  r«  àm*fimmùs 
a  FoL  —  Cmmfi  Oemei.'  campi  dd 
KantovaM,  deità  qua  Ocmei  da  Ocoo 
figlio  di  IfMto,  cndido  fe^iatoie  di 

&33.r.4.— IM  qmel  ehm  tttge  U 
città  éi  DiU:  della  palode  Stigia.  Ye- 
di  r  Alighieri  Dd  Canto  TU  delT/n^ 
roTM^v.iOa-iOS. 

A.  3d.  V.  6. — XW^MM  Ai/ Pnr. 
ém:  ^  Astolfo. 

SL  41.  w.  1-4.^  Jmmihml  •  /•- 
gmrtm  oc.  Annibal  rifiiggitosi  presso 
Pmsia  re  della  Bitinia,  si  avvelenò  per 
non  esser  dal  san  ospite  consegnato  ai 
BomanL  Jngurta,  o  Giogurta,  re  di  Nn- 
midia,  rimessosi  alla  lède  di  Bocoo, 
re  di  Mauritania  e  suo  genero,  fu  da 
Ini  dato  in  mano  a  Siila ,  die  lo  ièce 
morir  di  fame  bel  carcere  Ifamer- 
tino<— 17' BR  altro  Ludovico:  di  Lui- 
gi XII  re  di  Francia;  nelle  coi  mani  Lo- 
dovico Sforsa  cadde  per  tradimento  degli 
SvixBcri  che  teneva  al  proprio  servisio. 

St,  42.  9,  i-6.  —  Allude  alle  circo- 
stanse  in  cui  si  trovò  il  duca  Alfonso, 
quando  Giulio  li  con  1*  appoggio  degli 
Svisceri  gli  mosse  guerra.  Allora  i  Fran- 
cesi, difensori  del  duca,  erano  cacciati 
d*  Italia,  e  gli  Spagnuoli  suoi  aemió  te* 
nevano  il  Regno  di  Napoli. 

St,  44.  9.  S-S^— 1«  spiaggim  man" 
Cina,  Che  per  salute  ec./  TiaoIetU  di 
Lampedusa,  che  giace  tra  la  costa  d'A- 
frica e  la  SicilU.—27i  Fn/con  l'aita 
fornace:  l'Elna,  nd  cui  intemo  finsero 
i  poeti  che  fosse  la  principale  fucina  di 
Vulcano. 

St,  in,  9*  $,'^Do9rU  Pàmpeio  i 


ì 


CANTO  QUARANTESIMO. 


381 


projkgi  mmwMnirg,  Pompeo,  disfatto 
da  Ceaait  nei  campi  della  Tessaglia,  si 
TÌeoirerò  in  Alessandria  d'Egitto  presso 
quel  le  Tolomeo,  il  qoale,  per  gratifi- 
carsi il  Tiacitore^  fece  al  profugo  mos* 
laic  il  capo» 

St,  60.  ¥,  S.6.— //  NiU  parU  •  la 
éiPtrsm  hgg€»  I  Nubj  abitanti  oltre  la 
destra  sponda  del  Nilo,  erano  anche 
allora  maomcttaniv— Cerr^gf*/  icggCi 
governa. 

SL  65.  p,  JA.^LipadHtat  Laro- 
pcdnsa,  nominata  pia  sopra.  — >  Dal 
mora  Madésmo  eha  li  cinga ^  ^  eireanm 
/«««/  k  bagnata  all'intorno  dal  Mèdi* 


terraneo,  che  bagna  anche  Biswta,  ore 
si  trovano  i  cavalieri  di  Carlo. 

Si.  57.  »,  5.  _  //  bai  Curvo  éTAl- 
mantaf  tolto  ad  Almonte  da  Orlando» 
e  cui  poscia  lo  tolse  Brunello.  Vedi  il 
Boiardo. 

SL  58. 1».  S. — £  7  suo  cognato  s 
Oliviero. 

St.  8S.  9.  Z^^  E  quivi  a  alitano 
giuoco  di  sonaglio  ec.  Il  ginoco  del  so» 
naglio  h  poco  dissimile  da  quello  che  i 
fanciulli  chiamano  mosca^ciaca  s  nel 
quale  Iti  danno  forti  colpi,  ma  non  pe- 
ricolosi ;  e  tali  erano  i  colpi  di  Ruggiero 
sopra  Dudone. 


CANTO  9VMMAJXTESMaiOWmaM.O. 


Ruggiero  e  Dadone  cessano  dalla  pugna ,  con  patto  che  siano  fatti  liberi  i  sette 
pagani  te  prigionieri.  Ruggiero  s' imbarca  con  essi  per  1* Africa;  e  nel  tragitto 
restano  tutti  soauaersi  per  fortuna  di  mare,  tranne  Ruggiero,  il  quale  dai 
flutti  b  portato  a  salvamento  presso  un  romito,  che  gli  predice  diverse  cose.  La 
nave»  vuota  di  gente,  cepita  vicino  a  Biserta,  con  a  bordo  il  cavallo,  la  spada  e 
l'armatura  di  Ruggiero.  Orlando  prende  per  se  la  spada,  db  T armatura  a 
Oliviero,  a  Brandimarte  il  cavallo;  e  tutti  tre  vanno  a  Lampedusa  per  bsttersi 
coi  tre  psgani.  Si  atUcca  la  suifa,  durante  la  quale  Sobriao  e  Oliviero  sono 
lènti,  e  Brandimarte  rimane  ucciso. 


1     L'odor  eh' ò  sparso  in  ben  notrìta  e  bella 
O  chioma  o  barba  o  delicata  vesta 
Di  giovene  leggiadro  o  di  donzella, 
Ch'  amor  sovente  lacrimando  desta  ; 
Se  spira,  e  fa  sentir  di  sé  novella, 
E  dopo  molti  giorni  ancora  resta, 
Mostra  con  chiaro  ed  evidente  effetto, 
Come  a  principio  baono  era  e  perfetto. 


3S2  OftLAKDO  FUU060. 

2  L' almo  liqwir  che  ai  metitori  saoi 
Fece  Icaro  gustar  cod  soo  gran  danno, 
£  che  si  dice  clie  già  Celti  e  Boi 

Fé  passar  l' Alpe,  e  non  sentir  r  affanno  ; 
Mostra  che  dolce  era  a  principio,  poi 
Che  si  aenra  ancor  dolce  al  fin  dell'  anno. 
L*  arbor  eh'  al  tempo  rio  foglia  non  perde. 
Mostra  eh'  a  primavera  era  ancor  verde. 

3  L' inclita  stirpe  che  per  tanti  lustri       ^ 
Mostrò  di  cortesìa  sempre  gran  lome, 

E  par  ch'ognor  più  ne  risplenda  e  lustri, 
Fa  che  con  chiaro  indizio  si  presame 
Che  chi  progenerò  gli  Estensi  illostrì 
Dovea  d' ogni  laudabile  costume. 
Che  sublimar  al  ciel  gli  uomini  suole, 
S[rfender  non  men  che  fra  le  stelle  il  sole. 

4  Ruggìer,  come  in  ciascun  suo  degno  gesto, 
D'alto  valor,  di  cortesia  solea- 
Dimostrar  chiaro  segno  e  manifesto , 

E  sempre  più  magnanimo  apparea  ; 
Cosi  verso  Dudon  lo  mostrò  in  questo, 
Col  qual  (come  di  sopra  io  vi  dìcea) 
Dissimulato  avea  quanto  era  forte. 
Per  pietà  che  gli  area  di  porlo  a  morte. 

6      Avea  Dudon  ben  conosciuto  certo, 
Ch'  ucciderlo  Ruggier  non  l' ha  voluto  ; 
Perch'  or  s' ha  ritrovato  allo  scoperto. 
Or  stanco  si,  che  più  non  ha  potuto. 
Poi  che  chiaro  comprende,  e  vede  aperto 
Che  gli  ha  rispetto,  e  che  va  ritenuto  ; 
Quando  dì  forza  e  di  vigor  vai  meno, 
Di  cortesia  non  vuol  cedergli  almeno. 

6     Per  Dìo  (dice),  signor,  pace  Cacciamo  ; 
Ch'  esser  non  può  più  la  vittoria  mìa  : 
Esser,  Qon  può  più  mia  ;  che  già  mi  chiamo 
Vinto  e  prigion  della  tua  cortesìa. 
Ruggier  rispose  :  Ed  io  la  pace  bramo 
Non  men  dì  te  ;  ma  che  con  patto  sìa, 
Che  quQsU  sette  re  e'  hai  qui  legati, 
Lasci  eh'  in  libertà  mi  sieno  dati. 


CANTO  QUARANTESIMOPRISIO.  383 

7  £  gli  mostrò  quei  sette  re  eh'  io  dissi 
Che  stavano  legati  a  capo  chino; 

E  gli  soggiunse  y  che  non  gì' impedissi 
Pigliar  con  essi  in  Africa  il  cammino, 
£  cosi  furo  in  libertà  remissi 
Quei  re  ;  che  gliel  concesse  il  paladino  : 
E  gli  concesse  ancor,  eh'  nn  legno  tolse. 
Quel  eh'  a  lui  parve,  e  verso  Africa  sciolse. 

8  II  legno  sciolse,  e  fé  scioglier  la  vela, 
£  si  die  al  vento  perGdp  in  possanza, 
Che  da  principio  la  gonfiata  tela 

Drizzò  a  cammino,  e  die  al  nocchier  baldanza. 
Il  lito  fugge,  e  in  tal  modo  si  cela, 
Che  par  che  ne  sia  il  mar  rimase  sanza. 
Neil'  oscurar  del  giorno  fece  il  vento 
Chiara  la  sua  perfidia  e  'l  tradimento. 

9  Mutossi  dalla  poppa  nelle  sponde, 

.    Indi  alla  prora,  e  qui  non  rimase  anco. 
Ruota  la  nave,  ed  i  nocchier  confonde; 
Ch'or  di  dietro,  or  dinanzi,  or  loro  è  al  fianco. 
Sorgono  altiere  e  minacciose  V  onde  : 
Mugliando  sopra  il  mar  va  il  gregge  bianco. 
Di  tante  morti  in  dubbio  e  in  pena  stanno  ^ 
Quante  son  l' acque  eh'  a  ferir  li  vanno. 

40     Or  da  fronte  or  da  tergo  il  vento  spira, 
£  questo  innanzi,  e  quello  addietro  caccia: 
Un  altro  da  traverso  il  legno  aggira, 
£  ciascun  pur  naufragio  gli  minaccia. 
Quel  che  siede  al  governo,  alto  sospira. 
Pallido  e  sbigottito  nella  faccia  ; 
£  grida  invano,  e  invan  con  mano  accenna 
Or  dì  voltare,  or  di  calar  V  antenna. 

il     Ma  poco  il  cenno,  e  '1  gridar  poco  vale: 
Tolto  è  '1  veder  dalla  piovosa  notte. 
La  voce,  senza  udirsi,  in  aria  sale, 
In  aria  che  feria  con  maggior  botte 
De' naviganti  il  grido  universale, 
£  'I  fremito  dell'  onde  insieme  rotte  : 
E  in  prora  e  in  poppa  e  in  amendne  le  bande 
Non  sì  può  cosa  udir,  che  si  comande. 


384  OILARDO  FOUOMI. 

45  Sena  rabbia  del  renio  ebe  n  fende 
Nelle  ritorte,  eseono  orribil  saonL 
DI  speMi  lampi  Tana  si  raccende; 
Risoona  1  ciel  di  sparentosl  tuoni. 

Y'è  cbi  corre  al  timon,  cbi  i  remi  prende; 
Yan  per  oso  agli  oflScj  a  cbe  «m  baoni: 
Cbi  g' affatica  a  gcìorre  e  cbi  a  legare; 
Vota  altri  l' acqua ,  e  toma  il  mar  nel  mare. 

13  Ecco  strìdendo  r  orribil  procdla 
Cbe  1  repeotin  furor  di  Borea  spinge. 
La  yela  centra  l' arbore  flagella  : 

li  mar  si  leva,  e  quasi  il  cielo  attinge. 
Frangonsi  i  remi  ;  e  di  fortuna  fella 
Tanto  la  rabbia  impetuosa  strìnge, 
Cbe  la  prora  si  volta,  e  verso  Y  onda 
Fa  rimaner  la  disarmata  sponda. 

14  Tutta  sotto  acqua  va  la  destra  banda, 
E  sta  per  riversar  di  sopra  il  fondo. 
Ognun,  gridando,  a  Dio  si  raccomanda; 
Cbò  più  cbe  certi  son  gire  al  profondo. 
D' uno  in  un  altro  mal  Fortuna  manda  : 
l\  primo  scorre,  e  vien  dietro  il  secondo. 
lì  legno  vìnto  in  più  parti  si  lassa, 

E  dentro  V  inimica  onda  vi  passa. 

15  Muove  crudele  e  spaventoso  assalto 
Da  tutti  i  lati  il  tempestoso  verno. 
Veggon  talvolta  il  mar  venir  tant'  alto, 
Cbe  par  cb'  arrivi  insin  al  ciel  superno. 
Talor  fan  sopra  Tonde  in  su  tal  salto, 
Cb'a  mirar  giù  par  lor  veder  lo  'nferno. 
O  nulla  o  poca  speme  è  che  conforte; 

E  sta  presente  inevitabìl  mòrte. 

46  Tutta  la  nòtte  per  diverso  mare 
Scorsero  errando  ove  cacciolli  il  vento  ; 
Il  Gero  vento  cbe  dovea  cessare 
Nascendo  il  giorno,  e  ripigliò  augumento. 
Ecco  dinanzi  un  nudo  scoglio  appare: 
Voglion  schivario,  e  non  v  '  hanno  argumento. 
Li  porta,  lor  mal  grado,  a  quella  via 

Il  crudo  vento  e  la  tempesta  ria. 


CANTO  QUARANTBSIMOPRIMO.  385 

47     Tre  volte  e  quattro  il  pallido  nocchiero 
Mette  vigor,  perchè  'i  timon  sia  volto, 
£  trovi  più  sìcoro  altro  sentiero; 
Ma  quel  si  rompe,  e  poi  dal  mar  gli  è  tolto. 
Ha  si  la  vela  piena  il  vento  fiero, 
Che  non  si  può  calar  poco  né  molto: 
Nò  ftmpo  han  di  riparo  o  di  consiglio; 
Ghò  troppo  appresso  è  quel  mortai  periglio. 

iS     Poichò  senza  rimedio  si  comprende 
La  ìrreparabil  rotta  della  nave, 
Giascono  al  suo  privato  utile  atteode» 
Ciascun  salvar  la  vita  sua  cura  have» 
Chi  può  più  presto  al  palischermo  scende; 
Ma  quello  è  fatto  subito  si  grave 
Per  tanta  gente  che  sopra  v'abbonda» 
Che  poco  avanza  a  gir  sotto  la  sponda. 

19      Ruggier  che  vide  il  comite  e  '1  padrone 
£  gli  altri  abbandonar  con  fretta  il  legno, 
Come  senz'arme  si  trovò  in  giubbone. 
Campar  su  quel  battei  fece  disegno  ; 
Ma  lo  trovò  si  carco  di  persone, 
£  tante  venner  poi,  che  V  acque  il  segno 
Passare  in  guisa,  che  per  troppo  pondo 
Con  tutto  il  carco  andò  il  legnelto  al  fondo; 

so     Del  mare  al  fondo  ;  e  seco  trasse  quanti 
Lasciare  a  sua  speranza  il  maggior  legno. 
Allor  s' udì  con  dolorosi  pianti 
Chiamar  soccorso  dal  celeste  regno: 
Ma  quelle  voci  andare  poco  innanti , 
Che  venne  il  mar  pien  d' ira  e  di  disdegno, 
£  subito  occupò  tutta  la  via 
Onde  il  lamento  e  il  flebil  grido  uscia. 

21      Altri  laggiù,  senza  apparir  più,  resta; 
Altri  risorge,  e  sopra  Tonde  sbalza: 
Chi  vien  nuotando,  e  mostra  fuor  la  testa; 
Chi  mostra  un  braccio,  e  chi  una  gamba  scalza. 
Buggier,  che  '1  minacciar  delia  tempesta 
Temer  non  vuol,  dal  fondo  al  sommo  s'alza, 
£  vede  il  nudo  scoglio  non  lontano, 
Ch'  egli  e  i  compagni  avean  fuggito  invano. 

Il*  S3 


386  ORLANDO  FURIOSO. 

S2     Spera,  per  forza  dì  piedi  e  di  braccia 
Nuotando,  di  salir  sai  lito  asciutto. 
SoflSando  viene,  e  lungi  dalla  faccia 
L' onda  respìnge  e  l' importuno  flutto. 
Il  vento  intanto  e  la  tempesta  caccia 
Il  legno  voto,  e  abbandonato  in  tutjlo 
Da  quelli  che  per  lor  pessima  sorte 
Il  disio  di  campar  trasse  alla  morte. 

23  Oh  fallace  degli  uomini  credenza I 
Campò  la  nave  che  dovea  perire  ; 
Quando  il  padrone  e  i  galeotti  senza 
Governo  alcun  V  avean  lasciata  gire. 
Parve  che  si  mutasse  di  sentenza 

Il  vento,  poi  che  ogni  uom  vide  fuggire: 
Fece  che  '1  legno  a  miglior  via  si  torse. 
Nò  toccò  terra,  e  in  sicura  onda  corse. 

24  E  dove  col  nocchier  tenne  via  incerta, 
Poi  che  non  l'ebbe,  andò  in  Africa  al  dritto, 
E  venne  a  capitar  presso  a  Diserta 

Tre  miglia  o  due,  dal  lato  verso  Egitto; 
E  neir  arena  sterile  e  deserta 
Restò,  mancando  il  vento  e  l'acqua,  fitto. 
Or  quivi  sopravvenne,  a  spasso  andando. 
Come  di  sopra  io  vi  narrava,  Orlando. 

25  E  disioso  di  saper  se  fusse 

La  nave  sola,  e  fusse  o  vota  o  carca. 
Con  Brandimarte  a  quella  si  condusse, 
E  col  cognato,  in  su  una  lieve  barca. 
Poi  che  sotto  coverta  s' introdusse, 
Tutta  la  ritrovò  d' uomini  scarca: 
Vi  trovò  sol  Frontino  il  buon  destriero, 
L'armatura  e  la  spada  di  Ruggiero; 

26  Dì  cui  fu  per  campar  tanta  la  fretta, 
Ch*  a  tor  la  spada  non  ebbe  pur  tempo. 
Conobbe  quella  il  paladin,  che  detta 

Fu  fialisarda,  e  che  già  sua  fu  un  tempo. 
So  che  tutta  T  istoria  avete  letta, 
Come  la  tolse  a  Fallerina,  al  tempo 
Che  le  distrusse  anco  il  giardin  si  bello, 
£  come  a  lui  poi  la  rubò  Brunello  ; 


"ssp: 


CANTO   QUARANTESIMOPRIMO.  387 

27      E  come  sotto  il  monte  di  Carena 
Brunel  ne  fé  a  Ruggier  libero  dono. 
Di  che  taglio  ella  fosse  e  di  che  schena, 
N'avea  già  fatto  esperimento  buono; 

10  dico  Orlando;  e  però  n'  ebbe  piena 
Letizia,  e  ringrazionne  il  sommo  Trono; 
E  si  credette  (e  spesso  il  disse  dopo) 

Che  Dio  gliele  mandasse  a  si  grande  uopo: 

2S     A  si  grande  uopo,  quant'  era,  dovendo 
Condursi  col  signor  di  Sericana; 
Ch'  oltre  che  di  valor  fosse  tremendo, 
Sapea  ch'avea  Baiardo  e  Durindana. 
L'altra  armatura,  non  la  conoscendo, 
Non  apprezzò  per  cosa  si  soprana. 
Come  chi  ne  fé  prova:  apprezzò  quella 
Per  buona  si,  ma  per  più  ricca  e  bella. 

29  E  perchè  gli  facean  poco  mestiere 
L' arme  (eh'  era  inviolabile  e  affata to), 
Contento  fu  che  l'avesse  Oliviero; 

11  brando  no,  che  sei  pose  egli  a  lato: 
A  Brandimarte  consegnò  il  destriero. 
Cosi  diviso  ed  ugualmente  dato 

Volse  che  fosse  a  ciaschedun  compagno, 
Ch'  insieme  si  trovar,  di  quel  guadagno. 

30  Pel  di  della  battaglia  ogni  guerriero 
Studia  aver  ricco  e  nuovo  abito  indosso. 
Orlando  ricamar  fa  nel  quartiere 

L' alto  Babel  dal  fulmine  percosso. 
Un  can  d'argento  aver  vuole  Oliviero, 
Che  giaccia,  e  che  la  lassa  abbia  sul  dosso. 
Con  un  motto  che  dica:  Finché  vegna: 
E  vuol  d'oro  la  vesta,  e  di  sé  degna. 

31  Fece  disegno  Brandimarte,  il  giorno 
Della  battaglia,  per  amor  del  padre 

E  per  suo  onor,  di  non  andare  adorno 
Se  non  di  sopravveste  oscure  et  ad  re. 
Fiordiligi  le  fé  con  fregio  intorno. 
Quanto  più  seppe  far,  belle  e  leggiadre. 
Di  ricche  gemme  il  fregio  era  contesto  ; 
D'un  schietto  drappo,  e  tutto  nero  il  resto. 


OBLANDO  FURIOSO. 

32  Fece  la  donna  di  sua  man  le  sopra- 
Vesti  a  cai  l' arme  converrian  più  fine, 
De'qaai  Tosbergo  il  cavalier  si  caopra, 

E  la  groppa  al  cavallo  e  '1  petto  e  '1  crine. 
Ma  da  qoel  di  che  cominciò  quest'  opra, 
Continuando  a  qnel  che  le  die  fine, 
E  dopo  ancora,  mai  segno  di  riso 
Far  non  potè,  né  d' allegrezza  in  viso. 

33  Sempre  ha  timor  nel  cor,  sempre  tormento, 
Che  Brandimarte  sao  non  le  sia  tolto. 

Già  r  ha  veduto  in  cento  lochi  e  cento 

In  gran  battaglie  e  perigliose  avvolto; 

Nò  mai,  come  ora,  simile  spavento 

Le  agghiacciò  il  sangue  e  impallidille  il  volto: 

E  questa  novità  d' aver  timore 

Le  fa  tremar  di  doppia  tema  il  core. 

34  Poi  che  son  d'arme  e  d'ogni  arnese  in  ponto, 
Alzano  al  vento  i  cavalier  le  vele. 

Astolfo  e  Sansonetto  con  l' assunto 
Kiman  del  grande  esercito  fedele. 
Fiordiligi  col  cor  di  timor  punto, 
Empiendo  il  ciel  di  voti  e  di  querele. 
Quanto  con  vista  seguitar  le  puote, 
Segue  le  vele  in  alto  mar  remote. 

35  Astolfo  a  gran  fatica  e  Sansonetto 
Potè  levarla  da  mirar  nell'onda, 

E  ritrarla  al  palagio,  ove  sul  letto 
La  lasciare  affannata  e  tremebonda. 
Portava  intanto  il  bel  numero  eletto 
Dei  tre  buon  cavalier  l' aura  seconda. 
Andò  il  legno  a  trovar  V  isola  al  dritto, 
Ove  far  si  dovea  tanto  conflitto. 

36  Sceso  nel  lite  il  cavalier  d'Anglante, 
Il  cognato  Oliviero  e  Brandimarte, 
Col  padiglione  il  lato  di  Levante 
Primi  occupar;  né  forse  il  fer  senz'  arte. 
Giunse  quel  di  medesimo  Agramante, 
E  s' accampò  dalla  contraria  parte; 

Ma  perché  molto  era  inchinata  l'ora, 
Differir  la  battaglia  nell'  aurora. 


CAKtO  QUARANTESIMOfr&iaiO.  389 

87     Di  qua  e  dì  là  sin  alla  naova  lace 
Stanno  alla  guardia  i  servitori  armati. 
La  sera  Brandimarte  si  condace 
Là  dove  i  Saracin  sono  alloggiati» 
E  parla,  con  licenzia  del  suo  duce. 
Al  re  african ,  eh'  amici  erano  stati  ; 
E  Brandimarte  già  con  la  bandiera 
Del  re  Agramante  in  Francia  passato  era. 

38  Dopo  i  salati  e  '1  giunger  mano  a  mano, 
Molte  ragion,  si  come  amico,  disse  . 

Il  fedel  cavaliere  al  re  pagano. 

Perchè  a  questa  battaglia  non  venisse  : 

E  di  rìporgli  ogni  citlade  in  mano, 

Che  sia  tra  '1  Nilo  e  '1  segno  eh*  Ercol  Gsse, 

Con  volontà  d'  Orlando  gli  offeria. 

Se  creder  voleri  al  Figlio  di  Maria. 

39  Perchè  sempre  v'  ho  amato  ed  amo  molto, 
Questo  consiglio,  gli  dicea,  vi  dono; 

E  quando  già,  signor,  per  me  ì'  ho  tolto, 
Creder  potete  eh'  io  1*  estimo  buono. 
Cristo  conobbi  Dio ,  Maumette  stolto  ; 
£  bramo  voi  por  nella  via  in  eh'  io  sono  : 
Nella  via  di  salute,  signor,  bramo 
Che  siale  meco,  e  tutti  gli  altri  ch'amo. 

40  Qui  covsiste  il  ben  vostro  ;  né  consiglio 
Altro  potete  prènder,  che  vi  vaglia  ; 

E  men  di  tutti  gli  altri,  se  col  tìglio 
Di  Milon  vi  mettete  alla  battaglia  : 
Che  '1  guadagno  del  vincere  al  periglio 
Della  perdita  grande  non  si  agguaglia. 
Vincendo  voi,  poco  acquistar  potete; 
Ma  non  perder  già  poco,  se  perdete. 

41  Quando  Decidiate  Orlando,  e  noi  venuti     - 
Qui  per  morire  o  vincere  con  lui, 

Io  non  veggo  per  questo  che  i  perduti 
Dominj  a  racquistar  s' abbian  per  vui. 
Nò  dovete  sperar  che  si  si  muti 
Lo  stato  delle  cose,  morti  nui, 
Ch'  uomini  a  Carlo  manchino  da  porre 
Quivi  a  guardar  fin  all'  estrema  torre. 


390  OB LANDÒ  FURIOSO. 

42  Cosi  parlava  Brandimarte,  ed  era 
Per  soggiungere  ancor  molte  altre  cose; 
Ma  fa  con  voce  irata  e  faccia  altiera 
Dal  pagano  interrotto,  che  rispose: 
Temerità  per  certo  e  pazzia  vera 

£  la  taa,  e  di  qaalunqae  che  si  pose 
A  consigliar  mal  cosa  o  buona  o  ria. 
Ove  chiamato  a  consigliar  non  sia. 

43  E  che  '1  consiglio  che  mi  dai,  proceda 

Da  ben  che  m' hai  voluto,  e  vaomimi  ancora, 

10  non  so,  a  dire  il  ver,  come  io  tei  creda, 
Quando  qui  con  Orlando  ti  veggo  ora. 
Crederò  ben,  tn  che  ti  vedi  in  preda 

Di  quel  dragon  che  l'anime  deverà  » 
Che  brami  teco  nel  dolore  elerno 
Tutto  '1  mondo  poter  trarre  all'  inferno. 

44  Ch'io  vinca  o  perda,  o  debba  nel  mio  regno 
Tornare  antiquo,  o  sempre  starne  in  bando, 
In  mente  sua  n'  ha  Dio  fatto  disegno, 

11  qual  né  io,  né  tu,  né  vede  Orlando. 

Sìa  quel  che  vuol,  non  potrà  ad  atto  indegno 
Di  re  inchinarmi  mai  timor  nefando.    , 
S' io  fossi  certo  di  morir,  vo'  morto 
Prima  restar,  eh'  al  sangue  mio  far  torto. 

45  Or  ti  puoi  ritornar  ;  che  se  migliore 
Non  sei  dimani  in  questo  campo  armato, 
Che  tu  mi  sia  parato  oggi  oratore. 

Mal  troverassi  Orlando  accompagnato.    ^ 
Queste  ultime  parole  usciron  fuore 
Del  petto  acceso  d'Agramante  irato. 
Ritornò  V  uno  e  l' altro,  e  ripososse 
Finché  del  mare  il  giorno  uscito  fosse. 

46  Nel  biancheggiar  della  nqova  alba,  armati 
E  in  un  momento  fur  tutti  a  cavallo. 
Pochi  sermon  si  son  tra  loro  usati  : 

Non  vi  fu  indugio,  non  vi  fu  intervallo; 
Che  i  ferri  delle  lance  hanno  abbassati. 
Ma  mi  parria,  signor,  far  troppo  fallo. 
Se,  per  voler  di  costor  dir,  lasciassi 
Tanto  Ruggier  nel  mar,  che  v'  aflTogassi, 


CANTO  QUAfiANTESlMOPRiatO.  391 

47  II  giovinetto  con  piedi  e  con  braccia 
Percotendo  venia  V  orribil  onde. 

Il  vento  e  la  tempesta  gli  minaccia: 
Ma  più  la  conscìenzia  lo  confonde. 
Teme  che  Cristo  ora  vendetta  faccia  ; 
Che,  poiché  battezzar  nell'acque  monde, 
Quando  ebbe  tempo,  si  poco  gli  calse, 
Or  si  battezzi  in  queste  amare  e  salse. 

48  Gli  ritornano  a  mente  le  promesse 
Che  tante  volte  alla  sua- donna  fece  ; 
Quel  che  giurato  avea  quando  si  messe 
Centra  Rinaldo,  e  nulla  satisfece. 

A  Dio,  eh'  ivi  punir  non  lo  volesse, 

Pentito  disse  quattro  voltjs  e  diece  ; 

E  fece  voto  di  core  e  di  fede 

D'esser  Cristian,  se  ponea  in  terra  il  piede  : 

49  E  mai  più  non  pigliar  spada  né  lancia 
Centra  ai  Fedeli  in  aiuto  de'  Mori  ; 

Ma  che  ritorneria  subito  in  Francia, 
E  a  Carlo  renderla  debiti  onori  ; 
Né  firadàmante  più  terrebbe  a  ciancia, 
£  verria  a  fine  onesto  dei  suo'  amori. 
Miracol  fu,  che  senti  al  fin  del  voto 
Crescersi  forza,  e  agevolarsi  il  nuoto. 

60     Cresce  la  forza  e  Y  animo  indefesso  : 
Ruggier  percuote  l'onde  e  le  respinge, 
L' onde  che  seguon  l' una  all'  altra  presso. 
Di  che  una  il  leva,  un'altra  lo  sospinge. 
Cosi  montando  e  discendendo  spesso 
Con  gran  travaglio,  alfin  V  arena  attinge  ; 
E  dalla  parte  onde  s' inchina  il  colle 
Più  verso  il  mar,  esce  bagnato  e  molle. 

(1     Fnr  tutti  gli  altri,  che  nel  mar  si  dlero, 
Vinti  dall'onde,  e^ alfin  restar* nell'acque. 
Nel  solitario  scoglio  usci  Ruggiero, 
Come  all'alta  Rontà  divina  piacque.^ 
Poi  che  fu  sopra  il  monte  inculto  e  fiero 
Sicur  dal  mar»  nuovo  timor  gli  nacque 
D*  avere  esilio  in  si  stretto  confine^ 
E  di  morirvi  di  disagio  alfine. 


302  ORLANDO  ^URIOISO. 

62  Ha  pur  col  core  indomito,  e  costante 
Di  patir  quanto  è  in  ciel  di  lui  prescritto , 
Pei  duri  sassi  V  intrepide  piante 
Mosse,  poggiando  inver  la  cima  al  dritto. 
Non  era  cento  passi  andato  innante , 
Che  vide  d' anni  e  d' astinenzie  afiSitto 
Uom  eh'  avea  di'  eremita  abito  e  segno^ 
Di  molta  riverenzia  e^d'onor  degno; 

63  Che,  come  gli  fu  presso,  Saulo,  Saulo, 
Gridò,  perchè  persegui  la  mia  Fede? 
(Come  allor  il  Signor  disse  a  San  Paulo, 
Che  '1  colpo  salutifero  gli  diede) 
Passar  credesti  il  mar,  né  pagar  naulo, 
£  defraudare  altrui  della  mercede. 

Vedi  che  Dio,  e'  ha  lunga  man ,  ti  giunge, 
Quando  tu  gli  pensasti  esser  più  lungo. 

64  E  seguitò  il  santissimo  eremita , 
Il  qual  la  notte  innanzi  avuto  avea 
In  vision  da  Dio,  che  con  sua  aita 
Allo  scoglio  Buggier  giunger  dovea: 
£  di  lui  tutta  la  passata  vita, 

£  la  futura,  e  ancor  la  morte  rea. 
Figli  e  nipoti  ed  ogni  discendente 
Gli  avea  Dio  rivelato  interamente, 

65  Seguitò  r  eremita  riprendendo 
Prima  Ruggiero  ;  e  al6n  poi  confortoUo. 
Lo  riprendea  eh'  era  ito  differendo 
Sotto  il  soave  giogo  a  porre  il  collo  ; 

£  quel  che  dovea  far,  libero  essendo, 
Mentre  Cristo  pregando  a  sé  chiamollo, 
Fatto  avea  ppi  con  poca  grazia,  quando 
Venir  con  sferza  il  vide  minacciando. 

66  Poi  confprtollo  che  non  niega  il  cielo. 
Tardi  0  per  tempo.  Cristo  a  chi  gliel  chiede; 
£  di  quegli  operar]  del  Vangelo 

Narrò,  che  tutti  ebbono  ugual  mercede. 
Con  caritade  e  con  devoto  zelo 
Lo  venne  ammaestrando  nella  Fede 
Yerso  la  cella  Sua  con  lento  passo, 
Ch'  era  cayata  a  mezzo  il  duro  sasso. 


CANtO  OUAAANtE^iatO^RIMO.  303 

67  Di  sopra  siede  alla  devota  cella 
Una  pìccola  chiesa,  che  risponde 
All'  oriente,  assai  comoda  e  bella  ; 

Di  sotto  un  bosco  scende  sin  all'  onde. 
Di  lauri  e  di  ginepri  e  di  mortella, 
£  di  palme  frattifere  e  feconde. 
Che  riga  sempre  ana  liquida  fonte, 
Che  mormorando  cade  giù  dal  monte. 

68  Eran  degli  anni  ormai  presso  a  quaranta, 
Che  sa  lo  scoglio  il  fraticel  si  messe  ; 

Ch'  a  menar  vita  solitaria  e  santa 
Loogo  opportuno  il  Salvator  gii  elesse. 
Di  frutte  colte  or  d' una  or  d' altra  pianta» 
£  d'acqua  pura  la  sua  vita  resse. 
Che  valida  e  robusta  e  senz'  affanno 
£ra  venuta  all'  ottantesimo  anno. 

60  Dentro  la  cella  il  vecchio  accese  il  fuoco, 
E  la  mensa  ingombrò  di  varj  frutti. 

Ove  si  ricreò  Ruggiero  un  poco. 
Poscia  eh'  i  panni  e  i  capelli  ebbe  asciutti. 
Imparò  poi  più  ad  agio  in  questo  loco 
Di  nostra  Fede  i  gran  misteri  tutti  ; 
Ed  alla  pura  fonte  ebbe  battesmo 
Il  di  seguente  dal  vecchio  medesmo. 

eo     Secondo  il  luogo,  assai  contento  stava 
Quivi  Ruggier  ;  che  '1  buon  servo  di  Dio 
Fra  pochi  giorni  intenzion  gli  dava 
Di  rimandarlo  ove  più  avea»  disio. 
Di  molte  cose  intanto  ragionava 
Con  lui  sovente,  or  al  regno  di  Dio, 
Or  alti  propri  casi  appertinenti, 
Or  del  suo  sangue  alle  future  genti. 

61  Avea  il  Signor,  che  '1  tutto  intende  e  vede, 
Rivelato  al  santissimo  eremita. 

Che  Ruggier  da  quel  di  ch*  ebbe  la  Fede, 
Dovea  sette  anni,  e  non  più,  stare  in  vita; 
Che  per  la  morte  che  sua  donna  diede 
A  Pinabel,  eh' a  lui  6a  attribuita, 
Saria,  e  per  quella  ancor  di  Rertolagi, 
Morto  dai  Maganzesi  empi  e  malvagi  ; 


391  ORLANDO  FURIOSO. 

6ar     E  che  qael  tradimento  andrà  si  occulto, 
Che  non  se  n'  adirà  di  fuor  novella  ; 
Perchè  nel  proprio  loco  fia  sepolto , 
Ove  anco  ucciso  dalla  gente  fella  : 
Per  questo  tardi  vendicato  ed  alto 
Fia  dalla  moglie  e  dalla  sua  sorella  : 
£  che  col  ventre  pien  per  lunga  via 
Dalla  moglie  fedel  cercato  fia  : 

63  Fra  r  Adice  e  la  Brenta  appiè  de'  colli 
Gh'  al  troiano  Antenòr  piacqueno  tanto, 
Con  le  sulfuree  vene  e  rivi  molli. 

Con  lieti  solchi  e  prati  ameni  accanto. 
Che  con  l' alta  Ida  volentier  mutollì. 
Col  sospirato  Ascanio  e  caro  Xanto, 
A  parturir  verrà  nelle  foreste 
Che  son  poco  lontane  al  frigio  Ateste  : 

64  E  eh'  in  bellezza  ed  in  valor  cresciuto 
Il  parlo  suo,  che  pur  Ruggier  fia  detto, 
E  del  sangue  troian  riconosciuto 

Da  quei  Troiani,  in  lor  signor  fia  eletto; 
E  poi  da  Carlo,  a  cai  sarà  in  aiuto 
Incontra  i  Longobardi  giovinetto, 
Dominio  giusto  avrà  del  bel  paese, 
E  titolo  onorato  di  marchese. 

65  E  perchè  dirà  Carlo  in  latino  :  Exte 
Signori  qui,  quando  faragli  il  dono; 
Nel  secolo  fntur  nominato  Este 

Sarà  il  bel  luogo  con  augurio  buono  ; 
E  così  lascerà  il  nome  d*  Ateste 
Delle  due  prime  note  il  vecchio  suono. 
Avea  Dio  ancora  al  servo  suo  predetta 
Di  Ruggier  la  futura  aspra  vendetta  : 

66  Ch'  in  visione  alla  fedel  consorte 
Apparirà  dinanzi  al  giorno  un  poco  ; 
E  le  dirà  chi  l'avrà  messo  a  morte, 
E,  dove  giacerà,  mostrerà  il  loco  : 
Ond'  ella  poi  con  la  cognata  forte 
Distruggerà  Pontieri  a  ferro  e  a  fooco  : 
Né  farà  a'  Maganzesi  minor  danni 

Il  figlio  suo  Ruggiero,  ov' abbia  gli  anni* 


CANTO  QUARANTESIHOPRIMO.  395 

67     B'Azzi,  d'Alberti,  d'Obici  discorso 
Fatto  gli  aveva,  e  di  lor  stirpe  bella, 
Insino  a  Niccolò,  Leonello,  Borso, 
Ercole,  Alfonso,  Ippolito  e  Isabella. 
]Ma  il  santo  vecchio,  ch'alia  lingua  ha  il  morso^ 
Non  di  quanto  egli  sa  però  favella  : 
Narra  a  Ruggier  quel  che  narrar  conviensi  ; 
£  qael  eh'  in  sé  dò'  ritener,  ritiensi. 

6S     In  questo  tempo  Orlando  e  Brandimarte 
E  '1  marchese  Olivier  col  ferro  basso 
Vanno  a  trovare  il  Saracino  Marte 
(Che  cosi  nominar  si  può  Gradasso), 
E  gli  altri  duo  che  da  contraria  parte 
Han  mosso  il  buon  destrier  più  che  di  passo  ; 
Io  dico  il  re  Agramante  e  '1  re  Sobrino: 
Rimbomba  al  corso  il  lito  e  '1  mar  vicino. 

69  •  Quando  allo  scontro  vengono  a  trovarsi, 
E  ih  tronchi  vola  al  ciel  rotta  ogni  lancia. 
Del  gran  rumor  fu  visto  il  mar  gonfiarsi. 
Del  gran  rumor  che  s' udi  sino  in  Francia. 
Venne  Orlando  e  Gradasso  a  riscontrarsi  ; 
E  potea  stare  ugual  questa  bilancia. 

Se  non  era  il  vantàggio  di  Baiardo, 
Che  fé  parer  Gradasso  più  gagliardo. 

70  Percosse  egli  il  destrier' di  minor  forza, 
Ch'Orlando  avea,  d'un  urto  cosi  strano, 
Che  lo  fece  piegare  a  poggia  e  ad  orza, 
£  poi  cader,  quanto  era  lungo,  al  piano. 
Orlando  di  levarlo  si  risforza 

Tre  volte  e  quattro,  e  con  sproni  e  con  mano; 
E  quando  alfìn  noi  può  levar,  ne  scende , 
Lo  scudo  imbraccia,  e  Balisarda  prende. 

71  Scontrossi  col  re  d' Africa  Oliviero  ; 
E  fur  di  quello  incontro  a  paro  a  paro. 
Brandimarte  restar  senza  destriero 
Fece  Sobrin,  ma  non  si  seppe  chiaro 

Se  v'ebbe  il  destrier  colpa,  o  il  cavaliere: 
Ch'avvezzo  era  cader  Sobrin  di  raro. 
O  del  destriero,  o  suo  pur  fosse  il  fallo, 
Sobrin  si  ritrovò  giù  del  cavallo. 


396  ORLANDO  FURIOSO. 

72  Or  Brandimarle,  che  vide  per  terra 
Il  re  Sobrìn,  non  Tassali  aUrimente; 
Ma  contro  il  re  Gradasso  si  disserra, 
Ch'  avea  abbattalo  Orlando  parimente. 

Tra  il  marchese  e  Agramante  andò  la  goerra 
Come  fa  cominciata  primamente  : 
Poi  che  si  roppon  V  aste  negli  scadi, 
S' eran  tornati  incontra  a  stocchi  ignudi. 

73  Orlando,  che  Gradasso  in  atto  vede. 
Che  par  eh'  a  lai  tornar  poco  gli  caglia  ; 
Né  tornar  Brandimarte  gli  concede. 
Tanto  lo  stringe  e  tanto  lo  travaglia  ; 
Si  volge  intorno,  e  similmente  a  piede 
Vede  Sobrin  che  sta  senza  battaglia. 

Ver  lai  s' avventa  ;  e  al  muover  deUe  piante 
Fa  il  ciel  tremar  del  suo  fiero  sembiante. 

74  Sobrin,  che  di  tanto  uom  vede  rass9lto, 
Stretto  neir  arme  s' apparecchia  tutto  : 
Come  nocchiero  a  cui  vegna  a  gran  salto 
Muggendo  incontra  il  minaccioso  flotto. 
Drizza  la  prora,  e  quando  il  mar  tant'  alto 
Vede  salire,  esser  vorrìa  air  asciutto. 
Sobrin  lo  scudo  oppone  alla  ruina 

Che  dalla  spada  vìen  di  Fallerina. 

75  Di  tal  finezza  è  quella  Balisarda, 
Che  Tarme  le  puon  far  poco  riparo: 
In  man  poi  dì  persona  sì  gagliarda, 

In  man  d'Orlando,  unico  al  mondo  o  raro, 
Taglia  lo  scudo;  e  nulla  la  ritarda. 
Perchè  cerchiato  sia  tutto  d' acciaro  : 
Taglia  lo  scudo,  e  sino  al  fondo  fende, 
£  sotto  a  quello  in  su  la  spalla  scende. 

76  Scende  alla  spalla  ;  e  perchè  la  ritrovi 
Di  doppia  lama  e  di  maglia  coperta. 
Non  vuol  però  che  molto  ella  le  giovi. 
Che  di  gran  piaga  non  la  lasci  aperta. 
Mena  Sobrin  ;  ma  indarno  è  che  si  provi 
Ferire  Orlando,  a  cui  per  grazia  certa 
Diede  il  Motor  del  cielo  e  delle  stelle. 
Che  mai  forar  non  se  gli  può  la  pelle* 


CANTO  QOARANTesmOPRIMO.  397 

77  Baddoppia  il  colpo  il  valoroso  conte, 
E  pensa  dalle  spalle  il  capo  torglì. 
Sobrìn  che  sa  il  valor  di  Ghiaramonte, 
E  che  poco  gli  vai  lo  scudo  opporgli , 
S' arretra  ;  ma  non  tanto,  che  la  fronte 
Non  venisse  anco  Balisarda  a  corglì. 
Di  piatto  fa,  ma  il  colpo  tanto  fello, 
Ch'ammaccò  Telmo,  e  gì' intronò  il  cervello. 

78  Cadde  Sobrìn  del  fiero  colpo  in  terra, 
Onde  a  gran  pezzo  poi  non  è  risorto. 
Crede  finita  aver  con  lui  la  guerra 

Il  paladino,  e  che  si  giaccia  morto; 
E  verso  il  re  Gradasso  si  disserra, 
Che  Brandimarte  non  meni  a  mal  porto: 
Che  '1  pagan  d' arme  e  di  spada  l' avanza, 
E  di  destriero,  e  forse  di  possanza. 

79  L'ardito  Brandimarte  in  su  Frontino, 
Quel  buon  destrier  che  di  Buggier  fu  dianzi. 
Si  porta  cosi  ben  col  Saracino, 

Che  non  par  già  che  quel  troppo  l' avanzi  : 
E  s' egli  avesse  osbergo  così  fino , 
Come  il  pagan,  gli  staria  meglio  innanzi  ; 
Ma  gli  convien,  che  mal  si  sente  armato. 
Spesso  dar  luogo  or  d' uno  or  d' altro  lato. 

80  Altro  destrier  non  è  che  meglio  intenda 
Di  quel  Frontino  il  cavaliere  a  cenno: 
Par  che,  dovunque  Durindana  scenda. 

Or  quinci  or  quindi  abbia  a  schivarla  senno. 
Agramante  e  Olivier  battaglia  orrenda 
Altrove  fanno,  e  giudicar  si  donno 
Per  duo  guerrier  di  pari  in  arme  accorti , 
E  poco  differenti  in  esser  forti. 

81  Avea  lasciato,  come  io  dissi,  Orlando 
Sobrino  in  terra;  e  contra  il  re  Gradasso, 
Soccorrer  Brandimarte  disiando , 

Come  sì  trovò  a  pie,  venia  a  gran  passo. 
Era  vicin  per  assalirlo,  quando 
Vide  in  mezzo  del  campo  andare  a  spasso 
11  buon  cavallo  onde  Sobrio  fu  spinto  ; 
E  per  averlo,  presto  si  fu  accinto. 
if.  54 


398  ORLANDO  FURIOSO. 

82  Ebbe  il  destrìer,  che  non  trovò  contesa, 
E  levò  an  salto ,  ed  entrò  nella  sella. 
Neir  una  man  la  spada  tìen  sospesa , 
Mette  r  altra  alla  briglia  ricca  e  bella. 
Gradasso  vede  Orlando,  e  non  gli  pesa 
Ch'  a  lui  ne  viene,  e  per  nome  l' appella. 
Ad  esso  e  a  Bran dimarte  e  all'altro  spera 
Far  parer  notte,  e  che  non  sia  ancor  sera. 

83  Voltasi  al  conte,  e  Brandimarte  lassa, 
E  d' una  punta  Io  trova  al  camaglio: 
Fuorché  la  carne,  ogni  altra  cosa  passa; 
Per  forar  quella  è  vano  ogni  travaglio. 
Orlando  a  un  tempo  Balisarda  abbassa  : 
Non  vale  incanto  ov'  ella  mette  il  taglio. 
L' elmo,  lo  scudo,  V  osbergo  e  l' arnese , 
Venne  fendendo  in  giù  ciò  eh'  ella  prese  ; 

84  E  nel  volto  e  nel  petto  e  nella  coscia 
Lasciò  ferito  il  re  di  Sericana , 

Di  cui  non  fu  mai  tratto  sangue,  poscia 
Gh'  ebbe  queir  arme  :  or  gli  par  cosa  strana 
Ghe  quella  spada  (e  n'  ha  dispetto  e  angoscia} 
Le  tagli  or  si;  né  pur  è  Durindana. 
E  se  più  lungo  il  colpo  era  o  più  appresso, 
L' avria  dal  capo  insino  al  ventre  fesso. 

85  Non  bisogna  più  aver  nell'  arme  fede, 
Geme  avea  dianzi  ;  che  la  prova  è  fatta. 
Gon  più  riguardo  e  più  ragion  procede, 
Ghe  non  solca  ;  meglio  al  parar  si  adatta. 
Brandimarte  ch'Orlando  entrato  vede, 
Ghe  gli  ha  di  man  quella  battaglia  tratta. 
Si  pone  in  mezzo  ali'  una  e  all'  altra  pugna , 
Perchè  in  aiuto,  ove  è  bisogno,  giugna. 

86  Essendo  la  battaglia  in  tale  istato. 
Sobrio,  ch'era  giaciuto  in  terra  molto, 
Si  levò  poi  eh'  in  sé  fu  ritornato  ; 

E  molto  gli  dolca  la  spalla  e  '1  volto. 
Alzò  la  vista,  e  mirò  in  ogni  lato  ; 
Poi,  dove  vide  il  suo  signor,  rivolto , 
Per  dargli  aiuto  i  lunghi  passi  torse 
Tacito  sì,  ch'alcun  non  se  n'accorse. 


CANTO  QUARANTESniOPBIMO.  399 

87     Vien  dietro  ad  Olivier,  che  tenea  gli  occhi 
Al  re  Agramante,  e  poco  altro  attendea  ; 
£  gli  feri  nei  deretan  ginocchi 
Il  destrier  di  percossa  in  modo  rea. 
Che  senza  indugio  è  forza  che  trabocchi. 
Cade  Olivier  ;  né  '1  piede  aver  potea , 
Il  manco  pie  eh'  al  non  pensato  caso 
Sotto  il  cavallo  in  staffa  era  rimase. 

ss     Sobrìn  raddoppia  il  colpo,  e  di  riverso 
Gli  mena,  e  se  gli  crede  il  capo  torre  ; 
Ma  lo  vieta  Tacciar  lucido  e  terso, 
Che  temprò  già  Yulcan,  portò  già  Ettorre. 
Yede  il  periglio  Brandimarte,  e  verso 
Il  re  Sobrino  a  tutta  briglia  corre  ; 
E  lo  fere  in  sul  capo,  e  gli  dà  d' urto  : 
Ma  il  fiero  vecchio  è  tosto  in  pie  risurto  ; 

S9     E  torna  ad  Olivier  per  dargli  spaccio. 
Si  eh'  espedito  all'  altra  vita  vada  ; 
O  non  lasciare  almen  ch'esca  d' impaccio, 
Ma  che  si  stia  sotto  il  cavallo  a  bada. 
Olivier  e'  ha  di  sopra  il  miglior  braccio , 
Si  che  si  può  difender  con  la  spada , 
Di  qua  di  là  tanto  percuote  e  punge. 
Che,  quanto  è  lunga,  fa  Sobrin  star  lunge. 

90  Spera,  s' alquanto  il  tien  da  sé  rispinto, 
In  poco  spazio  uscir  di  quella  pena. 
Tutto  di  sangue  il  vede  molle  e  tinto, 

E  che  ne  versa  tanto  in  su  V  arena, 
Che  gli  par  eh'  abbia  tosto  a  restar  vinto  : 
Debole  è  si,  che  si  sostiene  a  pena. 
Fa  per  levarsi  Olivier  molte  prove. 
Né  da  dosso  il  destrier  però  si  muove. 

91  Trovato  ha  Brandimarte  il  re  Agramante, 
E  cominciato  a  tempestargli  intorno  : 

Or  con  Frontin  gli  è  al  fianco,  or  gli  è  davante, 
Con  quel  Frontin  che  gira  come  un  torno. 
Buon  cavallo  ha  il  figliuol  di  Monodante  ; 
Non  r  ha  peggiore  il  re  di  Mezzogiorno: 
Ha  Brigliador  che  gli  donò  Ruggiero 
Poi  che  lo  tolse  a  Mand ricardo  altiero. 


400  OBLAMDO  FURIOSO. 

9i     Vantaggio  ha  bene  assai  dell'armatara  ; 
A  tolta  prova  V  ha  buona  e  perfetta. 
Brandimarte  la  saa  tolse  a  ventara, 
Qaal  potè  avere  a  tal  bisogno  in  fretta  : 
Ma  saa  animosità  sì  l'assicura, 
€h'  in  miglior  tosto  di  cangiarla  aspetta  ; 
Come  che  '1  re  african  d' aspra  percossa 
La  spalla  destra  gli  avea  fatta  rossa , 

93  £  serbi  da  Gradasso  anco  nel  fianco 
Piaga  da  non  pigliar  però  da  gioco. 
Tanto  r  attese  al  varco  il  guerrier  franco , 
Che  di  cacciar  la  spada  trovò  loco. 
Spezzò  Io  scudo,  e  feri  il  braccio  manco, 
E  poi  nella  man  destra  il  toccò  un  poco. 

Ma  questo  un  scherzo  si  può  dire  e  un  spasso. 
Verso  quel  che  fa  Orlando  e  '1  re  Gradasso. 

94  Gradasso  ha  mezzo  Orlando  disarmato  ; 
L' elmo  gli  ha  in  cima  e  da  dui  lati  rotto, 
E  fattogli  cader  lo  scudo  al  prato , 
Osbergo  e  maglia  apertagli  di  sotto  : 
Non  r  ha  ferito  già  ;  eh'  era  affatato. 

Ma  il  paladino  ha  lui  peggio  condotto  : 
In  faccia,  nella  gola,  in  mezzo  il  petto 
L'ha  ferito,  oltre  a  quel  che  già  v'ho  detto. 

95  Gradasso  disperato,  che  si  vede 

Del  proprio  sangue  tutto  molle  e  brutto, 
E  eh*  Orlando  del  suo  dal  capo  al  piede 
Sta  dopo  tanti  colpi  ancora  asciutto; 
Leva  il  brando  a  due  mani,  e  ben  si  crede 
Partirgli  il  capo,  il  petto,  il  ventre  e  '1  tutto; 
E  appunto,  come  vuol,  sopra  la  fronte 
Percuote  a  mezza  spada  il  fiero  conte. 

96  E  s' era  altro  eh'  Orlando,  l' avria  fatto  ; 
L' avria  sparato  fin  sopra  la  sella  : 

Ma,  come  colto  l'avesse  di  piallo, 
La  spada  ritornò  lucida  e  bella. 
Delia  percossa  Orlando  stupefatto. 
Vide,  mirando  in  terra,  alcuna  stella. 
Lasciò  la  briglia,  e  '1  brando  avria  lasciato; 
Ma  di  catena  al  braccio  era  legato. 


CANTO  OtJARANTESlHO^RIMO.  40l 

97  Del  soon  del  colpo  fa  tanto  smarrito 
Il  corridor  eh'  Orlando  avea  sai  dorso, 
Che  discorrendo  il  polveroso  lito. 
Mostrando  già  quanto  era  baono  al  corso. 
Della  percossa  il  conte  tramortito, 

Non  ha  valor  di  ritenergli  il  morso. 
Segue  Gradasso,  e  Tavria  tosto  giunto  » 
Poco  più  che  Baiardo  avesse  punto. 

98  Ma  nel  voltar  degli  occhi,  il  re  Agramante 
Vide  condotto  alF  ultimo  periglio  ; 

Che  neir  elmo  il  fìgliuol  dì  Monodante 
Gol  braccio  manco  gli  ha  dato  di  piglio, 
E  glierha  dislacciato  già  davante, 
£  tenta  col  pugnai  nuovo  consiglio  ; 
Né  gli  può  far  quel  re  difesa  molta. 
Perchè  di  man  gli  ha  ancor  la  spada  tolta. 

99  Volta  Gradasso,  e  più  non  segue  Orlando; 
Ma,  dove  vede  il  re  Agramante,  accorre. 
L'incauto  Brandimarte,  non  pensando 
Ch'Orlando  costui  lasci  da  sé  torre. 

Non  gli  ha  né  gli  occhi  né  '1  pensiero,  instando 
Il  coltel  nella  gola  al  pagan  porre. 
Giunge  Gradasso,  e  a  tutto  suo  potere 
Con  la  spada  a  due  man  l' elmo  gli  fere. 

iOO     Padre  del  ciel,  dà  fra  gli  eletti  tuoi 
Spiriti  luogo  al  martir  tuo  fedele. 
Che  giunto  al  fin  de'  tempestosi  suoi 
Viaggi,  in  porto  ormai  lega  le  vele. 
Ah  Durindana,  dunque  esser  tu  puoi 
Al  tuo  signore  Orlando  si  crudele. 
Che  la  più  grata  compagnia  e  più  fida 
Ch'egli  abbia  al  mondo,  innanzi  tu  gli  uccida? 

401     Di  ferro  un  cerchio  grosso  era  duo  dita 
Intorno  all'elmo,  e  fu  tagliato jb  rotto 
Dal  gravissimo  colpo ,  e  fu  partita 
La  cuffia  dell'  acciar  eh'  era  di  sotto. 
Brandimarte  con  faccia  sbigottita 
Giù  del  destrier  si  riversò  di  botto  ; 
E  fuor  del  capo  fé  con  larga  vena 
Correr  di  sangue  un  fiume  in  su  V  arena. 

54* 


4tS 


n      n  evale  s  meaie,  e  gì  «echi  gin. 
Ed  ka  a  «•  BmlÌMrle  ìb  lem  i 
E  fapn  ÌB  alto  fl  dcficaa  gi  bui 
Che  bea  coamxr  paè  che  ^  rka  1 
Koa  sa  se  ìa  lai  pefé  fìa  il  daala  o  T  in; 
Ma  da  piJDcere  il  Ica^»  arca  si  carta. 
Che  icrtò  fl  daola,  e  fin  asci  pia  la  irefla. 
Ma  loMa  è  aoMi  che  iae  ai  Caala  io  BMlla. 


roTs. 


SLt.w,i'$.  — L'mlms  li^mar  te. 
IfllMJni  a  VMO  dato  ^a  Bacr*  ad  lo- 
f«,  e  IMI  cvBMeaortc  Icario,  iglio 
a  EbaU  fc  di  VttmAM.  QmsU  se 
fere  Wft  ai  Moi  OHClitari  »  i  qvali  ac 
diirww  abbriadii;  e  credeadosi  da 
Wi  avvvkaati,  lo  gettaroao  io  oa  pos- 
so,  dove  norì.  —  CelU  •  Bmi:  popoK 
ddk  GaDie,  die  adcscaU  dalla  booià 
deUa  firatU  ,  e  iegaatanieale  del  viso 
d' lulia,  pattarono  k  Alpi  e  posero  tede 
sella  Pcaiiola. 

St.  9.  r.  6 Mmff liane»  soprm  il 

mar  ¥a  iifreggebimuco.  Parla  dei  pesci, 
(delti  poeticameote  gregge)  io  goardia 
di  Proteo;  e  eembra  Toler  allndere  a 
qoel  rocnore  o  fremito,  che  avegliano 
•all'acque  i  delfioi  commotsi  per  l'im- 

^f.  13.  V,  i.—  ÀtUnget  tocca. 

«^1.  i4.  «r.  7.—//  /e^no  Wnto  M  p/il 
parti  si  lassa»  la  oaTe  iodebolila  ai 
apre,  ti  icomnuttc  io  pia  looghi. 

Si,  \ 6.  v,i.-^/l  tempestoso  iberno  f 
U  procella ,  il  ?eato  borratcoso. 

St.  i9.  V,  i.—  ll  cernile  e  'l  pa» 
drene.  Dicesi  eomite  o  eomito  il  basso 
ufflaiale  che  sopravvegUa  alfa  ciurma,  e 
ordina  le  maoovie.—  Padrone  è  quello 
che  comanda  la  nave. 

St.  36.  V,  b,  »  So  che  tutta  Vitto- 
ria  a¥ete  Iettai  e  può  vedersi  nell*  Or- 
lando  Innamorato  del  Boiardo,  lib*  I, 
Canto  XVII. 


St,  sa  r.  7. — Fimckk  vegma:  fa 
ilapicda.  E  < 


Olivero  atieadr  F  op- 


SL  36.  #.  k,-^ltl  farsa  il  Jer 
sems'arte  :  persie  loto  giovava  per  av- 
▼colora  r  avere  il  cole  mattatiao  alle 
spalk,  e  che  gì'  iaioact  lo  avcsaere  ia 
faccia. 

J<.43.  ».  6. — Di  qmel  dragom  che 
tamime  deverà  t  del  favolo. 

St.  63.  r.  h»  ~  Passar  credesU  it 
mar^  ne  pagar  mania  ce.  Chiamaai  «o». 
io,  e  più  coomneaieote  noia,  ciò  die  ai 
paga  per  fare  un  vùggio  mariltimo.  Qoì 
il  naule  che  Dio  ts  pagare  a  Roggkro 
perqael  tragitto,  k  appoato  il  aanfragio^ 
qoal  gastigo  dd  di  Ini  recaldtrarc  allo 
divine  chiamate,  e  del  prociaatiaare 
l'adempimento  della  fatta  promessa  di 
abbracciare  il  Cristianesimo. 

St.  63. 9. 1.8.-- Fra  VAdUe  e  la 
Brenta:  fiumi  che  limitano  il  territorio 
di  Padova  da  mesiogiorno  a  settentrio- 
ne. — •  Al  troiano  Antenòr  piacquero 
tanto.  Segnila  l'opinione  dì  allora,  che 
Antenore  fuggitivo  da  Troia  reaisse  in 
Italia,  e  vi  fondasse  Padova. -—  L'«/<« 
Ida  :  montagna  di  Frigia,  non  Inagi  da 
Troia. — Ascanio:  nome  di  lago  e  lu- 
me nella  Mi&ia ,  soggetta  al  re  Priamo. 
'^Xanto^  altrimenti  Seamandro^fiii^ 


CANTO  QDARÀNTESIMOPRIMO. 


403 


micelio  Ticino  a  Troia. —  Jl  frigio 
jé teste:  aomc  antico  del  cattello  d'Ette 
tal  padovano  I  e  il  Poeta  lo  àict/rigio^ 
perchè  in  qne* tempi  credevasi  fabbri- 
cato dai  Troiani. 


St.  65.  9,  6.  —  Delle  due  prime 
notet  dell*  A  e  del  T,  che  tono  le  due 
prime  lettere  della  parola  A  teste, 

St.  83.  V,  2.  —  Cmmaglio  :  parte 
dell*  armatura  che  difende  il  collo. 


CAirae  QlJARAlVTESmOSDCOItfDO. 


éim^^Oìmov^* 


Il  combattimento  in  Lampedaaa  6nisce  con  la  morte  di  Gradasso  e  di  Agramente, 
Qccisi  per  roano  d'Orlando,  che  conserva  in  vita  Sobrino.  Bradamante  si  ac- 
cora pel  ritardo  di  Ruggiero;  e  Rinaldo,  nell'andare  in  traccia  d'Angelica, 
trova  chi  lo  guarisce  dall'amorosa  passione.  Incamminatosi  quindi  per  rag- 
giungere Orlando,  s'imbatte  in  un  cavaliere  che  lo  accoglie  in  un  roagni6co 
palasso  ornato  di  statue  rappresentanti  varie  donne  Estensif  ed  ivi  l'ospite  gli 
propone  un  meiao  onde  certificarsi  sulla  fedeltà  della  moglie. 


Qual  darò  freno,  o  qaal  ferrigno  nodo^ 
Qaal,  s*  esser  paò,  catena  dì  diamante 
Farà  che  Tira  servi  ordine  e  modo. 
Che  non  trascorra  oltre  al  prescritto  innante, 
Quando  persona,  che  con  saldo  chiodo 
T' abbia  già  fissa  Amor  nel  cor  constante. 
Tu  vegga  o  per  violenzia  o  per  inganno 
Patire  o  disonore  o  mortai  danno? 

£  s' a  cmdel,  s' ad  inamano  effetto 
Qaeir  impeto  talor  T  animo  svia. 
Merita  escasa  ;  perchè  allor  del  petto 
Non  ha  ragione  imperio  né  balia. 
Achille,  poi  che  sotto  il  falso  elmetto 
Vide  Patroclo  insangainar  la  via, 
D' uccider  chi  V  accise  non  fa  sazio. 
Se  noi  traea,  se  non  ne  facea  strazio. 


4*1 


s     IsTìfto  AUmm»  amile  in 
La  ▼«In  fseate  il  di  che  tì 
La  fresie  fl  gnre  saese,  e  ii  ▼"< 
Ch' esBU  pensò  cte  r  aiou  giù  feeee  : 
L' accese  m  lai  foror,  che  non  difleee 
Yoelri  iaiaùd  argini  o  man  o  foGee, 
Che  BOB  fecàBO  iaaene  tolti  BMrtì, 
SeBxa  lasciar  chi  la  BoreDa  porti. 

4     n  Tedenri  cader  caBSÒ  fl  dolore 
Che  i  Yostrì  a  fuor  Biosse  e  a  crodeHade. 
S'enTate  ìb  pie  toì,  forse  miBore 
Liceozia  aTriano  avuto  le  lor  spade. 
EnTi  assai,  che  la  Bastia  in  manche  ore 
T'aveste  ritornala  in  potestade. 
Che  tolta  in  giorni  a  voi  non  en  sfata 
Da  gente  cordovese  e  dì  Granala. 

s      Forse  fa  da  Dio  vindice  permesso 
Che  vi  trovaste  a  qoel  caso  impedito. 
Acciò  che  '1  crudo  e  scellerato  eccesso 
Che  dianzi  tatto  avean,  fosse  ponilo; 
Che,  poi  eh'  in  lor  man  vinto  m  fa  messo 
D  miser  Yestidel,  lasso  e  ferito, 
Senz'  arme  fa  tra  ceolo  spade  ucciso 
Dal  popol  la  più  parte  circonciso. 

6  Ma  perch'Io  vo*concIaderé,  vi  dico 
Che  nessun' altra  quell'ira  pareggia, 
Quando  signor,  parente,  o  sozio  antico 
Dinanzi  agli  occhi  ingiuriar  tì  veggia. 
Dunque  è  ben  dritto,  per  si  caro  amico. 
Che  subii'  ira  il  cor  d' Orlando  foggia  ; 
Che  dell'  orribil  colpo  che  gli  diede 

Il  re  Gradasso,  morto  in  terra  il  vede. 

7  Qoal  nomade  pastor,  che  vedot'  abbia 
Fuggir  strisciando  V  orrido  serpente 
Che  il  figliuol,  che  giocava  nella  sabbia, 
Ucciso  gli  ba  col  venenoso  dente. 
Stringe  il  baston  con  collera  e  con  rabbia  ; 
Tal  la  spada,  d'ogni  altra  piò  tagliente, 
Stringe  con  ira  il  cavalier  d' Anglante  : 

Il  primo  che  trovò,  fu  '1  re  Agramantei 


CANTO  OUARANTBSIMOSECONOO.  À0$ 

8  Che  sanguinoso,  e  della  spada  privo, 
Con  mezzo  scudo,  e  con  Y  elmo  discìoltOy 
E  ferito  in  più  parti  eh'  io  non  scrivo, 
S'era  di  man  di  Brandimarte  tolto, 
Come  di  pie  all'astor  sparvier  mal  vivo, 
A  cui  lasciò  alla  coda,  in  vide  o  stolto. 
Orlando  giunse,  e  messe  il  colpo  giusto 
Ove  il  capo  si  termina  col  busto. 

9  Sciolto  era  l'elmo,  e  disarmato  il  collo, 
Si  che  lo  tagliò  netto  come  un  giunco. 
Cadde,  e  die  nel  sabbion  l' ultimo  crollo 
Del  regnator  di  Libia  il  grave  tronco. 
Corse  lo  spirto  ali*  acque,  onde  tìroUo 
Garon  nel  legno  suo  col  graffio  adunco. 
Orlando  sopra  lui  non  si  ritarda. 

Ma  trova  il  Serican  con  Balìsarda. 

10  Come  vide  Gradasso  d'Agramante 
Cadere  il  busto  dal  capo  diviso  ; 

Quel  ch'accaduto  mai  non  gli  era  innante. 
Tremò  nel  core,  e  si  smarri  nel  viso  : 
£  all'  arrivar  del  cavalier  d' Anglante, 
Presago  del  suo  mal,  parve  conquiso. 
Per  schermo  suo  partito  alcun  non  prese, 
Quando  il  colpo  mortai  sopra  gli  scese. 

11  Orlando  lo  feri  nel  destro  fianco 
Sotto  l'ultima  costa;  e  il  ferro,  immerso 
Nel  ventre,  un  palmo  usci  dal  lato  manco, 
Di  sangue  sin  all'  elsa  tutto  asperso. 
Mostrò  ben  che  di  man  fu  del  più  franco 
E  del  miglior  guerrier  dell'  universo 

Il  colpo  eh'  un  signor  condusse  a  morte, 
Di  cui  non  era  in  Pagania  il  più  forte. 

18      Di  tal  vittoria  non  troppo  gioioso. 
Presto  di  sella  il  paladin  si  getta  ; 
E  col  viso  turbato  e  lacrimoso 
A  Brandimarte  suo  corre  a  gran  fretta. 
Gli  vede  intorno  il  campo  sanguinoso  : 
L'elmo,  che  par  ch'aperto  abbia  un'accetta^ 
Se  fosse  stato  fral  più  che  di  scorza. 
Difeso  non  Tavria  con  minor  forza. 


^ 


406  ORLANDO  FURIOSO. 

13  Orlando  V  elmo  gli  levò  dal  viso, 
E  ritrovò  che  '1  capo  sino  al  naso 
Fra  r  uno  e  V  altro  ciglio  era  diviso  : 
Ma  par  gli  è  tanto  spirto  anco  rimaso, 
Che  de'  suoi  falli  al  Re  del  Paradiso 
Può  domandar  perdono  anzi  V  occaso  ; 
£  confortare  il  conte,  che  le  gote 
Sparge  di  pianto,  a  pazienzia  poote; 

14  E  dirgli:  Orlando,  fa  cl\e  ti  raccordi 
Di  me  neir  orazion  tue  grate  a  Dio  ; 
Né  men  ti  raccomando  la  mia  Fiordi.... 
Ma  dir  non  potè  ligi;  e  qui  flnio. 

E  voci  e  suoni  d' angeli  concordi 
Tosto  in  aria  s' udir,  che  V  alma  uscio  ; 
La  qual,  disciolla  dal  corporeo  velo, 
Fra  dolce  melodia  sali  nel  cielo. 

i$     Orlando,  ancorché  far  dovea  allegrezza 
Di  sì  devoto  fine,  e  sapea  certo 
Che  Brandimarte  alla  suprema  altezza 
Salito  era  ;  che  '1  ciel  gli  vide  aperto  ; 
Pur  dalla  umana  volontade,  avvezza 
Coi  fragil  sensi,  male  era  sofferto 
Ch'  un  tal  più  che  f ratei  gli  fosse  toHo, 
E  non  aver  di  pianto  umido  il  volto. 

16  Sobrin  che  molto  sangue  avea  perduto, 
Che  gli  piovea  sul  fianco  e  su  le  gote. 
Riverso  già  gran  pezzo  era  caduto, 

E  aver  ne  dovea  ormai  le  vene  vote. 

Ancor  giacca  Olivier,  né  riavuto 

11  piede  avea,  né  riaver  lo  puote 

Se  non  ismosso,  e  dello  star  che  tanto 

Gli  fece  il  destrier  sopra,  me^zo  infranto: 

17  E  se  '1  cognato  non  venia  ad  aitarlo. 
Siccome  lacrimoso  era  e  dolente, 

Per  sé  medesmo  non  potea  ritrarlo  : 
E  tanta  doglia  e  tal  martir  ne  sente. 
Che  ritratto  che  Tebbe,  né  a  mutarlo 
Né  a  fermarvisi  sopra  era  possente  ; 
E  n'ha  insieme  la  gamba  si  stordita. 
Che  muover  non  si  può,  se  non  si  aita. 


CANTO  QUARANTESIMOSECONDO.  407 

iS      Della  vittoria  poco  rallegrosse 

Orlando  ;  e  troppo  gli  era  acerbo  e  duro 
Veder  che  morto  Brandimarte  fosse, 
Nò  del  cognato  molto  esser  sicuro. 
Sobrìn  che  vivea  ancora  ritrovosse, 
Ma  poco  chiaro  avea  con  molto  oscuro  : 
Che  la  sua  vita  per  Y  uscito  sangue 
Era  vicina  a  rimanere  esangue. 

19  Lo  fece  tor,  che  tutto  era  sanguigno , 
Il  conte,  e  medicar  discretamente; 

E  confortollo  con  parlar  benigno, 
Come  se  stato  gli  fosse  parente: 
Che  dopo  il  fatto  nulla  di  maligno 
In  sé  tenea,  ma  tutto  era  clemente. 
Fece  dei  morti  arme  e  cavalli  torre  ; 
Del  resto  a'  servi  lor  lasciò  disporre. 

20  Qui  della  istoria  mia,  che  non  sia  vera» 
Federigo  Fulgoso  ò  in  dubbio  alquanto  ; 
Che  con  V  armata  avendo  la  riviera 

Di  Barberia  trascorsa  in  ogni  canto, 
Capitò  quivi,  e  l'isola  sì  fiera. 
Montuosa  e  inegual  ritrovò  tanto, 
Che  non  è,  dice,  in  tutto  il  luogo  strano 
Ove  un  sol  piò  si  possa  metter  piano  : 

21  Nò  verisimil  tien  che  nel!'  alpestre 
Scoglio  sei  cavalieri,  il  fior  del  mondo, 
Potesson  far  quella  battaglia  equestre. 
Alla  quale  obie/ion  cosi  rispondo: 
Ch'a  quel  tempo  una  piazza  delle  destre. 
Che  sieno  a  questo,  avea  lo  scoglio  al  fondo  : 
Ma  poi,  eh' un  sasso,  che  '1  tremuoto  aperse, 
Le  cadde  sopra,  e  tutta  la  coperse. 

22  Si  che,  o  chiaro  fulgor  della  Fulgosa 
Stirpe,  o  serena,  o  sempre  viva  luce. 
Se  mai  mi  riprendeste  in  questa  cosa, 
E  forse  innanti  a  quello  invitto  duce. 
Per  cui  la  vostra  patria  or  si  riposa. 
Lascia  ogni*odio,  e  in  amor  tutta  s'induce; 
Vi  priego  che  non  siate  a  dirgli  tardo, 

Ch'  esser  può  che  né  in  questo  io  sia  bugiardo. 


408  ORLANDO  FURIOSO. 

23  In  questo  tempo ,  alzando  gli  occhi  al  mare, 
Vide  Orlando  venire  a  vela  in  fretta 

Un  naviglio  leggier,  che  di  calare 

Facea  sembiante  sopra  V  fsoletta. 

Di  chi  si  fosse,  io  non  voglio  or  contare, 

Pere'  ho  più  d' uno  altrove  che  m' aspetta. 

Yeggiamo  in  Francia,  poi  che  spinto  n'  hanno 

I  Saracin,  se  mesti  o  lieti  stanno. 

24  ¥eggìam  che  fa  quella  fedele  amante. 
Che  vede  il  sao  contento  ir  sì  lontano  ; 
Dico  la  travagliata  Bradamante, 

Poi  che  ritrova  il  giuramento  vano, 
Gh'  avea  fatto  Raggier  pochi  di  innante. 
Udendo  il  nostro  e  V  altro  stuol  pagano. 
Poi  ch'in  questo  ancor  manca,  non  le  avanza 
In  eh'  ella  debba  più  metter  speranza  : 

25  E  ripetendo  i  pianti  e  le  qaerele, 
Che  pur  troppo  domestiche  le  furo, 
Tornò  a  sua  usanza  a  nominar  crudele 
Buggiero,  e  '1  suo  destin  spietato  e  duro, 
iodi  sciogliendo  al  gran  dolor  le  vele, 

II  Ciel  che  consentia  tanto  pergiuro. 
Né  fatto  n'avea  ancor  segno  evidente. 
Ingiusto  chiama,  debole  e  impotente. 

26  Ad  accusar  Melissa  si  converse, 
E  maledir  l' oracol  della  grotta  ; 

Ch'  a  lor  mendace  suasion  s' immerse 
Nel  mar  d' Amore,  ov'  è  a  morir  condotta. 
Poi  con  Marfisa  ritornò  a  dolerse 
Del  suo  fratel,  che  le  ha  la  fede  rotta; 
Con  lei  grida  e  si  sfoga ,  e  le  domanda, 
Piangendo^  aiuto,  e  se  le  raccomanda. 

27  MarGsa  si  ristrìnge  nelle  spalle, 

E,  quel  sol  che  può  far,  le  dà  conforto  ; 
Né  crede  che  Buggier  mai  cosi  falle , 
Ch'  a  lei  non  debba  ritornar  di  corto  : 
E  se  non  torna  pur,  sua  fede  dàlie , 
Ch'ella  non  patirà  si  grav^  torto; 
O  che  battaglia  piglierà  con  esso, 
O  gli  farà  osservar  ciò  e'  ha  promesso. 


CANTO  QUÀRANTESIMOSECONDO.  409 

2S     Cosi  fa  eh'  ella  an  poco  il  duol  raffrena  ; 
Ch'avendo  ove  sfogarlo,  è  meno  acerbo. 
Or  eh'  abbiam  vista  Bradamante  in  pena, 
Chiamar  Raggter  pergiuro,  empio  e  superbo  ; 
Yeggiamo  ancor  se  miglior  vita  mena 
n  fratel  suo  che  non  ha  polso  o  nerbo, 
Osso  0  medoUa  che  non  senta  caldo 
Delle  fiamme  d' Amor  ;  dico  Rinaldo  : 

29  Dico  Rinaldo,  il  qual  (come  sapete) 
Angelica  la  bella  amava  tanto  ; 

Nò  r  avea  tratto  all'  amorosa  rete 
Si  la  beltà  dì  lei,  come  l'incanto. 
Aveano  gli  altri  paladin  quiete. 
Essendo  ai  Mori  ogni  vigore  affranto  : 
Tra  i  vincitori  era  rimase  solo 
Egli  captivo  in  amoroso  duolo. 

30  Cento  messi  a  cercar  che  di  lei  fusso 
Avea  mandato,  e  cereonne  egli  stesso. 
Alfine  a  Malagìgi  si  ridusse, 

Che  nei  bisogni  suoi  l' aiutò  spesso. 
A  narrare  il  suo  amor  se  gli  condusse 
Col  viso  rosso  e  col  ciglio  dimesso. 
Indi  lo  priega  che  gì'  insegni  dove 
La  desiata  Angelica  si  trovo. 

31  Gran  maraviglia  di  si  strano  caso 
Va  rivolgendo  a  Malagigi  il  petto. 
Sa  che  sol  per  Rinaldo  era  rimaso 
D' averla  cento  volte  e  più  nel  letto  : 
Ed  egli  stesso,  acciò  che  persuaso 
Fosse  di  questo,  avea  assai  fatto  e  detto 
Con  prieghi  e  con  niinacce  per  piegarlo  ; 
Nò  mai  avuto  avea  poter  di  farlo  : 

32  E  tanto  più,  eh'  allor  Rinaldo  avrebbe 
Tratto  fuor  Malagigi  di  prigione. 

Fare  or  spontaneamente  lo  vorrebbe, 
Che  nulla  giova,  e  n'  ha  minor  cagione  : 
Poi  priega  lui,  che  ricordar  si  debbo 
Pur  quanto  ha  offeso  in  questo  oltr'  a  ragione  ; 
Chò  per  negargli  già,  vi  mancò  poco 
Dì  non  farlo  morire  in  scuro  loco. 
Ili  55 


4 IO  ORLANDO  FURIOSO. 

33  Ma  quanto  a  Malagigi  le  domande 
Di  Rinaldo  importane  più  pareano; 
Tanto  che  V  amor  suo  fosse  più  grande, 
Indizio  manifesto  gli  faceano. 

I  prieghi  che  con  lai  vani  non  spande, 
Fan  che  sabito  immerge  neir  oceano 
Ogni  memoria  della  ìngiaria  vecchia, 
E  che  a  dargli  soccorso  s' apparecchia. 

34  Termine  tolse  alla  risposta,  e  spene 
Gli  die,  che  favorevoi  gli  saria  ; 

E  che  gli  saprà  dir  la  via  che  tiene 
Angelica,  o  sia  in  Francia,  o  dove  sia. 
E  quindi  Malagigi  al  laogo  viene, 
Ove  i  demonj  scongiurar  solia; 
Ch'era  fra  monti  inaccessibìl  grotta: 
Apre  il  libro,  e  gli  spirti  chiama  in  frotta. 

36      Poi  ne  sceglie  un  che  de'  casi  d' Amore 
Avea  notizia  ;  e  da  lui  saper  volle. 
Come  sia  che  Rinaldo,  eh' avea  il  core 
Dianzi  si  doro,  or  l'abbia  tanto  molle: 
E  di  quelle  due  fonti  ode  il  tenore. 
Di  che  l' una  dà  il  foco,  e  l' altra  il  tolle  ; 
E  al  mal  che  l' una  fa,  nulla  soccorre. 
Se  non  l' altr'  acqua  che  contraria  corre. 

36  Et  ode  come  avendo  già  di  quella , 
Che  l'amor  caccia,  bevuto  Rinaldo, 
Ai  lunghi  prieghi  d' Angelica  bella 
Si  dimostrò  cosi  ostinato  e  saldo  : 

E  che  poi  giunto,  per  sua  iniqua  stella, 
A  ber  neir  altra  l' amoroso  caldo. 
Tornò  ad  amar,  per  forza  di  quell'acque, 
Lei  che  pur  dianzi  oltr'  il  dover  gli  spiacque. 

37  Da  iniqua  stella  e  fier  destin  fu  giunto 
A  ber  la  fìamma  in  quel  ghiacciato  rivo  ; 
Perché  Angelica  venne  quasi  a  un  punto 
A  ber  nell'altro  di  dolcezza  privo, 

Che  d'ogni  amor  le  lasciò  il  cor  si  emunto, 
Ch'indi  ebbe  lui,  più  che  le  serpi,  a  schivo: 
Egli  amò  lei,  e  l' amor  giunse  al  segno 
In  eh'  era  già  di  lei  l' odio  e  lo  sdegno. 


CANTO  QUÀRANTESmoSECONDO.  4 11 

58      Del  caso  strano  di  Rinaldo  a  pieno 
Fu  Malagigi  dal  demonio  instrutlo, 
Che  gli  narrò  d'Angelica  non  meno, 
Ch'  a  un  giovine  african  si  donò  in  lutto  ; 
E  come  poi  lasciato  avea  il  terreno 
Tutto  d'Europa,  e  per  l'instabil  flotto 
Verso  India  sciolto  avea  dai  liti  Ispani 
Su  r  audaci  galee  de'  Catalani. 

39  Poi  che  venne  il  cugin  per  la  risposta. 
Molto  gli  dissuase  Malagigi 

Di  più  Angelica  amar^  che  s' era  posta 
»      D' un  yilissimo  Barbaro  ai  servigi  ; 
Ed  ora  si  da  Francia  si  discosta» 
Che  mal  seguir  se  ne  potria  i  vestìgi  : 
Ch'  era  oggimai  più  là  eh'  a  mezza  strada , 
Per  andar  con  Medoro  in  sua  contrada. 

40  La  partita  d' Angelica  non  molto 
Sarebbe  grave  all'  animoso  amante  ; 

Né  pur  gli^vria  turbato  il  sonno,  o  tolto 
Il  pensier  di  tornarsene  in  Levante  : 
Ma  sentendo  eh'  avea  del  suo  amor  colto 
Un  Saracino  le  primizie  innante. 
Tal  passione  e  tal  cordoglio  sente , 
Che  non  fu  in  vita  sua  mai  più  dolente. 

41  Non  ha  poter  d' una  risposta  sola; 

Triema  il  cor  dentro,  e  trieman  fuor  le  labbia  ; 

Non  può  la  lingua  disnodar  parola  ; 

La  bocca  ha  amara,  e  par  che  tosco  v'  abbia. 

Da  Malagigi  subito  s' invola  ; 

E  come  il  caccia  la  gelosa  rabbia, 

Dopo  gran  pianto  e  gran  rammaricarsi, 

Verso  Levante  fa  pensier  tornarsi. 

42  Chiede  licenzia  al  Aglio  di  Pipino; 
E  trova  scusa,  che  '1  destrier  Baiardo, 
Che  ne  mena  Gradasso  Saracino 
Centra  il  dover  di  cavalier  gagliardo. 

Lo  muove  per  suo  onore  a  quel  cammino, 
Acciò  che  vieti  al  Serican  bugiardo 
Di  mai  vantarsi  che  con  spada  o  lancia 
L' abbia  levato  a  un  paladin  di  Francia. 


*r/t-:33i 


4i2  ORLANDO  CURIOSO. 

43  Lasciollo  andar  con  sua  licenzia  Carlo» 
Benché  ne  fa  con  (ulta  Francia  mesto  ; 
Ma  finalmente  non  seppe  negarlo, 
Tanto  gli  parve  il  desiderio  onesto. 

Vuol  Dudon,  vuol  Guidone  accompagnarlo; 
Ma  Io  niega  Rinaldo  a  quello  e  a  questo. 
Lascia  Parigi,  e  se  ne  va  via  solo» 
Pien  di  sospiri  e  d' amoroso  duolo. 

44  Sempre  ha  in  memoria,  e  mai  non  se  gli  lolle , 
Ch'averla  mille  volte  avea  potuto, 

£  mille  volte  avea,  ostinato  e  folle, 
Di  si  rara  beltà  fatto  rifiuto  ; 
£  di  tanto  piacer,  eh'  aver  non  volle, 
Si  bello  e  si  buon  tempo  era  perduto; 
£d  ora  eleggerebbe  un  giorno  corto 
Averne  solo,  e  rimaner  poi  morto. 

45  Ha  sempre  in  mente,  e  mai  non  se  ne  parte, 
Come  esser  poote  eh'  un  povero  fante 

Abbia  del  cor  di  lei  spinto  da  parte 
Merito  e  amor  d^  ogni  altro  primo  amante. 
Con  tal  pensier,  che  '1  cor  gli  straccia  e  parte, 
Rinaldo  se  ne  va  verso  Levante: 
£  dritto  al  Reno  e  a  Basilea  si  tiene. 
Finché  d' Ardenna  alla  gran  selva  viene. 

46  Poi  che  fu  dentro  a  molte  miglia  andato 
Il  paladin  pel  bosco  avventuroso, 

Da  ville  e  da  castella  allontanato. 
Ove  aspro  era  più  il  luogo  e  periglioso, 
Tutto  in  un  tratto  vide  il  ciel  turbato, 
Sparito  il  Sol  tra  nuvoli  nascoso, 
£d  uscir  fuor  d' una  caverna  oscura 
Un  strano  mostro  in  femminil  figura. 

47  Miir occhi  in  capo  avea  senza  palpebre; 
Non  può  serrarli,  e  non  credo  che  dorma: 
Non  men  che  gli  occhi,  avea  l'orecchie  crebre; 
Avea,  in  loco  di  crin,  serpi  a  gran  torma. 
Fuor  delle  diaboliche  tenebre 

Nel  mondo  usci  la  spaventevol  forma. 
Un  fiero  e  maggior  serpe  ha  per  la  coda, 
Che  pel  petto  si  gira,  e  che  l'annoda. 


1 

CANTO  QOARAMTEStMOSfiCONDO.  413  \ 

48  Qael  eh'  a  Rinaldo  in  mille  e  mille  imprese  { 
Più  non  avvenne  mai,  qaivi  gli  avviene;  | 
Che  come  vede  il  mostro  eh'  all'  offese  ^^  | 
Se  gli  appareeehia,  e  eh'  a  trovar  lo  viene,  ^^ 
Tanta  paura,  quanta  mai  non  scese  o 
In  altri  forse,  gli  entra  nelle  vene;  ' 
Ma  pur  r  usato  ardir  simula  e  finge, 

E  con  trepida  man  la  spada  stringe.  i 

49  S' acconcia  il  mostro  in  guisa  al  fiero  assalto, 

Che  si  può  dir  che  sia  mastro  di  guerra  :  ' 

Vibra  il  serpente  venenoso  in  alto, 

£  poi  centra  Rinaldo  si  disserra;  ' 

Di  qua  di  là  gli  vien  sopra  a  gran  salto.  ^ 

Rinaldo  centra  lui  vaneggia  ed  erra  :  I 

Colpi  a  dritto  e  a  riverso  tira  assai  ; 

Ma  non  ne  tira  alcun  che  fera  mai.  i 

60  II  mostro  al  petto  il  serpe  ora  gli  appicca. 

Che  sotto  r  arme  e  sin  nel  cor  l' agghiaccia  ;  \ 

Ora  per  la  visiera  gliele  ficca, 

£  fa  eh'  erra  pel  collo  e  per  la  faccia. 

Rinaldo  dall'  impresa  si  dispicca, 

£  quanto  può  con  sproni  il  destrier  caccia  : 

Ma  la  Furia  infornai  già  non  par  zoppa , 

Che  spicea  un  salto,  e  gli  è  subito  in  groppa. 

61  Vada  al  traverso,  al  dritto,  ove  si  voglia, 
Sempre  ha  con  lui  la  maledetta  peste; 

Né  sa  modo  trovar  che  se  ne  scioglia , 
Benché  '1  destrier  di  calcitrar  non  reste. 
Triema  a  Rinaldo  il  cor  come  una  foglia: 
Non  eh'  allrimente  il  serpe  lo  moleste  ; 
Ma  tanto  orror  ne  sente  e  tanto  schivo. 
Che  stride  e  geme,  e  duolsi  eh'  egli  é  vìvo. 

62  Nel  più  tristo  sentier,  nel  peggior  calle 
Scorrendo  va,  nel  più  intricato  bosco, 
Ove  ha  più  asprezza  il  balzo,  ove  la  valle 
£  più  spinosa,  ov'  é  l' aer  più  fosco  ; 
Cosi  sperando  torsi  dalle  spalle 

Quel  brutto,  abbominoso,  orrido  tosco; 

£  ne  saria  mal  capitato  forse , 

Se  tosto  non  giungea  chi  lo  soccorse. 


411  OftLAMM  FGBIOSO. 

l»3     Ma  lo  soccorse  a  tempo  mi  caTaliero 
Di  bello  annato  e  lucido  metallo. 
Che  porta  on  giogo  rotto  per  cimiero: 
Di  rosse  fiamme  ha  pien  lo  scodo  giallo  ; 
Cosi  trapunto  il  suo  Testire  altiero. 
Cosi  la  soprayyesta  del  cavallo  : 
La  lancia  ha  in  pegno,  e  la  spada  al  soo  loco, 
E  la  mazza  all'arcion,  che  getta  foco. 

54  Piena  d' an  foco  eterno  è  quella  mazza, 
Che  senza  consomarsi  ognora  avvampa  : 
Né  per  boon  scodo,  o  tempra  di  corazza, 
O  per  grossezza  d' elmo  se  ne  scampa. 
Donqne  si  debbo  il  cavalier  far  piazza. 
Giri  ove  vool  V  inestingnibil  lampa  ; 

Nò  manco  bisognava  al  gnerrier  nostro, 
Per  levarlo  di  man  del  cmdel  mostro. 

55  E  come  cavalier  d' animo  saldo. 

Ove  ha  udito  il  rumor,  corre  e  galoppa, 
Tanto  che  vede  il  mostro  che  Rinaldo 
Col  brutto  serpe  in  mille  nodi  aggroppa, 
E  sentir  fagli  a  un  tempo  freddo  e  caldo  ; 
Che  non  ha  via  di  torlosi  di  groppa. 
Va  il  cavaliere,  e  fere  il  mostro  al  fianco, 
E  lo  fa  traboccar  dal  lato  manco. 

56  Ma  quello  ò  appena  in  terra,  che  si  rizza, 
E  il  lungo  serpe  intomo  aggira  e  vibra. 
Quasi'  altro  più  con  V  asta  non  V  attizza  ; 
Ma  di  farla  col  foco  si  delibra. 

La  mazza  impugna,  e  dove  il  serpe  guizza. 
Spessi  come  tempesta  i  colpi  libra  ; 
Né  lascia  tempo  a  quel  brutto  animale. 
Che  possa  farne  un  solo,  o  bene  o  male  : 

57  E  mentre  addietro  il  caccia  o  tiene  a  bada, 
E  lo  percuote,  e  vendica  mille  onte, 
Consiglia  il  paladin  che  se  ne  vada 

Per  quella  via  che  s' alza  verso  il  monte. 
Quel  s' appiglia  al  consiglio  ed  alla  strada  ; 
E  senza  dietro  mai  volger  la  fronte, 
Non  cessa  che  di  vista  se  gli  lolle. 
Benché  molto  aspro  era  a  salir  quel  colleé 


Canto  ouarantesimosecòndo.  4l5 

£8      II  cayalier,  poi  eh'  alla  scura  buca 
Fece  tornare  il  mostro  dall' inferno  9 
Ove  rode  sé  stesso  e  si  manuca, 
E  da  mille  occhi  versa  il  pianto  eterno  » 
Per  esser  dì  Rinaldo  guida  e  duca, 
Gli  sali  dietro,  e  sul  giogo  superno 
Gli  fa  alle  spalle,  e  si  mise  con  lui 
Per  trarlo  fuor  deMuogbi  oscuri  e  bui. 

09^     Come  Rinaldo  il  vide  ritornato, 
Gli  disse  che  gli  avea  grazia  ìnGnita, 
E  eh'  era  debitore  in  ogni  lato 
Di  porre  a  benefìcio  suo  la  vita. 
Poi  lo  domanda  conie  sia  nomato,     . 
Acciò  dir  sappia  chi  gli  ha  dato  aita  ; 
E  tra  guerrieri  possa,  e  innanzi  a  Carlo, 
Dell'  alta  sua  bontà  sempre  esaltarlo. 

60  Rispose  il  cavalìer  :  Non  ti  rincresca 
Se  '1  nome  mio  scoprir  non  ti  vegli'  ora  : 
Ben  tei  dirò  prinia  eh'  un  passo  cresca 
L' ombra  ;  che  ci  sarà  poca  dimora. 
Trovare,  andando  insieme,  un'acqua  fresca. 
Che  col  suo  mormorio  facea  talora 

Pastori  e  viandanti  al  chiaro  rio 
Venire,  e  berne  l' amoroso  obblìo. 

61  Signor,  queste  eran  quelle  gelide  acque^ 
Quelle  che  spengon  l' amoroso  caldo  ; 

Di  cui  bevendo,  ad  Angelica  nacque 
L' odio  eh'  ebbe  di  poi  sempre  a  Rinaldo. 
E  s' ella  un  tempo  a  lui  prima  dispiacque, 
E  se  neir  odio  il  ritrovò  si  saldo, 
Noa  derivò,  signor,  la  causa  altronde, 
Se  non  d' aver  bevuto  di  queste  onde. 

62  II  cavalier  che  con  Rinaldo  viene  ^ 
Come  si  vede  innanzi  al  chiaro  rivo, 
Caldo  per  la  fatica  il  destrier  tiene, 
E  dice  :  Il  posar  qui  non  fia  nocivo. 
Non  fia,  disse  Rinaldo,  se  non  bene; 
Ch'oltre  che  prema  il  mezzogiorno  estivo, 
M'ha  cosi  il  brutto  mostro  travagliato. 
Che  'I  riposar  mi  fia  comodo  e  grato. 


4lK  ORLANDO  FURIOSO. 

63  L'on  e  r  altro  smontò  del  suo  cavallo, 
E  pascer  lo  lasciò  per  la  foresta  ; 

E  nel  fiorito  verde  a  rosso  e  a  giallo 
Ambi  si  trasson  relmo  della  testa. 
Corse  Rinaldo  al  liquido  cristallo. 
Spinto  da  caldo  e  da  sete  molesta, 
E  cacciò,  a  un  sorso  del  freddo  liqaore. 
Dal  petto  ardente  e  la  sete  e  l' amore. 

64  Quando  lo  vide  V  altro  cavaliere 
La  bocca  sollevar  dell'  acqua  molle, 
E  ritrarne  pentito  ogni  pensiero 

Di  quel  desir  eh'  ebbe  d' amor  si  folle  ; 
Si  levò  ritto,  e  con  sembiante  altiero 
Gli  disse  quel  che  dianzi  dir  non  volle  : 
Sappi,  Rinaldo,  il  nome  mio  è  lo  Sdegno, 
Venuto  sol  per  scìorti  il  giogo  indegno. 

65  Cosi  dicendo,  subito  gli  sparve, 

E  sparve  insieme  il  suo  destrier  con  lui. 
Questo  a  Rinaldo  un  gran  miracol  parve  ; 
S'aggirò  intorno,  e  disse:  Ov'è  costui? 
Stimar  non  sa  se  sìan  magiche  larve  ; 
Che  Malagìgi  un  de'  ministri  sui 
Gli  abbia  mandato  a  romper  la  catena 
Che  lungamente  l' ha  tenuto  in  pena  ; 

66  Oppur  che  Dio  dall'  alla  ierarchia 
Gli  abbia  per  ineffabil  sua  boutade 
Mandato,  come  già  mandò  a  Tobia, 
Un  angelo  a  levar  di  cecitade. 

Ma  buono  o  rio  demonio,  o  quel  che  sia. 
Che  gli  ha  renduta  la  sua  libertade, 
Ringrazia  e  loda  ;  e  da  lui  sol  conosce 
Che  sano  ha  il  cor  dall*  amorose  angosce. 

67  Gli  fu  nel  primier  odio  ritornata 
Angelica,  e  gli  parve  troppo  indegna 
D'esser,  non  che  si  lungi  seguitata. 
Ma  che  per  lei  pur  mezza  lega  vegna. 
Per  Raiardo  riaver  tutta  fiata 

Verso  India  in  Sericana  andar  disegna, 
SI  perchè  l'onor  suo  lo  stringe  a  farlo, 
Sì  per  averne  già  parlato  a  Carlo. 


CANTO  QtABANTESIMOSBCONDO*  4l7 

68  Gìanse  il  giorno  segaente  a  Basilea, 
Ove  la  nuova  era  venata  innante. 

Che  'i  conte  Orlando  aver  pagna  dovea 

Centra  Gradasso  e  centra  il  re  Agramante. 

Né  questo  per  avviso  si  sapea 

Ch'  avesse  dato  il  cavalier  d' Anglante  ; 

Ma  di  Sicilia  in  fretta  venut*  era 

Chi  la  novella  v'  apportò  per  vera. 

69  Rinaldo  vuol  trovarsi  con  Orlando 
Alla  battaglia,  e  se  ne  vede  lungo. 
Di  dieci  in  dieci  miglia  va  mutando 
Cavalli  e  guide,  e  corre  e  sferza  e  punge. 
Passa  il  Reno  a  Costanza,  e  in  su  volando, 
Traversa  V  Alpe,  ed  in  Italia  giunge. 
Verona  addietro,  addietro  Mantua  lassa  ; 
Sul  Po  si  trova,  e  con  gran  fretta  il  passa. 

70  Già  s' inchinava  il  Sol  molto  alla  sera , 
£  già  apparia  nel  ciel  la  prima  stella, 
Quando  Rinaldo  in  ripa  alla  riviera 
Stando  in  pensier  s'avea  da  mutar  sella, 
O  tanto  soggiornar,  che  l' aria  nera 
Fuggisse  innanzi  all'altra  aurora  bella. 
Venir  si  vede  un  cavaliere  innanti. 
Cortese  neir  aspetto  e  nei  sembianti. 

71  Costui,  dopo  il  saluto,  con  bel  modo 
Gli  domandò  s' aggiunto  a  moglie  fosse. 
Disse  Rinaldo  :  Io  son  nel  giugal  nodo  ; 
Ma  di  tal  domandar  maravigliosse. 
Soggiunse  quel:  Che  sia  cosi,  ne  godo. 
Poi,  per  chiarir  perchè  tal  detto  mosse. 
Disse  :  Io  ti  priego  che  tu  sia  contento 
Ch'io  ti  dia  questa  sera  alloggiamento; 

72  Che  ti  farò  veder  cosa  che  debbo 

Ben  volentier  veder  chi  ha  moglie  a  lato. 
Rinaldo,  si  perchè  posar  vorrebbe, 
Ormai  di  correr  tanto  affaticato  ; 
Si  perchè  di  vedere  e  d' udir  ebbe 
Sempre  avventure  un  desiderio  innato  ; 
Accettò  r  offerir  del  cavaliere, 
£  dietro  sili  pigliò  nuovo  sentiero. 


4 18  ORLANDO  FURIOSO. 

73  Un  tratto  d'arco  faor  di  strada  uscire, 
E  innanzi  an  gran  palazzo  si  trovaro, 
Onde  scadieri  in  gran  frotta  veniro 
Con  torchi  accesi,  e  fero  intorno  chiaro. 
Entro  Rinaldo,  e  voltò  gli  occhi  in  giro, 
E  vide  loco  il  qaal  si  vede  raro. 

Di  gran  fabbrica  e  bella  e  bene  intesa; 
Né  a  privalo  uom  convenia  tanta  spesa. 

74  Di  serpentin,  di  porQdo  le  dure 
Pietre  fan  della  porta  il  ricco  vòlto. 
Quel  che  chiude  è  di  bronzo,  con  figure 
Che  sembrano  spirar,  muovere  il  volto. 
Sotto  un  arco  poi  s'entra,  ove  misture 
Di  bel  musaico  ingannan  Y  occhio  molto. 
Quindi  si  va  in  un  quadro  eh'  ogni  faccia 
Delle  sue  logge  ha  lunga  cento  braccia. 

75  La  sua  porta  ha  per  sé  ciascuna  loggia, 
£  tra  la  porta  e  sé  ciascuna  ha  un  arco  : 
D'ampiezza  pari  son,  ma  varia  foggia 
Fé  d' ornamenti  il  mastro  lor  non  parco. 
Da  ciascun  arco  s' entra ,  ove  si  poggia 
Si  facil,  eh'  un  somier  vi  può  gir  carco. 
Un'  altro  arco  di  su  trova  ogni  scala  ; 

E  s' entra  per  ogni  arco  in  una  sala. 

76  Gli  archi  di  sopra  escono  fuor  del  segno 
Tanto,  che  fan  coperchio  alle  gran  porte; 
E  ciascun  due  colonne  ha  per  sostegno, 
Altre  di  bronzo,  altre  di  pietra  forte. 
Lungo  sarà,  se  tutti  vi  disegno 

Gli  ornali  alloggiamenti  della  corte  ; 
E,  olir' a  quel  ch'appar,  quanti  agi  sotto 
La  cava  terra  il  mastro  avea  ridotto. 

77  L' alte  colonne  e  i  capitelli  d' oro, 

i  Da  che  i  gemmati  palchi  eran  suffultl, 

I  peregrini  marmi  che  vi  foro 
j  Da  delta  mano  in  varie  forme  sculti, 

!  Pitture  e  getti,  e  tanl' altro  lavoro 

(Benché  la  notte  agli  occhi  il  più  ne  occulti}, 
Meslran  che  non  bastare  a  tanta  mele 
Di  duo  re  insieme  le  ricchezze  sole. 


CANTO  QUÀRANTESIMOSECCNDO.  4 19 

78  Sopra  gli  altri  ornamenti  ricchi  e  belli, 
Ch'erano  assai  nefla  gioconda  stanza , 
V  era  una  fonte  che  per  più  ruscelli 
Spargea  freschissime  acque  in  abbondanza. 
Poste  le  mense  avean  quivi  i  donzelli  ; 
Ch'  era  nel  mezzo  per  ugual  distanza  : 
Vedeva,  e  parimente  veduta  era 

Da  quattro  porte  della  casa  altera. 

79  Fatta  da  mastro  dilìgente  e  dotto 
La  fonte  era  con  molta  e  suttil  opra. 

Di  loggia  a  guisa,  o  padiglion  eh* in  odo 
Facce  distinto,  intorno  adombri  e  cuopra. 
Un  ciel  d' oro,  che  tutto  era  di  sotto 
Colorito  di  smalto,  le  sta  sopra; 
Ed  otto  statue  son  di  marmo  bianco, 
Che  sostengon  quel  ciel  col  braccio  manco. 

^0     Nella  man  destra  il  corno  d*  Amaltea 
Sculto  avea  lor  V  ingenioso  mastro, 
Onde  con  grato  murmure  cadea 
L' acqua  di  fuore  in  vaso  d' alabastro  ; 
Ed  a  sembianza  dì  gran  donna  avea 
Ridutto  con  grande  arte  ogni  pilastro. 
Son  d'abito  e  di  faccia  differente. 
Ma  grazia  hanno  e  beltà  tutte  ugualmente. 

SI      Fermava  il  pie  ciascun  di  questi  segni 
Sopra  due  belle  immagini  più  basse. 
Che  con  la  bocca  aperta  faceah  segni 
Che  '1  canto  e  l' armonia  lor  dilettasse  ; 
E  quell'atto  in  che  son,  par  che  disegni 
Che  r  opra  e  studio  lor  tutto  lodasse 
Le  belle  donne  che  sugli  omeri  hanno. 
Se  fosser  quei  di  cui  in  sembianza  stanno. 

82      I  simulacri  inferiori  in  mano 

Avean  lunghe  ed  amplissime  scritture, 
Ove  facean  con  molta  laude  piano 
1  nomi  delle  più  degne  figure; 
E  mostravano  ancor  poco  lontano 
I  proprj  loro  in  note  non  oscure. 
Mirò  Rinaldo  a  lume  dì  doppieri 
Le  donne  ad  una  ad  una ,  e  i  cavalieri. 


420  OBLAMDO  FUBIOSO. 

83  La  prima  inscrizion  eh'  agli  occhi  occorre, 
Con  lungo  onor  Lucrezia  Borgia  noma, 

Là  cui  bellezza  ed  onestà  preporre 
Debbo  air  antiqua  la  sua  patria  Roma. 
I  duo  che  voluto  han  sopra  sé  torre 
Tanto  eccellente  ed  onorata  soma. 
Noma  lo  scrìtto,  Antonio  Tebaldeo, 
Ercole  Strozza;  un  Lino,  ed  un  Orfeo. 

84  Non  men  gioconda  statua  né  men  bella 
Si  vede  appresso,  e  la  scrittura  dice: 
£cco  la  flglia  d' Ercole,  Isabella, 

Per  cui  Ferrara  si  terrà  felice 
Via  più,  perchè  in  lei  nata  sarà  quella. 
Che  d' altro  ben  che  prospera  e  fautrice 
E  benigna  Fortuna  dar  le  deve, 
Volgendo  gli  anni  nel  suo  corso  lieve. 

85  I  duo  che  mostran  disiosi  affetti 
Che  la  gloria  di  lei  sempre  risuone, 
Gian  lacobi  ugualmente  erano  detti. 
L'uno  Calandra,  e  l'altro  Bardelone. 
Nel  terzo  e  quarto  loco,  ove  per  stretti 
Rivi  l'acqua  esce  fuor  del  padiglione, 
Due  donne  son,  che  patria,  stirpe,  onore 
Hanno  di  par,  di  par  beltà  e  valore. 

86  Elisabetta  l'una,  e  Leonora 
Nominata  era  l'altra:  e  fia,  per  quanto 
Narrava  il  marmo  sculto,  d'esse  ancora 
SI  gloriosa  la  terra  di  Manto, 

Che  di  Vergilio,  che  tanto  l'onora. 
Più  che  di  queste,  non  si  darà  vanto. 
Avea  la  prima  appiè  del  sacro  lembo 
Iacopo  Sadoleto  e  Pietro  Bembo. 

87  Uno  elegante  Castiglione,  e  un  culto 
Muzio  Arelio  dell'  altra  eran  sostegni. 
Di  questi  nomi  era  il  bel  marmo  sculto, 
Ignoti  allora,  or  si  famosi  e  degni. 
Veggon  poi  quella,  a  cui  dal  cielo  indulto 
Tanta  virtù  sarà,  quanta  ne  regni, 

O  mai  regnata  in  alcun  tempo  sia. 
Versata  da  Fortuna  or  buona  or  ria. 


cìnto  quarantesimosecondo.  421 

ss     Lo  scritto  d' oro  esser  costei  dichiara 
Lucrezia  Bentivoglla  ;  e  fra  le  lode 
Pone  di  lei,  che  '1  daca  di  Ferrara 
D' esserle  padre  si  rallegra  e  gode. 
Di  costei  canta  con  soave  e  chiara 
Voce  an  Gamil,  che  '1  Reno  e  Felsina  ode 
€on  tanta  attenzion,  tanto  stupore. 
Con  quanta  Anfriso  udì  già  il  suo  pastore  ; 

89  Ed  un  per  cui  la  terra,  ove  V  Isauro 

Le  sue  dolci  acque  insala  in  maggior  vaso. 
Nominata  sarà  dall*  Indo  al  Mauro, 
£  dall' austrine  all'iperboree  case, 
Via  più  che  per  pesare  il  romano  auro. 
Di  che  perpetuo  nome  le  rimase  ; 
Guido  Postumo,  a  cui  doppia  corona 
Pallade  quinci,  e  quindi  Febo  dona. 

90  L'altra  che  segue  in  ordine,  è  Diana. 
Non  guardar  (dice  il  marmo  scritto)  ch'ella 
Sia  altiera  in  vista  ;  che  nel  core  umana 
Non  sarà  però  men  eh'  in  viso  bella. 

Il  dotto  Celio  Calcagnin  lontana 
Farà  la  gloria  e  '1  bel  nome  di  quella 
Nel  regno  di  Monese,  in  quel  di  luba, 
In  India  e  Spagna  udir  con  chiara  tuba  : 

91  Ed  un  Marco  Cavallo,  che  tal  fonte 
Farà  di  poesia  nascer  d'Ancona, 

Qual  fé  il  cavallo  alato  uscir  del  monte. 
Non  so  se  di  Pamasso  o  d' Elicona. 
Beatrice  appresso  a  questo  alza  la  fronte. 
Di  cui  lo  scritto  suo  cosi  ragiona  : 
Beatrice  bea,  vivendo,  il  suo  consorte, 
E  lo  lascia  infelice  alla  sua  morte  ; 

92  Anzi  tutta  l'Italia,  che  con  lei 
Fia  trionfante;  e  senza  lei,  captiva. 
Un  signor  di  Correggio  di  costei 
Con  alto  stil  par  che  cantando  scriva, 
E  Timoteo,  l' onor  de'  Bendedei  : 
Ambi  faran  tra  l' una  e  l' altra  riva 
Fermare  al  suon  de'  lor  soavi  plettri 
11  fiume  ove  sudar  gli  antiqui  elettri. 

Il  S6 


422  ORLANDO  FURIOSO. 

93  Tra  questo  loco,  e  quel  della  colonna 
Che  fu  sculpita  in  Borgia,  com'è  dello, 
Formala  in  alabastro  una  gran  donna 
Era  di  tanto  e  si  sublime  aspetto, 

Che  sotto  puro  velo,  in  nera  gonna. 
Senza  oro  e  gemme,  in  nn  vestire  schietto, 
Tra  le  più  adorne  non  parea  men  bella. 
Che  sia  tra  l'altre  la  ciprigna  stella. 

94  Non  si  pelea,  ben  contemplando  fiso. 
Conoscer  se  più  grazia  o  più  beltade, 
0  maggior  maestà  fosse  nel  viso, 

O  più  indizio  d'ingegno  o  d'onestade. 
Chi  vorrà  di  costei  (dicea  l' incìso 
Marmo)  parlar  quanto  parlar  n'  accède , 
Ben  terrà  impresa  più  d'ogni  altra  degna; 
Ma  non  però,  eh'  a  fin  mai  se  ne  vegna. 

95  Dolce  quantunque  e  pien  di  grazia  tanto 
Fosse  il  suo  bello  e  ben  formato  segno, 
Parea  sdegnarsi  che  con  umil  canto 
Ardisse  lei  lodar  sì  rozzo  ingegno. 
Com'era  quel  che  sol,  senz' altri  accanto 
(Non  so  perchè),  le  fu  fallo  sostegno. 

Di  tutto  '1  resto  erano  ì  nomi  sculti  ; 
Sol  questi  duo  l' artefice  avea  occulti. 

96  Fanno  le  statue  in  mezzo  un  luogo  tondo, 
Che  '1  pavimento  asciutto  ha  di  corallo, 

Dì  freddo  soavissimo  giocondo. 
Che  rendea  il  puro  e  liquido  cristallo, 
Che  di  fuor  cade  in  un  canal  fecondo. 
Che  '1  prato  verde,  azzurro,  bianco  e  giallo 
Rigando,  scorre  per  varj  fuscelli, 
Grato  alle  morbid'  erbe  e  agli  arbuscellì. 

97  Col  cortese  oste  ragionando  stava 
Il  paladino  a  mensa;  e  spesso  spesso. 
Senza  più  differir,  gli  ricordava 

Che  gli  attenesse  quanto  avea  promesso  : 
£  ad  or  ad  or  mirandolo,  osservava 
Ch'avea  di  grande  affanno  il  cuore  oppresso; 
Che  non  può  star  momento  che  non  abbia 
Un  cocente  sospiro  in  su  le  labbia. 


CANTO  QUÀRANTBSIMOSECONDO.  423 

9S     Spesso  la  voce,  dal  disio  cacciata, 
Viene  a  Rinaldo  sin  presso  alla  bocca 
Per  domandarlo;  e  qaivì,  raffrenata 
Da  cortese  modestia,  fuor  non  scocca. 
Ora,  essendo  la  cena  terminata. 
Ecco  an  donzello,  a  chi  V  ufficio  tocca, 
Pon  sa  la  mensa  an  bel  nappo  d' òr  fino, 
Di  fuor  di  gemme,  e  dentro  pien  di  vino. 

99     11  signor  della  casa  allora  alquanto 
Sorrìdendo,  a  Rinaldo  levò  il  viso; 
Ma  chi  ben  lo  notava,  più  di  pianto 
Parea  eh'  avesse  voglia,  che  di  riso. 
Disse  :  Or  a  quel  che  mi  ricordi  tanto 
Che  tempo  sia  di  soddisfar  m' è  avviso  ; 
Mostrarti  un  paragon  eh'  esser  de'  grato 
Di  vedere  a  ciascun  e'  ha  moglie  a  lato. 

400  Ciascun  marito,  a  mio  giudizio,  deve 
Sempre  spiar  se  la  sua  donna  l' ama  ; 
Saper  s' onore  o  biasmo-ne  riceve  ; 

Se  per  lei  bestia  o  se  pur  uom  si  chiama. 

L' incarco  delle  corna  è  lo  più  lieve 

Ch'  al  mondo  sia,  sebben  l' uom  tanto  infama  : 

Lo  vede  quasi  tutta  V  altra  gente  ; 

£  chi  r  ha  in  capo,  mai  non  se  lo  sent» 

401  Se  ta  sai  che  fedel  la  moglie  sia. 
Hai  di  più  amarla  e  d' onorar  ragione. 
Che  non  ha  quel  che  la  conosce  ria, 

0  quel  che  ne  sta  in  dubbio  e  in  passione. 
Di  molte  n'  hanno  a  torto  gelosia 

1  lor  mariti,  che  son  caste  e  buone  : 
Molti  di  molte  anco  sicuri  stanno, 
Che  con  le  corna  in  capo  se  ne  vanno. 

102      Se  vuoi  saper  se  la  tua  sia  pudica 
(Come  io  credo  che  credi,  e  creder  dèi; 
Ch'  altrimente  far  credere  è  fatica 
Se  chiaro  già  per  prova  non  ne  sei). 
Tu  per  te  stesso,  senza  ch'altri  il  dica. 
Te  n'avvedrai,  s'in  questo  vaso  bei  ; 
Che  per  altra  cagion  non  è  qui  messo. 
Che  per  mostrarti  quanto  io  t' ho  promesso. 


424  OBLAHOO  FUUOSO. 

103      Se  bei  con  qoesto,  vedrai  grande  effetto  : 
Cbè  se  porti  il  cimier  di  Gomovaglia, 
Il  Yìn  ti  spargerai  totto  sol  petto. 
Né  gocciola  sarà  ch'in  bocca  saglia; 
Ma  s'hai  moglie  fedel,  to  berai  netto. 
Or  di  veder  tua  sorte  ti  travaglia. 
Cosi  dicendo,  per  mirar  tien  gli  occhi, 
Ch'  in  seno  il  vin  Rinaldo  si  trabocchi. 

i04     Quasi  Rinaldo  di  cercar  saaso 

Quel  che  poi  ritrovar  non  vorria  forse 
Messa  la  mano  innanzi,  e  preso  il  vaso^ 
Fa  presso  di  volere  in  prova  porse: 
Poi,  quanto  fosse  periglioso  il  caso 
A  porvi  i  labbri,  tol  pensier  discorse. 
Ma  lasciate,  signor,  ch'io  mi  ripose; 
Poi  dirò  qael  che  '1  paladin  rispose. 


VOTE» 


St.  t.9.  h*%.-^Aehai9,  poi  che 
setto  il/alto  elmetto  ee,  È  noto  per 
Yliiede  d' Omero,  che  AchUle  diede  U 
proprie  ermatura  all'  amico  Patroclo, 
acciocché  combattesse  eoo  Ettore.  Pa- 
troclo restò  ucciso  in  qnel  combatti- 
mento |  e  Achille  tanto  se  ne  sdegnò,  che 
dopo  aver  data  U  morte  ad  Ettore,  ne 
trascinò  il  cadaYere,  avvinto  al  suo  car- 
ro, intorno  alle  mura  di  Troia. 

St,  8.  V,  3-3. —  //  di  che  vi  per» 
eosse  La  fronte  il  gravo  sasso  ee. 
Rammenta  un  ferita  che  nell*  attacco 
della  Bastia  sul  Po,  di  che  si  ò  detto  al- 
tra volta,  il  duce  Alfonso  riportò  in 
fronte  da  una  pietra  scagliata  da  una 
macchina  degli  Spsgnnoli. 

St.  6.  V,  3-8.— ^cci3  ehe'l  crudo 
e  scellerato  eccesso  ee.  Prima  di  quel- 
l'attacco, il  Vcstidello,  governatore  della 
Bastia,  fatto  prigioniere  dagli  Spagnuoli, 
era  stato  da  essi  ucciso,  in  onta  alle  leggi 


di  guerra!  onde,  ricuperato  èhe  fu  quel 
fortiliaio  dalle  genti  d'Alfonso,  il  presi- 
dio spagnuolo,  composto  nella  maggior 
parte  di  gente  circoncisa.  Mori  cioè,  o 
discendenti  da  Mori,  fu  paasato  a  fil  di 
spada. 

St,  6.  v.9.'-^FeggÌas  ferisca ,  col- 
pisca. 

St.7.  v.i.-^Ifomade:w^ltt  e 
dicesi  di  que'pastori,  che  vivono  con- 
ducendo qua  e  la  il  loro  gregge, accoodo 
che  trovano  pascoli. 

St.  8.  V.  6-6.  ~  Come  di  pie  mU 
tastor  ee.  Molte  dispute  ha  fatto  na- 
scere tra  gli  espositori  il  sesto  verso, 
che  qualche  ediiione  legge 

A  coi  lascik  la  oeda  hiviteo  stolto. 

Noi  abbiamo  creduto  stare  all'  edisione 
del  i  51 6  e  del  Ì53S|  e  riguardando  a 
lasciò  come  verbo  riflessivo^  spiegare 
cosii  come  sparvier  nuU  9Ì¥9  ti  toglie 


Canto  OOARiMtEsiuosficoNDO. 


m 


di  piò  altastor,  alla  coda  di  cui  si  la» 
sciò  (o  •'  aTTcntò)  per  sioltetsa  o  per 
invidia  di  preda. 

Si.  9.  «».  4.  ~  Il  grave  tritneo.  Di- 
ce»! tronco^  t  tronco  per  imitatìone  dal 
latino,  il  pedale  o  fusto  di  lu  albero, 
ed  anche  il  cadaTere  umano,  mouo  del 
capo.  E  raggiunto  grave  a  messo  a  pro- 
posito; perche  il  cadavere,  privo  delle 
forte  vitali,  ubbidisce  maggiormente 
alla  legge  di  attratione,  e  cresce  di  peso. 

St.  13. 0.6. — infici  r occaso  :  avanti 
che  tramonti  la  vita,  prima  di  morire. 

St,  21.  i>.  6.  —  Destre:  acconoe, 
adattate. 

St,  SS.  9. 1-6.  —  O  chiaro  fulgor 
della  Fulgosa  Stirpe  ec.  Dirige  la  pa- 
rola a  Federico  Fnlgoio  o  Fregoso,  no- 
minato nella  Stanca  20  (che  con  ambe- 
due queste  voci  si  denota  una  sola  il- 
lustre famiglia  di  Genova),  il  quale  fu 
arcivescovo  di  Salerno,  vescovo  di  Gub- 
bio, e  poi  cardinale.  Andando  egli  qual 
condottiere  della  flotta  genovese  contro 
il  corsaro  Corregoli,  vide  Lampedusa; 
•  par  che  non  convenisse  col  Poeta  sulla 
conditione  fisica  di  quell'isola. — Quello 
invitto  dttCOj  Per  cui  la  vostra  patria  j 
h  Ottaviano  Fregoso,  fratello  di  Fede- 
rico e  doge  di  Genova,  che  pacificò  le 
faiioni  onde  quella  repubblica  era  tur- 
bata.—/n  amor  tutta  s'induce:  si  con- 
duce, si  piega,  si  muove  tutta  ad  amore. 

St,  S5.  v.1. — Nò  fatto  navea  an- 
cor segno  evidente:  non  aveva  ancor 
data  prova  manifesta,  che  gli  dispiacesse 
quello  spergiuro. 

St.  29.  V,  6.-^Jjffrantò:  abbattu- 
to, venuto  naeoo. 

St,  SI.  V,  1-8. — Gran  maraviglia 
di  sì  strano  caso  ee.i  Le  cose  soltanto 
accennate  in  questa  Stanca  e  nella  se- 
guente ,  come  pure  nelle  Stanca  35,  36 
«  37,  poasono  vedersi  diffusamente  nel- 
C Orlando  Innamorato  del  Boiardo. 

St.  37.  ¥•  b^^Emuntot  spremuto | 
^ni  vuoto,  esausto, 

St,  46.  V.  S. — Pel  bosco  awentw 
,^so.  Dice  avventurosa  la  selva  d'Ar- 


denna,  per  gli  avvenimenti  eh* ivi  nar« 
ravansi  accaduti. 

St,  Al,  V,  3.—  Orecchie  crebre: 
spesse ,  numerose 9  com'erano  gli  occhi 
di  ^el  mostro. 

SL  66.  V.  4-6.  — Ji  delibrai  de- 
libera,  si  risolve. — /  colpi  libra  i  sca- 
glia ,  lancia  colpi  di  macca;  tolto  forse 
dal  librare  tela  di  Plinio. 

St.  63.  V.  Z.— E  nel  forilo  verdi 
a  rosso  e  a  giallo:  nell'erboso^  auolo 
seminato  di  fioii  gialli  e  rossi. 

St.  66.  f.  6.— C/ff  de' ministri  sui; 
uno  fra  i  demoni  che  ubbidivano  all'  in* 
cantatore  MalagigL 

St.  76.  V.  7-3.—  QuanU  agi  sotto 
La  cava  terra  ec. — Intende  dei  comodi 
di  cucine  ed  altri  proservicj,  che  si  pra- 
ticano ne' sotterranei  dei  gran  palagi. 

St.  11.  P.2 Suffulti:  sosUnuti. 

St.  80.  V.  1.  —  //  corno  d'Amai^ 
tea:  il  corno  dell'abbondanca.i^ifia/<ea 
era  il  nome  delia  capra,  o  della  ninfa  a 
cui  apparteneva  la  capra  che  allattò  Gio- 
ve: e  chi  possedeva  quel  «orno, otteneva 
tutto  ciò  che  sapeva  desiderare. 

«yt.81.  V.  i'$.^Ciascun  di  4f mesti 
segni:  ciascuna  di  queste  statue.— C/ie 
con  la  bocca  aperta  facean  segni  ec. 
Vuol  dire  che  le  statue  inferiori,  con  la 
bocca  aperta,  come  in  atto  di  cantare, 
mostravano  compiacersi  di  encomiare  le 
donne  rappresentate  dalle  statue  supe- 
riori che  su  di  loro  posavano. 

St.  83.  v.^-'é.-^Lucre^ia Borgia: 
moglie  del  duca  Alfonso  I.  Si  h  gili detto 
di  lei  nella  nota  alla  St.  69  del  Can- 
to XIII. -*  jtfnfonio  Tebaldeot  buon 
verseggiatore  nelle  due  lingue,  italiana  t 
latina  ;  mori  in  Roma  in  elk  di  anni  80. 
.— i  Ercole  Strozza:  se  ne  parlò  nella 
nota  alla  St.  8  del  Canto  XXXVII.  — 
Un  Lino  ed  un  Orfeo:  paragonai!  Te- 
baldeo  a  Lino,  figlio  d'Apollo  e  di  Ter- 
psicore,  riguardato  come  inventore  della 
poesia  lirica;  e  lo  Strocaa  ad  Orfeo,  fi- 
glio di  Giove  e  di  Calliope,  il  quale  con 
la  sua  musica  si  faceva  seguitare  dalla 
rocce  a  dagli  alberi. 

5C* 


426 


JTE^emU,  IsmhelU  «e  Tctei  sa  « 
CSM  ^■aato  «  4b«  adb  ■•U  alb 
«U  MAI  Casto  Xia. 


GafaaAa  e  F  altro  SardcBaM  , 
■oatovaMi  e  3  Calaadn  •  aoto  cmm 
•crill«re  prosaico  di  MfgHti  aoMMosi. 

0  Letmorm  Jf^mimmtM  erm  tmltrm  ce. 
EliMlctta  era  forena  £  FraaccMo  G«^ 
saga,  aiarcfaefc  dì  MaoCova.  e  moglie 
di  Cwdabaldo  data  d'UAiao.Ixonora, 
figlia  del  predetto  Goosaga,  la  sposa  di 
Fraoceseo  Maria  della  Bovere,  cseato 
daca  d'Uriiino  da  Giulio  II.— Iacopo 
SadoUU  •  PUtro  Bembo.  Il  Sadolclo 
nasceva  ia  Modena,  fa  Tescoro,  ed  ebbe 
ti  cappello  cardinaliao  da  Paolo  III. 
Era  letterato  insigne,  poeta  e  teologo. 
Il  Bembo,  di  coi  si  fece  mensione  nella 
nota  alla  St.  8  dd  Canto  XXXTII,  era 
intrinseco  del  Sadoleto,  e  molto  innanu 
nella  boona  |;rasia  del  ricordato  dnca 
Guidabaldo. 

St.  87.  V, Ui^—Uno  eleganU  Ca- 
stigiione,  e  un  eulto  Miuio  Arollo  te. 
Del  Castiglione  si  parlò  nella  predetta 
nota  alla  St.  8  del  Canto  XXXVII  % 
Musio  Arelio,  altrimenti  detto  GioTanni 
MatsarellOy  fn  autore  di  molti  compo- 
nimenti italiani  e  latini ,  e  accademico 
in  Roma  al  tempo  di  Leon  X  |  mori  di 
ferite  dategli  da  alcuni  suoi  malevoli. — 
Veg%on  poi  quella  a  cui  dal  eielo  /n- 
dallo  ee.  Intendesi  qui  la  nominata  più 
a  basso  Lucreiia  Bentivogli,  6g1ia  na- 
turale del  duca  di  Ferrara,  e  partecipe 
della  fortuna,  ora  propitia  ora  contraria 
che  provarono  t  Bentivogli,  signori  di 
Bologna. 

St,  88.  p.  A-8.^  27i  costei  canta 
con  soave  e  chiara  Voce  un  Camil  ee. 
ib  questi  Camillo  Paleotto,  bolognese, 
e  cortigiano  del  cardinale  di  Bibbiena, 
che 9  iniieme  col  Postumo*  di  cui  fra 
poco,  cantò  le  lodi  della  Bentivogli. •— 
Beno  ì  fiume  di  Bologna.  —  Felsina  t 


SL99,wA^^EdB 
Urrm,09etisi 
patria  di  Gnido  Futi— «,  i 


pgremiìm 


iato  nel 
Guido 

SUweMtri,^  lo  dine»  Posfwm^pcidiò 
nato  dapo  la  uMcte  U  padre;  fa  ^ 
lente  HKdico^  soldato  e  poeta,  a 
moddriiiosto»  e  addetto  qóali 
alb  corte  del  cardwale  Ippolito  da  Este. 
— /samro,ofigi  denominato  Fo^ia»  e  il 
fiume  dM  scorte  Hóno  a  Pesaro,  ed  ha 
fece  ndl'Adrialieo. — JfomUmatm  sarm..^ 
Fia  pik  che  perpeMmre  il  rommmo  «s»> 
ro  ee.  Alcan^  soD'antorhlk  di  Servio 
conunentatorc  di  Virgilio^  trassero  Teti- 
mologia  di  Pesaro  ^IHsaurum),  vera  o 
falsa  che  sia,  dall'oro  rapito  dai  Galli  ai 
Romani,  ed  ivi  tolto  ai  rapitori  dal  dit* 
tatore  Cammillo,  che  co&  li  raggiansCé 
Tfam  (sono  queste  le  parole  di  Servio) 
Pisaurum  dicitur,  quod  ibi  aurum 
pensatum  est.  —  ji  cui  doppia  coro» 
na  ee.  Allusione  al  merito  filosofico  e 
letterario  del  Postumo,  tenuto  in  repn« 
tasione  anche  nella  corte  di  Leone  X. 

St.  90.  <r.  1-8.— X'a/em  eke  segue 
in  ordine  è  Diana  ee.  Questa  ò  Diana 
d'Este,  nata  di  Sigismondo  Estense,  dei 
marchesi  di  S.  Martino,  di  cui  si  parlò 
sul  principio  della  nota  alla  St.  68  del 
Canto  1 1 1.  Fu  donna  di  bel  sembiante,  ma 
d' aotmo  altiero — //  dotto  Celio  Cai' 
cagnin  :  erudito  scrittore  ferrarese,  che 
per  due  anni  e  più  fu  compagno  di  «ag- 
gio al  cardinal  Ippolito,  e  ne  compose 
r  elogio  funebre.  — Nel  regno  di  Mo» 
nese  e  in  quel  di  luba.  Monese  fu  re 
de' Parti,  luba  dei  Maurttanii  e  questi 
due  regni  sono  qui  indicati  per  signifi- 
care il  settentrione  ed  il  messogiorno. 
— In  India  e  Spagna:  regioni  che  de- 
notano una  il  levante,e  l'altra  il  ponente. 

St.  9i.  V.  1-8.— £</  »a  Jforco  Oi- 
vallo  ec.f  lodatore  di  Diana  Estense,  in* 
sierae  col  Galcagnini.  Era  aaconitaaO| 


ÉANTO  QnARAMTCSIlÌOSECO((Ì)0. 


427 


e  Imon  rimatore  ;  onde  il  Poeta  lo  pa- 
ragona al  cavai  Pegaso  della  Favola,  che 
con  un  calcio  fece  scaturire  una  fonte 
dal  Parnaso,  secondo  alcuni,  e  secondo 
altri,  dair  Elicona,  montagne  ambedue 
consacrate  ad  Apollo  e  alle  Muse.— > 
Beatrice  appresso  ec.  E  questa  la  fi- 
glia del  duca  Ercole  I,  moglie  di  Lodo- 
irico  Sforaa,  encomiata  nelle  Stame  68 
^63  del  Canto  XIII»  alle  quali  si  ri- 
elette il  lettore,  a  scansa  d'inutili  ripe- 
tisioni. 

A.9S.  V.  3-8.— CTii  sif(nor  di  Cor- 
Téglia  ee,i  Niccolò  da  Correggio,  che, 
oltre  le  composisioni  da  lui  fatte  in  lode 
di  Beatrice,  scrisse  due  poemi  in  ottava 
rima,  intitolati  Psiche  l'uno,  e  l' altro 
Asurora. — E  Timoteo  Conor  de' Ben» 
4fe<feif  letterato  ferrarese  esso  pure,  che 
adoperò  il  suo  ingegno  poetico  nell'ono- 
rar  Beatrice.— //^ama  ove  suddr  gfi 
antiqui  elettri:  il  Po,  sulle  cui  rive  le 
sorelle  del  caduto  Fetonte  furono  con- 
▼eitite  in  pioppi.  Vedi  la  St.  34  del 
Canto  HI,  e  la  nota  corrispondente. 


St.  93.  V.  i-S.—  Della  colonna 
Che  fu  scalpita  in  Borgia:  del  marmo 
in  cui  fu  scolpita  la  statua  di  Lucre&ia 
Borgia;  e  Io  dice  colonna,  perchè  cosi 
quella  eie  altre  statue  sostenevano  col 
braccio  manco  il  dorato  cielo  della  sala, 
com'è  detto  nella  St.  79.—  Formata 
in  alabastro  una  gran  donna  ec.  Con- 
cordano quasi  tutti  gli  espositori  nel 
ravvisare  in  questa  innominata  scultura 
la  statua  di  Alessandra  Benuccì,  amica 
e  poi  moglie  del  Poeta,  della  quale  si 
parlò  nella  nota  alla  St.  S  del  Canto  I. 
— In  nera  gonna»  cosi  la  rappresenta 
il  Poeta,  perchè  quand*  egli  a*  invaghi 
di  Alessandra,  essa  era  vedova  da  poco 
tempo  di  Tito  Stroasi. 

St,  95.  V,  5-8. — Com'era  quel  che 
sol,  sen*'  altri  accanto  ec.  Una  sola 
statua  d'  nomo  era  sostegno  a  quella 
della  Benucci,  mentre  le  altre  statue 
erano  sostenute  da  due.  Ed  in  quel  so- 
stegno il  Poeta  figura  sé  stesso,  tacendo 
il  proprio  nome,  o  per  modestia  o  per 
altro  motivo. 


ì 


42d  ORLANDO  FURIOSO. 


CAinrO    QVAWLAJMTESmOVmMEO. 


Una  forte  e  giusta  lOYettiva  contro  1*  avarisia  apre  questo  Canto,  e  precede  doB 
novelle  che  vengono  nanate  a  Rinaldo,  una  a  vitupero  delle  donne ,  l'altra 
rfegli  uomini  che  ai  lasciano  vincere  da  quella  brutta  passione.  Per  lungo  eam* 
mino  terrestre  e  marittimo  giunge  Rinaldo  in  Lampedusa,  essendo  terminato  il 
combattimento  fra  i  paladini  e  i  pagani.  Scendono  tutti  in  Sicilia,  ed  ivi  sulla 
spiaggia  d'Agrigento  rendono  gli  ultimi  onori  alle  mortali  spoglie  di  Brandi- 
marte.  Di  colli  vanno  al  romitaggio  ove  aU  Ruggiero,  gili  fatto  cristiano;  e  il 
buon  eremita  risana  Oliviero  ed  anche  Sobrino,  che  poi  prende  il  battesimo. 

i      0  esecrabile  avarizia,  o  ingorda 
Fame  d' avere,  io  non  mi  maraviglio 
Ch'ad  alma  vile,  e  d'altre  macchie  lorda. 
Si  facilmente  dar  possi  di  pìglio  ; 
Ma  che  meni  legato  in  una  corda, 
E  che  tu  impiaghi  del  medesmo  artiglio 
Alcun  che  per  altezza  era  d'ingegno. 
Se  te  schivar  potea,  d' ogni  onor  degno. 

2  Alcun  la  terra  e  *1  mare  e  '1  ciel  misura, 
E  render  sa  tutte  le  cause  appieno 

D'  ogni  opra,  d'ogni  effetto  di  natura, 
E  poggia  si,  eh'  a  Dio  riguarda  in  seno  ; 
E  non  può  aver  più  ferma  e  maggior  cura, 
Morso  dal  tuo  mortifero  veleno, 
Gh'  unir  tesoro  ;  e  questo  sol  gli  preme, 
E  ponvi  ogni  salute,  ogni  sua  speme. 

3  Rompe  eserciti  alcuno,  e  nelle  porte 
Si  vede  entrar  di  bellicose  terre, 

Ed  esser  primo  a  porre  il  petto  forte, 
Ultimo  a  trarre,  in  perigliose  guerre; 
E  non  può  riparar  che  sino  a  morte 
Tu  nel  tuo  cieco  carcere  noi  serre. 
Altri  d'  altre  afti  e  d'altri  studj  industri, 
Oscuri  fai,  che  sarian  chiari  e  illustri. 


CANTO  QUARANTESUfOTERZO.  42d 

Che  d' alcune  dirò  belle  e  gran  donne, 
Ch' a  bellezza,  a  virtù  di  fidi  amanti, 
A  langa  servitù,  più  che  colonne 
Io  veggo  dare,  immobili  e  constanti? 
Veggo  venir  poi  l'Avarizia,  e  pònne 
Far  si,  che  par  che  subito  le  incanti  : 
In  un  di,  senza  amor  (chi  fia  che  '1  creda?) 
A  un  vecchio,  a  un  brutto,  a  un  mostro  le  dà  in  preda. 

Non  é  senza  cagion  s' io  me  ne  doglio  : 
Intendami  chi  può,  che  m' intend'  io. 
Nò  però  di  proposito  mi  toglie. 
Né  la  materia  del  mìo  Canto  obblio  ; 
Ma  non  più  a  quel  e' ho  detto  adattar  voglio, 
Ch'  a  quel  ch'io  v'  ho  da  dire,  il  parlar  mio. 
Or  torniamo  a  contar  del  paladino, 
Ch'  ad  assaggiare  il  vaso  fu  vicino. 

Io  vi  dicea  ch'alquanto  pensar  volle. 
Prima  eh'  ai  labbri  il  vaso  s' appressasse. 
Pensò,  e  poi  disse  :  Ben  sarebbe  folle 
Chi  quel  che  non  vorria  trovar,  cercasse. 
Mia  donna  è  donna,  ed  ogni  donna  è  molle  : 
Lasciam  star  mia  credenza  come  stasse. 
Sin  qui  m' ha  il  creder  mio  giovato,  e  giova  : 
Che  poss'io  megliorar,  per  farne  prova? 

Potria  poco  giovare,  e  nuocer  molto; 
Che  '1  tentar  qualche  volta  Iddio  disdegna. 
Non  so  s*  in  questo  io  mi  sia  saggio  o  stolto  ; 
Ma  non  vo'  più  saper  che  mi  convegna. 
Or  questo  vin  dinanzi  mi  sia  tolto  : 
Sete  non  n'  ho,  né  vo'  che  me  ne  vegna; 
Che  tal  certezza  ha  Dio  più  proibita, 
Ch'  al  primo  padre  V  arbor  della  vita. 

;     Che  come  Adam,  poi  che  gustò  del  pomo 
Che  Dio  con  propria  bocca  gì'  interdisse, 
Dalla  letizia  al  pianto  fece  un  tomo. 
Onde  in  miseria  poi  sempre  s' alSlisse  ; 
Cosi,  se  della  moglie  sua  vuol  V  uomo 
Tutto  saper  quanto  ella  fece  e  disse. 
Cade  dell'allegrezze  in  pianti  e  in  guai^ 
Onde  non  può  più  rilevarsi  mai. 


430  ORLANDO  FURIOSO. 

9      Cosi  dicendo  il  baon  Rinaldo,  e  intanto 
Respingendo  da  sé  V  odiato  vase. 
Vide  abbondare  an  gran  rivo  di  pianto 
Dagli  occhi  del  signor  di  quelle  case. 
Che  disse,  poi  che  racchetossi  alquanto  : 
Sìa  maledetto  chi  mi  persuase 
Ch'io  facessi  la  prova,  oimè!  di  sorte, 
Che  mi  levò  la  dolce  mia  consorte. 

10  Perchè  non  ti  conobbi  già  dieci  anni, 
Si  che  io  mi  fossi  consigliato  teco. 
Prima  che  cominciassero  gli  affanni, 

E  '1  lungo  pianto  onde  io  son  quasi  cieco? 

Ma  vo*  levarti  dalla  scena  i  panni. 

Che  '1  mio  mal  vegghi,  e  te  ne  dogli  meco; 

E  ti  dirò  il  principio  e  V  argumento 

Del  mio  non  comparabile  tormento. 

11  Quassù  lasciasti  una  città  vicina, 

A  cui  fa  intorno  un  chiaro  fiume  laco, 
Che  poi  si  stende,  e  in  questo  Po  declina, 
E  r  origine  sua  vien  di  Benaco. 
Fu  fatta  la  città  quando  a  ruina 
Le  mura  andar  dell'  agenoreo  draco. 
Quivi  nacqui  io  di  stirpe  assai  gentile. 
Ma  in  pover  tetto,  e  in  facultade  umile. 

12  Se  Fortuna  di  me  non  ebbe  cura 

Si,  che  mi  desse  al  nascer  mio  ricchezza. 
Al  difetto  di  lei  supplì  natura,. 
Che  sopra  ogni  mio  ugual  mi  die  bellezza. 
Donne  e  donzelle  già  di  mia  figura 
Arder  più  d' una  vidi  in  giovanezza  ; 
Ch'io  ci  seppi  accoppiar  cortesi  modi; 
Benché  stia  mal  che  l' uòm  sé  stesso  Iodi. 

13  Nella  nostra  cittade  era  un  uom  saggio. 
Di  tutte  r  arti  oltre  ogni  creder  dotto. 

Che,  quando  chiuse  gli  occhi  al  febeo  raggio, 
Contava  gli  anni  suoi  cento  e  ven tolto. 
Visse  tutta  sua  età  solo  e  selvaggio. 
Se  non  l' estrema  ;  che,  d' Amor  condotto. 
Con  premio  ottenne  una  matrona  bella, 
£  n'  ebbe  di  nascosto  una  ciltella. 


CANTO  QCARAMTESmOTERZO.  431 

14  £  per  vietar  che  simìl  la  Oglìaola 
Alla  maire  non  sia,  che  per  mercede 
Vendè  saa  castità,  che  valea  sola 

Più  che  quant'oro  al  mondo  si  possiede, 
Fuor  del  commercio  popolar  la  invola  : 
Ed  ove  più  solingo  il  luogo  vede. 
Questo  ampio  e  bel  palagio  e  ricco  tanto 
Fece  fare  a  demonj  per  incanto. 

15  A  vecchie  donne  e  caste  fé  nutrire 

La  Ogiia  qui ,  eh'  in  gran  beltà  poi  venne  ; 
Né  che  potesse  altr'  uom  veder,  né  udire 
Pur  ragionarne  in  quella  età ,  sostenne. 
E  perch'avesse  esempio  da  seguire, 
Ogni  pudica  donna  che  mai  tenne 
Centra  illicito  amor  chiuse  le  sbarre, 
Ci  fé  d' intaglio  o  di  color  ritrarre  : 

i6     Non  quelle  sol  che,  di  virtude  amiche , 
Hanno  sì  il  mondo  air  età  prisca  adorno  ; 
Di  quai  la  fama  per  l'istorie  antiche 
Non  é  per  veder  mai  V  ultimo  giorno  : 
Ma  nel  futuro  ancora  altre  pudiche 
Che  faran  bella  Italia  d' ogn'  intorno , 
Ci  fé  ritrarre  in  lor  fattezze  conte, 
Come  otto  che  ne  vedi  a  questa  fonte. 

il     Poi  che  la  figlia  al  vecchio  par  matura 
Si,  che  ne  possa  Fuom  cogliere  i  frutti, 

0  fosse  mia  disgrazia  o  mia  avventura , 
Eletto  fui  degno  di  lei  fra  tutti. 

1  lati  campi,  oltre  alle  belle  mura, 
Non  meno  i  pescarecci  che  gli  asciutti , 
Che  ci  son  d'ogni  intorno  a  venti  miglia. 
Mi  consegnò  per  dote  della  figlia. 

is     Ella  era  bella  e  costumata  tanto. 
Che  più  desiderar  non  si  potea. 
Di  bei  trapunti  e  di  ricami,  quanto 
Mai  ne  sapesse  Pallade,  sapea. 
Vedila  andare,  odine  il  suonq  e  'i  canto, 
Celeste  e  non  mortai  cosa  parea  ; 
E  in  modo  all'  arti  liberali  attese. 
Che  quanto  il  padre  o  poco  men  n'  intese. 


-^:^' 


432  ORLANDO  FURIOSO. 

19  Con  grande  ingegno  e  non  minor  bellezza, 
Che  fatta  ravrìa  amabil  fin  ai  sassi. 

Era  gianto  nn  amore,  una  dolcezza. 
Che  par  eh'  a  rimembrarne  il  cor  mi  passi. 
Non  avea  più  piacer  né  più  vaghezza , 
Che  d' esser  meco  ov'  io  mi  stessi  o  andassi. 
Senz'  aver  lite  mai  stemmo  gran  pezzo  : 
L'avemmo  poi,  per  colpa  mia,  da  sozzo. 

20  Morto  il  suocero  mio  dopo  cinqae  anni 
Ch'io  sottoposi  il  collo  al  giugal  nodo, 
Non  stero  molto  a  cominciar  gli  affanni 
Ch'io  sento  ancora,  e  ti  dirò  in  che  modo. 
Mentre  mi  richiudea  tatto  coi  vanni 

V  amor  di  questa  mia  che  si  ti  lodo. 

Una  femmina  nobìl  del  paese. 

Quanto  accender  si  può,  di  me  s' accese. 

21  Ella  sapea  d' incanti  e  di  maglie 
Quel  che  saper  ne  possa  alcuna  maga  : 
Rendea  la  notte  chiara,  oscuro  il  die, 
Fermava  il  Sol,  facea  la  terra  vaga. 
Non  potea  trar  però  le  voglie  mie. 
Che  le  sanassin  V  amorosa  piaga 

Col  rimedio  che  dar  non  le  potria 
Senz'  alta  ingiuria  della  donna  mia. 

22  Non  perché  fosse  assai  gentile  e  bella. 
Né  perchè  sapess'io  che  si  me  amassi. 
Né  per  gran  don  né  per  promesse  eh'  ella 
Mi  fesse  molte,  e  di  continuo  instassi. 
Ottener  potè  mai  eh'  una  fiammella, 

Per  darla  a  lei,  del  primo  amor  levassi  ; 
Ch'  addietro  ne  traea  tutte  mie  voglie 
Il  conoscermi  fida  la  mia  moglie. 

23  La  speme,  la  credenza,  la  certezza 
Che  della  fede  di  mia  moglie  avea, 
M' avrìa  fatto  sprezzar  quanta  bellezza 
Avesse  mai  la  giovane  Ledea, 

0  quanto  offerto  mai  senno  e  ricchezza 
Fu  al  gran  pastor  della  montagna  Idea. 
Ma  le  repulse  mie  non  valean  tanto. 
Che  potesson  levarmela  da  canto. 


CANTO  QUARANTESIMOTERZO.  433 

24  Un  di  che  mi  trovò  fuor  del  palagio 
La  maga  che  nomata  era  Melissa, 

E  mi  potò  parlare  a  suo  grande  agio, 
Modo  trovò  da  por  mia  pace  in  rissa, 
E  con  lo  spron  di  gelosia  malvagio 
Cacciar  del  cor  la  /e'  che  y'  era  fìssa. 
Comincia  a  commendar  la  intenzion  mia, 
Ch'  io  sia  fedele  a  chi  fedel  mi  sia. 

25  Ma  che  ti  sia  fedel  ta  non  puoi  dire, 
Prima  che  di  saa  fé'  prova  non  vedi. 
S'ella  non  falle,  e  che  potria  fallire, 
Che  sia  fedel,  che  sia  pudica  credi. 
Ma  se  mai  senza  te  non  la  lasci  ire. 

Se  mai  vedere  altr'uom  non  le  concedi, 
Onde  hai  questa  baldanza,  che  tu  dica 
£  mi  vegli  affennar  che  sia  pudica? 

26  Scostati  un  poco,  scostati  da  casa  ; 
Fa  che  le  cittadi  odano  e  i  villaggi 
Che  tu  sia  andato,  e  ch'ella  sia  rimasa: 
Agli  amanti  dà  comodo  e  ai  messaggi. 
S*a  prieghì,  a  doni  non  fia  persuasa 

Di  fare  al  letto  maritale  oltraggi, 
E  che,  facendol,  creda  che  si  cele, 
Allora  dir  potrai  che  sia  fedele. 

27  Con  tai  parole  e  simili  non  cessa 
L' incantatrice,  finché  mi  dispone 
Che  della  donna  mia  la  fede  espressa 
Veder  voglia  e  provare  a  paragone. 
Ora  pogniamo,  le  soggiungo,  ch'essa 
Sia  qual  non  posso  averne  opinione  : 
Come  potrò  di  lei  poi  farmi  certo 
Che  sia  di  punizion  degna  o  di  merlo? 

2S     Disse  Melissa  :  Io  ti  darò  un  vasello 
Fatto  da  ber,  di  virtù  rara  e  strana, 
Qual  già,  per  fare  accorto  il  suo  fratello 
Del  fallo  di  Ginevra,  fé  Morgana. 
Chi  la  moglie  ha  pudica,  bee  con  quello  : 
Ma  non  vi  può  già  ber  chi  1*  ha  puttana  ; 
Che  '1  vin,  quando  lo  crede  in  bocca  porre. 
Tutto  si  sparge,  e  fuor  nel  petto  scorre. 

II.  37 


434  MU.11ID0  FURIOSO. 

m     PkìBi  ehe  partì  ne  fiuai  la  prova, 
E  par  lo  creder  mio  ta  beraì  netto  ; 
Che  eiedo  eh' ancor  netta  si  ritrova 
La  aioglìe  tua:  por  ne  vedrai  l'eflfetto. 
Ma  a'al  ritomo  esperienia  nuova 
Poi  ne  forai,  non  t' anicoro  il  petto: 
Che  se  ta  non  lo  immolli,  e  netto  bei» 
D*  ogni  marito  il  più  felice  ad. 

10     L'offerta  accetto,  n  vaso  ella  nù  dona: 
Ne  fo  la  prova,  e  mi  saccede  a  ponto  ; 
Che,  com'  era  fl  disio,  podica  e  boona 
La  cara  m<^lie  mia  trovo  a  qoel  ponto. 
Dice  Melissa  :  Un  poco  V  abbandona  ; 
Per  an  mese  o  per  duo  stanne  disgiunto  : 
Poi  toma  ;  poi  di  nuovo  il  vaso  toUi  ; 
Prova  se  bevi,  oppar  se  1  petto  immolli. 

SI      A  me  doro  parea  pur  di  partire  ; 
Non  perchè  di  sua  fé'  si  dubitassi. 
Come  eh'  io  non  potea  duo  di  patire , 
Né  un'  ora  pur,  che  senza  me  restassi. 
Disse  Melissa:  lo  ti  farò  venire 
A  conoscere  il  ver  con  altri  passi. 
Yo'  che  muti  il  parlare  e  i  vestimenti, 
E  sotto  viso  altrui  te  le  appresenti. 

32  Signor,  qui  presso  una  città  difende 
Il  Po  fra  minacciose  e  fiere  coma  ; 
La  coi  inridizion  di  qui  si  stende 

Fin  dove  il  mar  fugge  dal  lito  e  torna. 
Cede  d'antiquità,  ma  ben  contende 
Con  le  vicine  in  esser  ricca  e  adorna. 
Le  reliquie  troiane  la  fonderò, 
Che  dal  flagello  d' Attila  camparo. 

33  Astringe  e  lenta  a  questa  terra  il  morso 
Un  cavalier  giovene,  ricco  e  bello, 

Che  dietro  un  giorno  a  un  suo  falcone  iscorso, 
Essendo  capitato  entro  il  mio  ostello, 
Vide  la  donna,  e  si  nel  primo  occorso 
Gli  piacque,  che  nel  cor  portò  il  suggello; 
Né  cessò  molte  pratiche  far  poi , 
Per  inchinarla  ai  desiderj  suoi. 


CANTO  QUARANTESIHOTERZO.  435 

34  Ella  gli  fece  dar  tante  repulse. 
Che  più  tentarla  al6ne  egli  non  volse  ; 
Ma  la  beltà  di  lei,  eh'  Amor  vi  scalse, 
Di  memoria  però  non  se  gli  tolse. 
Tanto  Melissa  allasingommi  e  mulse, 
Gh'  a  tor  la  forma  di  colai  mi  volse  ; 
E  mi  mutò  (né  so  ben  dirti  come) 

Di  faccia,  di  parlar,  d' occhi  e  di  chiomie. 

35  Già  con  mia  moglie  avendo  simulato 
D'esser  partito  e  gitone  in  Levante, 
Nel  giovene  amator  cosi  mutato 
L'andar,  la  voce,  l'abito  e  '1  sembiante. 
Me  ne  ritorno,  ed  ho  Melissa  a  lato. 
Che  s'era  trasformata,  e  parea  un  fante  ; 
E  le  più  ricche  gemme  avea  con  lei. 
Che  mai  mandassin  gì'  Indi  o  gli  Eritrei. 

36  Io  che  r  uso  sapea  del  mio  palagio. 
Entro  sicuro,  e  vien  Melissa  meco  ; 
E  madonna  ritrovo  a  si  grande  agio. 
Che  non  ha  né  scudier  né  donna  seco. 

I  miei  prieghi  le  espongo,  indi  il  malvagio 
Stimulo  innanzi  del  mal  far  le  arreco  : 
I  rubini,  i  diamanti  e  gli  smeraldi. 
Che  mosso  arebbon  tutti  i  cor  più  saldi. 

37  E  le  dico  che  poco  è  questo  dono 
Verso  quel  che  sperar  da  me  dovea. 
Della  comodità  poi  le  ragiono. 

Che,  non  v'essendo  il  suo  marito,  avea: 
E  le  ricordo  che  gran  tempo  sono 
Stato  suo  amante,  com'ella  sapea  ; 
E  che  r  amar  mio  lei  con  tanta  fede 
Degno  era  avere  alOn  qualche  mercMe. 

38  Turbossi  nel  principio  ella  non  poco. 
Divenne  rossa,  ed  ascoltar  non  volle: 

Ma  il  veder  fiammeggiar  poi,  come  fuoco, 
Le  belle  gemme,  il  duro  cor  fé  molle  ; 
E  con  parlar  rispose  breve  e  fioco 
Quel  che  la  vita  a  rimembrar  mi  tolte  ; 
Che  mi  compiacerla,  quando  credesse 
Ch'  altra  persona  mai  noi  risapesse. 


436  OBLANDO  Fcmioso. 

39  Fa  tal  rìsposla  an  venenato  telo, 
Di  che  me  ne  senti'  Y  alma  trafissa  : 

Per  Tossa  andommì  e  per  le  vene  on  gelo; 
Nelle  fauci  restò  la  voce  fissa. 
Levando  allora  del  soo  incanto  il  velo. 
Nella  mia  forma  mi  tornò  Melissa. 
Pensa  di  che  color  dovesse  farsi, 
Gh'  in  tanto  error  da  me  vide  trovarsi. 

40  Divenimmo  ambi  di  color  di  morte. 
Moti  ambi ,  ambi  restiam  con  gli  occhi  bassi. 
Potei  la  lingua  appena  aver  si  forte, 

E  tanta  voce  appena,  eh'  io  gridassi  : 
Me  tradiresti  dunque  tu,  consorte, 
Quando  tu  avessi  chi  '1  mio  onor  comprassi? 
Altra  risposta  darmi  ella  non  puote. 
Che  di  rigar  di  lacrime  le  gote. 

41  Ben  la  vergogna  è  assai,  ma  più  lo  sdegno 
Ch'ella  ha,  da  me  veder  farsi  quella  onta; 
E  moltiplica  sk  senza  ritegno, 

Gh'  in  ira  alfine  e  in  crudele  odio  monta. 
Da  me  fuggirsi  tosto  fa  disegno , 
E  nell'ora  che  '1  Sol  del  carro  smonta. 
Al  fiume  corse,  e  in  ona  sua  barchetta 
Si  fa  calar  tutta  la  notte  in  fretta  : 

42  E  la  mattina  s' appresenta  avante 

Al  cavalier  che  l'avea  un  tempo  amata, 
Sotto  il  cui  viso,  sotto  il  cui  sembiante 
Fu  centra  l' onor  mio  da  me  tentata. 
A  lui,  che  n'era  stato  ed  era  amante, 
Greder  si  può  che  fu  la  giunta  grata. 
Quindi  ella  mi  fé  dir  eh'  io  non  sperassi 
Ghe  mai  più  fosse  mia,  né  più  m' amassi. 

43  Ah  lasso!  da  quel  di  con  lui  dimora 
In  gran  piacere,  e  di  me  prende  giuoco  ; 
Ed  io  del  mal  che  procacciaimi  allora. 
Ancor  languisco,  e. non  ritrovo  loco. 

Gresce  il  mal  sempre,  e  giusto  è  ch'io  ne  moora; 
£  resta  omai  da  consumarci  poco. 
Ben  credo  che  '1  primo  anno  sarei  morto, 
Se  non  mi  dava  aiuto  un  sol  conforto. 


CANTO  QUARANTESIMOTERZO.  4  37 

44  11  conforto  ch'io  prendo,  è  che  di  quanti 
Per  dieci  anni  mai  fur  sotto  al  mio  tetto 
(Gh'a  tolti  questo  vaso  ho  tiiesso  innanti), 
Non  ne  trovo  un  che  non  s' immolli  il  petto. 
Aver  nel  caso  mio  compagni  tanti 

Mi  dà  fra  tanto  mal  qualche  diletto. 
Tu  tra  inOniti  sol  sei  stato  saggio, 
Che  far  negasti  il  periglioso  saggio. 

45  II  mìo  voler  cercare  oltre  alla  meta 
Che  della  donna  sua  cercar  si  deve, 
Fa  che  mai  più  trovare  ora  quieta 
Non  può  la  vita  mia,  sia  lunga  o  breve. 
Di  ciò  Melissa  fu  a  principio  lieta: 

Ma  cessò  tosto  la  sua  gioia  lieve  ; 

Gh'  essendo  causa  del  mio  mal  stata  ella , 

Io  r  odiai  si,  che  non  potea  vedella. 

46  Ella.d' esser  odiata  impaziente 

Da  me,  che  dicea  amar  più  che  sua  vita. 
Ove  donna  restarne  immantinente 
Creduto  avea,  che  V  altra  ne  fosse  ita  ; 
Per  non  aver  sua  doglia  si  presente. 
Non  tardò  molto  a  far  di  qui  partita  ; 
E  in  modo  abbandonò  questo  paese, 
Che  dopo  mai  per  me  non  se  n'  intese. 

47  Cosi  narrava  il  mesto  cavaliere  : 
E  quando  fine  alla  sua  istoria  pose, 
Rinaldo  alquanto  stè  sopra  pensiero, 
Da  pietà  vinto,  e  poi  così  rispose  : 
Mal  consiglio  ti  die  Melissa  in  vero, 
Che  d' attizzar  le  vespe  ti  propose  ; 
E  tu  fosti  a  cercar  poco  avveduto 
Quel  che  tu  avresti  non  trovar  voluto. 

48  Se  d' avarizia  la  tua  donna  vinta 
A  voler  fede  romperti  fu  indotta. 

Non  t'ammirar;  né  prima  ella  né  quinta 
Fu  delle  donne  prese  in  si  gran  tutta  : 
E  mente  via  più  salda  ancora  ò  spinta 
Per  minor  prezzo  a  far  cosa  più  brutta. 
Quanti  uomini  odi  tu,  che  già  per  oro 
Han  traditi  padroni  e  amici  loro  ? 

57* 


438  ORLANDO  FURIOSO. 

4B     Non  dovevi  assalir  con  si  fiere  armi, 
Se  bramavi  veder  farle  difesa. 
Non  sai  ta,  centra  V  oro,  che  nò  i  marmi 
Né  '1  durissimo  acciar  sta  alla  contesa? 
Che  più  fallasti  ta  a  tentarla  parmi. 
Di  lei  che  cosi  tosto  restò  presa. 
Se  te  altrettanto  avess'  ella  tentato. 
Non  80  se  ta  più  saldo  fossi  stato. 

60     Qui  Rinaldo  fé  fine,  e  dalla  mensa 
Levossi  a  nn  tempo,  e  domandò  dormire; 
Che  riposare  nn  poco,  e  poi  si  pensa 
Innanzi  al  di  d' an'  ora  o  due  partire. 
Ha  poco  tempo;  e  '1  poco  e' ha,  dispensa 
Con  gran  misura,  e  invan  noi  lascia  gire. 
Il  signor  di  là  dentro,  a  suo  piacere. 
Disse,  che  si  potea  porre  a  giacere  ; 

51  Gh' apparecchiata  era  la  stanza^  e  '1  letto: 
Ma  che  se  volea  far  per  suo  consiglio, 
Tutta  notte  dormir  potria  a  diletto, 

£  dormendo  avanzarsi  qualche  mìglio. 
Acconciar  ti  farò,  disse,  un  legnetto. 
Con  che  volando,  e  senz' alcun  periglio, 
Tutta  notte  dormendo  vo'  che  vada, 
E  una  giornata  avanzi  della  strada. 

52  La  profferta  a  Rinaldo  accettar  piacque, 
E  molto  ringraziò  l' oste  cortese: 

Poi  senza  indugio  là,  dove  nell*  acque 
Da'  naviganti  era  aspettato,  scese. 
Quivi  a  grande  agio  riposato  giacque. 
Mentre  il  corso  del  fiume  il  legno  prese , 
Che  da  sei  remi  spinto,  lieve  e  snello 
Pel  fiume  andò,  come  per  Tarla  augello. 

63     Cosi  tosto  com'  ebbe  il  capo  chino. 
Il  cavalier  di  Francia  addormentosse  ; 
Imposto  avendo  già,  come  vicino 
Giungea  a  Ferrara,  che  svegliato  fosse. 
Restò  Melara  nel  lite  mancino  ; 
Nel  lite  destro  Sermide  restosse  : 
Figarolo  e  Stellata  il  legno  passa. 
Ove  le  corna  il  Po  iracondo  abbassa. 


i 


CANTO  QUARANTESIMQTERZO.  439 

M     Delle  dae  corna  il  nocchier  prese  il  destro, 
E  lasciò  andar  yerso  Vìnegia  il  manco  : 
Passò  il  Bondeno  ;  e  già  il  color  cilestro 
Si  vedea  in  Oriente  venir  manco  ; 
Che,  votando  di  flor  tatto  il  canestro» 
L'Aurora  vi  facea  vermiglio  e  bianco; 
Quando,  lontan  scoprendo  di  Tealdo 
Ambe  le  rocche,  il  capo  alzò  Rinald<i. 

65  0  città  bene  avventurosa,  disse, 
Di  coi  già  Malagigi,  il  mio  cugino. 
Contemplando  le  stelle  erranti  e  fisse, 
E  constringendo  alcun  spirto  indovino, 
Nei  secoli  futuri  mi  predisse 

(Già  ch'io  facea  con  lui  questo  cammino) 

Gh' ancor  la  gloria  tua  salirà  tanto, 

Ch'  avrai  di  tutta  Italia  il  pregio  e  '1  vanto. 

66  Cosi  dicendo,  e  pur  tuttavia  in  fretta 
Su  quel  battei  che  parea  aver  le  penne, 
Scorrendo  il  re  de*  fiumi,  all' isoletta 
Ch'alia  cittade  è  più  propinqua,  venne: 
E  benché  fosse  allora  erma  e  negletta, 
Pur  s' allegrò  di  rivederla,  e  fenne 
Non  poca  festa  ;  che  sapea  quanto  ella, 
Volgendo  gli  anni,  saria  ornata  e  bella. 

67  Altra  fiata  che  fé  questa  via. 
Udì  da  Malagigi,  il  qual  seco  era, 
Che  settecento  volte  che  si  sia 
Girata  col  monton  la  quarta  sfera, 
Questa  la  più  gioconda  isola  fia 

Di  quante  cinga  mar,  stagno  o  riviera; 
SI  che,  veduta  lei,  non  sarà  ch'oda 
Dar  più  alla  patria  di  Nausicaa  loda. 

6S     Udì  che  di  bei  tetti  posta  innante 
Sarebbe  a  quella  si  a  Tiberio  cara  ; 
Che  cederian  V  Esperide  alle  piante 
Ch'  avria  il  bel  loco,  d' ogni  sorte  rara  ; 
Che  tante  spezie  d' animali,  quante 
Vi  fien,  né  in  mandra  Circe  ebbe  né  in  hara  ; 
Che  v'  avria  con  le  Grazie  e  con  Cupido 
Venere  stanza,  e  non  più  in  Cipro  o  in  Gnido; 


440  ORLANDO  FURIOSO. 

69     £  che  sarebbe  (al  per  stadio  e  cara 
Di  chi  al  sapere  ed  al  potere  anita 
La  voglia  avendo,  d'argìnfi  e  di  mara 
Avria  si  ancor  la  saa  città  manila. 
Che  centra  tatto  il  mondo  star  sicura 
Potria,  senza  chiamar  di  faori  aita  ; 
E  che  d' Ercol  figliool,  d'  Ercol  sarebbe 
Padre  il  signor  che  qaesto  e  qael  far  debbe. 

60  Cosi  venia  Rinaldo  ricordando 

Quel  che  già  il  sao  cogin  detto  gli  avea, 
Delle  fatare  cose  divinando. 
Che  spesso  conferir  seco  solea. 
E  tuttavia  V  amil  città  mirando  : 
Come  esser  paò  eh' ancor,  seco  dicea, 
Debban  cosi  fiorir  queste  paludi 
Di  tatti  i  liberali  e  degni  studi  ? 

61  E  crescer  abbia  di  si  piccol  borgo 
Ampia  cittade  e  di  si  gran  bellezza? 

E  ciò  eh'  intomo  è  tutto  stagno  e  gorgo, 
Sien  lieti  e  pieni  campi  di  ricchezza  ? 
Città,  sinora  a  riverire  assorgo 
L'amor,  la  cortesia,  la  gentilezza 
De' tuoi  signori,  e  gli  onorati  pregi 
Dei  cavalier,  dei  cittadini  egregi. 

€2      L' ineffabil  bontà  del  Redentore, 
De' tuoi  principi  il  senno  e  la  giustizia, 
Sempre  con  pace,  sempre  con  amore 
Ti  tenga  in  abbondanza  ed  in  letizia  ; 
E  ti  difenda  centra  ogni  furore 
De'  tuoi  nimici ,  e  scuopra  lor  malizia  : 
Del  tao  contento  ogni  vicino  arrabbi. 
Piuttosto  che  tu  invidia  ad  alcuno  abbi. 

63     Mentre  Rinaldo  cosi  parla,  fende 
Con  tanta  fretta  il  suttil  legno  l' onde. 
Che  con  maggiore  a  logoro  non  scende 
Falcon  eh'  al  grido  del  padron  risponde. 
Del  destro  corno  il  destro  ramo  prende 
Quindi  il  nocchiero,  e  mura  e  tetti  asconde: 
San  Giorgio  addietro,  addietro  s'allontana 
La  torre  e  della  Fossa  e  di  Gaibana. 


i 


CANTO  QCABANTESIMOTERZO.  441 

64  Rinaldo,  come  accade  eh'  uii  pensiero 
Un  altro  dietro,  e  quello  an  altro  mena, 
Sì  venne  a  ricordar  del  cavaliero, 

Nel  cai  palagio  fu  la  sera  a  cena  ; 
Che  per  questa  cittade,  a  dire  il  vero, 
Avea  giusta  cagion  di  stare  in  pena  : 
E  ricordossi  del  vase  da  bere, 
Che  mostra  altrui  V  error  della  moglìere  ; 

65  E  ricordossi  insieme  della  prova 
Che  d' aver  fatta  il  cavalier  narrolli  : 

Che  di  quanti  avea  esperti,  uomo  non  trova 
Che  bea  nel  vaso,  e  '1  petto  non  s'immolli. 
Or  si  pente,  or  tra  sé  dice  :  E'  mi  giova 
Gh*  a  tanto  paragon  venir  non  volli. 
Riuscendo,  accertava  il  creder  mio; 
Non  riuscendo,  a  che  partito  era  io? 

66  Gli  é  questo  creder  mio,  come  io  Y  avessi 
Ren  certo,  e  poco  accrescer  lo  potrei: 

Si  che,  s'al  paragon  mi  succedessi, 
Poco  il  meglio  saria  eh'  io  ne  trarrei  ;  . 
Ma  non  già  poco  il  mal,  quando  vedessi 
Quel  di  Cilarice  mia,  ch'io  non  vorrei. 
Metter  saria  mille  centra  uno  a  giuoco  ; 
Che  perder  si  può  molto,  e  acquistar  poco. 

67  Stando  in  questo  pensoso  il  cavaliero 
Di  Chiaramente,  e' non  alzando  il  viso, 
Con  molta  attenzion  fu  da  un  nocchiero. 
Che  gli  era  incontra,  riguardato  fiso  : 

£  perchè  di  veder  tutto  il  pensiero. 
Che  l'occupava  tanto,  gli  fu  avviso, 
Come  uom  che  ben  parlava  ed  avea  ardire, 
A  seco  ragionar  lo  fece  uscire. 

63     La  somma  fa  del  lor  ragionamento, 
Che  colui  mal  accorto  era  ben  stato, 
Che  nella  moglie  sua  V  esperimento 
Maggior  che  può  far  donna,  avea  tentato  ; 
Che  quella  che  dall'  oro  e  dall'  argento 
Difende  il  cor  di  pudicizia  armato. 
Tra  mille  spade  via  più  facilmente 
Difenderallo,  e  in  mezzo  al  fuoco  ardente. 


442  ORLANDO  FORIOSO. 

69      n  nocchier  soggiangea:  Ben  gli  dieesli, 
Che  Doa  dovea  offerirle  si  gran  doni  ; 
Che  contrastare  a  qoesU  assalti  e  a  questi 
Colpi  non  sono  tutti  i  petti  booni. 
Non  so  se  d' una  giovane  intendesti 
(Ch'esser  pnò  che  tra  Toi  se  ne  ragioni), 
Che  nel  medesmo  error  vide  il  consorte, 
Di  eh'  esso  avea  lei  condannata  a  morte. 

7D     Dovea  in  memoria  avere  il  signor  mìo, 
Che  r  oro  e  '1  premio  ogni  durezza  inchina  ; 
Ma,  quando  bisognò,  l'ebbe  in  obblio. 
Ed  ei  si  procacciò  la  sua  mina. 
Cosi  sapea  lo  esempio  egli,  com'  io. 
Che  fu  in  questa  città  di  qui  vicina, 
Sua  patria  e  mia,  che  '1  lago  e  la  palude 
Del  rifrenato  Menzo  intomo  chiude  : 

71  D' Adonto  voglio  dir,  che  '1  ricco  dono 
Fé  alla  moglie  del  giudice ,  d' un  cane. 
Di  questo,  disse  il  paladino,  il  suono 
Non  passa  l'Alpe,  e  qui  tra  voi  rimane  ; 
Perchè  né  in  Francia,  né  dove  ito  sono, 
Parlar  n'  udi'  nelle  contrade  estrane  : 

Si  che  di  pur,  se  non  t' ìncresce  il  dire; 
Che  volentieri  io  mi  t' acconcio  a  udire. 

72  II  nocchier  cominciò  :  Già  fu  di  questa 
Terra  un  Anselmo  di  famiglia  degna. 
Che  la  sua  gioventù  con  lunga  vesta 
Spese  in  saper  ciò  eh'  Ulpiano  insegna  ; 
E  di  nobil  progenie ,  bella  e  onesta 
Moglie  cercò,  ch'ai  grado  suo  convegna; 
E  d' una  terra  quindi  non  lontana 

N'  ebbe  una  di  bellezza  soprumana  ; 

73  E  di  bei  modi  e  tanto  graziosi. 
Che  parea  tutto  amore  e  leggiadria  ; 
E  di  mollo  più  forse,  eh'  ai  riposi, 
Ch'  allo  stato  di  lui  non  convenia. 
Toslo  che  l'ebbe,  quanti  mai  gelosi 
Al  mondo  for,  passò  di  gelosia: 

Non  già  ch'altra  cagion  gli  ne  desse  ella, 
Che  d'esser  troppo  accorta  e  troppo  bella. 


i 


CANTO  QOABANTBSIMOTEBZO.  443 

74  Nella  città  medesma  on  cavaliero 
Era  d' antiqua  e  d' onorata  gente , 

Che  discendea  da  quel  lignaggio  altiero 
Gh'  usci  d' una  mascella  di  serpente  ; 
Onde  già  Manto,  e  chi  con  essa  fero 
La  patria  mia,  dìsceser  similmente. 
Il  cavalier,  eh' Adonio  nomìnosse, 
Di  questa  bella  donna  innamorosse: 

75  E  per  venire  a  fin  di  questo  amore, 
A  spender  cominciò  senza  ritegno 

In  vestire 9  in  conviti,  in  farsi  onore. 
Quanto  può  farsi  un  cavalier  più  degno. 
Il  tesor  di  Tiberio  imperatore 
Non  saria  stato  a  tante  spese  al  segno. 
Io  credo  ben  che  non  passar  duo  verni, 
Ch'  egli  usci  fuor  di  tutti  i  ben  paterni. 

76  La  casa  eh'  era  dianzi  frequentata 
Mattina  e  sera  tanto  dagli  amici , 
Sola  restò,  tosto  che  fa  privata 

Di  starne,  di  fagian,  di  coturnici. 
Egli  che  capo  fu  della  brigata, 
Rimase  dietro,  e  quasi  fra  mondici: 
Pensò,  poi  ch'in  miseria  era  venuto, 
D' andare  ove  non  fosse  conosciuto. 

77  Con  questa  intenzione  una  mattina. 
Senza  far  motto  altrui,  la  patria  lascia; 
E  con  sospiri  e  lacrime  cammina 
Lungo  lo  stagno  che  le  mura  fascia. 
La  donna  che  del  cor  gli  era  regina, 
Già  non  obblia  per  la  seconda  ambascia. 
Ecco  un'  altra  avventura  che  lo  viene 
Di  sommo  male  a  porre  in  sommo  bene. 

78  Vede  un  villan  che  con  un  gran  bastone 
Intorno  alcuni  sterpi  s' affatica. 

Quivi  Adonio  si  ferma,  e  la  cagione 
Di  tanto  travagliar  vuol  che  gli  dica. 
Disse  il  villan,  che  dentro  a  quel  macchione 
Veduto  avea  una  serpe  mollo  antica, 
Di  che  più  lunga  e  grossa  a'  giorni  suoi 
Non  vide,  né  credea  mai  veder  poi  ; 


444  OILANOO  FOSIOSO. 

79  E  che  non  n  voleva  ìndi  partire, 
Che  non  V  avesse  rìlrovata  e  morta. 
Come  Adonio  Io  sente  cosi  dire. 
Con  poca  pazienzia  lo  sopporta. 
Sempre  solea  le  serpi  fovorìre  ; 

Che  per  insegna  fl  sangue  suo  le  porta. 
In  memoria  eh'  osci  soa  prima  gente 
De'  denti  seminati  di  serpente. 

80  E  disse  e  fece  col  villano  in  gaisa. 
Che,  soo  mal  grado,  abbandonò  l' impresa  ; 
Si  che  da  lai  non  fa  la  serpe  accisa. 

Né  più  cercata,  né  allrimenli  offesa. 

Adonio  ne  va  poi  dove  s' avvisa 

Che  sua  condìzion  sia  meno  intesa  ; 

E  darà  con  disagio  e  con  affanno 

Fuor  della  patria  appresso  al  settimo  anno. 

81  Né  mai  per  lontananza,  né  strettexia 
Del  viver,  che  i  pensier  non  lascia  ir  vaghi, 
Cessa  Amor  che  si  gli  ha  la  mano  avvezza, 
Ch'  ognor  non  li  arda  il  core,  ognor  impiaghi. 
È  forza  alfin  che  torni  alla  bellezza 

Che  son  di  riveder  si  gli  occhi  vaghi. 
Barbato,  afflitto,  e  assai  male  in  arnese, 
Là  donde  era  venato,  il  cammin  prese. 

82  In  questo  tempo  alla  mia  patria  accade 
Mandare  ano  oratore  al  Padre  santo. 
Che  resti  appresso  alla  sua  Santitade 
Per  alcun  tempo,  e  non  fa  detto  quanto. 
Gettan  la  sorte,  e  nel  giudice  cade. 

Oh  giorno  a  lui  cagion  sempre  di  pianto  I 
Fé  scuse,  pregò  assai,  diede  e  promesse 
Per  non  partirsi  ;  e  alfin  sforzalo  cesse. 

83  Non  gli  parea  crudele  e  duro  manco 
A  dover  sopportar  tanto  dolore. 

Che  se  veduto  aprir  s' avesse  il  fianco, 
E  vedutosi  trar  con  mano  il  core. 
Di  geloso  timor  pallido  e  bianco 
Per  la  sua  donna,  mentre  staria  fuore, 
Lei  con  quei  modi  che  giovar  si  crede, 
Supplice  priega  a  non  mancar  di  fede  ; 


CANTO  QDARANTESIMOTERZO.  445 

.  84     Dicendole  eh'  a  donna  né  bellezza. 
Né  nobiltà,  né  gran  fortuna  basta, 
Si  che  di  vero  onor  monti  in  altezza, 
Se  per  nome  e  per  opre  non  è  casta  ; 
£  che  quella  virtù  vìa  più  si  prezza. 
Che  di  sopra  riman  quando  contrasta  ; 
£  ch'or  gran  campo  avria,  per  questa  absenza, 
Di  far  di  pu€licizia  esperienza. 

€5      Con  tai  le  cerca  ed  altr^  assai  j^role 
Persuader  eh'  ella  gli  sìa  fedele. 
Della  dura  partita  ella  si  duole. 
Con  che  lacrime,  oh  Dio!  con  che  querele I 
£  giuca  che  più  tosto  oscuro  il  sole 
Yedrassi,  che  gli  sia  mai  si  crudele, 
Che  rompa  fede  ;  e  che  vorria  morire» 
Piuttosto  eh'  aver  mai  questo  desire. 

86  Ancor  eh' a  sue  promesse  e  a  suoi  scongiuri 
Desse  credenza  e  si  acchetasse  alquanto. 
Non  resta  che  più  intender  non  procuri, 

£  che  materia  non  procacci  al  pianto. 
Avea  uno'amico  suo,  che  dei  fuluri 
Gasi  predir  teneva  il  pregio  e  '1  vanto; 
£  d' ogni  sortilegio  e  magic'  arte 
0  il  tutto,  0  ne  sapea  la  maggior  parte. 

87  Diégli,  pregando,  di  vedere  assunto. 
Se  la  sua  moglie,  nominata  Argia, 
Nel  tempo  che  da  lei  starà  disgiunto, 
Fedele  e  casta,  o  pel  contrario  fia. 
Colui,  da  prieghi  vinto,  tolte  il  punto; 
Il  ciel  6gura  come  par  che  stia. 
Anselmo  il  lascia  in  opra,  e  l'altro  giorno 
A  luì  per  la  risposta  fa  ritorno. 

88  L' astrologo  tenea  le  labbra  chiuse. 
Per  non  dire  al  dottor  cosa  che  doglia  ; 
£  cerca  di  tacer  con  molle  scuse. 
Quando  pur  del  suo  mal  vede  e' ha  voglia. 
Che  gli  romperà  fede,  gli  concluse. 
Tosto  eh'  egli  abbia  il  pie  fuor  della  soglia , 
Non  da  bellezza  né  da  prieghi  indotta. 
Ma  da  guadagno  e  da  prezzo  corrotta. 

u.  58 


446  ORLANDO  FURIOSO. 

89  Giante  al  timore»  al  dubbio  ch'area  prioM^ 
Queste  minacce  dei  saperni  moti, 

Come  gli  stedse  il  cor  io  stesso  stima. 
Se  d'amor  gK  accidenti  ti  son  noti. 
E  sopra  ogni  mestizia  che  1*  opprima, 
E  che  Y  aflSitta  mente  aggiri  e  annoti, 
È  '1  saper  come.  Tinta  d' ayarisia. 
Per  prezza  abbia  a  lasciar  sna  podicizia. 

90  Or  per  for  guanti  potea  far  ripari 
Da  non  lasciarla  in  queir  error  oadere 
(Perchè  il  bisogno  a  dispogliar  gli  altari 
Tra'P  Qom  talvolta,  che  se  '1  trova  avere), 
Ciò  che  tenea  di  gioie  e  di  danai! 

(Che  n' avea  somma)  pose  in  soo  potere: 

Rendite  e  frotti  H'  ogni  possessione , 

E  ciò  e'  ha  al  mondo,  in  man  tatto  le  pone  : 

91  Con  facaltade,  disse,  che  ne'tnoi 
Non  sol  bisogni  te  li  goda  e  spenda, 
Ma  che  ne  possi  far  ciò  che  ne  vuoi. 
Li  consumi,  li  getti,  e  doni  e  venda. 
Altro  conto  saper  non  ne  vo'  poi^ 

Pur  che,  qual  ti  lascio  or,  tu  mi  ti  renda  ; 
Pur  che,  come  or  tu  sei,  mi  sie  rimasa. 
Fa  eh'  io  non  trovi  né  poder  né  casa. 

92  La  prega  che  non  faccia,  se  non  sente 
Ch'  egli  ci  sia ,  nella  d ttà  dimora  ; 

Ma  nella  villa,  ove  più  agiatamente 
Viver  potrà  d' ogni  commercio  fuora. 
Questo  dicea,  però  che  V  omil  gente. 
Che  nel  gregge  o  ne'  campi  gli  lavora, 
Non  gli  era  avviso  che  le  caste  voglie 
Contaminar  potessero  alla  moglie. 

93  Tenendo  tuttavia  le  belle  braccia  • 
Al  timido  marito  al  collo  Argia, 

E  di  lacrime  empiendogli  la  faccia, 
Ch'  un  flomicel  dagli  occhi  le  n'  uscia  ; 
S'attrista  che  colpevole  la  faccia. 
Come  di  fé'  mancata  già  gli  sia  ; 
Che  questa  sua  sospizion  procede 
Perchè  non  ha  nella  sua  fede  fede. 


CINTO  QUARAMTESIMOTERZO.  447 

9é     Troppo  sarà  s^io  voglio  ir  rimembrando 
Ciò  eh'  al  pArlir  da  tramendua  fa  detto. 
Il  mio  onor,  dic«  alfin ,  ti  raccomando  : 
Piglia  licenzia,  epartesi  in  effètto; 
E  ben  si  sente  veramente,  quando 
Volge  il  cavallo,  uscire  il  cor  del  petto. 

*"     Ella  lo  segue,  qnai^to  seguir  puote, 
Con  gli  occhi  che  le  rigano  le  ^ote. 

95  Adonio  intanto  misero  e  tapino, 
E,  come  io  dìssi^  pallido  e  barbato, 
Verso  la  patria  avea  preso  il  cammino , 
Sperando  di  non  esser  conosciuto. 

Sul  lago  giunse  alla  città  vicino, 
Là  dove  avea  dato  alla  biscia  aiuto, 
Ch'era  assediata  eùtro  la  macchia  forte 
Da  quel  villan  che  por  la  volea  a  morte. 

96  Quivi  arrivando  in  sa  V  aprir  del  giorno , 
Gh'  ancor  splendea  nel  cielo  alcuna  stella, 
Si  vede,  in  peregrino  abito  adorno 

Venir  pel  lito  incontra  una  donzella 
In  signoril  sembiante ,  ancor  eh'  intorno 
Non  r  apparisse  né  scudier  ne  ancella. 
Costei  con  grata  vista  lo  raccolse, 
£  poi  la  lìngua  a  tal  parole  sciolse: 

97  Sebben  ndn  mi  conosci,  o  cavaliere, 
Son  tua  parente,  e  grande  obbligo  t' aggio  : 
Parente  son,  perchè  da  Cadmo  fiero 
Scende  d' amenduo  noi  Y  alto  lignaggio. 

Io  son  la  fata  Manto,  che  '1  primiero 
Sasso  messi  a  fondar  questo  villaggio  ; 
E  dal  tùìo  nome  (come  ben  forge  hai 
Contare  udito)  Mantua  la  nomai. 

9S     Delle  Fate  io  son  una;  ed  il  fatale 
Stato  per  farti  anco'saper  eh' importe, 
Nascemino  a  un  punto,  che  d' ogni  altro  male 
Siamo  capaci ,  fuorché  della  morte. 
ila  giunto  è  con  questo  essere  immortale 
Condizion  non  men  del  morir  forte  ; 
Ch'  ogni  settimo  giorno  ognuna  è  certa 
Che  la  sua  forma  in  biscia  ai  converta. 


448  ORLANDO  FURIOSO. 

99      II  vedersi  coprir  del  bratto  scoglio, 
E  gir  serpendo,  è  cosa  tanto  schiva. 
Che  non  è  pare  al  mondo  altro  cordoglio  ; 
Talché  bestemmia  ogrìana  d'esser  viva. 
£  r  obbligo  et)'  io  t' ho  (perchè  ti  voglio 
Insieraemente  dire  onde  deriva) 
To  saprai;  che  quel  4ì,  per  esser  tali, 
Siamo  a  periglio  d' infiniti  mali. 

dOO     Non  è  si  odiato  altro  animale  in  terra, 
Cooote  la  serpe;  e  noi,  ohe  n'abbiam  faccia, 
Patimo  da  ciascuno  oltraggio  e  guerra  ; 
Che  chi  ne  vede,  ne  percuote  e  caccia. 
Se  non  troviamo  ove  tornar  sotterra. 
Sentiamo  quanto  pesa  altrui  le  braccia. 
Meglio  saria  poter  morir,  che  rotte 
E  storpiate  restar  sotto  le  botte. 

iOl      L'obbligo  eh' io  t'ho  grande,  è  ch'una  v«l(a 
Che  tu  passavi  per  quesf  ombre  amene, 
Per  te  di  mano  fui  d' un  vìUan  tolta  , 
Che  gran  travagli  m' avea  dati  e  pene. 
Se  to  non  eri,  io  non  andava  asciolta. 
Ch'io  non  portassi  rotto  e  capo  e  schene^ 
£  che  sciancata  non  restassi  e  storta, 
Sebben  non  vi  potea  rimaner  morta  : 

402  Perchè  quei  giorni  che  per  terra  il  petto 
Traemo  avvolte  in  serpentile  scorza. 

Il  ciel,  eh' hi  altri  tempi  è  a  noi  soggetto, 
Niega  ubbidirci  i  e  prive  siam  di  forza. 
In  altri  tempi  ad  un  sol  nostro  detto 
Il  Sol  si  ferma,  e  la  sua  luce  ammorza  ; 
L'immobil  terra  gira,  e  muta  loco: 
S'infiamma  il  ghiaccio,  e  si  congela  il  fuoco. 

403  Ora  io  son  qui  per  renderti  mercede 
Del  beneficio  che  mi  fasti  allora. 
Nessuna  grazia  indarno  or  mi  si  chiede, 
Ch'  io  son  del  manto  viperino  fuora. 
Tre  volle  più  che  di  tuo  padre  erede 
Non  rimanesti,  io  ti  fo  ricco  or  ora  : 
Né  vo' che  mai  più  povero  diventi. 

Ma  quanto  spendi  più,  che  più  augumentì. 


CANTO  QUABÀNTESIMOTERZO.  44^ 

104      E  perchè  so  che  nell'  anliqao  nodo , 
In  che  già  Amor  t' avvinse,  anco  ti  (rovi; 
Yoglìoti  dimostrar  V  ordine  e  '1  modo 
Ch'  a  disbramar  tuoi  desiderj  giovi. 

10  voglio,  or  che  lontano  il  marito  odo^ 
Che  senza  indugio  il  mio  consiglio  provi: 
Yadi  a  trovar  la  donna  che  dimora 
Fuori  alla  villa ,  e  sarò  teco  io  ancora. 

405      Fi  segnitò  narrandogli  in  che  guisa 
Alla  sua  donna  vuol  che  s'appresenti; 
Dico  come  vestir,  come  precìsa- 
Mente  abbia  a  dir,  come  la  prieghi  e  tenti  ; 
£  che  forma  essa  vuol  pigliar,  divisa; 
Che,  fuor  che  '1  giorno  eh*  erra  tra'  serpenti» 
In  tutti  gli  altri  si  può  far,  secondo 
Che  più  le  pare,  in  quante  forme  ha  il  mondo. 

106     Messe  in  abito  lui  di  peregrino, 

11  qual  per  Dio  di  porta  in  porta  accatti. 
Mutossi  ella  in  nn  cane,  il  più  piccino 
Di  quanti  mai  n'  abbia  natura  fatti  : 

Di  pel  lungo,  più  bianco  eh' armellino. 
Di  grato  aspetto  e  di  mirabili  atti. 
Così  trasGgurati,  entrare  in  via 
Verso  la  casa  della  bella  Argia. 

i07     E  dei  lavoratori  alle  capanne, 

Prima  ch'altrove,  il  giovene  fermosse, 
E  cominciò  a  sonar  certe  sue  canne. 
Al  cui  suono  danzando  il  can  rizzosse. 
La  voce  e  '1  grido  alla  padrona  vanne, 
E  fece  si,  che  per  veder  si  mosse. 
Fece  il  romeo  chiamar  nella  sua  corte , 
Si  come  del  dottor  traea  la  sorte. 

iO&     E  quivi  Adonto  a  comandare  al  cane 
Incominciò,  ed  il  cane  a  ubbidir  lui; 
E  far  danze  nostral,  farne  d'estrane. 
Con  passi  e  continenze  e  modi  sui: 
E  finalmente  con  maniere  umane 
Far  ciò  che  comandar  sapea  colui, 
Con  tanta  attenzion,  che  ehi  lo  mira, 
Non  batte  gli  occhi ,  e  appena  il  fiato  spira. 

5$- 


450  OBLAlfDO  FURIOSO. 

109  Gran  maraviglia  »  et  indi  gran  desìre 
Venne  alla  donna  di  quel  can  gentile  ; 
E  ne  &  per  la  balìa  profferire 

Al  canto  peregrin  prezzo  non  vile. 

S' avessi  piò  tesor,  che  mai  sitire 

Potesse  cupidigia  femminile. 

Colui  rispose ,  non  saria  mercede 

Di  comprar  degna  del  mio  cane  un  piede. 

110  E  per  mostrar  che  veri  i  detti  foro, 
Con  la  balla  in  un  canto  si  ritrasse, 
E  disse  al  cane ,  eh'  una  marca  d' oro 
A  quella  donna  in  cortesia  donasse. 
Scossesi  il  cane,  e  vìdesi  il  tesoro. 
Disse  Adonio  alla  balia  che  pigliasse. 
Soggiungendo:  Ti  par  che  prezzo  sìa, 
Per  cui  si  bello  ed  nlil  cane  io  dia  ? 

ili     Cosa ,  qnal  rùgU  sìa,  non  gli  domando. 
Di  eh'  io  ne  tomi  mai  con  le  man  vote  : 
E  quando  perle,  e  quando  auella,  e  quando 
Leggiadra  veste  e  di  gran  prezzo  scuote. 
Pur  di  a  madonna,  che  fia  al  suo  comando, 
Per  oro  no ,  eh'  oro  pagar  noi  puote  ; 
Ma  se  vuol  eh'  una  notte  seco  io  giaccia. 
Abbiasi  il  cane,  e  '1  suo  voler  né  faccia. 

if2      Cosi  dice  ;  e  una  gemma  allora  nata 
Le  dà,  eh'  alla  padrona  l' appresentì. 
Pare  alla  balia  averne  più  derrata, 
Che  di  pagar  dieci  ducati  o  venti. 
Toma  alla  donna ,  e  le  fa  l'imbasciata; 
£  la  conforta  poi,  che  si  contenti 
D' acquistare  il  bel  cane  ;  eh'  acquistarlo 
Per  prezzo  può,  che  non  si  perde  a  darlo. 

113     La  bella  Argia  sta  ritrosetta  in  prima  ;• 
Parte,  che  la  sua  fé' romper  non  vuole; 
Parte,  ch'esser  possibile  non  stima 
Tutto  ciò  che  ne  suonan  le  parole. 
La  balia  le  ricorda,  e  rode  e  lima. 
Che  tanto  ben  di  rado  avvenir  sqole  ; 
E  fé  che  1*  agio  un  altro  di  sì  tolse , 
Che  'I  can  veder  senza  tanti  occhi  volse. 


CANTO  QUARANTESIMOTERZO.  451 

114     Quést'  altro  comparir  eh'  Adonio  fece, 
Fa  la  ruina  e  del  dottor  la  morte. 
Facea  nascer  le  doble  a  diece  a  diece, 
Filze  di  perle,  e  gemme  d' ogni  sorte  : 
Si  che  ili  superbo  cor  mansuefece, 
Che  tanto  meno  a  contrastar  fa  forte. 
Quanto  poi  seppe  che  costui  eh'  innante 
Gli  fa  partito,  è  'I  cavalier  suo  amante. 

fi5     Della  puttana  sua  balia  i  conforti, 

I  prieghi  deir  amante  e  la  presenzia y 

II  veder  che  guadagna  se  V  apporti, 
Del  misero  dottor  la  lunga  absenzia. 

Lo  sperar  ch'alcun  mai  non  lo  rapporti. 
Fero  ai  casti  pensier  tal  violenzia. 
Ch'ella  accettò  il  bel  cane,  e  per  mercede 
In  braccio  e  in  preda  al  suo  amator  si  diede. 

116     Adonio  lungamente  frutto  colse 
Della  sua  bella  donna,  a  cui  la  fata 
Grande  amor  pose,  e  tanto  le  ne  volse. 
Che  sempre  star  con  lei  si  fa  obbligata. 
Per  tutti  i  segui  il  Sol  prima  si  volse, 
Ch'ai  giudice  licenzia  fosse  data: 
Alfìn  tornò,  ma  pien  di  gran  sospetto 
Per  quel  che  già  l' astrologo  avea  detto. 

117      Fa,  ginnto  nella  patria,  il  primo  volo 
A  casa  dell'  astrologo,  e  gli  chiede 
Se  la  sua  donna  fatto  inganno  e  dolo, 
Òppur  servato  gli  abbia  amore  e  fede. 
Il  sito  Ggarò  colui  del  polo, 
Ed  a  tutti  i  pianeti  il  luogo  diede  : 
Poi  rispose,  che  quel  eh'  avea  temuto,   . 
Come  predetto  fa,  gli  era  avvenuto; 

US     Che  da  doni  grandissimi  corrotta , 
Data  ad  altri  s'avea  la  donna  in  preda. 
Questa  al  dottor  nel  cor  fu  si  gran  botta. 
Che  lancia  e  spiedo  io  vo'  che  ben  le  ceda. 
Per  esserne  più  certo,  ne  va  allotta 
(Benché  pur  troppo  allo  indovino  creda} 
Ov'  è  la  balia,  e  la  tira  da  parte, 
E  per  saperne  il  certo  usa  grand'  arte« 


462  OBLANDO  PaEIOSO. 

4i9     Con  larghi  giri  circondando  prora 
Or  qua  or  là  di  ritrovar  la  traccia  ; 
£  da  principio  nalla  ne  ritrova, 
Con  ogni  diligenzia  che  ne  faccia  ; 
Ch'ella,  che  non  avea  tal  cosa  nuova , 
Stava  negando  con  immobil  faccia  ; 
E  come  bene  inslrulta,  più  d' an  mese 
Tra  il  dubbio  e  '1  certo  il  sao  patron  sospese 

HO     Quanto  dovea  parergli  il  dubbio  buono 
Se  pensava  il  dolor  eh'  avria  del  certo  I 
Poi  eh'  indarno  provò  con  priego  e  dono 
Che  dalla  balia  il  ver  gli  fosse  aperto, 
Nò  toccò  tasto  ove  sentisse  suono 
Altro  che  falso  ;  come  uom  bene  esperto, 
Aspettò  che  discordia  vi  venisse  ; 
Ch'ove  femmine  son,  son  liti  e  risse. 

iti     E  com'egli  aspettò,  cosi  gli  avvenne; 
Ch'  al  primo  sdegno  che  tra  loro  nacque, 
Senza  suo  ricercar,  la  balia  venne 
11  tutto  a  ricontargli,  e  nulla  tacque. 
^  Lungo  a  dir  fora  ciò  che  '1  cor  sostenne , 

Come  la  mente  costernata  giacque 
Dei  giudice  meschin,  che  fu  si  oppresso 
Che  stette  per  uscir  fuor  di  so  stesso  : 

422      E  si  dispose  alfin,  dall'ira  vìnto. 
Morir,  ma  prima  uccider  la  sua  moglie  : 
E  che  d' amendue  i  sangui  un  ferro  tinto 
Levasse  lei  di  biasmo,  e  so  di  doglie. 
Nella  città  se  ne  ritorna,  spinto 
Da  cosi  furibonde  e  cieche  voglie  ; 
Indi  alla  villa  un  suo  fidato  manda, 
E  quanto  eseguir  debba  gli  comanda. 

i23     Comanda  al  servo,  eh'  alla  moglie  Argia 
Torni  alla  villa,  e  in  nome  suo  le  dica 
Ch'egli  è  da  febbre  oppresso  cosi  ria, 
Che  di  trovarlo  vivo  avrà  fatica  : 
Si  che,  senz'aspettar  più  compagnia. 
Venir  debba  con  luì,  s'ella  gli  ò  amica 
(Verrà  :  sa  ben  che  non  farà  parola)  ; 
£  che  tra  via  le  seghi  egli  la  gola. 


CANTO  QUÀRÀNtESlMOTERZO.  4S3 

124     A  chiamar  la  patrona  andò  il  famìglio. 
Per  far  di  lei  quanto  il  signor  commesse. 
Dato  prima  al  suo  cane  ella  dì  piglio, 
BAontò  a  cavallo,  ed  a  cammìn  sì  messe. 
L'avea  il  cane  avvisata  del  periglio, 
Ma  che  d'andar  per  questo  ella  non  stesse; 
Ch'  avea  ben  disegnato  e  provveduto 
On^p  nel  gran  bisogno  avrebbe  aiuto. 

i2b      Levato  il  servo  del  cammino  s' era  ; 
E  per  diverse  e  solitarie  strade 
A  studio  capitò  su  una  riviera 
Che  d'Apennino  in  questo  fiume  cade  ; 
Ov'  era  bosco  e  selva  oscura  e  nera, 
Lungi,  da  villa  e  lungi  da  cittade. 
Gli  parve  loco  tacito  e  disposto 
Per  r  effetto  crudel  che  gli  fu  imposto. 

436     Trasse  la  spada,  e  alla  padrona  disse 
Quanto  commesso  il  suo  signor  gli  avea  ; 
Si  che  chiedesse,  prima  che  morisse, 
Perdono  a  Dio  d' ogni  sua  colpa  rea. 
Non  ti  so  dir  com'  ella  si  coprisse  : 
Quando  il  servo  ferirla  si  credea,  * 
Più  non  la  vide,  e  molto  d' ogn'  interno 
L' andò  cercando,  e  alfin  restò  con  scorno. 

127     Torna  al  patron  con  gran  vergogna  ed  onta, 
Tutto  attonito  in  faccia  e  sbigottito; 
£  r insolito  caso  gli  racconta, 
Gh'  egli  non  sa  come  si  sia  segaìto. 
Gh'  a'  suoi  servigi  abbia  la  moglie  pronta 
La  fata  Manto,  non  sapea  il  marito; 
Ghè  la  balia,  onde  il  resto  avea  saputo, 
Questo,  non  so  perchè,  gli  avea  taciuto. 

i28      Non  sa  che  far  ;  che  nò  V  oltraggio  grave 
Vendicato  ha,  nò  le  sue  pene  ha  sceme. 
Quel  ch'era  una  festuca,  ora  è  una  trave; 
Tanto  gli  pesa,  tanto  al  cor  gli  preme. 
L' error  che  sapean  pochi,  or  si  aperto  bave, 
Ghe  senza  indugio  si  palesi,  teme. 
Potea  il  primo  celarsi  ;  ma  il  secondo. 
Pubblico  in  breve  fia  per  tutto  il  mondOt 


1 


454  ORLANDO  FOBIOSO. 

^129     Conosce  ben  che,  poichò  '1  cor  fettone 
Avea  scoperto  il  misero  centra  essa» 
Ch'  ella,  per  non  tornargli  in  soggezione, 
D'alcan  potente  in  man  si  sarà  messa  ; 
Il  qoal  se  la  terrà  con  irrisione 
Ed  ignominia  del  marito  espressa  ; 
£  forse  anco  verrà  d' alcuno  in  mano. 
Che  ne  fia  insieme  adultero  e  nffi^. 

130      Si  che,  per  rimediarvi,  in  fretta  manda 
Intorno  messi  e  lettere  a  cercarne. 
Chi  'n  quel  loco,  chi  'n  questo  ne  domanda 
Per  Lombardia,  senza  città  lasciarne. 
Poi  va  in  persona,  e  non  si  lascia  banda 
Ove  o  non  vada  o  mandivi  a  spi^ocns: 
Nò  mai  può  ritrovar  capo  nò  via 
Di  venire  a  notizia  che  ne  sia. 

i3i     Alfln  chiama  quel  servo,  a  chi  fu  inywsta 
L' opra  crudel  che  poi  non  ebbe  effetto, 
£  fa  che  lo  conduce  ove  nascosta 
Se  gli  era  Argia,  si  come  gli  avea  detto  ; 
Che  forse  in  qualche  macchia  il  di  reposta, 
La  notte  si  ripara  ad  alena  tetto. 
Lo  guida  il  servo  ove  trovar  si  crede 
La  folta  selva,  e  un  gran  palagio  vede. 

132  Fatto  avea  farsi  alla  sua  fata  intanto 
La  bella  Argia  con  subito  lavoro 

D' alabastri  un  palagio  per  incanto. 
Dentro  e* di  fuor  tutto  fregiato  d'oro. 
Nò  lingua  dir,  nò  cor  pensar  può  quanto 
Avea  beltà  di  fuor,  dentro  tesoro. 
Quel  che  iersera  si  ti  parve  bello. 
Del  mìo  signor,  saria  un  tugurio  a  quello. 

133  E  di  panni  di  razza,  e  di  cortine 
Tessute  riccamente  e  a  varie  foggio. 
Ornate  eran  le  stalle  e  le  cantine, 

Non  sale  pur,  non  pur  camere  e  loggie; 
Vasi  d' oro  e  d' argento  senza  fine. 
Gemme  cavate,  azzurre  e  verdi  e  roggie, 
£  formate  in  gran  pialli  e  in  coppe  e  in  nappi, 
£  senza  fin  d\oro  e  di  seta  drappi. 


CANTO  QCABANTE8ISI0TBRZ0.  455 

•134     II  giudice,  siccome  io  vi  dicea, 
Venne  a  questo  palagio  a  dar  di  petto. 
Quando  né  una  capanna  si  credea 
Di  ritrovar,  ma  solo  il  bosco  schietto. 
Per  ralla  maravigUa  che  n' avea. 
Esser  si  credea  uscito  d' intelletto  : 
Non  sapea  se  foss' ebbro,  o  se  sognasse, 
*  Oppur  se  '1  cervel  scemo  a  volo  andasse. 

izs     Vede  innanzi  alla  porta  un  Etiopo 

Con  naso  e  labbri  grossi  ;  e  ben  gli  è  avviso 
Che  non  vedesse  mai,  prima  né  dopo, 
Un  éosi  sozzo  e  dispiacevol  viso  ; 
Poi  di  fattezze,  qual  si  pifige  Esopo, 
D'attristar,  se  vi  fosse,  il  paradiso  ; 
Bisunto  e  sporco,  e.d'  abito  mendico  : 
Nò  a  mezzo  ancor  di  sua  bruttezza  io  dico. 

136  Anselmo^,  che  non  vede  altro  da  cui 
Possa  saper  di  chi  la  casa  sia, 

A  lui  s' accosta,  e  ne  domanda  a  lui  ; 

Ed  ei  risponde  :  Questa  casa  è  mia. 

11  giudice  è  ben  certo  che  colui 

Lo  lieffi ,  e  che  gli  dica  la  bugia  : 

Ma  con  scongiuri  il  Negro  ad  affermare 

Gh«  sua  è  la  casa,  e  «h'  altri  non  v'  ha  a  fare  ; 

137  E  gli  offerisce,  se  la  vuol  vedere, 
Che  dentro  vada,  e  cerchi  come  voglia  ; 
E  se  v'  ha  cosa  che  gli  sia  in  piacere 

O  per  sé  o  per  gli  amici,  se  la  teglia. 
Diede  il  riavallo  al  servo  suo  a  tenere 
Anselmo,  e  messe  il  pie  dentro  alla  soglia; 
E  per  sale  e  per  camere  condotto. 
Da  basso  e  d' alto  andò  mirando  il  tutto* 

d38     La  forma,  il  sito,  il  ricco  e  bel  lavoro 
Va  contemplando,  e  l'ornamento  regio; 
E  spesso  dice  :  Nop  potria  quant'  oro 
t  sotto  il  Sol  pagare  il  loco  egregio. 
A  questo  gli  risponde  il  brutto  Moro, 
E  dice:  E  questo  ancor  trova  il  suo  pregio: 
Se  opn  d' oro  o  d' argento,  nondimeno 
Pagar  lo  può  quel  che  vi  costa  meno. 


456  OBLAMOO  FURIOSO. 

i39     E  gli  fa  la  medesima  richiesta 

Ch'  avea  già  AdoDìo  alla  saa  moglie  fatta. 
Dalla  bratta  domanda  e  disonesta. 
Persona  lo  stimò  bestiale  e  matta. 
Per  tre  repulse  e  quattro  egli  non  resta  ; 
E  tanti  modi  a  persuaderlo  adatta, 
Sempre  offerendo  in  merito  il  palagio, 
Che  fé  inchinarlo  al  sao  yoler  malvagio. 

440     La  moglie  Argia,  che  stava  appresso  ascosa, 
Poi  che  lo  ìùde  nel  sao  error  caduto, 
Saltò  fuora  gridando  :  Ah  degna  cosa 
Ch'io  veggo  di  dottor  saggio  tenuto! 
Trovato  in  si  mar  opra  e  viziosa. 
Pensa  se  rosso  far  si  deve  e  muto. 
O  terra,  acciò  ti  si  gittasse  dentro. 
Perchè  allor  non  t' apristi  insino  al  centro? 

141  La  donna  in  suo  discarco^  ed  in  vergogna 
D'Anselmo,  il  capo  gV  intronò  di  gridi. 
Dicendo:  Come  te  punir  bisogna 

Di  quel  che  far  con  si  vii  uom  ti  vidi. 
Se  per  seguir  quel  che  natura  agogna. 
Me,  vìnta  a'  prieghi  del  mio  amaqie,  uccidi, 
Ch'  era  bello  e  gentile,  e  un  dono  tale 
Mi  fé,  eh'  a  quelAulla  il  palagio  vale? 

142  S' io  ti  parvi  esser  degna  d' una  morte, 
Conosci  che  ne  sei  degno  di  cento  : 

E  benché  in  questo  loco  io  sia  si  forte, 
Ch'  io  possa  di  te  fare  il  mio  talento , 
Pure  io  non  vo'  pigliar  di  peggior  sorte 
Altra  vendetta  del  tuo  fallimento. 
Di  par  r  avere  e  '1  dar,  marito,  poni  ; 
Fa,  com'io  a  te,  che  tu  a  me  ancor  perdoni: 

143  E  sia  la  pace  e  sia  l' accorda  fatto, 
Ch'  ogni  passato  error  vada  in  obblio  ; 
Né  eh'  in  parole  io  possa  mai  né  in  atto 
Ricordarti  il  tuo  epror,  né  a  me  tu  il  pio. 
Il  marito  ne  parve,  aver  buon  patto. 

Né  dimostrossi  al  perdonar  restio. 
Cosi  a  pace  e  concordia  ritornarop. 
E  sempre  poi  fu  T  uno  ali*  altro  caro. 


CANTO  QUARANTESIMOTBBZO.  .     457 

i44      Coal  dì$se  il  nocchiero  ;  e  mosse  a  riso 
Rinaldo  al  fin  delia  saa  istoria  un  poco  ; 
E  diventar  gli  fece  a  un  tratto  il  viso, 
Per  r  onta  del  dottor,  come  di  fuoco. 
Rinaldo  Argia  mollo  lodò,  eh'  avviso 
Ebbe  d' alzare  a  quello  augello  un  gioco 
Ch'  alla  medesma  rete  fé  cascallo, 
In  che  cadde  ella,  ma  con  minor  fallo. 

^45      Poi  che  più  in  alto  il  sole  il  cammin  prese, 
Fé  il  paladino  apparecchiar  la  mensa, 
Ch'  avea  la  notte  il  mantuan  cortese 
Provvista  con  larghissima  dispensa. 
Fugge  a  sinistra  intanto  il  bel  paese, 
Ed  a  man  destra  la  palude  immensa  : 
Viene  e  fuggesì  Argenta  e  '1  suo  girone. 
Col  lite  ove  Santerno  il  capo  pone. 

Uò     Allora  la  Rastia  credo  non  v'era, 
Di  che  non  troppo  si  vantar  Spagnuoli 
D' avervi  su  tenuta  la  bandiera  ; 
Ma  più  da  pianger  n'  hanno  i  Romagnuoli. 
E  quindi  a  Filo  alla  dritta  riviera 
Cacciano  il  legno,  e  fan  parer  che  voli. 
Lo  volgon  poi  per  una  fossa  morta, 
Ch'  a  mezzodì  presso  a  Ravenna  il  porta. 

W     Renché  Rinaldo  con  pochi  danari 
Fosse  sovente,  pur  n'avea  si  allora, 
Che  cortesia  ne  fece  a'  marinari. 
Prima  che  li  lasciasse  alla  buon'  ora. 
Quindi  mutando  bestie  e  cavallari, 
A  Rimino  passò  la  sera  ancora  ; 
Né  in  Montefiore  aspetta  il  mattutino, 
E  quasi  a  par  col  Sol  giunge  in  Urbino. 

44S     Quivi  non  era  Federico  allora, 

Né  Lisabetta,  né  'I  buon  Guido  v'era, 

Né  Francesco  Maria,  né  Leonora, 

Che  con  cortese  forza,  e  non  altiera, 

Avesse  astretto  a  far  seco  dimora 

Si  famoso  guerrier  più  d' una  sera  ; 

Come  fer  già  molti  anni,  ed  oggi  fanno 

A  donne  e  a  cavalier  che  di  là  vanno. 
Ut  S9 


158  ORLANDO  FURIOSO. 

i49     Poiché  qoivi  alla  brìglia  alcon  noi  prende. 
Smonta  Rinaldo  a  Cagli  alla  vìa  dritta. 
Pel  monte  che  '1  Metaoro  o  il  Gaaoo  fende, 
Passa  Apennino,  e  più  non  Tha  a  man  ritta; 
Passa  gli  Ombri  e  gli  Etrosci,  e  a  Roma  scende; 
Da  Roma  ad  Ostia  ;  e  quindi  si  tragitta 
Per  mare  alla  cìttade  a  coi  commise 
Il  pietoso  figliaol  l' ossa  d' Anchise. 

450     Mota  ivi  legno,  e  verso  T isoletta 
Di  Lìpadasa  fa  ratto  levarsi  ; 
Quella  che  fa  dai  combattenti  eletta, 
Ed  ove  già  stati  erano  a  trovarsi. 
Insta  Rinaldo,  e  gli  nocchieri  affretta, 
Ch'  a  vela  e  a  remi  fan  ciò  che  può  farsi  ; 
Ma  i  venti  avversi,  e  per  lui  mal  gagliardi, 
Lo  fecer,  ma  di  poco,  arrivar  tardi. 

151  Giunse  eh'  appunto  il  principe  d' Anglaote 
Fatta  avea  r  utile  opra  e  gloriosa  : 

Avea  Gradasso  ucciso  ed  Agramante, 
Ma  con  dura  vittoria  e  sanguinosa. 
Morto  n'  era  il  figliuol  di  Monodante  ; 
£  di  grave  percossa  e  perigliosa 
Stava  Olivier  languendo  in  su  V  arena, 
E  del  pie  guasto  avea  martire  e  pena. 

152  Tener  non  potè  il  conte  asciutto  il  viso. 
Quando  abbracciò  Rinaldo,  e  che  narrolli 
Che  gli  era  stato  Brandimarte  ucciso. 
Che  tanta  fede  e  tanto  amor  portelli. 

Né  men  Rinaldo,  quando  si  divìso 
Vide  il  capo  all'amico,  ebbe  occhi  molli: 
Poi  quindi  ad  abbracciar  si  fu  condotto 
Olivier,  che  sedea  col  piede  rotto. 

163      La  consolazìon  che  seppe,  tutta 

Die  lor,  benché  per  sé  tor  non  la  possa  ; 
Che  giunto  si  vedea  quivi  alle  frutta, 
Anzi  poi  che  la  mensa  era  rimossa. 
Andare  i  servi  alla  città  distrutta, 
£  di  Gradasso  e  d' Agramante  V  ossa 
Nelle  ruine  ascoser  di  Riseria, 
E  quivi  divulgar  la  cosa  certa. 


CANTO  QI7ARANTESIH0TERZ0.  459 

454     Della  vittoria  eh'  avea  avuto  Orlando, 
S' allegrò  Astolfo  e  Sansonetto  molto  ; 
Non  si  però,  come  avrian  fatto,  quando 
Non  fosse  a  Brandimarte  il  lame  tolto. 
Sentir  lai  morto  il  gaudio  va  scemando 
Si,  che  non  ponno  asserenare  il  volto. 
Or  chi  sarà  di  lor,  eh'  annunzio  voglia 
A  Fiordiligi  dar  di  si  gran  doglia? 

i55     La  notte  che  precesse  a  questo  giorno , 
Fiordiligi  sognò  che  quella  vesta 
€he,  per  mandarne  Brandimarte  adorno, 
Avea  trapunta  e  di  sua  man  contesta, 
Yedea  per  mezzo  sparsa  e  d' ogn' intorno 
Di  goccie  rosse,  a  guisa  di  tempesta: 
Parea  che  di  sua  man  cosi  l' avesse 
Ricamata  ella,  e  poi  se  ne  dogliesse. 

156     E  parea  dir  :  Pur  hammi  il  signor  mio 
Commesso  eh'  io  la  faccia  tutta  nera  : 
Or  perchè  dunque  ricamata  hoir  io 
Centra  sua  voglia  in  si  strana  maniera? 
Di  questo  sogno  fé  giudicio  rio  ; 
Poi  la  novella  giunse  quella  sera  : 
Ma  tanto  Astolfo  ascosa  le  la  tenne, 
Ch'  a  lei  con  Sansonetto  se  ne  venne. 

i57     Tosto  ch'entrare,  e  ch'ella  loro  il  viso 
Vide  di  gaudio  in  tal  vittoria  privo, 
Senz'altro  annunzio  sa,  senz'altro  avviso, 
Che  Brandimarte  suo  non  è  più  vivo. 
Di  ciò  le  resta  il  cor  cosi  conquiso, 
£  cosi  gli  occhi  hanno  la  luce  a  schivo, 
E  cosi  ogni  altro  senso  se  le  serra. 
Che  come  morta  andar  si  lascia  in  terra. 

m     Al  tornar  dello  spirto,  ella  alle  chiome 
Caccia  le  mani  ;  ed  alle  belle  gote. 
Indarno  ripetendo  il  caro  nome. 
Fa  danno  ed  onta  più  che  far  lor  puote  : 
Straccia  i  capelli  e. sparge;  e  grida  come 
Donna  talor  che  '1  demon  rio  percuote, 
0  come  s' ode  che  già  a  suon  di  corno 
Menade  corse,  ed  aggirossi  intorno. 


460  OBLANDO  FURIOSO. 

ih9     Or  questo  or  quel  pregando  va,  che  porlo 
Le  sia  un  coUel,  si  che  nel  cor  si  fera  : 
Or  correr  yaol  là  dovè  il  legno  in  porto 
Dei  duo  signor  defanti,  arrivato  era, 
E  deir  uno  e  dell'  altro  cosi  morto 
Far  crudo  stràzio,  e  vendetta  aera  e  fiera: 
Or  vuol  passare  il  mare,  e  cercar  tanto, 
Che  possa  al  suo  signor  morire  accanto. 

160  Deh  perchè,  Brandimarte,  ti  lasciai 
Senza  me  andare  a  tanta  impresa?  (disse] 
Vedendoti  partir,  non  fu  più  mai 

Che  Fiordiligi  tua  non  ti  seguisse. 
T'avrei  giovato,  sMo  veniva,  assai, 
Ch'avrei  tenute  in  te  le  luci  fisse; 
E  se  Gradasso  avessi  dietro  avuto, 
Con  un  sol  grido  io  t' avrei  dato  aiuto  ; 

161  O  forse  esser  potrei  stata  si  presta, 

Ch'  entrando  in  mezzo,  il  colpo  t' avrei  tdto  : 
Fatto  scudo  t' avrei  con  la  mia  testa  ; 
Che  morendo  io,  non  era  il  danno  molto. 
Ogni  modo  io  morrò  ;  né  fia  di  questa 
Dolente  morte  alcun  profitto  colto  ; 
Che,  quando  io  fossi  morta  in  tua  difesa. 
Non  potrei  meglio  aver  la  vita  spesa. 

162  Se  pur  ad  aiutarti  t  duri  fati 
Avessi  avuti  e  tutto  il  cielo  avverso. 
Gli  ultimi  baci  almeno  io  t'avrei  dati, 
Almen  t' avrei  di  pianto  il  viso  asperso  ; 
E  prima  che  con  gli  angeli  beati 
Fosse  lo  spirto  al  suo  Faltor  converso. 
Detto  gli  avrei  :  Va  in  pace,  e  là  m'aspetta  ; 
Ch'  ovunque  sei ,  son  per  seguirti  in  fretta. 

163  È  questo,  Brandimarte,  è  questo  il  regno, 
Di  che  pigliar  lo  scettro  ora  dovevi? 

Or  cosi  teco  a  Dammogire  io  vegno? 

Cosi  ttel  real  seggio  mi  ricevi? 

Ah  Fortuna  crudel,  quanto  disegno 

Mi  rompi  I  oh  che  speranze  oggi  mi  levil 

Deh,  che  cesso  io,  poi  e'  ho  perduto  questo 

Tanto  mio  ben,  ch'io  non  perdo  anco  il  resto? 


CANtO  QOAAANtESlMOtERZO.  I6i 

464     Questo  ed  altro  dicendo,  in  lei  risorse 
Il  furor  con  tanto  impeto  e  la  rabbia, 
Ch'  a  stracciare  il  bel  crin  di  nuovo  corse, 
Come  il  bel  crin  tutta  la  colpa  n'  abbia. 
Le  mani  insieme  si  percosse  e  morse  ; 
Nel  sen  si  cacciò  V  ugne  e  nelle  labbia. 
Ma  torno  a  Orlando  ed  a"*  compagni,  intanto 
Ch'  ella  si  strugge  e  si  consuma  in  pianto. 

i65      Orlando,  col  cognato  che  non  poco 
Bisogno  avea  di  medico  e  di  cura  ; 
Ed  altrettanto,  perchè  in  degno  loco 
Avesse  Brandì  marte  sepoltura  ; 
Verso  il  monte  ne  va,  che  fa  col  fuoco 
Chiara  la  notte,  e  il  di  di  fumo  oscura. 
Hanno  propizio  il  vento,  e  a  destra  mano 
Non  è  quel  lito  lor  molto  lontano. 

166  Con  fresco  vento  ch'in  favor  veniva, 
Sciolser  la  fune  al  declinar  del  giorno. 
Mostrando  lor  la  taciturna  diva 

La  dritta  via  col  luminoso  corno; 
£  sorser  V  altro  di  sopra  la  riva 
Ch'  amena  giace  ad  Agrigento  intorno. 
Quivi  Orlando  ordinò  per  l' altra  sera 
Ciò  eh'  a  funeral  pompa  bisogno  era. 

167  Poi  che  r  ordine  suo  vide  eseguito. 
Essendo  ornai  del  sole  il  l^me  spento. 
Fra  molla  nobiltà  eh'  era  allo  'nvito 
De|  luoghi  intorno  corsa  in  Agrigento, 
D'  accesi  torchi  tutto  ardendo  '1  lìlo, 
E  di  grida  sonando  e  di  lamento, 
Tornò  Orlando  ove  il  corpo  fu  lasciato, 
Che  vivo  e  morto  avea  con  fede  amato. 

i6S     Quivi  Bardin,  di  soma  d'anni  grave, 
Stava  piangendo  alla  bara  funebre. 
Che  pel  gran  pianto  eh' avea  fatto  in  nave, 
Dovria  gli  occhi  aver  pianti  e  le  palpebre. 
Chiamando  il  ciel  crudel,  le  stelle  prave, 
Ruggia  come  un  leon  eh'  abbia  la  febre. 
Le  mani  erano  intanto  empie  e  ribelle 
Ai  crin  canuti  e  alla  rugosa  pelle. 

59* 


462  ouLANDo  Fumoso. 

169      Levossi,  al  ritornar  del  paladino, 

Maggiore  il  grido ,  e  raddoppiossi  il  pianto. 
Orlando,  fatto  al  corpo  più  vicino. 
Senza  parlar  stette  a  mirarlo  alquanto  y 
Pallido  come  colto  al  mattutino 
£  da  sera  il  ligustro  o  il  molle  acanto  ; 
E  dopo  un  gran  sospir,  tenendo  fisse 
Sempre  le  luci  in  lui ,  cosi  gli  disse  : 

i70      O  forte,  0  caro,  o  mio  fedel  compagno, 
Che  qui  sei  morto,  e  so  che  vivi  in  cielo, 
E  d' una  vita  v'  hai  fatto  guadagno. 
Che  non  ti  può  mai  tor  caldo  né  gielo , 
Perdonami,  sebben  vedi  eh'  io  piagno; 
Perchè  d'esser  rimase  mi  querelo, 
E  eh'  a  tanta  letizia  io  non  son  teco; 
Non  già  perchè  quaggiù  tu  non  sia  meco. 

171  Solo  senza  te  son  ;  né  cosa  in  terra 
Senza  te  posso  aver  più  che  mi  piaccia. 
Se  teco  era  in  tempesta  e  teco  in  guerra. 
Perchè  non  anco  in  ozio  ed  in  bonaccia? 
Ben  grande  è  '1  mio  fallir,  poiché  mi  serra 
Di  questo  fango  uscir  per  la  tua  traccia. 
Se  negli  affanni  teco  fui,  perch'  ora 

Non  sono  a  parte  del  guadagno  ancora  ? 

172  Tu  guadagnato,  e  perdita  ho  fatto  io: 

Sol  tu  all'acquisto,  io  non  son  solo  al  danno. 
Partecipe  fati'  è  del  dolor  mio 
L' Italia ,  il  regno  franco  e  l' alemanno. 
Oh  quanto,  quanto  il  mio  signore  e  zio, 
Oh  quanto  i  paladin  da  doler  s' hanno I 
Quanto  l' Imperio  e  la  cristiana  Chiesa, 
Che  perduto  han  la  sua  maggior  difesa  ! 

173  Oh  quanto  si  terrà,  per  la  tua  morte  » 
Di  terrore  a'  nimici  e  di  spavento  I 

Oh  quanto  Pagania  sarà  più  forte  ! 
Quanto  animo  n'  avrà,  quanto  ardimento  I 
Oh  come  star  ne  dee  la  tua  consorte  ! 
Sin  qui  ne  veggo  il  pianto,  e  '1  grido  sento: 
So  che  m'  accusa,  e  forse  odio  mi  porta. 
Che  per  me  teco  ogni  sua  speme  è  morta« 


CANTO  QUARANTESlM0tER20.  463 

174  Ma,  Fiordiligiy  almen  restì  an  coDforto 
A  DOÌ  che  Siam  di  Brandimarte  privi; 
Gh'  invidiar  lai  con  tanta  gloria  morto 
Donno  tatti  i  gaerrier  eh'  oggi  8on  vivi. 
Qoei  Decj,  e  quel  nel  roman  Foro  absorto» 
Quel  si  lodato  Cedro  dagli  Argivi, 

Non  con  più  attrai  profitto  e  più  sao  onore 
A  morte  si  donar,  del  tao  signore. 

175  Queste  parole  ed  altre  dicea  Orlando. 
Intanto  i  bigi,  i  bianchi,  i  neri  frati, 
£  tutti  gli  altri  chierci,  seguitando 
Andavan  con  lungo  ordine  accoppiati, 
Per  l'alma  del  defunto  Dio  pregando. 
Che  gli  donasse  requie  tra'  beati. 

Luo^  innanzi  e  per  mezzo  e  d' ognintorno, 
Mutata  aver  parean  la  notte  in  giorno. 

176  Levan  la  bara,  ed  a  portarla  foro 
Messi  a  vicenda  conti  e  cavalieri. 
Purpurea  seta  la  copria,  che  d'oro 

£  di  gran  perle  avea  compassi  altieri  : 
Di  non  men  bello  e  signoril  lavoro 
Avean  gemmati  e  splendidi  origlieri  ; 
£  giacca  quivi  il  cavalier  con  vesta 
Di  color  pare,  e  d'un  lavor  contesta. 

177  Trecento  agli  altri  eran  passati  innanti, 
De'  più  poveri  tolti  della  terra, 
Parimente  vestiti  tutti  quanti 

Di  panni  negri,  e  lunghi  sin  a  terra. 
Cento  paggi  seguian  sopra  altrettanti 
Grossi  cavalli,  e  tutti  buoni  a  guerra  ; 
£  i  cavalli  coi  paggi  ivano  il  suolo 
Radendo  col  lor  abito  di  duolo. 

178  Molte  bandiere  innanzi,  e  molte  dietro, 
Che  di  diverse  insegne  eran  dipinte, 
Spiegate  accompagnavano  il  feretro  ; 

Le  quai  già  tolte  a  mille  schiere  vinte, 
£  guadagnate  a  Cesare  ed  a  Pietro 
Avean  le  forze  eh'  or  giaceano  estinte. 
Scudi  v'erano  molti,  che  di  degni 
Guerrier,  a  chi  fur  tolti,  aveano  i  segni* 


464  ORLANDO  FdBtodo. 

i79     Veniali  cento  e  cent'  altri  a  diversi  osi 
Dell'esequie  ordinati  ;  ed  avean  qnesti. 
Come  anco  il  resto,  accesi  torchi  ;  e  chiosi. 
Più  che  vestiti,  eran  di  nere  vesti. 
Poi  segnia  Orlando ,  e  ad  or  ad  or  saffasi 
Di  lacrime  avea  gli  occhi,  e  rossi  e  mesti  ; 
Né  più  lieto  di  lui  Rinaldo  venne  : 
Il  pie  Ojivier,  che  rotto  avea,  ritenne. 

i80     Lungo  sarà  s' io  vi  vo'  dire  in  versi 
Le  cerimonie,  e  raccontarvi  tutti 
I  dispensati  manti  oscuri  e  persi, 
Gli  accesi  torchi  che  vi  furon  strutti! 
Quindi  alla  chiesa  cattedral  conversi. 
Dovunque  andar,  non  lasciaro  occhi  asciutti  ; 
Si  bel,  si  buon,  si  gìovene,  a  pleiade 
Mosse  ogni  sesso,  ogni  ordine,  ogni  etade. 

1S1      Fu  posto  in  chiesa  ;  e  poi  che  dalle  donne 
Di  lacrime  e  di  pianti  inutil  opra, 
E  che  dai  sacerdoti  ebbe  elelsonne, 
E  gli  altri  santi  detti  avuto  sopra. 
In  un'  arca  il  serbar  su  due  colonne  : 
E  quella  vuole  Orlando  che  si  cuopra 
Di  ricco  drappo  d' òr,  sinché  reposto 
In  un  sepulcro  sia  di  maggior  costo. 

iS2      Orlando  di  Sicilia  non  si  parte. 

Che  manda  a  trovar  porfìdi  e  alabastri. 
Fece  fare  il  disegno,  e  di  quell'arte 
Inarrar  con  gran  premio  i  miglior  mastri. 
Fé  le  lastre,  venendo  in  questa  parte. 
Poi  drizzar  Fiordilìgi,  e  i  gran  pilastri 
Che  quivi,  essendo  Orlando  già  partito, 
Si  fé  portar  dall'  africano  lito. 

iS3      E  vedendo  le  lacrime  indefesse, 
Ed  ostinati  a  uscir  sempre  ì  sospiri  ; 
Né,  per  far  sempre  dire  ufficj  e  messe. 
Mai  satisfar  potendo  a'  suoi  disiri  ; 
Di  non  partirsi  quindi  in  cor  si  messe, 
Finché  del  corpo  l' anima  non  spiri  : 
E  nel  sepolcro  fé  fare  una  cella , 
E  vi  si  chiuse,  e  fé  sua  vita  in  quella. 


CANTO  QUÀRANTESItfOTERZO.  46(S 

iSé     Oltre  che  messi  e  lettere  le  mande. 
Vi  va  in  persona  Orlando  per  levarla. 
Se  viene  in  Francia,  con  pension  ben  grande 
Compagna  vuol  di  Galerana  farla  : 
Quando  tornare  al  padre  anco  domande» 
Sin  alla  Lizza  vuole  accompagnarla  : 
Edificar  le  vuole  un  monastero, 

Quando  servire  a  Dio  faccia  pensiero. 

« 

186  Stava  ella  nel  sepùlcro;  e  quivi,  attrita 
Da  peiiilenzia,  orando  giorno  e  notte. 
Non  durò  lunga  età,  che  di  sua  vita 
Dalla  Parca  le  fur  le  fila  rotte. 

Già  fatto  avean  dall'  isola  partita. 
Ove  i  Ciclopi  avean  l'antique  grotte, 
I  tre  guerrier  di  Francia,  afiOitti  e  mesti 
Che  '1  quarto  lor  compagno  addietro  restì. 

i86     Non  volean  senza  medico  levarsi. 
Che  d' Olivier  s' avesse  a  pigliar  cura  ; 
La  qual,  perchè  a  principio  mal  pigliarsi 
Potè,  fatt'  era  faticosa  e  dura  : 
E  quello  odiano  in  modo  lamentarsi, 
Che  del  suo  caso  avean  tutti  paura. 
Tra  lor  di  ciò  parlando,  al  nocchier  nacque 
Un  pensiero,  e  lo  disse  ;  e  a  tutti  piacque. 

187  Disse  eh'  era  di  là  poco  lontano 
In  un  solingo  scoglio  uno  eremita^ 
A  cui  ricorso  mai  non  s' era  invano, 
O  fosse  per  consiglio  o»per  aita  ; 

E  facea  alcuno  effetto  soprumano. 
Dar  lume  a  ciechi,  e  tornar  morti  a  vita. 
Fermare  il  vento  ad  un  segno  di  croce, 
E  far  tranquillo  il  mar  quando  è  più  atroce  ; 

188  E  che  non  donno  dubitare,  andando 
A  ritrovar  queir  uomo  a  Dio  si  ^aro. 
Che  lor  non  renda  Olivier  sano,  quando 
Fatto  ha  di  sua  virtù  segno  più  chiaro. 
Questo  consiglio  si  piacque  ad  Orlando, 
Che  verso  il  santo  loco  si  drizzare  ; 

Né  mai  piegando  dal  cammin  la  prora, 
Yider  lo  scoglio  al  sorger  dell'  aurora. 


«fOG  OBLANDO  FURIOSO. 

1S9      Scorgendo  il  legno  nomini  in  acqaa  dotti, 
Sicuramente  s' accostaro  a  quello. 
Quivi  aiutando  servi  e  galeotti, 
Declinano  il  marchese  nel  battello  : 
E  per  le  spumose  onde  fur  condotti 
Nel  duro  scoglio,  et  indi  al  santo  ostello; 
Al  santo  ostello,  a  quel  vecchio  medesmo, 
Per  le  cui  mani  ebbe  Ruggier  battesmo. 

190      II  servo  del  Signor  del  paradiso 
Raccolse  Orlando  ed  i  compagni  suoi» 
E  benedilli  con  giocondo  viso, 
E  de*  lor  casi  dimandoUi  poi  ; 
Benché  di  lor  venuta  avuto  avviso 
Avesse  prima  dai  celesti  eroi. 
Orlando  gli  rispose  esser  venuto 
Per  ritrovare  al  suo  Oliviero  aiuto  ; 

i9l      Ch'era,  pugnando  per  la  fé' di  Cristo, 
A  periglioso  termine  ridotto. 
Levògli  il  Santo  ogni  sospetto  tristo, 
E  gli  promise  di  sanarlo  in  tutto. 
Né  d' unguento  trovandosi  provvisto, 
Né  d' altra  umana  medicina  instrutto. 
Andò  alla  chiesa,  ed  orò  al  Salvatore  ; 
Et  indi  usci  con  gran  baldanza  fuore  : 

192  E  in  nome  delle  eterne  tre  Persone, 
Padre  e  Figliuolo  e  Spirto  Santo,  diede 
Ad  Olivier  la  sua  benedizione» 

Oh  virtù  che  dà.Cristo  a  chi  gli  crede! 
Cacciò  dal  cavaliero  ogni  passione, 
E  ritornògli  a  sanitade  il  piede. 
Più  fermo  e  più  espedito  che  mai  fosse  : 
E  presente  Sobrino  a  ciò  trovosse. 

193  Giunto  Sobrin  delle  sue  piaghe  a  tanto. 
Che  star  peggio  ogni  giorno  se  ne  sente. 
Tosto  elle  vede  del  monaco  santo 

11  miracolo  grande  ed  evidente. 
Si  dispon  di  lasciar  Macon  da  canto, 
E  Cristo  confessar  vivo  e  potente  : 
E  domanda,  con  cor  di  fede  attrito, 
D' iniziarsi  al  nostro  sacro  rito. 


CANTO  QUARAKITESIlirOTBRZO.  467 

i94      Cosi  Tuom  giusto  Io  battezza,  ed  anco 
Gli  rende,  orando,  ogni  vigor  primiero. 
Orlando  e  gli  altri  cavalier  non  manco 
Di  tal  conversion  letizia  fero, 
Che  di  veder  che  liberato  e  franco 
Del  periglioso  mal  fosse  Oliviero. 
Maggior  gaudio  degli  altri  Ruggier  ebbe  ; 
£  molto  in  fede  e  in  devozione  accrebbe. 

195      Era  Ruggier  dal  di  che  giunse  a  nuoto 
Su  questo  scoglio,  poi  statovi  ognora. 
Fra  quei  guerrieri  il  vecchierel  devoto 
Sta  dolcemente,  e  li  conforta  ed  óra 
A  voler,  schivi  di  pantano  e  loto, 
Mondi  passar  per  questa  morta  gora, 
C  ha  nome  vita,  che  si  piace  a'  sciocchi  ; 
Ed  alle  vie  del  ciel  sempre  aver  gli  occhi. 

199     Orlando  un  suo  mandò  sul  legno,  e  trarne 
Fece  pane  e  buon  vin,  cacio  e  prosciutti; 
E  air  uom  di  Dio,  eh'  ogni  sa  por  di  starne 
Pose  in  obblio  poi  eh'  avvezzossi  a' frutti , 
Per  carità  mangiar  fecero  carne, 
E  ber  del  vino,  e  far  quel  che  fer  tutti. 
Poi  ch'alia  mensa  consolati  foro, 
Di  molte  cose  ragionar  tra  loro. 

197  E  come  accade  nel  parlar  sovente, 
Ch'  una  cosa  vien  l' altra  dimostrando, 
Ruggier  riconosciuto  finalmente 

Fu  da  Rinaldo,  da  Olivier,  da  Orlando, 
Per  quel  Ruggiero  in  arme  si  eccellente. 
Il  cui  valor  s' accorda  ognun  lodando  : 
Né  Rinaldo  l' avea  raffigurato 
Per  quel  che  provò  già  nello  steccato. 

198  Ben  l'avea  il  re  Sobrin  riconosciuto. 
Tosto  che  '1  vide  col  vecchio  apparire  ; 
Ma  volse  innanzi  star  tacito  e  muto, 
Che  porsi  in  avventura  di  fallire. 

Poi  eh'  a  notizia  agli  altri  fu  venuto 
Che  questo  era  Ruggier,  di  cui  l' ardire, 
La  cortesia,  e  '1  valor  alto  e  profondo 
Si  facea  nominar  per  tutto  il  mondo; 


468  ORLANDO  FURIOS9. 

m     E  sapendosi  già  eh'  era  cristiano , 
Tolti  con  lieta  e  con  serena  faccia 
Vengono  a  lai  :  chi  gli  tocca  la  mano, 
E  chi  lo  bacia,  e  chi  lo  stringe  e  abbraccia. 
Sopra  gli  altri  il  signor  di  Montalbano 
D' accarezzarlo  e  fargli  onor  procaccia. 
Perch'esso  più  degli  altri,  io  '1  serbo  a  dire 
Neil'  altro  Canto,  se  '1  vorrete  odire. 


VOTX. 


Si.  8.  V.  8.  —  Tomot  caduta;  da 
tomartt  cadere  col  capo  ali*  ingiù ,  pre- 
cipitare. 

St.  iO.  f.  Ò.-^Levarii  daila  scena 
ì  panni t  metafora  tolta  dall*  aitarsi  il 
cipario  e  scuoprire  la  Mena;  e  irale  ma- 
ni/estartt  il  mio  intemo. 

Si.  11.  <r.  1-6.  ->  Una  eitii  vi- 
cina ec.t  Mantova t  circondata  da  nn 
lago  formato  dal  Mincio,  che  deriva  dal 
Benaco  (lago  di  Garda)  e  si  scarica  in 
Po.— Z«  mura..,  dell' agenoreo  draco: 
Tebe  di  Beotia,  fabbricata  da  Cadmo 
figlio  di  ikgenore  re  di  Fenicia.  Andava 
egli  in  traccia  d*  Europa  sua  sorella,  ra- 
pita da  Giove;  e  giunto  con  i  suoi  com- 
pagni in  Beosia,  trovò  quella  regione 
infestata  da  un  drago;  l'uccise,  ed 
avendone  seminati  i  denti,  ne  nacquero 
uomini  armati,  cbe  Io  aiutarono  a  fab- 
bricar la  città. 

Si.  18.  V.  4.  ~  Palladei  figlia 
di  Giove,  dea  della  sapienza,  dell'arti, 
e  della  guerra. 

Si,  S3.  V,  4-6.  —  La  giovane  te^ 
dea:  Elena,  figlia  di  Leda  e  di  Tindaro, 
e  moglie  di  Menelao  re  di  Sparta ,  fa- 
mosa per  l' avvenenia.  —  ///  gran  pu" 
sior  della  montagna  Idea  t  Paride  figlio 
di  Priamo  re  di  Troia;  fu  allevato  dai 
pastori  reali  sul  monte  Ida,  e  giudicò  la 
contesa  sulla  bellessa  fra  Venere,  Pai. 


lade  e  Giunone,  ognuna  delle  quii,  per 
averlo  propìiio,  gli  offeriva  i  pregi  di 
che  poteva  disporre. 

Si.  88.  V.  ^^.^Qual  già,pef/are 
accorto  ec.  Lcggesi  nei  romansi  della 
Tavola  Rotonda,  cbe  Morgana  soicila 
di  Marco  re  di  Cornovaglia ,  onde  mo- 
strare ai  fratello  che  la  di  lui  consorte 
Ginevra  gli  avea  rotta  la  fede,  fece  per 
incanto  un  bicchiere,  cbe  prodnecva 
V  eflEètto  indicato  nei  quattro  aitimi 
▼ersi  di  questa  Starna. 

St,  Zi,v.  i'%.— Signor,  qmi  presto 
una  città  dijende  II  Po  ec.  Ferrara,  che 
giace  dove  il  Po  si  divide  ne'  due  rami 
di  Volano  e  di  Primaro.— -Fin  dova  il 
mar /ugge  dal  liio  e  torma  s  fino  alla 
spiaggia  dell*  Adriatico.  — >  Le  reliquie 
troiane  la  fondare  ec.  Accenna  I*  opi- 
nione allora  corrente ,  che  fondatori  di 
Ferrara  fossero  i  Padovani  acampati 
dall'eccidio  cbe  fece  Aitila  della  loro 
città,  che  credevasi fabbricata  dal  troiano 
Antenore. 

St.  33.  e.  5.  -—  Nel  primo  eceerso: 
nel  primo  incontro. 

St.  34.  V.  ò Allutingommi  e 

mulse:  mi  lusingò  e  con  blandimenti 
mi  persuase. 

Si.  39.  V,  S —  Trafssa:  trafitta. 

St,  46.  V.  Z.'--DonHat  padrona, 
aignora. 


CANTO  QUARANTESIMOTERZO. 


469 


St,  53.  p.S^S Melttra,,.  Sermi- 

de,..  Figarolo  e  Stellata,  castelli  sul 
Po;  l'ultimo  di  questi  sorge  là  dove 
quel  fiume  si  divide  in  due  rami,  il  de- 
stro de'  quali,  detto  Foatello,  rade  Fer- 
rara, fi  l'altro  sbocca  nell'Adriatico  col 
nome^i  Po  di  Goro. 

St.  bi.»,d'%,^ll Bondeno i  altro 
castello  sulla  confloenaa  del  Panaro  nel 
Poatello.  —  Di  Tealdo  Ambe  le  roc 
che:  qui  s'intende  un  castello,  fab- 
bricato, secondo  il  Pigna,  da  Tedaldo 
d' Este  sul  Poatello,  nella  estremità  oc- 
cidentale di  Ferrara,  circa  Tanno  970, 
epoca  posteriore  ai  tempi  di  Carlo  Ma- 
gno ;  ma  quest'  anacronismo  è  scusa- 
bile in  un  poema. 

.se.  66.  V.  Z-^,— Air  isoletta  ec» 
Belvedere,  piccola  isola  formata  dal  Po, 
la  quale  ai  tempi  del  Poeta  era  luogo  di 
delizie  del  duca  Alfonso. 

SL  67.  p.  3«8.  —  Che  settecento 
volte  che  si  sia  Girata  col  Monton  la 
quarta  sfera  :  locusìone  che  importa 
scorsi  che  sieno  700  anni.  La  quarta 
^era,  secondo  il  sistema  di  Tolomeo, 
è  quella  del  Sole;  e  l'anno  astronomico 
comincia  all'entrar  di  quell'astro  nel 
segno  d'Ariete,— odf //a  patria  di  Nau' 
sicaa  :  V  isola  di  Feacia ,  ora  Corfù,  ri- 
nomata presso  gli  antichi  per  la  bellezza 
dei  giardini  d'Alcinoo  padre  di  Nausi- 
caa,  che  nf  era  il  sovrano. 

St.  68.  V.  Z'Q.^Qaella  sì  a  Tibe- 
rio  cara:  l'isola  di  Capri,  ultimo  ritiro 
dell'  imperator  Tiberio  Nerone.  —  Che 
cederian  l'Esperide  alle  piante  ec. 
Degli  orti  dell'Esperidi  si  è  dato  cenno 
nella  nota  aUa  St.Gdel  Canto  XXXVII. 
"^  Nh  in  mandra  Circe  ebbe  nh  in 
hara  t  Circe,  figlia  del  Sole  e  maga  fa- 
mosa, convertiva  in  bestie,  e  per  lo  più 
in  porci,  gli  uomini  che  approdavano 
nella  sua  isola.  Bara  è  voce  latina  che 
«ignifica  porcile, 

St,  69.  V,  7-8,^ -E  che  d'Ercol 
fi^liuol  «c./intendest  il  duca  Alfonso* 
figliuolo  d'Ercole  I,  e  padre  d'Ercole  1 1. 

St,  %{,v.  ò.-^  A  ssorgo  :  mi  levo  in 


piedi;  e  dicesi  del  levarsi  io  piedi  per 
rendere  onore. 

St,  63.  V.  d^S.'^ Logoro:  ordigno 
di  penne  e  di  cuoio,  fatto  a  modo  d'ala, 
che  serve  agli  uccellatori,  per  richiamare 
il  falcone.^ Pe/  destro  corno  il  destro 
ramo  prende  ecr.Quel  ramo  ciob  del  Poa- 
tello, che  più  avanti  chiamasi  Pò  di  Pri- 
maro,  ed  h  il  destro  anche  rispetto  al- 
l'altro ramo ,  detto  Vj»  di  Volano.  Vedi 
più  sopra  le  note  alle  St.-  63  e  64.  — 
San  Giorgio:  nome  di  un' isoletta  sul 
Po. — La  torre  e  della  Fossa  e  di  Gai* 
tana:  due  torri  costruite  sul  Po  di  Pri- 
maro,  a  sei  miglia  da  Ferrara,  la  prima 
a  destra,  l'altra  (ora  più  non  esistente) 
a  sinistra  di^fuel  ramo  di  fiume. 

St.  70.  f.  6-8.—  Che/u  in  questa 
città  di  gui  vicina  ec.Mantova,  circon- 
data dal  lago  formato  dal  Mincio,  come 
si  ^  notato  pocanzi. 

St.  72.  V.  4.—  Ciò  eh*  Ulpiano  iw 
segna.  Fu  Ulpiano  un  celebre  giurecon- 
sulto, ai  tempi  dell'  imperatoni  Ales- 
sandro Severo. 

«$'1.74.  if.3-4. — Da  quel  lignaggio 
'altiero  Ch'  uscì  da  una  mascella  di 
serpente:  dai  compaguidi  Cadmo,  nati, 
come  s'è  Ceduto,  dai  denti  del  drago, 
o  serpente  ucciso  da  quello. 

St.  75.  V,  6-8.  —  //  tesor  di  Tibe- 
berio  imperato^:  non  Tiberio  Nerone, 
ma  im  altro  Tiberio  che  succedette  a 
Giustino  luniore,  e  che  fu  doviziosissi- 
mo per  gli  ereditati  tesori,  per  quelli  am- 
massati da  Narsete  spogliando  l'Italia, 
e  per  altri  provenutigK  dalle  vittorie  che 
riportò  sui  Persiani. -~  Uscì  fuor  di 
tutti  i  ben  paterni:  gli  scialacquò  tutti. 

St.  79.  f.  8.  — Z7e'  denti  seminati 
di  serpente.  Finge  il  Poeta  che  gli  an- 
tenati di  Adonio  discendessero  dai  com- 
pagni di  Cadmo. 

St,  87.  V,  ò.—  Tolle  il  punto:  co- 
glie il  punto  acconcio  per  le  osserva- 
zioni astrologiche. 

St.  100.  V.  3.  —  Patimo:  patiamo. 

St,  101.  i'.  5*6.  *-  Io  non  andava 
asciolta  ChUo  non  'portassi  rotto  ec, 

4a 


470 


ORLANDO  FURIOSO. 


Io  non  andava  esente  dal  portar  rotto  ec 

Si,  107.  V,  3-8. —  Certe  sue  can- 
ne.' ana  sampogna  compo&ta  dt  canne. 
TI  romeo:  nome  die  davasi  a  chi  an- 
dava in  peUegiinaggio  a  Roma,  e  che 
poi  si  estese  anche  agli  altri  pellegrini. 
*-  Traea:  per  voleva. 

SL  109.  V.&.  — Sitire:  qui  arden- 
temente  desiderare. 

Si.  114^  V.  2.  —  La  morte  :  qui 
r estrema  éÈlaavventnra. 

Se,  133.  p.  1.  ->  Panni  di  rana: 
panni  che  noi  diciamo  aranti  o  d'arane 
zo,  dalla  città  di  Arras  in  Fiandra»  ove 
da  principio  si  fabbricarono.  Non  sarà 
fuor  di  luogo  il  notar  qui ,  che  V  edi- 
sione  deH6i6  legge  qneslè  verso: 

Di  tapeti,  di  razzi  e  di  cortine. 

St.  135.  V.  5. — Esopo:  noto  scrit- 
tore di  favole,  ed  estremamente  defor- 
me della  persona. 

St.  136.  V.  7. —  Ma  con  scongiuri 
il  Negro  ad  affermare  ec.  Supplisci 
continua,  torna,  o  altro  simile. 

St,  139.  V,  7.  —  In  merito:  in  ri- 
compensa. 

St,  144.  V.  7. — Cascallo:  cascarlo. 

St.  145.  V.  8.  —  Col  lito  ove  San» 
terno  il  capo  pone:  la  riva  del  Po  di 
Primaru ,  in  cui,  sotto  Argenta,  sbocca 
il  Santcrno,  eh'  à  il  fiume  d' Imola. 

St.  146.  V,  4-7.  —  /  Bomagnuoli: 
vedi  la  St.  53  del  Canto  III,  e  l'ana- 
loga tkoiz^^— E  quindi  a  Filo:  nome  di 
una  villa  sulla  sinistra  del  Po  di  Prìma- 
ro,  sette  miglia  sotto  Argenta. — Fos- 
sa morta  :  così  chiamano  un  ramo  su- 
balterno del  Po  di  Primaro,  che  corre 
per  dodici  miglia  fino  a  Ravenna. 

St,  147.  V.  b'I.-^  Cavallari:  gui- 
datori di  cavalli  che  si  danno  a  nolo. — 
À  Rimino  passò  ec:  passò  per  Rimini 
e  prosegui  per  Montefiore.  Le  prime 
edixioni  leggono  Arimino  passò,  e  cosi 
meglio  spiegano  V  intendimento  del 
Poeta,  rhe  non  fa  perootlare  Rinaldo  in 
quella  città. 

St.  148.  V,  i»8.  —  Quivi  non  era 


Federico  allora  ec:  Federico' e  Gni- 
dnbaldo  da  Monteièltro,  Elisabetta  sua 
moglie,  e  Francesco  Maria  della  Rove» 
re,  marito  di  Leonora  Goosaga  ,  duchi 
d' Urbino ,  e  spleodidameole  ospitali 
alle  persone  distinte. 

St.  14».  V.  3.8.  —  Cagli:  piccola 
città  vescovile  nell'Urbinate,  alle  falde 
^egli  Apennini.— Pe/  monte  che  '/  Me» 
tauro  o  il  Gauno  fende:  questo  monte 
è  il  Furio,  nel  cui  interno,  per  mesco 
di  un  foro,  passa  un  tratto  della  strada 
postale.  Il  cardinale  Adriano,  nella  de- 
scrisione  del  viaggio  di  Giulio  II,  lo 
chiama  Forulum-  Il  Metauro  è  fiume 
dell'Urbinate  che  si  confonde  col  Ganno^ 
fiumicello  di  cui  forse  ora  si  è  perduto 
il  nome.  —  Gli  Ombrie  gli  Etrusci: 
il  paese  abitato  una  volta  dagli  Umbri  e 
dagli  Etruschi,  che  ora  h  parte  degli 
Stati  del  papa  nello  Spoletino,  nel 
Perugino,  e  nel  cosi  deito  Patrimonio 
di  San  Pietro. —  Ostia:  alla  foce  del 
Tevere  ;  già  florida  città  quando  era  il 
porto  di  Roma,  ora  quasi  totalmente 
distrutta  e  abbandonata  all'aria  VM^i^^ 
na.^-Alla  cittade  a  cui  commise  ec. 
Trapani  in  Sicilia,  ove  Enea  lece  sep- 
pellire l'ossa  di  suo  padre  Anchise.  Ve- 
di il  III  àeW  Eneide,  verso  la  fine. 

SL  158.  V.  8.  —  Menade:  nome  co- 
mune alle  Baccanti  o  sacerdotesse  di 
Bacco,  che  ne  celebravano  i  notturni  mi- 
steri correndo  furiose,  e  agitandosi  a 
suon  di  corni  e  di  altri  istromenli. 

St.  161.  V.  b. —  Ogni  modo:  ad 
ogni  modo. 

St.  163.  V.  3.  —  Dammogire: 
città  capitale  del  Tegno  di  Brandimarte. 
Vedasi  1'  Orlando  innamorato  del 
Boiardo,  Lib.'ll,  Canio  XI. 

St.  165.  V.  5. —  Ferso  il  monte... 
che  fa  col  fuoco  Chiara  la  notte  ec: 
l'Elna  o  Mongibello,  montagna  vulca- 
nica dì  Sicilia. 

St.  ili.  V,  6-6.  —  Quei  Decj:  due 
Immani ,  pa^jre  e  figlio ,  che  votaron&i 
agli  Dei  per  la  salute  del  popolo,  espo- 
nendosi aHa  morte.  —  Qttel  nel  roman 


CANTO  QUÀRANTESIMOTEBZO. 


471 


Foro  absortot  Guriio,  che  per  salvare 
I3  patria  tt  gettò  io  una  voragine  apcl^ 
tasi  nel  Foro  di  Roina.^QMe/  sì  iodato 
Codro,  ultimo  re  di  Atene,  il  quale  per 
amore  dellp  liberili  della  Grecia  si  fece 
Tolontariamente  uccidere  dai  nemici. 

St,  i76.  ¥.  4.  —  Compassi  altierit 
coràpartirocntiy  o  lavori  a  disegno  ma- 
gnifico. ' 

Si,  179.  9.  5.  —  Suffiisii  bagnati. 

StA%i.v.  1-3 Di  lacrime  e  di 

pianti  ec!  allude  al  costuaae  antico  di 
prenolflr  donoc  a  piangere  nei  funerali. 
~—  Eteisonnet  il  salmo  Misererò,  che 
comincia  in  'greco  con  la  parola  elei» 
sonarne, 

St,  iSS.  «^.4. — /narrar/  propria- 
mente, impegnare  con^caparraj  qui 
semplicemente  impegnare. 

StA%k.  V,  4-6. — Gn/erana  f  nome 
che  gH  antichi  rotta n«i  danno  alla  mo- 


glie di  Carlo  Magno.— Zizza:  antica- 
mente detta  Laodicea  ad  mare,  ora 
Latahia,  Vedi  le  note  alle  St.  94  del 
Canto  XVII,  e  74  del  Canto  XVIII. 

4^^.  186.  V,  Uò.—Jttrita:  indebo. 
lita,  consunta. —  Già  fatto  avean  dal" 
l'isola  partita.  L'edizione  del  ^416  e 
altre  leggono/a  <fo  aveaj  ma  sembra  er- 
rore di  stampa. 

'    St.  189.  V.  1.^  Uomini  in  acqua 
dotti i  esperti  marinaj. 

St.  190.  ♦'.6 Dai  celesti  eroi: 

dai  Santi  del  cielo. 

i^t.  i92.  V,  6.—  Ogni  passione: 
ogni  patimento,  ogni  dolore. 

St.  195.  V.  6. —  Morta  gora:  cosi 
chiamò  Dante  n«irVIII  dell' /it/èrno 
k  torbida  palude  Stigia:  qui  il  Poeta 
trasporta  questo  concetto  a  significare  la 
vita  mortale,  in  cui  Tuomo  e  aoggetto 
a  contaminarsi  di  tante  scziure. 


CASSTO    QfJARASfTESinOQIJARXO. 


Slringonsi  i  cinque  guerrieri  in  fraterna  amicìzia  ;  e  Rinaldo  per  la  stima  che  fa 
di  Ruggiero,  e  pei  conforti  del  buon  romito,  gli  promette  Bradamante  in  con- 
sorte. Vanno  quindi  a  Marsilia,  dove  contemporaneamente  arriva  Astolfo,  che 
ha  licenziati  gu  i  Nttbj,e  rendula  U  flotta  al  primo  essere  di  foglie.  I  paladini 
e  Sobnno  sono  accolti  magnificamente  da  Carlo  in  Parigi;  ma  quel  gaudio  e 
turbato  dal  dissenso  del  duca  Amone  e  di  Beatrice  all'unione  di  Ruggiero  con 
Bradamante,  da  loro  fidanzata  a  Leone,  figlio  delP  imperator  greco.  Armasi 
Ruggieroi-e  pieno  d'odio  contro  Leone,  si  reca  al  campo  de'  Bulgari,  che  hanno 
guerra  co'  Greci.  Sconfigge  questi  ultimi,  poi  va  ad  alloggiare  in  una  terra  da 
lui  non  conosciuta  per  soggetta  al  greco  impero;  ed  ivi  è  denunziato  come 
autore  del  disastro  sofferto  dai  Greci. 

1      Spesso  in  poveri  alberghi  e  in  picciol  tetti, 
Nelle  calamitadì  e  nei  disagi, 
Meglio  s' aggiangon  d' amicizia  i  petti, 
Che  fra  ricchezze  invidiose  ed  agi 
Delle  piene  d' insidie  e  di  sospetti 
Corti  regali  e  splendidi  palagi, 
Ove  la  caritade  è  in  (uttp  estinta, 
Né  si  vede  amicizia  se  non  finta. 


472  ORLANDO  FUBIOSO. 

2  Quindi  avvien  che  tra  princìpi  e  signori 
Patti  e  convenzion  sono  si  frali. 

Fan  lega  oggi  re,  papi  e  imperatori  ; 
Doman  saran  nimici  capitali  : 
Perchè,  qual  1*  apparenze  esteriori, 
Non  hanno  i  cor,  non  han  gli  animi  tali  ; 
Che,  non  mirando  al  torto  più  ch'ai  dritto, 
Attendon  solamente  al  lor  profitto. 

3  Questi,  quantunque  d'amicizia  poco 
Siene  capaci,  perchè  non  sta  quella 
Ove  per  cose  gravi,  ove  per  giuoco 
Mai  aenza  finzion  non  si  favella  ; 
Por,  se  talor  gli  ha  tratti  in  omìl  loco 
Insieme  una  fortuna  acerba  e  fella, 
In  poco  tempo  vengono  a  notizia 

(Quel  che  in  molto  non  fer)  dell'  amicizia. 

4  II  santo  vecchiarel  nella  sua  stanza 
Giunger  gli  ospiti  suoi  con  nodo  forte 
Ad  amor  vero  meglio  ebbe  possanza, 
Gh'  altri  non  avria  fatto  in  real  corte. 
Fu  questo  poi  di  tal  perseveranza, 
€he  non  si  sciolse  mai  fin  alla  morte. 
Il  vecchio  li  trovò  tutti  benigni. 
Candidi  più  nel  cor,  che  di  fuor  cigni. 

6     Trovolli  tutti  amabili  e  cortesi. 
Non  della  iniquità  eh'  io  v*  ho  dipinta 
Di  quei  che  mai  non  escono  palesi , 
Ma  sempre  van  con  apparenza  finta. 
Di  quanto  s' eran  per  addietro  offesi 
Ogni  memoria  fu  tra  loro  estìnta  : 
E  se  d' un  ventre  fossero  e  d' un  seme. 
Non  si  potrìano  amar  più  tutti  insieme. 

6      Sopra  gli  altri  il  signor  di  Montalbano 
Accarezzava  e  riveria  Ruggiero  ; 
Si  perchè  già  l' avea  con  l' arme  in  mano 
Provato  quanto  era  animoso  e  fiero  ; 
SI  per  trovarlo  affabile  ed  umano 
Più  che  mai  fosse  al  mondo  cavaliere  : 
Ma  molto  più,  che  da  diverse  bande 
Si  conoscea  d' avergli  obbligo  grande. 


CANTO  QDABANTESIMOQUÀRTO.  473 

7      Sapea  che  di  gravissimo  periglio 
Egli  avea  liberato  Ricciardetto, 
Quando  il  re  ispano  gli  fé  dar  di  piglio, 
£  con  la  figlia  prendere  nel  letto  ; 
£  eh'  avea  tratto  V  uno  e  l' altro  figlio 
Del  duca  Buovo,  com' io  v'ho  già  detto, 
Di  man  dei  Saracinì  e  dei  malvagi 
Ch'  eran  col  maganzese  Bertolagì. 

S      Questo  debito  a  lui  parea  di  sorte, 
Gh'  ad  amar  lo  stringeano  e  ad  onorarlo; 
£  gli  ne  dolse  e  gli  ne  'ncrébbe  forte, 
Che  prima  non  avea  potuto  farlo. 
Quando  era  l'un  nell'africana  corte, 
£  r  altro  alli  servigi  era  di  Carlo. 
Or  che  fatto  Cristian  quivi  lo  trova, 
Quel  che  non  fece  prima,  or  far  gli  giova. 

9      Profierte  senza  fine,  onore  e  festa 
Fece  a  Ruggiero  il  paladin  cortese. 
Il  prudente  eremita,  come  questa 
Benivdenzia  vide,  adito  prese. 
£ntrò  dicendo  :  A  fare  altro  non  resta 
(£  lo  spero  ottener  senza  contese), 
Che  come  l'amicizia  è  tra  voi  fatta. 
Tra  voi  sia  ancora  affinità  contratta  ; 

iO     Acciò  che  delle  due  progenie  illustri. 
Che  non  han  par  di  nobiltade  al  mondo. 
Nasca  un  lignaggio  che  più  chiaro  lustri 
Che  '1  chiaro  Sol,  per  quanto  gira  a  tondo  ; 
£  come  andran  più  innanzi  ed  anni  e  lustri. 
Sarà  più. bello,  e  durerà  (secondo 
Che  Dio  m'inspira,  acciò  eh' a  voi  noi  celi) 
Finché  terran  l' usato  corso  i  cieli. 

11      £  seguitando  il  suo  parlar  più  innante, 
Fa  il  santo  vecchio  si,  che  persuade 
Che  Rinaldo  a  Ruggier  dia  Bradamante  ; 
Benché  pregar  né  l' un  nò  l' altro  accade. 
Loda  Olivier  col  principe  d' Anglante, 
Che  far  si  debba  questa  afiìnitade  : 
11  che  speran  ch'approvi  Amone  e  Carlo, 
£  debba  tutta  Francia  commendarlo. 

40* 


474  ORLANDO  Fumoso. 

i2      Cosi  dicean;  ma  non  sapean  eh*  Amone, 
Con  voluntà  del  figlio  di  Pipino, 
N'  avea  dato  in  quei  giorni  intenzione 
All' ìmperator  greco  Costantino, 
Che  glie  le  domandava  per  Leone 
Suo  figlio,  e  saccessor  nel  gran  domino. 
Se  n'era,  pel  valor  che  n'avea  inteso, 
Senza  vederla,  il  giovinetto  acceso. 

i3     Risposto  gli  avea  Amon,  che  da  sé  solo 
Non  era  per  concludere  altramente, 
Né  pria  che  ne  parlasse  col  figliuolo 
Rinaldo,  dalla  corte  allora  assente  ; 
11  qual  credea  che  vi  verrebbe  a  volo, 
E  che  di  grazia  avria  si  gran  parente  : 
Pur,  per  molto  rispetto  che  gli  avea, 
Risolver  senza  lui  non  si  volea. 

14      Or  Rinaldo  lontan  dal  padre,  quella 
Pratica  imperiai  tutta  ignorando , 
Quivi  a  Ruggier  promette  la  sorella, 
Di  suo  parere  e  di  parer  d' Orlando , 
E  degli  altri  eh' avea  seco  alla  cella,    > 
Ma  sopra  tutti  l' eremita  instando  : 
E  crede  veramente  che  piacere 
Debba  ad  Amon  quel  parentado  avere. 

45     Quel  di  e  la  notte,  e  del  seguente  giorno 
Steron  gran  parte  col  monaco  saggio. 
Quasi  obbliando  al  legno  far  ritorno, 
Benché  il  vento  spirasse  al  lor  viaggio. 
Ma  i  lor  nocchieri,  a  cui  tanto  soggiorno 
Increscea  omai,  mandar  più  d'un  messaggio, 
Che  si  li  stimolar  della  partita, 
Ch'  a  forza  li  spiccar  dall'  eremita. 

16     Ruggier  che  stato  era  in  esilio  tanto, 
Né  dallo  scoglio  avea  mai  mosso  il  piede, 
Tolse  licenzia  da  quel  mastro  santo, 
Ch'  insegnata  gli  avea  la  vera  Fede. 
La  spada  Orlando  gli  rimesse  accanto. 
L'arme  d'Ettorre,  e  il  buon  Frontin  gli  diede; 
Si  per  mostrar  del  suo  amor  segno  espresso, 
Si  per  saper  che  dianzi  erano  d' esso. 


CANTO  QUABANTBSIMOQUARTO.  475 

i7     E  qaantonqae  miglior  nell*  incantata 
Spada  ragione  avesse  il  paladino, 
Che  con  pena  o  travaglio  già  levata 
L'avea  dal  formidabile  giardino, 
Che  non  avea  Ruggiero,  a  coi  donata 
Dal  ladro  fo,  che  gli  die  ancor  Frontino  ; 
Par  volentier  glie  le  donò  col  resto 
Dell'arme,  tosto  che  ne  fa  richiesto: 

18     Far  benedetti  dal  vecchio  devoto, 
E  sai  navilio  al6n  si  ritornaro. 
I  remi  air  acqua,  e  dier  le  vele  al  Noto  ; 
£  fu  lor  si  sereno  il  tempo  e  chiaro. 
Che  non  vi  bisognò  priego  né  voto. 
Finché  nel  porto  di  Marsilia  entrare. 
Ma  quivi  stiano  tanto,  ch'io  conduca 
Insieme  Astolfo,  il  glorioso  duca. 

i9     Poi  che  della  vittoria  Astolfo  intese, 
Che  sanguinosa  e  poco  lieta  s' ebbe  ; 
Vedendo  che  sicura  dall'  offese 
D'Africa  oggimai  Francia  esser  potrebbe  > 
Pensò  che  '1  re  de'  Nobj  in  suo  paese 
Con  r  esercito  suo  rimanderebbe. 
Per  la  strada  medesima  che  tenne 
Quando  centra  Biserta  se  ne  venne. 

20  L'armata  che  i  pagan  roppe  nell'onde. 
Già  rimandata  avea  il  figliuol  d' Uggiero  ; 
Di  cai,  nuovo  miracolo,  le  sponde 
(Tosto  che  ne  fu  uscito  il  popol  nero) 

E  le  poppe  e  le  prore  mutò  in  fronde , 
E  ritornoUe  al  suo  stato  primiero  ; 
Poi  venne  il  vento,  e  come  cosa  lieve 
Levolle  in  aria,  e  fé  sparire  in  breve. 

21  Chi  a  piedi  e  chi  in  arcion,  tutte  partita 
D' Afriba  fer  le  nubiane  schiere. 

Ma  prima  Astolfo  si  chiamò  infinita 
Grazia  al  Senape  ed  immortale  avere, 
Che  gli  venne  in  persona  a  dare  aita 
Con  ogni  sforzo  ed  ogni  suo  potere. 
Astolfo  lor  neir  uterino  claustro 
A  portar  diede  il  fiero  e  turbido  Austro. 


476  ORLANDO  FDRIOSO. 

22      Negli  olri,  dico,  il  vento  die  lor  chiaso, 
Gh'  uscir  di  mezzodì  saol  con  tal  rabbia, 
Che  maoYe  a  guisa  d' onde,  e  leva  in  suso, 
£  rota  fin  in  ciel  i'  arida  sabbia  ; 
Acciò  se  Io  portassero  a  lor  nso, 
Che  per  cammino  a  far  danno  non  abbia  ; 
E  che  poi,  giunti  nella  lor  regione. 
Avessero  a  lassar  fuor  di  prigione. 

33     Scrive  Torpino,  come  foro  ai  passi 
Dell'alto  Atlante,  che  i  cavalli  loro 
Tutti  in  un  tempo  diventaron  sassi  ; 
Si  che,  come  venir,  se  ne  tornoro. 
Ma  tempo  è  omai  eh'  Astolfo  in  Francia  passi  ; 
E  cosi,  poi  che  del  paese  moro 
Ebbe  provvisto  ai  luoghi  principali , 
Ali*  Ippogrifo  suo  fé  spiegar  l' ali. 

24  Volò  in  Sardigna  in  un  batter  di  penne, 
E  di  Sardigna  andò  nel  lito  Corso  ; 

E  quindi  sopra  il  mar  la  strada  tenne , 
Torcendo  alquanto  a  man  sinistra  il  morso. 
Nelle  maremme  all'  ultimo  ritenne 
Della  ricca  Provenza  il  legger  corso, 
Dove  segui  dell'  Ippogrifo  quanto 
Gli  disse  già  V  Evangelista  santo. 

25  Hagli  commesso  il  santo  Evangelista, 
Che  più,  giunto  in  Provenza,  non  lo  sproni; 
E  eh'  air  impeto  fier  più  non  resista 

Con  sella  e  fren ,  ma  libertà  gli  doni. 
Già  avea  il  più  basso  ciel,  che  sempre  acquista 
Del  perder  nostro,  al  corno  tolti  i  suoni; 
Che  muto  era  restato,  non  che  reco. 
Tosto  eh'  entrò  '1  guerrier  nel  divin  loco. 

26  Venne  Astolfo  a  Marsilia,  e  venne  appunto 
Il  di  che  v'  era  Orlando  ed  Oliviero, 

E  quel  da  Montalbano  insieme  giunto 
Col  buon  Sobrino  e  col  nteglior  Ruggiero. 
La  memoria  del  sozio  lor  defunto 
Vietò  che  i  paladini  non  poterò 
Insieme  cosi  a  punto  rallegrarsi. 
Come  in  tanta  vittoria  dovea  farsi. 


CANTO  QUABANTBSIBfOQUARTO.  477 

27     Carlo  avea  di  Sicilia  avuto  avviso 
Dei  dao  re  morti,  e  di  Sobrino  preso, 
E  eh*  era  stato  Brandimarte  ucciso  : 
Poi  di  Ruggiero  avea  non  meno  inteso  ; 
£  ne  stava  col  cor  lieto  e  col  viso 
D'aver  gittate  intollerabii  peso. 
Che  gli  fn  sopra  gli  omeri  si  greve, 
Che  starà  un  pezzo  pria  che  si  rileve. 

2S      Per  onorar  costor,  eh'  eran  sostegno 
Del  santo  imperio  e  la  maggior  colonna, 
Carlo  mandò  la  nobiltà  del  regno 
Ad  ineontrarli  Gn  sopra  la  Senna. 
Egli  usci  poi  col  suo  drappel  più  degno 
Di  re  e  di  duci,  e  con  la  propria  donna, 
Fuor  delle  mura ,  in  compagnia  di  belle 
E  ben  ornate  e  nobili  donzelle. 

29  L' imperator  con  chiara  e  lieta  fronte, 
I  paladini  e  gli  amici  e  i  parenti. 

La  nobiltà,  la  plebe  fanno  al  conte 
Ed  agli  altri  d' amor  segni  evidenti  : 
Gridar  s' ode  Mongrana  e  Chiaramente. 
Si  tosto  non  finir  gli  abbracciamenti, 
Rinaldo  e  Orlando  insieme  ed  Oliviero 
Al  signor  loro  appresenti&r  Ruggiero  ; 

30  E  gli  narrar  che  di  Ruggier  di  Risa 
Era  figliuol,  di  virtù  uguale  al  padre. 
Se  sia  animoso  e  forte,  ed  a  che  guisa 
Sappia  ferir,  san  citr  le  nostre  squadre. 
Con  Bradamante  in  questo  vien  Marfìsa, 
Le  due  compagne  nobili  e  leggiadre. 
Ad  abbracciar  Ruggier  vien  la  sorella; 
Con  più  rispetto  sta  Y  altra  donzella. 

31  L' imperator  Ruggier  fa  risalire. 
Ch'era  per  riverenzia  sceso  a  piede, 
E  lo  fa  a  par  a  par  seco  venire  ; 

E  di  ciò  eh'  a  onorarlo  si  richiede. 
Un  punto  sol  non  lassa  pre|^rire. 
Ben  sapea  che  tornato  era  alla  fede  ; 
Che  tosto  che  i  guerrier  furo  all'asciutto, 
Certificato  avean  Carlo  del  tutto. 


L 


478  ORLANDO  FURIOSO. 

32  GoD  pompa  trionfai,  con  festa  grande 
Tornaro  insieme  dentro  alla  cittade, 
Che  di  frondi  verdeggia  e  di  ghirlande  : 
(Coperte  a  panni  son  tutte  le  strade  : 
Nembo  d'erbe  e  di  fior  d'alto  si  spande, 
E  sopra  e  intorno  ai  vhicitori  cade» 
Che  da  verronl  e  da  finestre  amene 
Donne  e  donzelle  gitlano  a  man  piene. 

33  Al  volgersi  dei  canti  in  varj  lochi 
Trovano  archi  e  trofei  subito  fatti, 
Che  di  Bìserta  le  raine  e  i  fochi 
Mostran  dipinti,  ed  altri  degni  fatti: 
Altrove  palchi  con  diversi  giuochi, 
£  spettacoli  e  mimi  e  scenici  atti  ; 
Ed  è  per  tutti  i  canti  il  titol  vero 
Scritto  :  Ai  liberatori  deU'  impero. 

34  Fra  il  suon  d*  argute  trombe,  e  di  canore 
Pifare,  e  d'ogni  musica  armonia. 

Fra  riso  e  plauso,  giubilo  e  favore 
Del  popolo  eh'  a  pena  vi  capia , 
Smontò  al  palazzo  il  magno  imperatore. 
Ove  più  giorni  quella  compagnia 
Con  torniamenti,  personaggi  e  farse, 
^  Danze  e  convili  dttese  a  dilettarse. 

35  Rinaldo  un  giorno  al  padre  fé  sapere 
Che  la  sorella  a  Ruggier  dar  volea  ; 
Ch'in  presenzia  d'Orlando  per  mogliere, 
E  d'Olivier,  promessa  glie  Tavea, 

Li  quali  erano  seco  d' an  parere, 
Che  parentado  far  non  si  potea. 
Per  nobiltà  di  sangue  e  per  valore. 
Che  fosse  a  questo  par,  non  che  migliore. 

36  Ode  Amone  il  figliuol  con  qualche  sdegno, 
Che,  senza  conferirlo  seco,  gli  osa 

La  figlia  maritar,  eh'  esso  ha  disegno 

Che  del  figliuol  di  Costantin  sia  sposa. 

Non  di  Ruggitr,  il  qual  non  eh'  abbi'  regno. 

Ma  non  può  al  mondo  dir  :  Questa  è  mia  cosa  ; 

Né  sa  che  nobiltà  poco  si  prezza, 

E  men  virtù,  se  non  v'  è  ancor  ricchezza. 


CANTO  QUARANTBSlltOQUARTO.  479 

37      Ma  più  d'  Amon  la  moglie  Beatrice 
Biasma  il  figliuolo,  e  chiamalo  arrogante  ; 
E  In  segreto  e  in  palese  contraddice 
Che  di  Raggier  sìa  moglie  Bradamante  : 
A  tutta  sua  possanza  imperatrice 
Ha  disegnato  farla  di  Levante. 
Sta  Rinaldo  ostinato,  che  non  vuole 
Che  manchi  un  iota  delle  sue  parole. 

3S     La  madre,  eh'  aver  crede  alle  sue  voglie 
La  magnanima  figlia,  la  conforta 
Che  dica,  che  piuttosto  eh'  esser  moglie 
D' un  pover  cavalier,  vuole  esser  morta; 
Né  mai  più  per  figliuola  la  raccoglie, 
Se  questa  ingiuria  dal  fratel  sopporta: 
Nìeghi  pur  con  audacia,  e  tenga  saldo  ; 
Gbò  per  sforzar  non  la  sarà  Rinaldo. 

39  Sta  Bradamante  tacita,  né  al  detto 
Della  madre  s' arrisca  a  contraddire  ; 

Che  r  ha  in  tal  riverenzìa  e  in  tal  rispetto, 

Che  non  potria  pensar  non  V  ubbidire. 

Dall'  altra  parte  terria  gran  difetto, 

Se  quéi  che  non  vuol  far  volesse  dire. 

Non  vuol,  perchè  non  può;  che  '1  poco  e  '1  molto 

Poter  di  sé  disporre  Amor  le  ha  tolto. 

40  Né  negar,  né  mostrarsene  contenta 
S'ardisce  ;  e  sol  sospira,  e  non  risponde: 
Poi  quando  é  in  luogo  ch'altri  non  la  senta, 
Yersan  lacrime  gli  occhi  a  guisa  d' onde  ; 

E  parte  del  dolor,  che  la  tormenta. 
Sentir  fa  al  petto  ed  alle  chiome  bionde  ; 
Che  r  un  percuote,  e  l' altre  straccia  e  frange  ; 
E  cosi  parla,  e  cosi  seco  piange  : 

41  Ahimé!  vorrò  quel  che  nofl  vuol  chi  deve 
Poter  del  voler  mio  più  che  poss'  io  ? 

Il  voler  di  mia  madre  avrò  in  si  lieve 
Stima,  eh'  io  lo  posponga  al  voler  mio  ? 
Deh  t  qual  peccato  puote  esser  sì  grieve 
A  una  donzella,  qual  biasmo  si  rio, 
Come  questo  sarà,  se,  non  volendo 
Chi  sempre  ho  da  ubbidir,  marito  prendo  ? 


480  ORLANDO  FURIOSO. 

42  Avrà,  misera  me  1  danqae  possanza 
La  materna  pietà,  ch'io  t'abbandoni, 

O  mio  Ruggiero?  e  eh' a  nuova  speranza, 
A  desir  nuovo,  a  nuovo  amor  mi  doni? 
Oppur  la  riverenzia  e  V  osservanza 
Ch'ai  buoni  padri  donno  i  figli  buoni» 
Porrò  da  parte,  e  solo  avrò  rispetto 
Al  mio  bene,  al  mio  gaudio,  al  mio  diletto? 

43  So  quanto,  ahi  lassa  1  debbo  far  ;  so  quanto 
Di  buona  figlia  al  debito  conviensi  : 

10  '1  so  ;  ma  che  mi  vai,  se  non  può  tanto 
La  ragion,  che  non  possine  più  i  sensi? 
S' Amor  la  caccia  e  la  fa  star  da  canto, 
Né  lassa  eh'  io  disponga,  né  eh'  io  pensi 
Di  me  dispor,  se  non  quanto  a  lui  piaccia , 
E  sol,  quanto  egli  detti,  io  dtea  e  faccia  ? 

44  Figlia  d' Amone  e  di  Beatrice  sono, 
E  son,  misera  me!  serva  d' Amore. 
Dai  genitori  miei  trovar  perdono 
Spero  e  pietà,  s' io  caderò  in  errore  : 
Ma  s' io  offenderò  Amer,  chi  sarà  buono 
A  schivarmi  con  prieghi  il  suo  furore. 
Che  sol  voglia  una  di  mie  scuse  udire, 
£  non  mi  faccia  subito  morire  ? 

45  Oimè  I  con  lunga  ed  ostinata  prova 
Ho  cercato  Roggier  trarre  alla  Fede  ; 
Ed  hello  tratto  alfin  :  ma  che  mi  giova , 
Se  '1  mio  ben  fare  in  util  d' altri  cede  ? 
Cosi,  ma  non  per  sé,  l'ape  rinnova 

11  mele  ogni  anno,  e  mai  non  lo  possiede. 
Ma  vo' prima  morir,  che  mai  sia  vero 
Ch'  io  pigli  altro  marito,  che  Ruggiero. 

4d    '  S' io  ndl^  «arò  al  mio  padre  ubbidiente, 
Né  alla  mia  madre,  io  sarò  al  mio  fratello. 
Che  molto  e  mollo  é  più  di  lor  prudente. 
Né  gli  ha  la  troppa  età  tolto  il  cervello. 
*  E  a  questo  che  Rinaldo  vuol,  consente 

Orlando  ancora,  e  per  me  ho  questo  e  quello: 
Li  quali  duo  più  onora  il  mondo  e  teme. 
Che  l'altra  nostra  gente  tutta  insieme. 


i 


CANTO  QDARANTESIMOQUÀRTO.  481 

47  Se  questi  il  fior,  se  questi  ognano  stima 
La  gloria  e  lo  splendor  di  Chiaramonte ; 
Se  sopra  gli  altri  ognun  gli  alza  e  sublima 
Più  che  non  è  del  piede  alla  la  fronte  ; 
Perchè  debbo  voler  che  di  me  prima 
Amon  disponga ,  che  Rinaldo  e  '1  conte? 
Voler  noi  debbo  ;  tanto  men ,  che  messa 

In  dubbio  al  Greco,  e  a  Ruggier  fui  promessa. 

48  Se  la  donna  s' aOllgge  e  si  tormenta , 
Né  di  Ruggier  la  mente  è  più  quieta  ; 
Gh'  ancor  che  di  ciò  nuova  non  si  senta 
Per  la  città,  pur  non  è  a  lui  segreta. 
Seco  di  sua  fortuna  si  lamenta, 

La  qual  fruir  tanto  suo  ben  gli  vieta, 
Poi  che  ricchezze  non  gli  ha  date  e  regni. 
Di  che  è  stata  si  larga  a  mille  indegni. 

49  Di  tutti  gli  altri  beni,  o  che  concede, 
Natura  al  mondo,  o  proprio  studio  acquista, 
Aver  tanta  e  tal  parte  egli  si  vede, 

Qual  e  quanta  altri  aver  mai  s' abbia  vista; 
Ch'  a  sua  bellezza  ogni  bellezza  cede  ; 
Ch'  a  sua  possanza  è  raro  chi  resista  : 
Di  magnanimità,  di  splendor  regio 
A  nessun,  più  eh' a  lui,  si  debbe  il  pregio. 

50  Ma  il  volgo,  nel  cui  arbitrio  son  gli  onori. 
Che,  come  pare  a  lui,  li  leva  e  dona 

(Né  dal  nome  del  volgo  voglio  fuori. 
Eccetto  Tuom  prudente,  trar  persona; 
Che  né  papi  né  re  né  imperatori 
Non  ne  tra'  scettro ,  mitra  né  corona  ; 
Ma  la  prudenzia,  ma  il  giudizio  buono, 
Grazie  che  dal  ciel  date  a  pochi  sono); 

iì     Questo  volgo  (per  dir  quel  eh'  io  vo'  dire) , 
Ch'altro  non  riverisce  che  ricchezza, 
Né  vede  cosa  al  mondo  che  più  ammiro , 
E  senza,  nulla  cura  e  nulla  apprezza, 
Sìa  quanto  voglia  la  beltà,  l'ardire. 
La  possanza  del  corpo,  la  destrezza, 
La  virtù,  il  senno,  la  bontà;  e  più  in  questo 
Di  eh'  ora  vi  ragiono,  che  nel  resto. 

ù.  Ai 


482  ORLANDO  FOBIOSO. 

59     Dicea  Ruggier  :  Se  par  è  Amon  disposto 
Che  la  figliuola  imperatrice  sia. 
Con  Leon  non  concluda  cosi  tosto  : 
Almen  termine  un  anno  anco  mi  dia; 
Ch'  io  spero  intanto  che  da  me  deposto 
Leon  col  padre  dell'  imperio  fia  ; 
£  poi  che  tolto  avrò  lor  le  corone , 
Genero  indegno  non  sarò  d' Amone. 

53     Ma  se  fa  senza  indugio,  come  ha  detto, 
Suocero  della  figlia  Costantino  ; 
S' alla  promessa  non  avrà  rispetto 
Dì  Rinaldo  e  d' Orlando  suo  cugino , 
Fattami  innanzi  al  vecchio  benedetto, 
Al  marchese  Oliviero,  al  re  Sobrino  ; 
Che  farò?  vo' patir  si  grave  torto? 
O,  prima  che  patirlo,  esser  pur  morto? 

64  Deh  che  farò?  farò  dunque  vendetta 
Centra  il  padre  di  lei  di  quest'  oltraggio? 
Non  miro  eh*  io  non  son  per  farlo  in  fretta, 
0  s' in  tentarlo  io  mi  sia  stolto  o  saggio  : 
Ma  voglio  presuppor  eh'  a  morte  io  metta 
L'iniquo  vecchio,  e  tutto  il  suo  lignaggio: 
Questo  non  mi  farà  però  contento  ; 

Anzi  in  tutto  sarà  centra  al  mio  intento. 

65  E  fu  sempre  il  mio  intento ,  ed  è,  che  m' ami 
La  bella  donna,  e  non  che  mi  sia  odiosa: 

Ma ,  quando  Amon  le  uccida,  o  faccia  o  trami 
Cosa  al  fratello  o  agli  altri  suoi  dannosa  ; 
Non  le  do  giusta  causa  che  mi  chiami 
Nimico,  e  più  non  voglia  essermi  sposa? 
Che  debbo  dunque  far?  debbol  patire? 
Ah  non,  per  Dio  :  piuttosto  io  vo'  morire. 

66  Anzi  non  vo'  morir  ;  ma  ve'  che  muoia 
Con  più  ragion  questo  Leone  Augusto, 
Venuto  a  disturbar  tanta  mia  gioia  ; 

Io  vo'  che  muoia  egli  e  '1  suo  padre  ingiusto. 

Elena  bella  all'  amator  di  Troia 

Non  costò  si,  né  a  tempo  più  vetusto 

Proserpina  a  Piritoo,  come  voglio 

Ch'  al  padre  e  al  figlio  costi  il  mio  cordogliOi 


i 


CANTO  QUARANTBSIMOQUARTO.  483 

67  Può  esser,  vita  mia,  che  non  ti  doglia 
Lasciare  il  tuo  Ruggier  per  questo  Greco? 
Potrà  tuo  padre  far  che  tu  lo  teglia  » 
Ancor  eh'  avesse  i  tuoi  fratelli  seco? 

Ma  sto  in  timor,  eh'  abbi  piuttosto  voglia 
D'esser  d' accordo  con  Amen,  che  meco  ; 
£  che  ti  paia  assai  miglior  partito 
Cesare  aver,  eh'  un  privato  uom,  marito. 

68  Sarà  possibil  mai  che  nome  regio. 
Titolo  imperiai,  grandezza  e  pompa, 
Dì  Bradamante  mia  l'animo  egregio, 
Il  gran  valor,  l' alla  virtù  corrompa 
SI,  eh'  abbia  da  tenere  in  minor  pregio 
La  data  fede,  e  le  promesse  rompa? 
Né  piuttosto  d' Amen  farsi  nimica. 

Che  quel  che  detto  m'ha,  sempre  non  dica? 

69  Diceva  queste  ed  altre  cose  molle, 
Ragionando  fra  sé  Ruggiero  ;  e  spesso 
Le  dicea  in  guisa,  ch'erano  raccolte 
Da  chi  talor  se  gli  trovava  appresso  : 
Si  che  il  tormento  suo  più  di  due  volte 
Era  a  colei,  per  cui  pativa,  espresso; 
A  cui  non  dolea  meno  il  sentir  lui 
Cosi  doler,  che  i  proprj  affanni  sui. 

60  Ma  più  d' ogni  altro  duol  che  le  sia  detto 
Che  tormenti  Ruggier,  di  questo  ha  doglia, 
Ch'  intende  che  s' affligge  per  sospetto 
Ch'ella  lui  lasci,  e  che  quel  Greco  voglia. 
Onde,  acciò  si  conforti,  e  che  del  petto 
Questa  credenza  e  questo  error  si  teglia, 
Per  una  di  sue  fide  cameriere 

Gli  fé  queste  parole  un  di  sapere  : 

61  Ruggier,  qual  sempre  fui,  tal  esser  voglio 
Fin  alla  morte,  e  più,  se  più  si  puote. 

O  siami  Amor  benigno,  o  m'usi  orgoglio, 
0  me  Fortuna  in  alto  o  in  basso  ruote, 
Immobil  son  di  vera  fede  scoglio 
Che  d' ogn'  intorno  il  vento  e  il  mar  percuote  : 
Né  giammai  per  bonaccia  né  per  verno 
Luogo  mutai,  né  muterò  in  elerno. 


484  ORLANDO  FURIOSO. 

62  Scarpello  si  Vedrà  di  piombo,  o  lima, 
Formare  in  varie  immagini  diamante, 
Prima  che  colpo  di  Fortuna,  o  prima 

Ch'  ira  d' Amor  rompa  il  mio  cor  costante  ; 
E  si  vedrà  tornar  verso  la  cima 
Dell'  alpe  il  fiume  torbido  e  sonante. 
Che  per  nuovi  accidenti,  o  buoni  o  rei. 
Faccino  altro  viaggio  ì  pensier  miei. 

63  A  voi;  Ruggier,  tutto  il  dominio  ho  dato 
Di  me,  che  forse  è  più  eh'  altri  non  crede. 
So  ben  eh'  a  nuovo  principe  giurato 

Non  fu  di  questa  mai  la  maggior  fede  ; 

50  che  né  al  mondo  il  più  sicuro  stato 
Di  questo,  re  né  imperator  possiede  : 
Non  vi  bisogna  far  fossa  né  torre. 

Per  dubbio  eh'  altri  a  voi  lo  venga  a  torre  ; 

64  Che,  senza  ch'assoldiate  «altra  persona, 
Non  verrà  assalto  a  cui  non  si  resista  : 
Non  é  ricchezza  ad  espugnarmi  buona. 
Né  si  vii  prezzo  un  cor  gentile  acquista  ; 
Né  nobiltà,  né  altezza  di  corona  ,- 

Ch'  al  sciocco  volgo  abbagliar  suol  la  vista, 
Non  beltà,  ch'in  lieve  animo  può  assai, 
Vedrò,  che  più  di  voi  mi  piaccia  mai. 

65  Non  avete  a  temer  eh'  in  forma  nuova 
Intagliare  il  mio  cor  mai  più  si  possa  : 

51  l'immagine  vostra  si  ritrova 
Scolpita  in  lui ,  eh'  esser  non  può  rimossa. 
Che  '1  cor  non  ho  di  cera,  é  fatto  prova  ; 
Che  gli  die  cento,  non  eh'  una  percossa, 
Amor,  prima  che  scaglia  ne  levasse, 
Quando  all'  immagin  vostra  lo  ritrasse. 

66  Avorio  e  gemma,  ed  ogni  pietra  dura 
Che  meglio  dall'  intaglio  si  difende. 
Romper  si  può  ;  ma  non  eh'  altra  figura 
Prenda,  che  quella  ch'una  volta  prende. 
Non  é  il  mio  cor  diverso  alla  natura 

Del  marmo  o  d'altro  ch'ai  ferro  contende. 
Prima  esser  può  che  tutto  Amor  lo  spezze , 
Che  lo  possa  sculpir  d' altre  bellezze. 


CANTO  OUABANTESIMOQÙÀRTO.  488 

67  Soggiunse  a  qaeste  altre  parole  molte , 
Piene  d' amor,  di  fede  e  di  conforto , 
Da  ritornarlo  in  vita  mille  volte, 

Se  stato  mille  volte  fosse  morto. 
Ma  quando  più  della  tempesta  tolte 
Qaeste  speranze  esser  credeano  in  porto 9 
Da  un  nuovo  turbo  impetuoso  e  scuro 
Rispinte  in  mar,  lungi  dal  lite,  furo  : 

68  Perocché  Bradamante,  ch'eseguire 
Vorria  molto  più  ancor  che  non  ha  detto  9 
Rivocando  nel  cor  T  usato  ardire, 

£  lasciando  ir  da  parte  ogni  rispetto , 
8'  appresenta  un  di  a  Carlo,  «  dice  :  Sire» 
S*  a  vostra  maestade  alcuno  effetto 

10  feci  mai,  che  le  paresse  buono, 
Contenta  sia  di  non  negarmi  un  dono. 

09      E  prima  che  più  espresso  io  le  lo  chieggia. 
Su  la  real  sua  fede  mi  prometta 
Farmene  grazia  ;  e  vorcò  poi  che  veggia 
Che  sarà  giusta  la  domanda  e  retta. 
Morta  la  tu»  virtù  che  dar  ti  deggia 
Ciò  che  domandf,  0  giovane  diletta. 
Rispose  Carlo;  e  giuro,  sebben  parte 
Chiedi  del  regno  mio,  di  contentarle. 

70  II  don  eh'  io  bramo  dall'  altezza  vostra, 
È  che  non  lasci  mai  marito  darme, 
Disse  la  damigella,  se  non  mostra 

Che  più  di  me  sia  valoroso  in  arme. 

Con  qualunque  mi  vuol,  prima'  0  con  giostra 

0  con  la  spada  in  mano  ho  da  provarme. 

11  primo  che  mi  vinca,  mi  guadagni: 
Chi  vinto  sìa,  con  altra  s'accompagni. 

71  Disse  r  imperator  con  viso  lieto. 
Che  la  domanda  era  di  lei  ben  degna  ; 
E  che  stesse  con  l'animo  quieto. 
Che  farà  a  ponto  quanto  ella  disegna. 
Non  è  questo  parlar  fatto  in  segreto 
Si,  eh'  a  notizia  altrui  tosto  non  vegna  ; 
E  quel  giorno  medesimo  alla  vecchia 
Beatrice  e  al  vecchio  Amon  corre  ali*  orecchia. 

4r 


486  ORLANDO  FURIOSO. 

79      Li  qaali  parimente  arser  di  grande 
Sdegno  contra  alla  figlia,  e  di  grand' ira; 
Che  vider  ben  con  queste  sne  domande, 
Gh'  ella  a  Ruggier  più  eh' a  Leone  aspira: 
E  presti,  per  vietar  che  non  si  mando 
Questo  ad  effetto,  a  ch'ella  intende  e  mira, 
La  levare  con  fraudo  della  corte, 
£  la  menaron  seco  a  Rocca  Forte. 

73  Qoest'  era  una  fortezza  eh'  ad  Amene 
Donato  Carlo  avea  pochi  di  innante. 
Tra  Perpignano  assisa  e  Carcassone, 

In  loco  a  ripa  il  mar  molto  importante. 
Quivi  la  ritenean  come  in  prigione. 
Con  pensier  di  mandarla  un  di  in  Levante  : 
Si  eh'  ogni  modo,  voglia  ella  o  non  voglia. 
Lasci  Ruggier  da  parte,  e  Leon  teglia. 

74  La  valorosa  donna,  che  non  meno 
Era  modesta,  ch'animosa  e  forte; 
Ancorché  posto  guardia  non  l'avieno, 
E  potea  entrare  e  uscir  fuor  delle  porte  ; 
Pur  stava  ubbidiente  sotto  il  freno 

Del  padre:  ma  patir  prigione  e  morte, 

Ogni  martire  e  crudeltà,  piuUosto 

Che  mai  lasciar  Ruggier,  s'avea  proposto. 

75  Rinaldo,  che  si  vide  k  sorella 
Per  astuzia  d' Amon  tolta  di  mano, 
E  che  dispor  non  potrà  più  di  quella, 

E  eh'  a  Ruggier  l' avrà  promessa  invano  ; 
Si  duol  del  padre,  e  contra  lui  favella, 
Posto  il  rispetto  Glial  lontano. 
Ma  poco  cura  Amon  di  tai  parole, 
E  di  sua  figlia  a  modo  suo  far  vuole. 

76  Ruggier,  che  questo  sente,  ed  ha  timore 
Di  rimaner  della  sua  donna  privo, 

E  che  l' abbia  o  per  forza  o  per  amore 
Leon,  se  resta  lungamente  vivo  ; 
Senza  parlarne  altrui  si  mette  in  core 
Di  far  che  muoia,  e  sia,  d'Augusto,  Divo; 
E  tor,  se  non  l'inganna  la  sua  speme. 
Al  padre  e  a  lui  la  vita  e  '1  regno  insieme* 


1 


CANTO  QUARANTESIMOQUARTO.  487 

77  L' arme  che  far  già  del  troiano  Eltorre, 
E  poi  di  Mandricardo,  si  riveste, 

Efa  la  sella  al  buon  Frontino  porre, 

E  cìmier  mata,  scudo  e  sopravveste. 

A  qaesta  impresa  non  gli  piacqae  torre 

V  aquila  bianca  nel  color  celeste  ; 

Ma  un  candido  liocorno,  come  giglio, 

Yuol  nello  scudo,  e  '1  campo  abbia  vermiglio. 

78  Sceglie  de' suoi  scudieri  il  più  fedele, 
E  quel  vuole,  e  non  altri,  in  compagnia  ; 
E  gli  fa  commission  che  non  rivele 

In  alcun  loco  mai,  che  Ruggier  sia. 
Passa  la  Mesa  e  '1  Reno,  e  passa  de  le 
Contrade  d' Ostericche  in  Ungheria  ; 
E  lungo  r  Istro  per  la  destra  riva 
Tanto  calcica,  eh' a  Belgrado  arriva* 

79  Ove  la  Sava  nel  Danubio  scende, 

E  verso  il  mar  maggior  con  lui  dà  volta. 
Vede  gran  gente  in  padiglióni  e  tende 
Sotto  l'insegne  imperiai  raccolta; 
Che  Costantino  ricovrare  intende 
Quella  città  che  i  Bulgari  gli  han  tolta. 
Costantin  v'è  in  persona,  e  '1  figliuof  seco 
Con  quanto  può  tutto  Y  imperio  greco. 

80  Dentro  a  Belgrado,  e  fuor  per  tutto  il  monte, 
E  giù  fin  dove  il  fiume  il  pie  gli  lava, 

L' esercito  dei  Bulgari  gli  è  a  fronte  ; 
E  r  uno  e  Y  altro  a  ber  viene  alla  Sava. 
Sul  fiume  il  Greco  per  gittare  il  ponte. 
Il  Bulgar  per  vietarlo  armato  stava. 
Quando  Ruggier  vi  giunse  ;  e  zuffa  grande 
Attaccata  trovò  fra  le  due  bande. 

81  I  Greci  son  quattro  contr'  uno,  ed  hanno 
Navi  coi  ponti  da  gittar  ndl'  onda  ; 

E  di  voler  fiero  sembiante  fanno 
Passar  per  forza  alla  sinistra  sponda. 
Leone  intanto,  con  occulto  inganno 
Dal  fiume  discostandosi,  circonda 
Molto  paese,  e  poi  vi  torna,  e  getta 
Nell'altra  ripa  i  ponti,  e  passa  in  fretta, 


488  OttLANDO  FURIOSO. 

82     E  con  gran  gente,  chi  in  arcion,  chi  a  piede 
(Che  non  n'  avea  di  venti  mila  un  manco), 
Cavalcò  lango  la  riviera,  e  diede 
Con  fiero  assalto  agi'  inimici  al  fianco. 
L' imperator,  tosto  che  '1  figlio  vede 
Sul  fiume  comparirsi  al  lato  manco. 
Ponte  aggiungendo  a  ponte,  e  nave  a  nave, 
Passa  di  là  con  quanto  esercito  bave. 

S3      II  capo,  il  re  de' Bulgari  Yatrano, 
Animoso  e  prudente  e  prò*  guerriero, 
Di  qua  e  di  là  s' affaticava  invano 
Per  riparare  a  un  impeto  si  fiero  ; 
Quando,  cingendol  con  robusta  mano 
Leon,  gli  fé  cader  sotto  il  destriero; 
E  poiché  dar  prigion  mai  non  si  volse. 
Con  mille  spade  la  vita  gli  toilM. 

84  I  Bulgari  sin  qui  fatto  avean  testa  ; 
Ma  quando  il  lor  signor  si  vider  tolto, 
E  crescer  d' ogn'  intorno  la  tempesta. 
Voltar  le  spalle  ove  avean  prima  il  volto. 
Ruggier,  che  misto  vien  fra  i  Greci,  e  questa 
Sconfitta  vede,  senza  pensar  molto, 

I  Bulgari  soccorrer  si  dispone. 
Perch'odia  Costantino,  e  più  Leone. 

85  Sprona  Frontin,  che  sembra  al  corso  un  vento, 
£  innanzi  a  tutti  i  corridori  passa  ; 

E  tra  la  gente  vien,  che  per  spavento 
Al  monte  fugge,  e  la  pianura  lassa. 
Molti  ne  ferma,  e  fa  voltare  il  mento 
Centra  i  nimici,  e  poi  la  lancia  abbassa; 
E  con  sì  fier  sembiante  il  destrier  muove, 
Che  fin  nel  ciel  Marte  ne  teme  e  Giove. 

86  '   Dinanzi  agli  altri  un  cavaliere  adocchia. 
Che  ricamato  ael  vestir  vermiglio 

Avea  d' oro  e  di  seta  una  pannocchia 
Con  tutto  il  gambo,  che  parea  di  miglio; 
Nipote  a  Costai) li n  per  la  sirocchia, 
Ma  che  non  gli  era  men  caro  che  figlio  : 
Gli  spezza  scudo  e  osbergo  come  vetro, 
E  fa  la  lancia  un  palmo  apparir  dietro. 


CANTO  QUARANTESIMOQUARTO.  480 

87      Lascia  quel  morto,  e  Balisarda  stringe 
Verso  ano  staol  che  più  si  vede  appresso  ; 
E  contra  a  questo  e  contra  a  quel  si  spinge, 
Ed  a  chi  tronco  ed  a  chi  il  capo  ha  fesso  : 
A  chi  nel  petto,  a  chi  nel  fianco  tinge 
Il  brando,  e  a  chi  l'ha  nella  gola  messo: 
Taglia  busti,  anche,  braccia,  mani  e  spalle; 
£  il  sangue,  come  un  rio,  corre  alla  valle. 

ss      Non  è,  visti  quei  colpi,  chi  gli  faccia 
Contrasto  più,  cosi  n'è  ognun  smarrito: 
Si  che  si  cangia  subito  la  faccia 
Della  battaglia;  che,  tornando  ardito, 
Il  petto  volge  e  ai  Greci  dà  la  caccia 
Il  Bulgaro  che  dianzi  era  fuggito  : 
In  un  momento  ogni  ordine  disciolto 
Si  vede,  e  ogni  stendardo  a  fuggir  volto. 

89  Leone  Augusto  s'un  poggio  eminente, 
Vedendo  i  suoi  fuggir,  s'era  ridutto; 

E  sbigottito  e  mesto  ponea  mente 
(Perch'era  in  loco  che  scopriva  il  tutto) 
Al  cavalier  eh'  uccidea  tanta  gente. 
Che  per  lui  sol  quel  campo  era  distrutto  ; 
E  non  può  far,  sebben  n'  è  offeso  tanto. 
Che  non  lo  lodi,  e  gli  dia  in  arme  il  vanto. 

90  Ben  comprende  all'  insegne  e  sopravvesti, 
All'  arme  luminose  e  ricche  d' oro , 

Che,  quantunque  il  guerrier  dia  aiuto  a  questi 
Nìmici  suoi,  non  sia  però  di  loro. 
Stupido  mira  i  soprumani  gesti, 
E  talor  pensa  che  dal  sommo  eoro 
Sia  per  punire  i  Greci  un  angel  sceso, 
Che  tante  e  tante  volte  hanno  Dio  offeso. 

91  E  come  uom  d' alto  e  di  sublime  core. 
Ove  r  avrian  molt'  altri  in  odio  avuto, 
Egli  s'innamorò  del  suo  valore, 

Né  veder  fargli  oltraggio  avria  voluto  : 
Gli  sarebbe  per  un  de'  suoi  che  muore, 
Vederne  morir  sei  manco  spiaciuto, 
E  perder  anco  parte  del  suo  regno. 
Che  veder  morto  un  cavalier  si  degno. 


490  ORLANDO  FURIOSO. 

92  Come  bambio,  sebben  la  cara  madre 
Iraconda  lo  batte  e  da  sé  caccia , 

Non  ha  ricorso  alla  sorella  o  al  padre, 
Ma  a  lei  ritorna,  e  con  dolcezza  abbraccia  : 
Cosi  Leon,  sebben  le  prime  squadre 
Ruggier  gli  uccide,  e  l'altre  gli  minaccia. 
Non  lo  può  odiar  ;  perch'  air  amor  più  tira 
U  alto  valor,  che  quella  offesa  all'  ira. 

93  Ma  se  Leon  Ruggiero  ammira  ed  ama. 
Mi  par  che  duro  cambio  ne  riporte  ; 
Che  Ruggiero  odia  lui,  né  cosa  brama 
Più,  che  di  dargli  di  sua  man  la  morte. 
Molto  con  gli  occhi  il  cerca,  ed  alcun  chiama, 
Che  glie  lo  mostri;  ma  la  buona  sorte, 

E  la  prudenza  dell'  esperto  Greco, 
Non  lasciò  mai  che  s' affrontasse  seco. 

94  Leone,  acciò  che  la  sua  gente  affatto 
Non  fosse  uccisa,  fé  sonar  raccolta; 
Ed  all'  imperatore  un  messo  ratto 

A  pregarlo  mandò,  che  desse  volta, 
E  ripassasse  il  fiume  ;  e  che  buon  patto 
N'avrebbe,  se  la  via  non  gli  era  tolta: 
Ed  esso,  con  non  molti  che  raccolse. 
Al  ponte  ond'  era  entrato  i  passi  volse. 

95  Molti  in  poter  de*  Bulgari  restaro 

Per  tutto  il  monte,  e  sin  al  fiume  uccìsi; 
E  vi  resta van  tutti,  se  '1  riparo 
Non  gli  avesse  del  rio  tosto  divìsi. 
Molti  cadder  dai  ponti,  e  s'affogare  ; 
E  molti,  senza  mai  volgere  i  visi. 
Quindi  lontano  irò  a  trovar  il  guado  ; 
E  molti  fur  prigion  tratti  in  Belgrado. 

96  Finita  la  battaglia  di  quel  giorno, 
Nella  qual,  poi  che  il  lor  signor  fu  estinto. 
Danno  i  Bulgari  avriano  avuto  e  scorno, 
Se  per  lor  non  avesse  il  guerrier  vinto , 

Il  buon  guerrier  che  il  candido  liocorno 
Nello  scudo  vermiglio  avea  dipinto  ; 
A  lui  si  trasson  tutti,  da  cui  questa 
Vittoria  conoscean,  con  gioia  e  festa. 


CANTO  QUARANTESIUOQUARTO.  491 

vn      Uno  il  saluta,  un  altro  se  gr  inchina, 
Altri  la  mano,  altri  gli  bacia  il  piede: 
Ognun,  quanto  più  può,  se  gli  avvicina, 
£  beato  si  tien  chi  appresso  il  vede, 
E  più  chi  '1  tocca;  che  toccar  divina 
E  soprannatural  cosa  si  crede. 
Lo  pregan  tutti,  e  vanno  al  ciel  le  grida, 
Che  sia  lor  re,  lor  capitan,  lor  guida. 

98  Ruggier  rispose  lor,  che  capitano 

E  re  sarà,  quel  che  fia  lor  più  a  grado  ; 
Ma  né  a  baston  né  a  scettro  ha  da  por  mano. 
Né  per  quel  giorno  entrar  vuole  in  Belgrado  : 
Che,  prima  the  si  faccia  più  lontano 
Leone  Augusto,  e  che  ripassi  il  guado, 
Lo  vuol  seguir,  né  torsi  dalla  traccia. 
Finché  noi  giunga,  e  che  morir  noi  faccia  ; 

99  Che  mille  miglia  e  più,  per  questo  solo 
Era  venuto,  e  non  per  altro  efletto. 

Cosi  senza  indugiar  lascia  lo  stuolo, 
E  si  volge  al  cammin  che  gli  vietr  detto 
Che  verso  il  ponte  fa  Leone  a  volo. 
Forse  per  dubbio  che  gli  sia  intercetto. 
Gli  va  dietro  per  l'orma  in  tanta  fretta. 
Che  '1  suo  scudier  non  chiama  e  non  aspetta. 

100  Leone  ha  nel  fuggir  tanto  vantaggio 
(Fuggir  si  può  ben  dir,  più  che  ritrarse), 
Che  trova  aperto  e  libero  il  passaggio  ; 
Poi  rompe  il  ponte,  e  lascia  le  navi  arse. 
Non  v'  arriva  Ruggier,  eh'  ascoso  il  raggio 
Era  del  Sol,  né  sa  dove  alloggiarse. 
Cavalca  innanzi,  che  lucea  la  luna. 

Né  mai  trova  Castel  né  villa  alcuna. 

101  Perché  non  sa  dove  si  por,  cammina 
Tutta  la  notte,  né  d' arcion  mai  scende. 
Nello  spuntar  del  nuovo  Sol  vicina 

A  man  sinistra  una  città  comprende  ; 
Ove  di  star  tutto  quel  di  destina. 
Acciò  r  ingiuria  al  suo  Frontino  emende, 
A  cui,  senza  posarlo  o  trarglì  briglia, 
La  notte  fatto  avea  far  tante  miglia. 


492  ORLANDO  FURIOSO. 

i02     Un^iardo  era  signor  di  quella  terra , 
Saddito  e  caro  a  Goslantiiro  molto. 
Ove  avea,  per  cagion  di  quella  guerra, 
Da  cavallo  e  da  pie  buon  numer  tolto. 
Quivi»  ove  altrui  l'  entrata  non  si  serra, 
Entra  Ruggiero;  e  v*ò  si  ben  raccolto, 
Che  non  gli  accade  di  passar  più  avante 
Per  aver  miglior  loco  e  più  abbondante. 

403     Nel  medesimo  albergo  in  su  la  sera 
Un  cavalier  di  Romania  alloggiosse, 
Che  si  trovò  nella  battaglia  Gora, 
Quando  Ruggier  pei  Bulgari  si  mosse, 
Ed  a  pena  di  man  fuggite^  gli  era. 
Ma  spaventato  più  eh'  altii  mai  fosse  ; 
Si  eh' ancor  triema,  e  parglì  ancora  intorno 
Avere  il  cavalier  dal  liocorno. 

104     Conosce,  tosto  che  lo  scudo  vede, 
Che  '1  cavalier  che  quella  insegna  porta, 
£  quel  che  la  sconfitta  ai  Greci  diede, 
Per  le  cui  mani  ò  tanta  gente  morta. 
Corre  al  palazzo,  ed  udienzia  chiede. 
Per  dire  a  quel  signor  cosa  eh'  importa  ; 
E  subito  intromesso,  dice  quanto 
lo  mi  riserbo  a  dir  neir  altro  Canto. 


VOTE. 


Su  7.  9.  6*8.  —  L'uno  e  l'altro 
figlio  Dol  due*  Bttùvo:  Malagigi  e  Vi- 
▼iano,  figliuoli  di  Boovo  d*  Agjitmoate , 
liberati  da  Ruggiero,  com*k  detto  nel 
Canto  XXVI. 

St,  iS.  9.Z iV  uvoa  daio,^  in- 

Un»iono:  n'avea  fatto  promcMa. 

St,  i7.  »,  '4w—  Dal  formidabile 
giardino  t  dal  giardino  di  Fallerina.  Vedi 
la  St.  S6  del  canto  XLI,  e  la  nota  cor- 
riipondenle. 

ó'i.  1 8.  f».  S.  •>•  JVolo  t  vento  di  mei- 
ftogioiooi 


St,  Si.  9. 7-8 Neir uterino  eie»' 

stro  :  nel  vano  dell*  otre.  Vedi  la  Sì,  30 

del  Canto  XXXVill Ju*tro  :  Tento 

meridionale,  lo  atesto  che  Noto, 

St.  25.  V.  6-6.— ri  pia  basso  citi, 
che  sempre  acquista  Del  perder  ■•■ 
stro  :  il  cielo  della  luna  ,  ove  si  radnaa 
ciò  che  si  perde  sulla  terra. 

St.^.  V, 5. — Mongrana  e  Chiare* 
monto  f  nome  delle  case  a  coi  apparte- 
nevano Orlando  e  Rinaldo. 

St,  34.  V,  7. —  TorniamamUt  ar« 
meggiamenti  solenni,  che  si  faccTaoo  i« 


CANTO  QUARANTESIMOQUABTO. 


493 


occasione  di  pubbliche  allegreste.  •— 
Personaggi:  mascherate.— Far.re.*  rap- 
presentasioni  burlesche. 

St,  37.  e.  8 (/it  iofa.*  nome  di 

lettera  greca»  che,  pronnnsiata  cosi,  vale 
niente. 

St,  61.  p.  2-8.  —  Ch'  altro  non 
riverisce  ee.  A  togliere  V  oscnritìi  che 
incontrar  si  potesse  nel  sentimento  di 
questa  Stansa,si  crede  avvertire  (come 
altri  ancora  hanno  fatto),  potersi  to- 
gliere il  che  nel  principio  del  secondo 
verso,  e  leggere: 

Questo  volgo  (per  dir  quel  oV  io  vo'dire) 
Altro  non  riverisca  ec^ 

ovvero  ritener  come  verbo  la  e  del  set- 
timo verso,  leggendolo 

•m«m;  è  piò  in  questo  ee.; 

di  modo  che  s'intenda  essere  il  volgo  dis- 
posto a  far  conto  delle  ricchezse,  più  in 
circostansa  di  matrimonio,  che  in  altra. 


St,  66.  V,  6.7 Jiramator  di 

Troia:  a  Paride.-^ ^^  Piritoo:  figlio 
d*  Issione;  scese  ali*  inferno  insieme  eoo 
Teseo  per  rapire  Proserpina ,  ed  ivi  fu 
divorato  da  Cerbero,  cane  di  Pluto. 

St,  61.  •».  7 Verno:  proceUa, 

burrasca. 

St  76.  •».  6 — E  sia,  ^Augusto, 
Divo  /  e  da  Augusto  ch'egli  è  ora,  di- 
venga Divo.  Ironica  allusione  ai  costumi 
ch'ebbero  i  Romani,  sotto  gl'impera- 
tori ,  di  divinissarli  dopo  la  morte. 

St,  77.  V.  7-8 — Ma  un  candido 
liocorno..,  Vuolnello  scado,  e  'l  campo 
abbia  vermiglio.  Illiocorno  bianco  (ani- 
male da  un  corno  solo,  altrimenti  uni' 
corno)  in  campo  rosso  fu  impresa  anti- 
camente usata  dagli  Estensi;  e  se  ne 
vedono  tuttora  le  reliquie  io  qualche 
luogo  di  Ferrara. 

St,  78.  V.  M.—Ostericche:  Au- 
stria ,  come  si  è  detto  altra  volta.  — 
tsU-o  :  in  oggi  Danubio. 


cautto  QiiARABTTEsiiiooijrariro. 


Ruggiero,  preso  nel  sonno  da  Ungiardo, resta  prigioniero  di  Teodora,  sorella 
dell*  imperator  Costantino.  Carlo  intanto,  a  richiesta  di  Bradamante,  ha  fatto 
bandire  che  chi  la  vuole  in  moglie  deve  battersi  con  lei,  e  vincere  la  pugna. 
Leone,  che  ha  concepito  amore  e  stima  per  Ruggiero,  benché  noi  conosca,  lo 
trae  di  prigione,  e  lo  impegna  ad  assumersi  quel  duello.  Ruggiero,  portando 
le  insegne  di  Leone,  combatte  con  la  donsella.  Sopraggiunta  la  notte ,  Carlo 
fa  cessare  la  pugna,  e  destina  Bradamantc  al  creduto  Leone.  Ruggiero  accorato 
vuole  uccidersi;  ma  presentasi  a  Carlo  Marfisa ,  e  impedisce  quel  maritaggio. 

1      Quanto  più  sa  V  iostabil  raota  vedi 
Di  Fortuna  ire  io  alto  il  mìser  uomo  ; 
Tanto  più  tosto  hai  da  vedergli  i  piedi 
Ove  ora  ha  il  capo,  e  far  cadendo  il  tomo. 
Di  questo  esempio  é  Policrate,  e  il  re  di 
Lidia,  e  Dionigi,  ed  altri  eh' io  non  nomo. 
Che  ruinati  son  dalla  suprema 
Gloria  in  un  di  nella  miseria  estrema. 
II.  42 


494  ORLANDO  FURIOSO. 

2  Cosi  all'incontro,  quanto  più  depresso, 
Quanto  è  più  V  uom  di  questa  ruota  al  fondo» 
Tanto  a  quel  punto  più  si  trova  appresso , 

C  ha  da  salir,  se  de'  girarsi  in  tondo. 
Alcun  sul  ceppo  quasi  il  capo  ha  messo. 
Che  r  altro  giorno  ha  dato  legge  al  mondo. 
Servio  e  Mario  e  Yentidio  V  hanno  mostro 
Al  tempo  antico,  e  il  re  Luigi  al  nostro  : 

3  II  re  Luigi ,  suocero  del  figlio 

Del  duca  mio;  che  rotto  a  Santo  Albino» 
E  giunto  al  suo  nimico  nelF  artiglio, 
A  restar  senza  capo  fu  vicino. 
Scorse  di  questo  anco  maggior  periglio, 
Non  molto  innanzi,  il  gran  Mattia  Corvino. 
Poi  Tun  de' Franchi,  passato  quel  punto, 
L' altro  al  regno  degli  Ungari  fu  assunto. 

4  Si  vede,  per  gli  esempj  di  che  piene 
Sono  r  antiche  e  le  moderne  istorie. 

Che  '1  ben  va  dietro  al  male,  e  '1  male  al  bene, 
£  fin  son  l' un  dell'  altro  e  biasmi  e  glorie  ; 
E  che  fidarsi  all'  uom  non  si  conviene 
In  suo  tesor,  suo  regno  e  sue  vittorie  ; 
Né  disperarsi  per  Fortuna  avversa. 
Che  sempre  la  sua  ruota  in  giro  versa. 

6     Ruggier,  per  la  vittoria  eh'  avea  avuto 
Di  Leone  e  del  padre  imperatore, 
In  tanta  confidenzia  era  venuto 
Di  sua  fortuna  e  di  suo  gran  valore , 
Che  senza  compagnia,  senz'  altro  aiuto, 
Di  poter  egli  sol  gli  dava  il  core. 
Fra  cento  a  pie  e  a  cavallo  armate  squadre  ^ 
Uccider  dì  sua  mano  il  figlio  e  il  padre. 

6     Ma  quella  che  non  vuol  che  si  prometta 
Alcun  di  lei,  gli  mostrò  in  pochi  giorni 
Come  tosto  alzi,  e  tosto  al  basso  metta, 
E  tosto  avversa  e  tosto  amica  torni. 
Lo  fé  conoscer  quivi  da  chi  in  fretta 
A  procacciargli  andò  disagi  e  scorni. 
Dal  cavalier  che  nella  pugna  fiera 
Di  man  fuggilo  a  gran  fatica  gli  era. 


CANTO  QUARAMTESIMOQUINTO.  495 

7  Costai  fece  ad  Ungìardo  saper  come 
Qoivì  il  guerrier  eh'  avea  le  genti  rotte 
Di  Costanti  no  9  e  per  molt'  anni  dome. 
Stato  era  il  giorno,  e  vi  staria  la  notte; 
E  che  Fortuna  presa  per  le  chiome, 
Senza  che  più  travagli  o  che  più  lotte. 
Darà  al  suo  re,  se  fa  costui  prigione; 
Ch'  a'  Bulgari,  lui  preso,  il  giogo  pone. 

8  Ungiardo  dalla  gente  che,  fuggita 
Della  battaglia,  a  lui  s'era  ridulta 

(  Ch'  a  parte  a  parte  v'  arrivò  infinita, 
Perch'  al  ponte  passar  non  potea  tutta} , 
Sapea  come  la  strage  era  seguita, 
Che  la  metà  de'  Greci  avea  distratta  ; 
£  come  un  cavalier  solo  era  stato, 
Ch'un  campo  rotto,  e  l'altro  avea  salvato. 

9  £  che  sia  da  sé  stesso  senza  caccia 
Venuto  a  dar  del  capo  nella  rete, 

Si  maraviglia,  e  mostra  che  gli  piaccia, 
Con  viso  e  gesti  e  con  parole  liete. 
Aspetta  che  Ruggier  dormendo  giaccia  ; 
Poi  manda  le  sue  genti  chete  chete, 
£  fa  il  buon  cavalier,  eh'  alcun  sospetto 
Di  questo  non  avea,  prender  nel  letto. 

iO      Accasato  Ruggier  dal  proprio  scudo, 
Nella  città  di  Novengrado  resta 
Prigion  d' Ungiardo,  il  più  d'ogni  altro  crudo. 
Che  fa  di  ciò  maravigliosa  festa. 
£  che  può  far  Ruggier,  poi  eh'  egli  è  nudo , 
£d  è  legato  già  quando  si  desta  ? 
Ungiardo  un  suo  corrier  spaccia  a  staffetta 
A  dar  la  nuova  a  Costantino  in  fretta. 

n     Avea  levato  Costantin  la  notte 
Dalle  ripe  di  Sava  ogni  sua  schiera  ; 
E  seco  a  Beleticche  avea  ridotte. 
Che  città  del  cognato  Androfilo  era. 
Padre  di  quello  a  cui  forate  e  rotte 
(Come  se  state  fossino  di  cera) 
Al  primo  incontro  l' arme  avea  il  gagliardo 
Cavalier,  or  prigion  del  fiero  Ungiardo. 


496  ORLANDO  FOfilOSO. 

12  Quivi  fortìGcar  facea  le  mura 
L'imperatore,  e  riparar  le  porte  ; 
Che  de'  Bulgari  ben  non  s' assicura , 
Che  con  la  guida  d' un  guerrier  si  forte 
Non  gli  faccino  peggio  che  paura, 

£  '1  resto  ponghin  di  sua  gente  a  morte. 
Or  che  l'ode  prigion,  né  quelli  teme, 
Né  se  con  lor  sia  il  mondo  tutto  insieme. 

13  L'imperator  nuota  in  un  mar  di  latte  ^ 
Né  per  letizia  sa  quel  che  si  faccia. 
Ben  son  le  genti  bulgare  disfatte, 

Dice  con  lieta  e  con  sicura  faccia. 
Come  della  vittoria,  chi  combatte. 
Se  troncasse  al  nimico  ambe  le  braccia, 
Certo  sarìa  ;  cosi  n'  é  certo  e  gode 
L'imperator,  poiché  '1  guerrier  preso  ode. 

14  Non  ha  minor  cagion  di  rallegrarsi 
Del  patre  il  figlio  ;  eh'  oltre  che  si  spera 
Di  racquistar  Belgrado,  e  soggiugarsi 
Ogni  contrada  che  de'  Bulgari  era. 
Disegna  anco  il  guerriero  amico  farsi 
Con  beneficj,  e  seco  averlo  in  schiera. 
Né  Rinaldo  né  Orlando  a  Carlo  Magno 
Ha  da  invidiar,  se  gli  é  costui  compagno. 

15  Da  questa  voglia  é  ben  diversa  quella 
Di  Teodora,  a  chi  '1  figliuolo  uccise 
Buggier  con  l' asta  che  dalla  mammella 
Passò  alle  spalle,  e  un  palmo  fuor  si  mise. 
A  Costantin,  del  quale  era  sorella. 
Costei  si  gittò  a' piedi,  e  gli  conquise 

E  intenerigli  il  cor  d' alta  pietade 
Con  largo  pianto,  che  nel  sen  le  cade. 

i6     Io  non  mi  leverò  da  questi  piedi, 
Diss'ella,  signor  mio,  se  del  fellone 
Ch'  uccise  il  mio  figliuol  non  mi  concedi 
Di  vendicare,  or  che  l' abbiam  prigione. 
Oltre  che  stato  t' é  nipote,  vedi 
Quanto  t'amò,  vedi  quant'opre  buone 
Ha  per  te  fatto,  e  vedi  s' avrai  torto 
Di  non  lo  vendicar  di  chi  V  ha  morto. 


CANTO  OUARANtESIMOOniNTO.  497 

47     Vedi  che  per  pietà  del  nostro  duolo 
Ha  Dio  fatto  levar  dalla  campagna 
Questo  crudele,  e,  come  augello,  a  volo 
A  dar  ce  l'ha  condotto  nella  ragna, 
Acciò  in  ripa  di  Stige  il  mio  figliuolo 
Molto  senza  vendetta  non  rimagna. 
Dammi  costui,  signore,  e  sii  contento 
Gh'  io  disacerbi  il  mio  col  suo  tormento. 

i8      Cosi  ben  piange,  e  cosi  ben  si  duole, 
£  cosi  bene  ed  efficace  parla  ; 
Né  dai  piedi  levar  mai  se  gli  vuole 
(Benché  tre  volte  o  quattro  per  levarla 
Usasse  Costantino  atti  e  parole), 
Ch'  egli  é  forzato  alfin  di  contentarla  : 
E  cosi  comandò  che  si  facesse 
Colui  condurre,  e  in  man  di  lei  si  desse. 

49      £  per  non  fare  in  ciò  lunga  dimora, 
Condotto  hanno  il  guerrier  dal  liocorno, 
£  dato  in  mano  alla  crudel  Teodora, 
Che  non  vi  fu  intervallo  più  d' un  giorno. 
Il  far  che  sia  squartato  vivo,.. e  muora 
Pubblicamente  con  obbrobrio  e  scorno, 
Poca  pena  le  pare  ;  e  studia  e  pensa 
Altra  trovarne  inusitata  e  immensa. 

20  La  femmina  crudel  lo  fece  porre, 
Incatenato  e  mani  e  piedi  e  collo. 
Nel  tenebroso  fondo  d'  una  torre. 
Ove  mai  non  entrò  raggio  d' Apollo. 
Fuor  eh' un  poco  di  pan  muffato,  torre 
Gli  fé  ogni  cibo,  e  senza  ancor  tassello 
Duo  di  talora;  e  lo  die  in  guardia  a  tale, 
Ch'  era  di  lei  più  pronto  a  fargli  male. 

21  Oh  I  se  d'Amon  la  valorosa  e  bella 
Figlia,  oh  se  la  magnanima  Marfisa 
Avesse  avuto  di  Ruggier  novella, 

Ch'  in  prigion  tormentasse  a  questa  ^uìsa  ; 
Per  liberarlo  saria  questa  e  quella 
Postasi  al  rischio  di  restarne  uccisa  ; 
Né  Bradamante  avria,  per  dargli  aiuto, 
A  Beatrice  o  Amon  rispetto  avuto. 


498  ORLANDO  FURIOSO. 

82      Re  Carlo  intanto  avendo  la  promessa 
A  costei  fatta  in  mente,  che  consorte 
Dar  non  le  lascerà,  che  sia  men  d'essa 
Al  paragon  deli'  arme  ardito  e  forte  ; 
Questa  sua  volontà  con  trombe  espressa 
Non  solamente  fé  nella  sua  corte, 
Ma  in  ogni  terra  al  suo  imperio  soggella  ; 
Onde  la  fama  andò  pel  mondo  in  fretta. 

23  Questa  condizion  contiene  il  bando  : 
Chi  la  Gglìa  d' Amon  per  moglie  vuole, 
Star  con  lei  debba  a  paragon  del  brando 
Dall'  apparire  al  tramontar  del  sole  ; 

E  fin  a  questo  termine  durando, 
£  non  sia  vinto,  senz'  altre  parole 
La  donna  da  lui  vinta  esser  s' intenda  ; 
Né  possa  ella  negar  che  non  lo  prenda  : 

24  E  che  r  eletta  ella  dell'  arme  dona. 
Senza  mirar  chi  sia  di  lor  che  chiede. 
E  lo  potea  ben  far,  perch'era  buona 

Con  tutte  r  arme ,  o  sia  a  cavallo  o  a  piede. 
Amon,  che  contrastar  con  la  corona 
Non  può  né  vuole,  alfin  sforzato  cede; 
E  ritornare  a  corte  si  consiglia. 
Dopo  molti  discorsi,  egli  e  la  figlia. 

25  Ancor  che  sdegno  e  collera  la  madre 
Centra  la  figlia  avea,  pur  per  suo  onore 
Vesti  le  fece  far  ricche  e  leggiadre 

A  varie  fogge,  e  di  più  d' un  colore. 
Bradamante  alla  corte  andò  col  padre  ; 
E  quando  quivi  non  trovò  il  suo  amore, 
Più  non  le  parve  quella  corte,  quella 
Che  le  solca  parer  già  cosi  bella. 

26  Come  chi  visto  abbia,  l' aprile  o  il  maggio, 
Giardin  di  frondi  e  di  bei  fiori  adorno, 

E  lo  rivegga  poi  che  '1  Sol  il  raggio 
All'Austro  inchina,  e  lascia  breve  il  giorno, 
Lo  trova  deserto,  orrido  e  selvaggio  ; 
Cosi  pare  alla  donna  al  suo  ritorno, 
Che  da  Ruggier  la  corte  abbandonata 
Quella  non  sia,  eh'  avea  al  partir  lasciata. 


Canto  quabantesimoquinto.  .490 

27  Domandar  non  ardisce  che  ne  sia. 
Acciò  di  sé  non  dia  maggior  sospetto  ; 
Ma  pon  l'orecchia,  e  cerca  tuttavia 
Che  senza  domandar  le  ne  sia  detto. 
Si  sa  eh'  egli  è  partito  ;  ma  che  via 
Pres' abbia,  non  fa  alcan  vero  concetto: 
Perchè  partendo  ad  altri  non  fé  motto , 
Ch'  allo  scudier  che  seco  avea  condotto. 

28  Oh  come  ella  sospira  I  oh  come  teme» 
Sentendo  che  se  n'  è  come  fuggito  I 
Oh  come  sopra  ogni  timor  le  preme, 
Che  per  porla  in  obblio  se  ne  sia  gito  I 
Che  vistosi  Amen  centra,  ed  ogni  speme 
Perduta  mai  più  d'esserle  marito, 

Si  sia  fatto  da  lei  lontano,  forse 
Cosi  sperando  dal  suo  amor  disciorse  ; 

29  E  che  fatt'  abbia  ancor  qualche  disegno. 
Per  più  tosto  levarsela  dal  core, 

D' andar  cercando  d' uno  in  altro  regno 
Donna  per  cui  si  scordi  il  primo  amore, 
Come  si  dice  che  si  suol  d' un  legno 
Talor  chiodo  con  chiodo  cacciar  fuore. 
Nuovo  pensier  eh' a  questo  poi  succede, 
Le  dipinge  Ruggier  pieno  di  fede  ; 

so     E  lei,  che  dato  orecchie  abbia,  riprende, 
A  tanta  inìqua  suspizione  e  stolta  : 
E  cosi  l'un  pensier  Ruggier  difende. 
L'altro  l'accusa;  ed  ella  amenduo  ascolta, 
E  quando  a  questo  e  quando  a  quel  s'apprende, 
Né  risoluta  a  questo  o  a  quel  si  volta. 
Pur  all'  opinion  piuttosto  corre 
Che  più  le  giova,  e  la  contraria  abborre. 

31     E  talor  anco,  che  le  torna  a  mente 

Quel  che  più  volte  il  suo  Ruggier  le  ha  detto. 
Come  di  grave  error,  si  duole  e  pente, 
Ch'  avuto  n'  abbia  gelosìa  e  cospetto  ; 
E  come  fosse  al  suo  Ruggier  presente. 
Chiamasi  in  colpa,  e  se  ne  batte  il  petto. 
Ho  fatto  error,  die'  ella,  e  me  n'av veggio  ; 
Ma  chi  n*é  causa,  è  causa  ancor  di  peggio, 


SOO  ORLANDO  FUBIOSO. 

81      Amor  n'  é  causa,  che  nel  cor  m' ha  impresso 
La  forma  taa  cosi  leggiadra  e  bella  ; 
E  posto  ci  ha  V  ardir,  Y  ingegno  appresso, 
E  la  virtù  di  che  ciascun  favella; 
Gh'  impossibil  mi  par,  eh'  ove  concesso 
Ne  sia  il  veder,  eh'  ogni  donna  e  donzella 
Non  ne  sia  accesa,  e  che  non  usi  ogni  arte 
Di  sciorti  dal  mio  amore,  e  al  suo  legarle. 

33  Deh  avesse  Amor  cosi  nei  pensìer  miei 
Il  tuo  pensier,  come  ci  ha  il  viso,  scnltol 

10  son  ben  certa  che  lo  troverei 
Palese  tal,  qual  io  lo  stimo  occulto  ; 
E  che  si  fuor  di  gelosia  sarei, 

Ch'  ad  or  ad  or  non  mi  farebbe  insulto; 
£  dove  a  pena  or  è  da  me  respinta, 
Rimarrìa  morta,  non  che  rotta  e  vinta. 

34  Son  simile  air  avar,  e'  ha  il  cor  si  intento 
Al  suo  tesoro,  e  «i  ve  Y  ha  sepolto. 

Che  non  ne  può  lontan  viver  contento. 
Né  non  sempre  temer  che  gli  sia  tolto. 
Ruggiero,  or  può,  ch'io  non  ti  veggo  e  sento. 
In  me,  più  della  speme,  il  timor  molto; 

11  qual,  benché  bugiardo  e  vano  io  creda. 
Non  posso  far  di  non  mi  dargli  in  preda. 

35  Ma  non  apparirà  il  lume  si  tosto 
Agli  occhi  miei  del  tuo  viso  giocondo, 
Gontra  ogni  mia  credenza  a  me  nascosto, 

Non  so  in  qual  parte,  o  Ruggier  mio,  del  mondo, 
Geme  il  falso  timor  sarà  deposto 
Dalla  vera  speranza,  e  messo  al  fondo. 
Deh  torna  a  me,  Ruggier,  torna,  e  conforta 
La  speme  che  '1  timor  quasi  m' ha  morta  l 

36  Geme  al  partir  del  Sol  si  fa  maggiore 
L'ombra,  onde  nasce  poi  vana  paura; 
£  come  all'  apparir  del  suo  splendore* 
Vien  meno  Y  ombra,  e  '1  timido  assicura: 
Gosi  senza  Ruggier  sento  timore; 

Se  Ruggier  veggo,  in  me  timor  non  dura. 
Deh  torna  a  me,  Ruggier,  deh  torna  prima 
Che  '1  timor  la  speranza  in  ti^^to  opprima! 


CANTO  QUARANTfiSISIOQClNTO.  ($01 

37  Come  la  notte  ogni  fiammella  è  viva, 
E  riman  spenta  sobito  ch'aggiorna; 
Così,  quando  il  mio  Sol  di  sé  mi  priva, 
Mi  leva  incontra  il  rio  timor  le  corna  : 
Ma  non  si  tosto  all'orizzonte  arriva, 
Che  '1  timor  fugge,  e  la  speranza  torna. 
Deh  torna  a  me,  deh  torna,  o  caro  lume, 
E  scaccia  il  rio  timor  che  mi  consume  ! 

38  Se  '1  Sol  si  scosta,  e  lascia  ì  giorni  brevi. 
Quanto  di  bello  avea  la  terra  asconde  ; 
Fremono  i  venti,  e  portan  ghiacci  e  nicvi  ; 
Non  canta  augel,  né  fior  si  vede  o  fronde  : 
Cosi,  qualora  avvìen  che  da  me  levi, 

O  mio  bel  Sol,  le  tue  luci  gioconde. 

Mille  timori,  e  tutti  iniqui,  fanno 

Un  aspro  verno  in  me  più  volte  V  anno. 

39  Deh  torna  a  me,  mio  Sol,  torna,  e  rimena 
La  desiata  dolce  primavera t 

Sgombra  i  ghiacci  e  le  nievi,  e  rasserena 
La  mente  mia  si  nubilosa  e  nera. 
Qual  Progne  si  lamenta,  o  Filomena 
Ch'a  cercar  esca  ai  fìgliolini  ita  era, 
E  trova  il  nido  voto  ;  o  qual  si  lagna 
Turture  c'ha  perduto  la  compagna: 

40  Tal  Bradamante  si  dolea,  che  tolto 
Le  fosse  stato  il  suo  Ruggìer  temea , 
Di  lacrime  bagnando  spesso  il  volto. 
Ma  più  colatamente  che  potea. 

Oh  quanto,  quanto  si  dorria  più  molto. 
S'ella  sapesse  quel  che  non  sapea. 
Che  con  pena  e  con  strazio  il  suo  consorte 
Era  in  prigion,  dannato  a  crudel  morte  I 

41  La  crudeltà  eh'' usa  V  inìqua  vecchia 
Centra  il  buon  cavalier  che  preso  tiene, 
E  che  di  dargli  morte  s' apparecchia 
Con  nuovi  strazj  e  non  usate  pene, 

La  superna  Bontà  fa  eh'  all'  orecchia 
Del  cortese  fìgliuol  di  Cesar  viene  ; 
E  che  gli  mette  in  cor  come  l' aiuto, 
£  non  lasci  perir  tanta  virtute. 


502  ORLANDO  FURIOSO. 

42  II  cortese  Leon,  che  Roggiero  ama 
(Non  che  sappi  però  che  Ruggier  sia), 
Mosso  da  quel  valor  eh*  anice  chiama, 
£  che  gli  par  che  sopramano  sia, 
Molto  fra  sé  discorre,  ordisce  e  trama, 
E  di  salvarlo  alfìn  trova  la  via, 

In  guisa  che  da  lai  la  zìa  crudele 
Offesa  non  si  tenga  e  si  querele. 

43  Parlò  in  secreto  a  chi  tenea  la  chiave 
Della  prigione;  e  che  volea,  gli  disse, 
Vedere  il  cavalier  pria  che  si  grave 
Sentenzia,  centra  lui  data,  seguisse. 
Giunta  la  notte,  un  suo  fedel  seco  ha  ve 
Audace  e  forte,  ed  atto  a  zuffe  e  a  risse  ; 
£  fa  che  '1  castellan,  senz'  altrui  dire 
Ch'egli  fosse  Leon,  gli  viene  aprire. 

44  II  castellan,  senza  ch'alcun  de'  sui 
Seco  abbia,  occultamente  Leon  mena 
Col  compagno  alla  torre  ove  ha  colui 
Che  si  serba  all'  estrema  d' ogni  pena. 
Giunti  là  dentro,  gettano  amendui 
Al  castellan,  che  volge  lor  la  schena 
Per  aprir  lo  sportello,  al  collo  un  laccio, 
£  subito  gli  dan  l' ultimo  spaccio. 

46     Apron  la  cataratta,  onde  sospeso 
Ai  canape,  ivi  a  tal  bisogno  posto, 
Leon  si  cala,  e  in  mano  ha  un  torchio  acceso, 
Là  dove  era  Ruggier  dal  Sol  nascosto. 
Tutto  legato,  e  s' una  grata  steso 
Lo  trova,  all'acqua  un  palmo  e  men  discosto. 
L'avria  in  un  mese,  e  in  termine  più  corto. 
Per  sé,  senz'altro  aiuto,  il  luogo  morto. 

46     Leon  Ruggier  con  gran  pietade  abbraccia, 
E  dice  :  Cavalier,  la  tua  vi r tute 
Indissolubilmente  a  te  m' allaccia 
Di  voluntaria  etema  servi  tute, 
£  vuol  che  più  il  tuo  ben  che  '1  mio  mi  piaccia, 
Né  curi  per  la  tua  la  mia  salute, 
£  che  la  tua  amicizia  al  padre,  e  a  quanti 
Parenti  io  m' abbia  al  mondo,  io  metta  innanti. 


CANTO  QUARANTESIMOQUINTO.  503 

47  lo  8011  Leone,  acciò  ta  intenda,  figlio 
Dì  Gostantin,  ciie  vengo  a  darti  aiuto , 
Come  vedi,  in  persona,  con  periglio 
(Se  mai  dal  padre  mio  sarà  saputo) 
D'esser  cacciato,  o  con  turbato  ciglio 
Perpetuamente  esser  da  lui  veduto  ; 
Che,  per  la  gente  la  qual  rotta  e  morta 
Da  te  gli  fu  a  Belgrado,  odio  ti  porta. 

48  E  seguitò,  più  cose  altre  dicendo 
Da  farlo  ritornar  da  morte  a  vita  ; 
E  lo  vien  tuttavolta  disciogliendo. 
Ruggier  gli  dice  :  Io  v'  ho  grazia  infinita; 
E  questa  vita,  ch'or  mi  date,  intendo 
Che  sempre  mai  vi  sìa  restituita, 

Che  la  vogliate  riavere,  ed  ogni 
Volta  che  per  voi  spenderla  bisogni. 

49  Ruggier  fu  tratto  di  quel  loco  oscuro, 
E  in  vece  sua  morto  il  guardian  rimase  ; 
Né  conosciuto  egli  nò  gli  altri  furo. 
Leon  menò  Ruggiero  alle  sue  case , 
Ove  a  star  seco  tacito  e  sicuro 

Per  quattro  o  per  sei  di  gli  persuase  ; 
Ghò  riaver  V  arme  e  '1  destrier  gagliardo 
Gli  farla  intanto,  che  gli  tolse  Ungiardo. 

60  Ruggier  fuggito,  il  suo  guardian  strozzalo 
Si  trova  il  giorno,  e  aperta  la  prigione. 
Chi  quel,  chi  questo  pensa  che  sia  stato  : 
Ne  parla  ognun  ;  nò  però  alcun  s' appone. 
Ben  di  tutti  gli  altri  uomini  pensato 
Piuttosto  si  saria,  che  di  Leone; 

Chò  pare  a  molti  eh'  avria  causa  avuto 
Di  farne  strazio,  e  non  di  dargli  aiuto. 

61  Ri  man  di  tanta  cortesia  Ruggiero 
Confuso  si,  sì  pien  di  maraviglia, 

E  tramutato  si  da  quel  pensiero 
Che  quivi  tratto  l'avea  tante  miglia. 
Che  mettendo  il  secondo  col  primiero, 
Né  a  questo  quel,  nò  questo  a  quel  simiglia. 
Il  primo  tutto  era  odio,  ira  e  veneno; 
Di  pielale  è  il  secondo  e  d'  amor  pieno. 


1(04  ORLANDO  FURIOSO. 

02     Molto  la  nòtte  e  molto  il  giorno  pensa, 
D' altro  non  cora  ed  altro  non  disia, 
Che  dair  obbligazion ,  che  gli  avea  immensa , 
Sciorsi  con  pari  e  maggior  cortesia. 
Gli  par,  se  tutta  sua  vita  dispensa 
In  lui  servire,  o  breve  o  lunga  sia, 
£  se  si  espone  a  mille  morti  certe. 
Non  gli  può  tanto  far,  che  più  non  merte. 

63      Venuta  quivi  intanto  era  la  nuova 
Del  bando  eh'  avea  Tatto  il  re  di  Francia, 
Che  chi  vuol  firadamante,  abbia  a  far  prova 
Con  lei  di  forza,  con  spada  e  con  lancia. 
Questo  udir  a  Leon  si  poco  giova, 
Che  se  gli  vede  impallidir  la  guancia  ; 
Perchè,  come  uom  che  le  sue  forze  ha  note, 
Sa  eh'  a  lei  pare  in  arme  esser  non  puote. 

54  Fra  sé  discorre,  e  vede  che  supplire 
Può  con  r  ingegno,  ove  il  vigor  sia  manco, 
Facendo  con  sue  insegne  comparire 
Questo  guerrier,  di  cui  non  sa  il  nome  anco, 
Che  di  possanza  giudica  e  d'  ardire 

Poter  star  centra  a  qualsivoglia  Franco  : 
£  crede  ben,  s'a  lui  ne  dà  l'impresa, 
Che  ne  fia  vinta  Bradamante  e  presa. 

55  Ma  due  cose  ha  da  far:  l'una,  disporre 
Il  cavalier,  che  questa  impresa  accetti; 
L*  altra,  nel  campo  in  vece  sua  lui  porre, 
In  modo  che  non  sia  chi  ne  sospetti. 

A  sé  lo  chiama,  e  '1  caso  gli  discorre; 
£  pregai  poi  con  efficaci  delti, 
Ch'  egli  sia  quel  eh' a  questa  pugna  vegna 
Col  nome  altrui,  sotto  mentita  insegna. 

56  L' eloquenzia  del  Greco  assai  potea  ; 
Ma  più  deir  eloquenzia  potea  molto 

L' obbligo  grande  che  Ruggier  gli  avea, 
Da  mai  non  ne  dovere  essere  sciolto  : 
Sì  che  quantunque  duro  gli  parea, 
£  non  possibil  quasi  ;  pur  con  volto, 
Più  che  con  cor  giocondo,  gli  rispose 
Ch'  era  per  far  per  lui  tulle  le  cose. 


CANTO  QUÀRANTESIMOQOINTO.  fi05 

57  Benché  da  fier  dolor,  tosto  che  questa 
Parola  ha  detta,  il  cor  ferir  si  senta. 
Che  giorno  e  notte  e  sempre  lo  molesta, 
Sempre  V  afQiggè  e  sempre  Io  tormenta, 
£  vegga  la  sua  morte  manifesta  ; 

Par  non  è  mai  per  dir  che  se  ne  penta; 
Che  prima  eh' a  Leon  non  ubbidire. 
Mille  volte,  non  ch'una,  è  per  morire. 

58  Ben  certo  è  di  morir  ;  perchè  se  lascia 
La  donna,  ha  da  lasciar  la  vita  ancora: 
O  che  r  accorerà  il  duolo  e  V  ambascia  ; 
O  se  '1  duolo  e  l'ambascia  non  l'accora. 
Con  le  man  proprie  squarcerà  la  fascia 
Che  cinge  l' alma,  e  ne  la  trarrà  fuora  ; 
Ch'ogni  altra  cosa  più  facil  gli  fia. 

Che  poter  lei  veder  che  sua  non  sia. 

59  Gli  è  di  morir  disposto  ;  ma  che  sorte 
Di  morte  voglia  far,  non  sa  dir  anco. 
Pensa  talor  di  fìngersi  men  forte, 

E  porger  nudo  alla  donzella  il  fianco  ; 
Che  non  fu  mai  la  più  beala  morte. 
Che  se  per  man  di  lei  venisse  manco. 
Poi  vede,  se  per  lui  resta  che  moglie 
Sia  di  Leon,  che  l'obbligo  non  scioglie; 

60  Perché  ha  promesso  centra  Bradamante 
Entrare  in  campo  a  singoiar  battaglia  ; 
Non  simulare,  e  farne  sol  sembiante, 

SI  che  Leon  di  lui  poco  si  vaglia. 

Dunque  starà  nel  detto  suo  constante  : 

E  benché  or  questo  or  quel  pensier  l'assaglia, 

Tutti  gli  scaccia,  e  solo  a  questo  cede, 

11  qual  r  esorta  a  non  mancar  di  fede. 

61  Avea  già  fatto  apparecchiar  Leone, 
Con  licenzia  del  patre  Costantino, 
Arme  e  cavalli,  e  un  numer  di  persone, 
Qual  gli  convenne,  e  entrato  era  in  cammino; 
£  seco  avea  Ruggiero,  a  cui  le  buone 

Arme  avea  fatto  rendere  e  Frontino  : 
E  tanto  un  giorno  e  un  altro  e  un  altro  andare, 
Ch'  in  Francia  ed  a  Parigi  si  trovare. 
IT.  43 


506  OBLANDO  FCBIOSO. 

6S     Non  volse  entrar  Leon  nella  citiate, 
E  ì  padiglioni  alla  campagna  tese  : 
E  fé  il  medesmo  di  per  imbasciate. 
Che  di  sua  giunta  il  re  di  Francia  intese. 
L' ebbe  il  re  caro  ;  e  gli  fa  più  fiate , 
Donando  e  visitandolo,  cortese. 
Della  venuta  sua  la  cagion  disse 
Leone,  e  lo  pregò  che  V  espedisse  ; 

63  Gh'  entrar  facesse  in  campo  la  donzella 
Che  marito  non  vuol  di  lei  men  forte  ; 
Quando  venuto  era  per  fare  o  eh'  ella 
Moglier  gli  fosse,  o  che  gli  desse  morte. 
Carlo  tolse  l'assunto,  e  fece  quella 
Comparir  l'altro  di  fuor  delle  porte, 
Nello  steccato  che  la  notte  sotto 

All'  alte  mura  fu  fatto  di  botto. 

64  La  notte  eh'  andò  innanzi  al  terminato 
Giorno  della  battaglia,  Ruggiero  ebbe 
Simile  a  quella  che  suole  il  dannato 
Aver,  che  la  mattina  morir  debbo. 
Eletto  avea  combatter  tutto  armato  « 
Perch'  esser  conosciuto  non  vorrebbe  ; 
Nò  lancia  nò  destriero  adoprar  volse  ; 

Nò,  fuor  che  '1  brando,  arme  d' offesa  tolse. 

65  Lancia  non  tolse  ;  non  perchò  temesse 
Di  quella  d'or,  che  fu  dell' Argalfa, 

E  poi  d'Astolfo  a  cui  costei  successe. 
Che  far  gli  arcion  votar  sempre  solia  ; 
Perchò  nessun,  ch'ella  tal  forza  avesse, 
O  fosse  fatia  per  negromanzia, 
Avea  saputo,  eccetto  quel  re  solo 
Che  far  la  fece,  e  la  donò  al  figliuolo. 

66  Anzi  Astolfo  e  la  donna,  che  portata 
L' aveano  poi,  credean  che  non  l' incanto, 
Ma  la  propria  possanza  fosse  stata. 

Che  dato  loro  in  giostra  avesse  il  vanto  ; 
E  che  con  ogni  allr'  asta  eh'  incontrata 
Fosse  da  lor,  farebbono  altrettanto. 
La  cagion  sola,  che  Ruggier  non  giostra , 
£  per  non  far  del  suo  Frontino  mostra  : 


CANTO  QUARANTESIMOQCINTO.  HO! 

67  €hé  lo  potria  la  donna  facilmente 
Conoscer,  se  da  lei  fosse  veduto  ; 
Perocché  cavalcato»  e  langamente 
In  Montalban  V  avea  seco  tonato. 
Raggier,  che  solo  stadia  e  solo  ha  mente 
Come  da  lei  non  sia  riconosciate, 

Né  vuol  Frontin,  né  vaol  cos' altra  avere , 
Che  di  far  di  sé  indizio  abbia  potere. 

68  A  questa  impresa  an'  altra  spada  volle  ; 
Che  ben  sapea  che  centra  a  fialisarda 
Saria  ogni  osbergo,  come  pasta,  molle; 
Ch'  alcuna  tempra  quel  furor  non  tarda  : 
E  tutto  '1  taglio  anco  a  quest'  altra  tolle 
Con  un  martello,  e  la  fa  men  gagliarda. 
Con  quest'arme  Ruggiero,  al  primo  lampo 
Ch'  apparve  all'  orizzonte,  entrò  nel  campo. 

69  E  per  parer  Leon,  le  sopravveste 

Che  dianzi  ebbe  Leon,  s'ha  messe  indosso; 
E  r  aquila  dell'  òr  con  le  due  teste 
Porta  dipinta  nello  scudo  rosso. 
E  facilmente  si  potean  far  queste 
Finzion  ;  eh'  era  ugualmente  grande  e  grosso 
L'un  come  l'altro.  Appresentossi  l' uno; 
L' altro  non  si  lasciò  veder  d' alcuno. 

70  Era  la  voluntà  della  donzella 

Da  quesl'  altra  diversa  di  gran  lunga  ; 
Che  se  Ruggier  su  la  spada  martella 
Per  rintuzzarla,  che  non  tagli  o  punga, 
La  sua  la  donna  aguzza,  e  brama  eh'  ella 
Entri  nel  ferro,  e  sempre  al  vivo  giunga  ; 
Anzi  ogni  colpo  si  ben  tagli  e  fere. 
Che  vada  sempre  a  ritrovargli  il  core. 

71  Qual  su  le  mosse  il  barbaro  si  vede. 
Che  '1  cenno  del  partir  focoso  attende. 
Né  qua  né  là  poter  fermare  il  piede , 
Gonfiar  le  nare,  e  che  le  orecchie  tende: 
Tal  r  animosa  donna,  che  non  crede 
Che  questo  sia  Ruggier  con  chi  contende, 
Aspettando  la  tromba,  par  che  fuoco 
Nelle  vene  abbia,  e  non  ritrovi  loco. 


508  ORLANDO  FURIOSO. 

72  Qual  talor,  dopo  il  tuono,  orrido  vento 
Subito  segue,  che  sozzopra  voi  ve 

L*  ondoso  mare,  e  leva  in  un  momento 
Da  terra  fìn  al  ciel  V  oscura  polve  ; 
Fuggon  le  fiere,  e  col  pastor  l'armento, 
L*  aria  in  grandine  e  in  pioggia  si  risolve  : 
Udito  il  segno  la  donzella,  tale 
Stringe  la  spada,  e  '1  suo  Ruggiero  assale. 

73  Ma  non  più  quercia  antica,  o  grosso  muro 
Di  ben  fondala  torre  a  Borea  cede, 

Né  più  all'irato  mar  lo  scoglio  duro, 
Che  d' ogni  intorno  il  di  e  la  notte  il  fiede  ; 
Che  sotto  r  arme  il  buon  Rifggier  sicuro , 
Che  già  al  troiano  Ettor  Vulcano  diede. 
Ceda  air  odio  e  al  furor  che  lo  tempesta 
Or  ne' fianchi,  or  nel  petto,  or  nella  testa. 

74  Quando  di  taglio  la  donzella,  quando 
Mena  di  punta  ;  e  tutta  intenta  mira 
Ove  cacciar  tra  ferro  e  ferro  il  brando, 
Si  che  si  sroghi  e  disacerbi  V  ira. 

Or  da  un  lato,  or  da  un  altro  il  va  tentando; 
Quando  di  qua ,  quando  di  là  s' aggira  ; 
£  si  rode  e  si  duol  che  non  le  avvegna 
Mai  fatta  alcuna  cosa  che  disegna. 

75  Come  chi  assedia  una  città  che  forte 
Sia  di  buon  fianchi,  e  di  muraglia  grossa. 
Spesso  r  assalta,  or  vuol  batter  le  porte, 
Or  r  alte  torri,  or  atturar  la  fossa  ; 

£  pone  indarno  le  sue  genti  a  morte. 
Né  via  sa  ritrovar,  ch'entrar  vi  possa: 
Cosi  molto  s' affanna  e  si  travaglia. 
Nò  può  la  donna  aprir  piastra  né  maglia. 

76  Quando  allo  scudo  e  quando  al  buono  elmetto, 
Quando  all'  osbergo  fa  gittar  scintille 

Con  colpi  eh' alle  braccia,  al  capo,  al  petto 
Mena  dritti  e  riversi,  e  mille  e  mille, 
£  spessi  più  che  sul  sonante  tetto 
La  grandine  far  soglia  delle  ville. 
Ruggier  sta  su  l'avviso,  e  si  difende 
Con  gran  destrezza,  e  lei  mai  non  offènde: 


CANTO  QDARANTESIMOVtJINTO.  80& 

77  Or  SÌ  ferma,  or  volteggia,  or  si  ritira, 
E  con  la  man  spesso  accompagna  il  piede. 
Porge  or  lo  scado,  ed  or  la  spada  gira 
Ove  girar  la  man  nimica  vede. 

O  lei  non  fere,  o,  se  la  fere,  mira 
Ferirla  in  parte  ove  men  nuocer  crede. 
La  donna,  prima  che  quel  di  sMnchine, 
Brama  di  dare  alla  battaglia  fine. 

78  Si  ricordò  del  bando,  e  si  ravvide 
Del  suo  periglio,  se  non  era  presta; 
Che  se  in  on  di  non  prende  o  non  accido 
Il  suo  domandator,  presa  ella  resta. 

Era  già  presso  ai  termini  d'Alcide 
Per  attuffar  nel  mar  Febo  la  testa, 
Quando  ella  cominciò  di  sua  possanza 
A  diffidarsi,  e  perder  la  speranza. 

79  Quanto  mancò  più  la  speranza,  crebbe 
Tanto  più  Tira,  e  raddoppiò  le  botte; 
Che  pur  quell'arme  rompere  vorrebbe, 
Ch'  in  tutto  un  di  non  avea  ancora  rotte  : 
Come  colui  eh'  al  lavorio  che  debbo 

Sia  stato  lento,  e  già  vegga  esser  notte. 
S'affretta  indarno,  si  travaglia  e  stanca. 
Finché  la  forza  a  un  tempo  e  il  di  gli  manca. 

80  0  misera  donzella ,  se  costui 

Tu  conoscessi,  a  cui  dar  morte  brami; 
Se  lo  sapessi  esser  Ruggier,  da  cui 
Della  tua  vita  pendono  gli  stami  ; 
So  ben  ch'uccider  te,  prima  che  luì, 
Vorresti  ;  che  di  te  so  che  più  l' ami  : 
£  quando  luì  Ruggiero  esser  saprai, 
Di  questi  colpi  ancor,  so,  ti  dorrai. 

81  Carlo  e  moli' altri  seco,  che  Leone 
Esser  costui  credeansi,  e  non  Ruggiero, 
Veduto  come  in  arme,  al  paragone 

Di  Bradamante,  forte  era  e  leggiero; 
E,  senza  offender  lei,  con  che  ragione 
Difender  si  sapea,  mutan  pensiero, 
E  dicon  :  Ben  convengono  amendui  ; 
Ch'egli  è  dì  lei  ben  degno,  ella  di  luì. 


610  ORLANDO  PUaiOSO. 

82     Poi  che  Febo  nel  mar  tutt'  è  nascoso , 
Carlo,  fatta  partir  qaella  battaglia» 
Giudica  che  la  donna  per  suo  sposo 
Prenda  Leon,  né  ricusarlo  vaglia. 
Ruggier,  senza  pigliar  quivi  riposo. 
Senz'elmo  trarsi,  o  alleggerirsi  maglia, 
Sopra  un  picciol  ronzin  toma  in  gran  fretta 
Ai  padiglioni  ove  Leon  V  aspetta. 

S3      Gittò  Leone  al  cavalier  le  braccia 
Due  volte  e  più  fraternamente  al  coUo  ; 
£  poi,  trattogli  Telmo  dalla  faccia. 
Di  qua  e  di  là  con  grande  amor  baciollo. 
Vo',  disse,  che  di  me  sempre  tu  faccia 
Come  ti  par  ;  che  mai  trovar  satollo 
Non  mi  potrai,  che  me  e  Io  stato  mio 
Spender  tu  possa  ad  ogni  tuo  disio. 

84  Né  veggo  ricompensa  che  mai  questa 
Obbligazion,  eh'  io  t' ho,  possi  disciorre  ; 
E  non ,  s' ancora  io  mi  levi  di  testa 

La  mia  corona,  e  a  te  la  venghi  a  porre. 
Buggìer,  di  cui  la  mente  auge  e  molesta 
Alto  dolore,  e  che  la  vita  abborre. 
Poco  risponde;  e  l'insegne  gli  rende. 
Che  n'avea  avute,  e  '1  suo  liocorno  prende; 

85  E  stanco  dimostrandosi  e  svogliato , 
Più  tosto  che  potò  da  lui  levosse  ; 

Ed  al  suo  alloggiamento  ritornato. 
Poi  che  fu  mezza  notte,  tutto  armosse  ; 
E  sellato  il  destrier,  senza  commiato, 
E  senza  che  d' alcun  sentito  fosse. 
Sopra  vi  salse,  e  si  drizzò  al  cammino 
Che  più  piacer  gli  parve  al  suo  Frontino. 

S6      Frontino  or  per  via  dritta  or  per  via  torta, 
Quando  per  selve  e  quando  per  campagna 
Il  suo  signor  tutta  la  notte  porta. 
Che  non  cessa  un  momento  che  non  piagna  ; 
Chiama  la  morte,  e  in  quella  si  conforta, 
Che  l'ostinata  doglia  sola  fragna; 
Né  vede,  altro  che  morte,  chi  finire 
Possa  r  insopportabil  suo  martire. 


CANTO  QOARÀNtESlMOQUlNtO.  5ii 

S7     Di  chi  mi  debbo,  oimèi  dicea,  dolere, 
.  Che  cosi  m' abbia  a  an  punto  ogni  ben  tolto? 
Deh,  s' io  non  yoT  ingiuria  sostenere 
Senza  vendetta,  incontra  a  cui  mi  volto? 
Fuorché  me  stesso,  altri  non  so  vedere 
Che  m'abbia  offeso,  ed  in  miseria  volto. 
Io  m' ho  dunque  di  me  centra  a  me  stesso 
Da  vendicar,  e'  ho  tutto  il  mal  commesso. 

88  Pur  quando  io  avessi  fatto  solamente 
A  me  r  ingiurìa,  a  me  forse  potrei 
Donar  perdon,  sebben  difficilmente; 
Anzi  vo'  dir  che  far  non  lo  vorrei  : 

Or  quanto,  poi  che  Bradamante  sente 
Bieco  l'ingiuria  ugual,  men  lo  farei? 
Quando. bene  a  me  ancora  io  perdonassi, 
Lei  non  convlen  eh'  invendicata  lassi. 

89  Per  vendicar  lei  dunque  debbo  e  voglio 
Ogni  modo  morir,  né  ciò  mi  pesa; 

Gh'  altra  cosa  non  so  eh'  al  mio  cordoglio. 
Fuorché  la  morte,  far  possa  difesa. 
Ma  sol,  eh'  allora  io  non  morii,  mi  doglio, 
Che  fatto  ancora  io  non  le  aveva  offesa. 
Oh  me  felice,  s'io  moriva  allora 
€h'  era  prigion  della  crudel  Teodora! 

90  Sebben  m'avesse  ucciso,  tormentato 
Prima  ad  arbitrio  di  sua  crudeltade, 
Da  firadamante  almeno  avrei  sperato 
Di  ritrovare  al  mio  caso  pietade. 

Ma  quando  ella  saprà  eh'  avrò  più  amato 
Leon  di  lei,  e  di  mia  volontade 
Io  me  ne  sia,  perch'egli  l'abbia,  privo, 
Avrà  ragion  d' odiarmi  e  morto  e  vivo. 

91  Qqesto  dicendo,  e  molte  altre  parole 
Che  sospiri  accompagnano  e  singulti. 
Si  trova  all'  apparir  del  nuovo  sole 

Fra  scuri  boschi,  in  luoghi  strani  e  inculti: 
E  perché  é  disperato  e  morir  vuole, 
B,  più  che  può,  che  '1  suo  morir  s' occulti , 
Questo  luogo  gli  par  molto  nascosto, 
£d  atto  a  far  quant'  ha  di  sé  disposto. 


H2  O&LANDO  CURIOSO. 

92     Entra  nel  folto  bosco ,  ove  più  spesse 
L' ombrose  frasche  e  più  intricate  vede  ; 
Ma  Frontìn  prima  al  tutto  sciolto  messe 
Da  sé  lontano  y  e  libertà  gli  diede. 
O  mio  Frontin,  gli  disse,  s'a  me  stesse 
Di  dare  a'  merti  tuoi  degna  mercede, 
Avresti  a  quel  destrier  da  invidiar  poco 
Che  volò  al  cielo,  e  fra  le  stelle  ha  loco. 

03      Ciliare,  so,  non  fu,  non  fu  Arione 
Di  te  miglior,  né  meritò  più  lode  ; 
Né  alcun  altro  destrier  di  cui  menzione 
Fatta  da'  Greci  o  da*  Latini  s' ode. 
Se  ti  for  par  neir  altre  parti  buone, 
Di  questa  so  eh'  alcun  di  lor  non  gode, 
Di  potersi  vantar  eh*  avuto  mai 
Abbia  il  pregio  e  V  onor  che  tu  avuto  hai  ; 

94  Poi  eh'  alla  più  che  mai  sia  stata  o  sia 
Donna  gentile  e  valorosa  e  bella 

Si  caro  slato  sei,  che  ti  nutria, 

E  di  sua  man  ti  ponea  freno  e  sella. 

Caro  eri  alla  mia  donna  :  ah  perché  mia 

La  dirò  più,  se  mia  non  é  più  quella? 

S' io  r  ho  donata  ad  altri?  Óimè,  che  cesso 

Di  volger  questa  spada  ora  in  me  stesso? 

95  Se  Ruggìer  qui  s'afiQigge  e  si  tormenta, 
E  le  fere  e  gli  augelli  a  pietà  muove 
(Gh'  altri  non  é  che  questi  gridi  senta , 
Né  vegga  il  pianto  che  nel  sen  gli  piove). 
Non  dovete  pensar  che  più  contenta 
Bradamante  in  Parigi  si  ritrovo. 
Poiché  scasa  non  ha  che  la  difenda, 

0  più  l'indugi,  che  Leon  non  prenda. 

96  Ella,  prima  eh'  avere  altro  consorte 

Che  '1  suo  Ruggier,  vuol  far  ciò  che  può  farsi; 
Mancar  del  detto  suo  ;  Carlo  e  la  corte, 

1  parenti  e  gli  amici  inimicarsi  : 

E  quando  altro  non  possa,  alfm  la  morte 
O  col  veneno  o  con  la  spada  darsi  ; 
Che  le  par  meglio  assai  non  esser  viva, 
Che.  vivendo,  restar  di  Ruggier  priva. 


CANTO  QUARANTESmoOUlNTO.  ^l3 

97  Deh,  Ruggier  mio,  dicea,  dove  sei  gitu? 
Puote  esser  che  ta  sia  tanto  discosto. 
Che  tu  non  abbi  questo  bando  udito, 

A  nessun  altro,  fuor  eh'  a  te,  nascosto? 
Se  tu  'i  sapessi,  io  so  che  comparito 
Nessun  altro  saria  di  te  più  tosto. 
Misera  mei  ch'altro  pensar  mi  degglo, 
Se  non  quel  che  pensar  si  possa  peggio? 

98  Come  è,  Huggier,  possibil  che  tu  solo 
Non  abbi  quel  che  tutto  il  mondo  ha  inteso? 
Se  inteso  l'hai,  né  sei  venuto  a  volo, 
Come  esser  può  che  non  sii  morto  o  preso? 
Ma  chi  sapesse  il  ver,  questo  figliuolo 

Di  Costantin  t'avrà  alcun  laccio  teso; 
Il  traditor  t'avrà  chiusa  la  via, 
Acciò  prima  di  lui  tu  qui  non  sìa. 

99  Da  Carlo  impetrai  grazia,  eh'  a  nessuno 
Men  di  me  forte  avessi  ad  esser  data, 
Con  credenza  che  tu  fossi  queir  uno 

A  cui  star  centra  io  non  potessi  armata. 
Fuor  che  te  solo,  io  non  stimava  alcuno  : 
Ma  dell'  audacia  mia  m' ha  Dio  pagata  ; 
Poiché  costui,  che  mai  più  non  fé  impresa 
D'onore  in  vita  sua,  cosi  m'ha  presa: 

100      Se  però  presa  son ,  per  non  avere 
Uccider  lui  né  prenderlo  potuto  ; 
11  che  non  mi  par  giusto  ;  né  al  parere 
Mai  son  per  star  eh'  in  questo  ha  Carlo  avuto. 
So  eh'  incostante  io  mi  farò  tenere. 
Se  da  quel  e'  ho  già  detto  ora  mi  muto  ; 
Ma  né  la  prima  son  né  la  sezzaia. 
La  qual  paruta  sia  incostante,  e  paia. 

iOl      Basti  che  nel  servar  fede  al  mio  amante 
D' ogni  scoglio  più  salda  mi  ritrovi, 
£  passi  in  questo  di  gran  lunga  quante 
Mai  furo  ai  tempi  antichi,  o  sieno  ai  nuovi. 
Che  nel  resto  mi  dicano  incostante. 
Non  curo,  pur  che  l' incostanzia  giovi: 
Purch'io  non  sia  di  costui  torre  astretta, 
Volubil  più  che  foglia  anco  sia  detta. 


514  ORLANDO  FURIOSO. 

idi     Queste  parole  ed  altre,  chMnterrotte 
Da  sospiri  e  da  pianti  erano  spesso, 
Seguì  dicendo  tutta  quella  notte 
Gh'  air  infelice  giorno  venne  appresso. 
Ma  poi  che  dentro  alle  cimmerie  grotte 
Con  l'ombre  sue  Notturno  fu  rimesso, 
Il  Giel,  ch'eternamente  avea  voluto 
Farla  di  Ruggier  moglie,  le  die  aiuto. 

i03     Fé  la  mattina  la  donzella  altiera 
Marfisa  innanzi  a  Carlo  comparire, 
Dicendo  eh'  al  fratel  suo  Huggier  era 
Fatto  gran  torto,  e  noi  volea  patire. 
Che  gli  fosse  levata  la  mogliera. 
Né  pure  una  parola  glie  ne  dire  : 
E  centra  chi  si  vuol  di  provar  toglie, 
Che  Bradamante  di  Ruggiero  è  moglie  ; 

104  E  innanzi  agli  altri,  a  lei  provar  lo  vuole, 
Quando  pur  di  negarlo  fosse  ardita  : 

Ch'  in  sua  presenzia  ella  ha  quelle  parole 
Dette  a  Ruggier,  che  fa  chi  si  marita  ; 
E  con  la  cerimonia  che  si  suole» 
Già  si  tra  lor  la  cosa  è  stabilita, 
Che  più  di  sé  non  possono  disporre. 
Né  l'un  l'altro  lasciar,  per  altri  torre. 

105  Marfisa,  o  '1  vero  o  '1  falso  che  dicesse, 
Pur  lo  dicea,  ben  credo  con  pensiero. 
Perché  Leon  più  tosto  interrompesse 

A  dritto  e  a  torto,  che  per  dire  il  vero; 
E  che  di  volontade  lo  facesse 
Di  Bradamante,  eh'  a  riaver  Ruggiero, 
Ed  escluder  Leon,  né  la  più  onesta 
Né  la  più  breve  via  vedea  di  questa. 

d06     Turbato  il  re  di  questa  cosa  molto, 
Bradamante  chiamar  fa  immantinente  ; 
E  quanto  di  provar  Marfisa  ha  tolto 
Le  fa  sapere,  ed  ecci  Amon  presente. 
Tien  Bradamante  chino  a  terra  il  volto, 
E  confusa  non  niega  né  consente. 
In  guisa  che  comprender  di  leggiero 
Si  può  che  Marfisa  abbia  detto  il  vero. 


CANTO  QUARANTESIMOQUINTO.  5l5 

i07     Piace  a  Rinaldo,  e  piace  a  quel  d'Anglante 
Tal  cosa  udir,  eh*  esser  potrà  cagione 
Che  '1  parentado  non  andrà  più  innante , 
Che  già  conchiuso  aver  credea  Leone  ; 
E  pur  Buggier  la  bella  Bradamante 
Malgrado  avrà  dell'  ostinato  Amone  ; 
£  potran  senza  lite,  e  senza  trarla 
Dì  man  per  forza  al  padre,  a  Buggier  darla. 

108  Che  se  tra  lor  queste  parole  stanno. 
La  cosa  è  ferma,  e  non  andrà  per  terra. 
Cosi  atterràn  quel  che  promesso  gli  hanno, 
Più  onestamente  e  senza  nuova  guerra. 
Questo  è,  diceva  Amen,  questo  è  un  inganno 
Centra  me  ordito  ;  ma  '1  pensier  vostro  erra  : 
Ch'  ancorché  fosse  ver  quanto  voi  finto 

Tra  Voi  v'  avete,  io  non  son  però  vinto, 

109  Che  presupposto  (che  né  ancor  confesso. 
Né  vo'  credere  ancor)  eh'  abbia  costei 
Scioccamente  a  Buggier  cosi  promesso, 
Come  voi  dite,  e  Buggiero^  abbia  a  lei  ; 
Quando  e  dove.fu  questo?  che  più  espresso, 
Più  chiaro  e  piano  intenderlo  vorrei. 

Stato  so  che  non  è,  se  non  è  stato 
Prima  che  Buggier  fosse  battezzato. 

110  ila  s' egli  ò  stato  innanzi  che  cristiano 
Fosse  Buggier,  non  vo'  che  me  ne  caglia  ; 
Ch'essendo  ella  fedele,  egli  pagano. 
Non  crederò  che  '1  matrimonio  vaglia. 
Non  si  debbo  per  questo  essere  invano 
Posto  al  risco  Leon  della  battaglia; 

Né  il  nostro  imperator  credo  vegli'  anco 
Venir  del  detto  suo  per  questo  manco. 

ili      Quel  eh'  or  mi  dite,  era  da  dirmi  quando 
Era  intera  la  cosa,  né  ancor  fatto 
A'  prieghi  di  costei  Carlo  avea  il  bando 
Che  qui  Leone  alla  battaglia  ha  tratto. 
Cosi  centra  Bìnaldo  e  contra  Orlando 
Amen  dicea,  per  rompere  il  contratto 
Fra  quei  duo  amanti  ;  e  Carlo  stava  a  udire. 
Né  per  l' un  né  per  l' altro  volea  dire. 


516  ORLANDO  FURIOSO. 

113      Come  si  senton,  s'Aastro  o  Borea  spira, 
Per  r  alte  selve  murmarar  le  fronde  ; 
0  come  soglion,  s' Eolo  s' adira 
Contra  Nettano,  al  lito  fremer  Tonde: 
Cosi  an  rumor  che  corre  e  che  s'aggira, 
E  che  per  tutta  Francia  si  diffonde, 
Di  questo  dà  da  dire  e  da  udir  tanto, 
Gh'  ogni  altra  cosa  ò  muta  in  ogni  canto. 

il3     Chi  parla  per  Rii^gier,  chi  per  Leone  ; 
Ma  la  più  parte  è  con  Ruggiero  in  lega  : 
Son  dieci  e  più  per  un  che  n'  abhia  Amone. 
L' imperator  né  qua  né  là  si  piega  ; 
Ma  la  causa  rimette  alla  ragione, 
Ed  al  suo  parlamento  la  delega. 
Or  vien  Marfìsa,  poi  eh'  è  differito 
Lo  sponsalizio,  e  pon  nuovo  partito  ; 

iì4     E  dice:  con  ciò  sia  ch'esser  non  possa 
D' altri  costei ,  finché  '1  fratel  mìo  vive  ; 
Se  Leon  la  vuol,  pur,  suo  ardire  e  possa 
Adopri  si,  che  lui  di  vita  prive: 
E  chi  manda  di  lor  l'altro  alla  fossa, 
Senza  rivale  al  suo  contento  arrivo. 
Tosto  Carlo  a  Leon  fa  intender  questo, 
Come  anco  intender  gli  avea  fatto  il  resto. 

iìb     Leon  che,  quando  seco  il  cavaliere 
Dal  liocorno  sia,  si  tien  sicuro 
Di  riportar  vittoria  di  Ruggiero, 
Né  gli  abbia  alcun  assunto  a  parer  duro  ; 
Non  sappiendo  che  V  abbia  il  dolor  fiero 
Tratto  nel  bosco  solitario  e  oscuro. 
Ma  che,  per  tornar  tosto,  uno  o  due  miglia 
Sia  andato  a  spasso,  il  mal  partito  piglia. 

416     Ben  se  ne  pente  in  breve;  che  colui. 
Del  qual  più  del  dover  si  promettea, 
Non  comparve  quel  di,  né  gli  altri  dui 
Che  lo  seguir,  né  nuova  se  n'  avea  ; 
E  tor  questa  battaglia  senza  lui 
Contra  Ruggier,  sicur  non  gli  parea: 
Mandò,  per  schivar  dunque  danno  e  scorno, 
Per  trovar  il  guerrier  dal  liocorno. 


CANTO  QUARANTESIMOQUINTO. 

ii7      Per  cittadi  mandò,  ville  e  castella, 
D'appresso  e  da  lontan,  per  ritrovarlo; 
Né  contento  di  questo,  montò  in  sella 
Egli  in  persona,  e  si  pose  a  cercarlo. 
Ma  non  n'avrebbe  avuto  già  novella. 
Né  r  avria  avuta  uomo  di  quei  di  Carlo, 
Se  non  era  Melissa  che  fé  quanto 
Mi  serbo  a  farvi  udir  nell'  altro  Canto. 


517 


VOTS. 


.ff.  i.  V.  4-6. — Far.»  il  tomo  t  da 
tornare,  cht  vale  propriamente  cadere 
col  capo  alfingià, — Policrate,  e  il  re 
di  Lidia,  •  Dionigi.  Il  primo  era  tiranno 
di  Samo,e  celebre  per  la  prosperitli  onde 
tutte  le  sue  intraprese  furono  accompa- 
gnate i  ma  pure  rimase  sconfitto  dall'  ar- 
mata di  Dario,  e  mori  appiccato.  —  Re 
di  Lidia  fu  Creso,  nominato  nella  St.  2 
del  Canto  XXXVIII,  uomo  il  più  ricco 
de'  suoi  tempi,  felice  ne' suoi  principj, 
ma  vinto  da  Ciro.  •—  Dionigi,  tiranno 
di  Siracusa,  vide  mutarsi' lo  splendore 
di  sua  fortuna  nella  oscuritli  di  maestro 
di  scuola,  a  cui  fu  costretto  ridursi  in 
Corinto. 

St.  J.  ¥.  7.  —  Servio,  Mario,  Fen- 
tidio.VM  figlio  della  schiava  Tanaquilla, 
narrano  le  antiche  storie,  che  Servio 
diventò  re  di  Roma,  succedendo  a  Tar- 
«piinio  Prisco.— -JfffWo^  di  cui  si  diede 
un  eeono  nella  nota  alla  St.  i  del  Can- 
to XVII,  nato  in  Arpino  di  basso  li- 
gnaggio, ebbe  sette  volte  il  consolato  di 
Roma.—  Ventidio  era  schiavo  di  Slra- 
bone,  e  nondimeno  riportò  pel  primo 
il  trionfo  sui  Parti,  e  fu  pretore  e  con- 
sole in  Roma. 

St.  3.  ¥,  1-8.-»//  re  luifti  ee.  Parla 
del  re  di  Francia  Luigi  XII,  padre  di 
Renata  che  fu  consorte  del  duca  Alfon- 
•o  I.  Sconfitto  e  tenuto  prigione  da  | 
II. 


Carlo  Vili,  gli  successe  nel  ragno. — 
Mattia  Corvino,  caduto  nel  sospetto  di 
aver  ucciso  un  parente  del  re  d' Unghe- 
ria Uladislao,  fu  Ticino  ad  essere  con- 
dannato nel  capo;  ma  poco  dopo  venne 
egli  stesso  gridato  re  d' Ungheria. 

St.  6.  V, ì-i.—~Ma  quella  che  non 
vuol  che  si  prometta  Alcun  di  tei  :  la 
Fortuna,  sempre  mutabile. 

St,  10.  V.  8.— iVoffRgrAtfo.*  piccola 
città  nell'Ungheria  superiore,  onde  ha 
forse  la  denominaaione  il  comitato  di 
Neograd  nel  circolo  Ungherese  di  qua 
dal  Danubio. 

St.  58.  V.  b^. -^  La  fascia  Che 
cinge  r  alma  .*  il  corpo;  e  la  locusione 
intiera  vale,  che  Ruggiero  si  darà  la 
morte  con  le  proprie  mani, 

St.  64. 1».  i.  —  Terminalo:  stabi, 
lito,  come  si  h  detto  altra  volta. 

St.  65.  V,  7.  —  Quel  re  solo:  Ga- 
lafrooe,  padre  dell' Argalia.  Vedi  la  nota 
alla  St.  6  del  Canto  I. 

St.  92.  V.  7-8.  —  A  quel  de- 
strier  ec.t  al  cavallo  Pegaso,  che  fu 
dato  a  Bellorofonte  per  combattere  la 
ChinMra ,  e  venne  poi  trasportato  fra  le 
costellàsioni. 

St.9'ó.  9.  \.^Cillaro,.,,  Arione, 

L' uno  era  il  cavallo  di  Castore  figlio  di 

Giove  e  di  Ledai  l'altro  era  il  cavallo 

di  Adrasto  re  d'Argo,  che  fece  guerra 

44 


—r^ 


518  ORLANDO  FOBIOSO. 


ai  Tebaniper  renarne  la  signoria  a  Po- 
linice. 

•Sir.  iOO.  v.I^—'Lm.  te9MaiaiVvì»xmM. 

Si.  i03.  V.  5-6. — Ma  poi  che  den- 
tro aite  cimmerie  grotte  Con  F  ombre 
sue  Notturno  fu  rimesto:  poi  che  fa 
passata  la  oolte.  Cimmerj  si  dissero  po- 


poli di  laogìii  divèrsi;  qui  s'ialendooo 
gli  abitaoti  presso  la  palude  Ifeotide, 
ora  delta  Mare  delle  Zabacdie ,  ove  per 
Paria  add«asata  daU*eulasioBÌ,pocoti 
gode  il  beneficio  del  sole.  Notturno  fa 
detto  dagli  antichi  poeti  il  dio  della 
Notte. 


ED  ULTIMO. 


Melusa  va  io  traccia  di  Ruggiero»  e  gli  saWa  la  viU  col  mesyo  di  Leone,  die, 
fatto  inteso  del  motivo  onda  Ruggiero  h  afflitto ,  gli  cede  Bradamante.  Tutti 
▼anno  a  Parigi,  dove  Ruggiero,  gili  eletto  re  degli  Ungheri , /b  manifestato pd 
cavaliere  che  ha  combattuto  con  Bradamante.  Si. fanno  \f  nosse  con  regale 
splendidessa ,  e  preparasi  il  talamo  sotto  l' istoriato  padiglione  imperiale ,  che 
Melissa  con  magic'  arte  ha  fatto  trasportare  da  Costantinppoli.  ^ell*  nltimo 
giorno  delle  fèste  nnsiali,  sopravviene  Rodomonte,  che  sfida  Ruggiero  a 
battaglia ,  combatte  con  esso,  e  muore  per  di  lui  mano. 

i      Or,  se  mi  mostra  la  mia  carta  il  vlero, 
Non  è  lontano  a  discoprirsi  il  porto; 
Si  che  nel  litQ  i  voti  scioglier  spero 
A  chi  nel  mar  per  tanta  via  m' ha  scorto  ; 
Ove,  o  di  non  tornar  col  legno  intero, 
O  d'errar  sempre,  ebbi  già  il  viso  smorto. 
Ma  mi  par  di  veder,  ma  veggo  certo, 
Veggo  la  terra,  e  veggo  il  lito  aperto. 

2      Sento  venir  per  allegrezza  nn  taono 
Che  fremer  V  aria  e  rimbombar  fa  V  onde  ; 
Odo  di  squille,  odo  di  trombe  un  suono 
Che  r  alto  popolar  grido  confonde. 
Or  comincio  a  discernere  chi  sono 
Questi  eh'  empion  del  porto  ambe  le  sponde. 
Par  che  tutti  s' allegrino  eh'  io  sia 
Venuto  a  (in  di  cosi  lunga  via. 


CANTO  QUARAMTESIMOSESTO.  519 

Oh  di  che  belle  e  sagge  donne  veggio, 
Oh  di  che  cavalieri  il  lito  adorno! 
Oh  di  eh*  amici,  a  chi  in  eterno  deggio 
Per  la  letizia  c'han  del  mio  ritorno  t 
Mamma  e  Ginevra  e  V  altre  da  Correggio 
Veggo  del  molo  in  sa  V  estremo  corno  ; 
Veronica  da  Camberà  è  con  loro, 
Sì  grata  a  Febo  e  al  santo  aonio  coro. 

Veggo  un'  altra  Ginevra ,  par  ascila 
Del  medesimo  sangae,  e  Giulia  seco  ; 
Veggo  Ippolita  Sforza,  e  la  notrita 
Damigella  Trivulzia  al  sacro  speco  : 
Veggo  te,  Emilia  Pia;  te,  Margherita, 
Gh'  Angela  Borgia  e  Graziosa  hai  teco  ; 
Con  Ricciarda  da  Este  ecco  le  belle 
Bianca  e  Diana,  e  V  altre  lor  sorelle. 

Ecco  la  bella,  ma  più  saggia  e  onesta, 
Barbara  Torca,  e  la  compagna  è  Laara. 
Non  vede  il  Sol  di  più  bontà  di  qaesta 
Coppia  dall'Indo  all'estrema  onda  maura. 
Ecco  Ginevra  che  la  Malatesta 
Casa  col  suo  valor  si  ingemma  e  inaara, 
Che  mai  palagi  imperiali  o  regi 
Non  ebbon  più  onorati  e  degni  fregi. 

S'a  qaella  etade  ella  in  Arimino  era, 
Quando,  superbo  della  Gallia  doma. 
Cesar  fu  in  dubbio  s' oltre  alla  riviera 
Dovea  passando  inimicarsi  Roma  ; 
Crederò  che,  piegata  ogni  bandiera, 
E  scarca  di  trofei  la  ricca  soma. 
Tolto  avria  leggi  e  patti  a  voglia  d' essa, 
Nò  forse  mai  la  libertade  oppressa. 

Del  mio  signor  di  Bozolo  la  moglie, 
La  madre,  le  sirocchie  e  le  cugine, 
E  le  Torello  con  le  Benti voglie, 
E  le  Visconte  e  le  Pallavicino; 
Ecco  chi  a  quante  oggi  ne  sono,  toglie, 
E  a  quante  o  greche  o  barbare  o  latine 
Ne  furon  mai,  di  quai  la  fama  s' oda. 
Di  grazia  e  di  beltà  la  prima  loda, 


520  ORLANDO  FURIOSO. 

8  Giulia  Gonzaga,  che  dovanqae  il  piede 
Volge,  e  dovunque  i  sereni  occhi  gira, 
Non  pur  ogni  altra  di  beltà  le  cede« 
Ma,  come  scesa  dal  ciel  Dea,  T  ammira. 
La  cognata  è  con  lei,  che  di  sua  fede 
Non  mosse  mai,  perchè  1*  avesse  in  ira 
Fortuna  cher  le  fé  lungo  contrasto. 

Ecco  Anna  d' Aragon,  luce  del  Vasto; 

9  Anna  bella,  gentil ,  cortese  e  saggia, 
Di  castità,  di  fede  e  d*  amor  tempio. 
La  sorella  è  con  lei ,  eh'  ove  ne  irraggia 
L'alta  beltà,  ne  paté  ogni  altra  scempio. 
Ecco  chi  tolto  ha  dalla  scura  spiaggia 

Di  Stige,  e  fa  con  non  più  visto  esempio, 
Malgrado  delle  Parche  e  della  morte, 
Splender  nel  ciel  V  invitto  suo  consorte. 

iO      Le  Ferraresi  mie  qui  sono,  e  quelle 
Della  corte  d' Urbino  ;  e  riconosco 
Quelle  di  Mantua,  e  quante  donne  belle 
Ha  Lombardia,  quante  il  paese  Tosco. 
Il  cavalier  che  tra  lor  viene,  e  ch'elle 
Onoran  si,  s' io  non  ho  l'occhio  losco 
Dalla  luce  offuscato  de'  bei  volti, 
£  '1  gran  lume  aretin,  l' unico  Accolti. 

a      Benedetto,  il  nipote,  ecco  là  veggio, 
C  ha  purpureo  il  cappel,  purpureo  il  manto, 
Col  cardinal  dì  Mantua,  e  col  Campeggio, 
Gloria  e  splendor  del  consistono  santo  : 
£  ciascun  d' essi  noto  (o  eh'  io  vaneggio) 
Al  viso  e  ai  gesti  rallegrarsi  tanto 
Del  mio  ritorno,  che  non  facil  parmi 
Ch'  io  possa  mai  di  tant'  obbligo  trarmi. 

12      Con  lor  Lattanzio  e  Claudio  Tolomei, 
E  Paulo  Pausa,  e  '1  Dresino,  e  Latino 
Giuvenal  parmi,  e  i  Capilupi  miei, 
E  'i  Sasso  e  '1  Molza  e  Florian  Montino  ; 
E  quel  che -per  guidarci  ai  rivi  ascrei 
Mostra  piano  e  più  breve  altro  cammino, 
Giulio  Camillo  ;  e  par  eh'  anco  io  ci  scerna 
Marco  Antonio  Flaminio,  il  Sanga,  il  Berna. 


CANtO  QUARÀNTESIMOSBSfÒ.  ((21 

i3     Ecco  Alessandro,  il  mio  signor,  Farnese: 
Oh  dotta  compagnia  che  seco  mena  I 
Fedro,  Capella,  Porzio,  il  bolognese 
Filippo,  il  Volterrano,  il  Madalena, 
Blosio,  Pierio,  il  Vida  cremonese, 
D'  alta  facondia  inessiccabil  vena, 
£  Lascari  e  Musuro  e  Navagero, 
E  Andrea  Marone,  e  'I  monaco  Severo. 

ié     Ecco  altri  dao  Alessandri  in  qael  drappello , 
Dagli  Orologi  l'un,  f  altro  il  Guarino. 
Ecco  Mario  d'OIvìto,  ecco  il  flagello 
De' principi,  il  divin  Pietro  Aretino. 
Duo  Jeronimi  veggo,  V  uno  è  quello 
Di  Veritade,  e  l'altro  il  Cittadino. 
Veggo  il  Mainardo,  veggo  il  Leoniceno, 
Il  Pannizzato,  e  Celio  e  il  Teocreno. 

ih      Là  Bernardo  Capei,  là  veggo  Pietro 
Bembo ,  che  '1  puro  e  dolce  idioma  nostro, 
Levato  fuor  del  volgare  uso  tetro. 
Quale  esser  dee,  ci  ha  col  suo  esempio  mostro. 
Guaspar  Obizi  è  quel  che  gli  vien  dietro, 
Ch'  ammira  e  osserva  il  sì  ben  speso  inchiostro. 

10  veggo  il  Fracastorìo,  il  Bevazzano» 
Trifon  Gabriele,  e  il  Tasso  più  lontano. 

16     Veggo  Niccolò  Tiepoli ,  e  con  esso 
Niccolò  Amanio  in  me  affissar  le  ciglia  ; 
Anton  Fulgoso,  eh'  a  vedermi  appresso 
Al  lito  mostra  gaudio  e  maraviglia. 

11  mio  Valerio  è  quel  che  là  s' è  messo 
Fuor  delle  donne;  e  forse  si  consiglia 
Col  Barignan  e'  ha  seco,  come  offeso 
Sempre  da  lor,  non  ne  sia  sempre  acceso. 

i7     Veggo  sublimi  e  soprumani  ingegni. 
Di  sangue  e  d' amor  giunti,  il  Pico  e  il  Pio. 
Colui  che  con  lor  viene,  e  da'  più  degni 
Ha  tanto  onor,  mai  più  non  conobb'io; 
Ma,  se  me  ne  fur  dati  veri  segni, 
£  Tnom  che  di  veder  tanto  desio, 
lacobo  Sannazzar,  eh' alle  Camene 
Lasciar  fa  i  monti,  ed  abitar  l'arene. 


IS22  ORLANDO  FURIOSO. 

48      Ecco  il  dotto,  il  fedele,  il  diligente 
Secretano  Pistofilo,  ch'insieme 
Cogli  Acciainoli  e  con  l' Angiar  mio  sente 
Piacer,  che  più  del  mar  per  me  non  teme. 
Annibal  Malaguzzo,  il  mio  parente 
Veggo  con  T  Adoardo,  che  gran  speme 
Mi  dà,  eh' ancor  del  mio  nativo  nido 
Udir  farà  da  Galpe  agi'  Indi  il  grido. 

i9     Fa  Yittor  Fausto,  fa  il  Tancredi  festa 
Di  rivedermi,  e  la  fanno  altri  cento. 
Veggo  le  donne  e  gli  uomini  di  questa 
Mia  ritornata  ognun  parer  contento. 
Dunque  a  finir  la  breve  via  che  resta 
Non  sia  più  indugio,  or  e'  ho  propizio  il  vento; 
£  torniamo  a  Melissa,  e  con  che  aita 
Salvò,  diciamo,  al  buon  Ruggier  la  vita. 

20  Questa  Melissa,  come  so  che  detto 
V  ho  molte  volte,  avea  sommo  desire 
Che  firadamante  con  Ruggier  di  stretto 
Nodo  s' avesse  in  matrimonio  a  unire  ; 

£  d' ambi  il  bene  e  il  male  avea  si  a  petto» 
Che  d' ora  in  ora  ne  volea  sentire. 
Per  questo  spirti  avea  sempre  per  via. 
Che,  quando  andava  V  un»  l'altro  venia. 

21  In  preda  del  dolor  tenace  e  forte 
Ruggier  tra  le  scure  ombre  vide  posto, 
Il  qual  dì  non  gustar  d' alcuna  sorte 
Mai  più  vivanda  fermo  era  e  disposto, 
£  col  digiun  si  yolea  dar  la  morte  : 
Ma  fu  r  aiuto  di  Melissa  tosto  ; 

Che,  del  suo  albergo  uscita,  la  via  tenne 
Ove  in  Leone  ad  incontrar  si  venne  ; 

22  II  qual  mandato,  l' uno  all'  altro  appresso» 
Sua  gente  avea  per  tutti  i  luoghi  intorno , 
£  poscia  era  in  persona  andato  anch'  esso 
Per  trovar  il  guerrier  dal  liocorno. 

La  saggia  incanta trice,  la  qual  messo 
Freno  e  sella  a  uno  spirto  avea  quel  giorno, 
£  r  avea  sotto  in  forma  di  ronzino, 
Trovò  questo  figliuol  dì  Costantino, 


CANTO  QCARANTESIMOSESTO.  5^3 

23      Se  deir  animo  è  tal  la  nobiltate, 

Qaal  fuor,  signor»  (diss'ella)  il  viso  mostra; 
Se  la  cortesia  dentro  e  la  bontale 
Ben  corrisponde  alla  presenzia  vostra , 
Qualche  conforto,  qualche  aiuto  date 
Al  miglior  cavalier  deir  età  nostra  ; 
Che  s' aiuto  non  ha  tosto  e  conforto, 
Non  è  mollo  lontano  a  restar  morto. 

S4     II  miglior  cavalier  che  spada  a  lato 
E  scudo  in  braccio  mai  portasse  o  porti  ; 
Il  più  bello  e  gentil  eh*  al  mondo  stato 
Mai  sia  di  quanti  ne  son  vivi  o  morti , 
Sol  per  un'  alta  cortesia  e'  ha  usato 
Sta  per  morir,  se  non  ha  chi  '1  conforti. 
Per  Dio,  signor,  venite,  e  fate  prova 
S' allo  suo  scampo  alcun  consiglio  giova. 

25  Neir  animo  a  Leon  subito  cade, 
Che  '1  cavalier  di  chi  costei  ragiona. 
Sia  quel  che  per  trovar  fa  le  contrade 
Cercare  intorno,  e  cerca  egli  in  persona; 
Si  eh' a  lei  dietro,  che  gli  persuade 

Si  pietosa  opra,  in  molta  fretta  sprona  : 
La  qual  lo  trasse,  e  non  fer  gran  cammino, 
Ove  alla  morte  era  Ruggier  vicino. 

26  Lo  ritrovar  che  senza  cibo  slato 

Era  tre  giorni,  e  in  modo  lasso  e  vinto, 
Ch'  in  piò  a  fatica  si  saria  levato. 
Per  ricader,  sebben  non  fosse  spinto. 
Giacca  disteso  in  terra  tutto  armato, 
Con  r  elmo  in  testa,  e  della  spada  cinto  ; 
£  guancial  dello  scudo  s' avea  fatto. 
In  che  '1  bianco  liocorno  era  ritratto. 

27  Quivi  pensando  quanta  ingiuria  egli  abbia 
Fatta  alla  donna,  e  quanto  ingrato  e  quanto 
Isconoscente  le  sia  stato,  arrabbia, 

Non  pur  si  duole;  e  se  n'afiQigge  tanto ^ 
Che  si  morde  le  man,  morde  le  labbia, 
Sparge  le  guance  di  continuo  pianto; 
E  per  la  fantasia  che  v'ha  si  fissa, 
Nò  Leon  venir  sente ,  nò  Melissa: 


t2i  ORLANDO  tURtOàO. 

28  Nò  per  questo  interrompe  il  suo  lamento. 
Nò  cessano  i  sospir,  nò  il  pianto  cessa. 
Leon  si  ferma,  e  sta  ad  udire  intento; 
Poi  smonta  del  cavallo,  e  se  gli  appressa. 
Amore  esser  cagion  di  quel  tormento 
Conosce  ben  ;  ma  la  persona  espressa 
Non  gli  ò,  per  cui  soslien  tanto  martire; 
Gh'  anco  Ruggier  non  glie  V  ha  fatto  udire. 

29  Più  innanzi,  e  poi  più  innanzi  i  passi  mula, 
Tanto  che  se  gli  accosta  a  faccia  a  faccia  ; 

E  con  fraterno  affetto  lo  saluta , 

£  se  gli  china  a  lato,  e  al  collo  abbraccia. 

10  non  so  quanto  ben  questa  venuta 

Di  Leone  improvvisa  a  Ruggier  piaccia  ; 
Che  teme  che  lo  turbi  e  gli  dia  noia, 
E  se  gli  voglia  oppor,  perchò  non  muoia. 

30  Leon  con  le  più  dolci  e  più  soavi 
Parole  che  sa  dir,  con  quel  più  amore 
Che  può  mostrar,  gli  dice:  Non  ti  gravi 
D'aprirmi  la  cagion  del  tuo  dolore; 
Chò  pochi  mali  al  mondo  son  si  pravi, 
Che  l' uomo  trar  non  se  ne  possa  fuore, 
Se  la  cagion  si  sa;  nò  debbo  privo 

Di  speranza  esser  mai,  finchò  sia  vivo. 

31  Ben  mi  duol  che  celar  t' abbi  voluto 
Da  me,  che  sai  s'io  ti  son  vero  amico, 
Non  sol  di  poi  ch'io  ti  son  si  tenuto. 
Che  mai  dal  nodo  tuo  non  mi  districo. 
Ma  fin  allora  eh'  avrei  causa  avuto 
D'esserti  sempre  capital  nemico; 

E  dòi  sperar  eh'  io  sia  per  darti  aita 
Con  r  aver,  con  gli  amici  e  con  la  vita. 

32  Di  meco  conferir  non  ti  rincresca 

11  tuo  dolore  ;  e  lasciami  far  prova, 
Se  forza,  se  lusinga,  acciò  tu  n'esca. 
Se  gran  tesor,  s'arte,  s' astuzia  giova. 
Poi,  quando  l'opra  mia  non  ti  riesca, 
La  morte  sia  eh'  alfin  te  ne  rimuova: 
Ma  non  voler  venir  prima  a  quest'  atto, 
Che  ciò  che  si  può  far  non  abbi  fatto. 


1 


CANTO  qdàrantbsimosbsto.  628 

33  E  segnilo  con  si  efficaci  pr leghi , 
E  con  parlar  si  umano  e  si  benigno. 

Che  non  pnò  far  Ruggier  che  non  si  pieghi , 
Che  nò  di  ferro  ha  il  cor  nò  di  macigno, 
E  vede,  quando  la  risposta  nieghi,     ' 
Che  farà  discortese  atto  e  maligno. 
Risponde  ;  ma  due  volte  o  tre  s' incocca 
Prima  li  parlar,  eh'  uscir  voglia  di  bocca. 

34  Signor  mìo,  disse  alOn,  quando  saprai 
Colui  ch'io  son,  che  son  per  dirtel  ora, 
Mi  rendo  certo  che  di  me  sarai 

Non  men  contento,  e  forse  più,  ch'io  muora. 
Sappi  eh'  io  son  colui  che  si  in  odio  hai  : 
Io  son  Ruggier,  eh'  ebbi  te  in  odio  ancora  ; 
E  che  con  inlenzion  di  porti  a  morte, 
Già  son  più  giorni,  usci' di  questa  corte; 

35  Acciò  per  te  non  mi  vedessi  tolta 
Bradamanle,  sentendo  esser  d' Amone 
La  voluntade  a  tuo  favor  rivolta. 

Ma  perchò  ordina  l' uomo,  e  Dio  dispone. 
Venne  il  bisogno  ove  mi  fé  la  molta 
Tua  cortesia  mutar  d' opinione  ; 
E  non  pur  l'odio  ch'io  t'aveà  deposi. 
Ma  fé  eh'  esser  tuo  sempre  io  mi  disposi. 

36  Tu  mi  pregasti,  non  sapendo  eh'  io 
Fossi  Ruggier,  eh'  io  ti  facessi  avere 
La  donna  ;  eh'  altrettanto  saria  il  mio 
Cor  fuor  del  corpo,  o  l' anima  volere. 
Se  soddisfar  piuttosto  al  tuo  desio. 
Ch'ai  mio,  ho  voluto,  t' ho  fatto  vedere. 
Tua  fatta  ò  Bradamante;  abbila  in  pace: 
Molto  più  che  '1  mio  bene,  il  tuo  mi  piace. 

37  Piaccia  a  te  ancora,  se  privo  di  lei 
Mi  son,  ch'insieme  io  sia  di  vita  privo; 
Chò  piuttosto  senz'  anima  potrei. 

Che  senza  Bradamante  restar  vivo. 
Appresso,  per  averla  tu  non  sei 
Mai  legìttimamente,  finch'io  vivo; 
Chò  tra  noi  sponsalizio  ò  già  contratto. 
Nò  duo  mariti  ella  può  avere  a  un  tratto. 


B26  OBLANDO  FURIOSO. 

38  Riman  Leon  si  pien  dì  maraviglia. 
Quando  Ruggiero  esser  costui  gli  è  noto, 
Che  senza  muover  bocca  o  batter  ciglia 
0  mutar  pie,  come  una  statua,  è  immoto: 
A  statua,  più  eh' ad  uomo,  s' assìmìglia, 
Che  nelle  chiese  alcun  metta  per  voto. 
Ben  si  gran  cortesia  questa  gli  pare. 
Che  non  ha  avuto  e  non  avrà  mai  pare. 

39  E  conosciutol  per  Ruggier,  non  solo 
Non  scema  il  ben  che  gli  voleva  pria. 
Ma  si  r  accresce ,  che  non  men  del  duolo 
Di  Ruggiero  egli,  che  Ruggier,  patia. 
Per  questo,  e  per  mostrarsi  che  figliuolo 
D'imperator  meritamente  sia. 

Non  vuol,  sebben  nel  resto  a  Ruggier  cede, 
Gh'  in  cortesia  gli  metta  innanzi  il  piede. 

40  £  dice:  Se  quel  di,  Ruggier,  ch'offeso 
Fu  il  campo  mio  dal  valor  tuo  stupendo, 
Ancorch'io  t'avea  in  odio,  avessi  inteso 
Che  tu  fossi  Ruggier,  come  ora  intendo; 
Cosi  la  tua  virtù  m' avrebbe  preso. 
Come  fece  anco  allor  non  lo  sapendo  ; 

E  cosi  spinto  dal  cor  V  odio,  e  tosto 
Questo  amor,  eh'  io  ti  porto,  v'  avria  posto. 

41  Che  prima  il  nome  di  Ruggiero  odiassi, 
Ch'  io  sapessi  che  tu  fossi  Ruggiero, 
Non  negherò;  ma  ch'or  più  innanzi  passi 
V  odio  eh'  io  t' ebbi ,  t,'  esca  del  pensiero. 
E  se,  quando  di  carcere  io  ti  trassi. 
N'avessi,  come  or  n'  ho,  saputo  il  vero; 
11  medesimo  avrei  fallo  anco  allora, 

Ch'  a  benefìzio  tuo  son  per  far  ora. 

42  E  b'  allor  volentier  fatto  l' avrei , 

Ch'io  non  t'era,  come  or  sono,  obbligato; 
Quant'or  più  farlo  debbo,  che  sarei. 
Non  lo  facendo,  il  più  d' ogni  altro  ingrato? 
Poiché,  negando  il  tuo  voler,  ti  sei 
Privo  d'ogni  tuo  bene,  e  a, me  l' hai  dato. 
Ma  te  lo  rendo;  e  più  contento  sono 
Renderlo  a  te,  eh-  aver  io  avuto  il  dono. 


CANTO   QUARANTESIUOSESTO.  I$27 

43  Molto  più  a  te,  eh'  a  me,  costei  convìensi. 
La  qual,  bench'  io  per  li  suoi  meriti  ami. 
Non  è  però,  s'altri  l'avrà,  ch'io  pensi  » 
Come  tu,  al  viver  mio  romper  li  stami. 
Non  vo'che  la  tua  morte  mi  dispensi. 

Che  possa,  sciolto  ch'ella  avrà  i  legami 
Che  son  del  matrimonio  ora  fra  voi. 
Per  legittima  moglie  averla  io  poi. 

44  Non  che  di  lei,  ma  restar  privo  voglio 

Di  ciò  e' ho  al  m^ondo,  e  della  vita  appresso. 
Prima  che  s' oda  mai  eh'  abbia  cordoglio 
Per  mìa  cagion  tal  cavaliere  oppresso. 
Della  taa  diffidenzia  ben  mi  doglio  ; 
Che  ta  che  puoi,  non  men  che  di  te  stesso, 
Di  me  dispor,  piuttosto  abbi  voluto 
Morir  di  duol,  che  da  me  avere  aiuto. 

45  Queste  paróle  ed  altre  soggiungendo, 
Che  tutte  saria  lungo  riferire, 

E  sempre  le  ragion  redarguendo, 
Ch'in  contrario  Ruggier  gli  potea  dire» 
Fé  tanto,  ch'alGn  disse:  Io  mi  ti  rendo, 
E  contento  sarò  di  non  morire. 
Ma  quando  ti  scìorrò  1'  obbligo  mai. 
Che  .due  volte  la  vita  dato  m' hai? 

46  Cibo  soave  e  prezioso  vino 
Melissa  ivi  portar  fece  in  un  tratto  ; 
E  confortò  Ruggier,  ch'era  vicino, 
Non  s' aiutando,  a  rimaner  disfatto. 
Sentito  in  questo  tempo  avea  Frontino 
Cavalli  quivi,  e  v'era  accorso  ratto. 
Leon  pigliar  dalli  scudieri  suoi 

Lo  fé  e  sellare,  ed  a  Ruggier  dar  poi; 

47  II  qual  con  gran  fatica,  ancor  ch'aiuto 
Avesse  da  Leon ,  sopra  vi  salse  : 

Cosi  quel  vigor  manco  era  venuto. 
Che  pochi  giorni  innanzi  in  modo  valse. 
Che  vìncer  tutto  un  campo  avea  potuto, 
E  far  quel  che  fé  poi  con  l' arme  false. 
Quindi  partiti,  giunser,  che  più  via 
Non  fer  di  mezza  lega,  a  una  badia: 


528  OBLANDO  FUBIOSO. 

4S     Ove  posaro  il  resto  di  qnel  giorno, 
E  l'altro  appresso,  e  Y altro  tutto  intero, 
Tanto  che  '1  cavalier  dal  liocorno 
Tornato  fa  nel  sao  vigor  primiero. 
Poi  con  Melissa  e  con  Leon  ritorno 
Alla  città  real  fece  Ruggiero, 
E  vi  trovò  che  la  passata  sera 
L' imbasceria  de'  Bulgari  giunt'  era  : 

49  Che  quella  nazion,  la  qual  s' avea 
Ruggiero  eletto  re,  quivi  a  chiamarlo 
Mandava  questi  suoi,  che  si  credea 
D'averlo  in  Francia  appresso  al  Magno  Carlo; 
Perché  giurargli  fedeltà  volea , 

E  dar  di  sé  dominio,  e  coronarlo. 
Lo  scudier  di  Ruggier,  che  si  ritrova 
Con  questa  gente,  ha  di  lui  dato  nuova. 

50  Della  battaglia  ha  detto ,  eh'  in  favore 
De'  Bulgari  a  Belgrado  egli  avea  fatta  ; 
Ove  Leon  col  padre  imperatore 

Vinto,  e  sua  gente  avea  morta  e  disfatta: 
E  per  questo  l'avean  fatto  signore. 
Messo  da  parte  ogni  uomo  di  sua  schiatta  ; 
E  come  a  Novengrado  era  poi  stato 
Preso  da  Ungiardo,  e  a  Teodora  dato: 

61      E  che  venuta  era  la  nuova  certa, 
Che  '1  suo  guardian  s' era  trovato  ucciso, 
E  lui  fuggito,  e  la  prigione  aperta: 
Che  poi  ne  fosse,  non  v'era  altro  avviso. 
Entrò  Ruggier  per  via  molto  coperta 
Nella  città,  né  fu  veduto  in  viso. 
La  seguente  mattina  egli  e  '1  compagno 
Leone  appresentossi  a  Carlo  Magno. 

52      S' appresentò  Ruggier  con  l' augel  d' oro, 
Che  nel  campo  vermiglio  avea  due  teste  ; 
E,  come  disegnato  era  fra  loro. 
Con  le  medesme  insegne  e  sopravveste 
Che,  come  dianzi  nella  pugna  fòro, 
Eran  tagliate  ancor,  forale  e  peste  ; 
Si  che  tosto  per  quel  fu  conosciuto, 
Ch'  avea  con  Bradamante  combattuto. 


CANTO  QOARANTESIMOSESTO.  620 

53  Con  ricche  vesti  e  regalmente  ornato, 
Leon  senz'  arme  a  par  con  lai  vènia  ; 

E  dinanzi  e  di  dietro  e  d' ogni  lato 
Avea  onorata  e  degna  compagnia. 
A  Carlo  s' inchinò,  che  già  levato 
Se  gli  era  incontra  ;  e  avendo  tnttavia 
Raggier  per  man,  nel  qaal  intente  e  fìsse 
Ognuno  avea  le  loci,  così  disse: 

54  Questo  è  il  buon  cavaliere,  il  qual  difeso 
S' è  dal  nascer  del  giorno  al  giorno  estinto  ; 
E  poiché  Bradamante  o  morto,  o  preso, 

O  fuor  non  l'ha  dello  steccato  spinto, 
Magnanimo  signor,  se  bene  inteso 
Ha  il  vostro  bando,  è  certo  d'aver  vinto, 
E  d'aver  lei  per  moglie  guadagnata; 
E  cosi  viene,  acciò  che  gli  sia  data. 

65      Oltre  che  di  ragion,  per  lo  tenore 

Del  bando,  non  v'ha  altr'  oom  da  far  disegno  ; 
Se  s' ha  da  meritarla  per  valore, 
Qual  cavalier  più  dì  costui  n'  è  degno  ? 
S' aver  la  dee  chi  più  le  porta  amore. 
Non  è  chi  '1  passi  o  eh'  arrivi  al  suo  segno  : 
Ed  è  qui  presto  centra  a  chi  s'oppone, 
Per  difender  con  l' arme  sua  ragione. 

56     Carlo,  e  tutta  la  corte  stupefatta. 
Questo  udendo,  restò;  eh' avea  creduto 
Che  Leon  la  battaglia  avesse  fatta, 
Non  questo  cavalier  non  conosciuto. 
Blarfisa,  che  cogli  altri  quivi  tratta 
S'era  ad  udire,  e  ch'appena  potuto 
Avea  tacer,  finché  Leon  finisse 
11  suo  parlar,  si  fece  innanzi  e  disse  : 

hi     Poiché  non  e'  é  Ruggier,  che  la  contesa 
Della  moglier  fra  sé  e  costui  discioglia , 
Acciò  per  mancamento  di  difesa 
Cosi  senza  rumor  non  se  gli  teglia. 
Io  che  gli  son  sorella,  questa  impresa 
Piglio  centra  a  ciascun,  sia  chi  si  voglia. 
Che  dica  aver  ragione  in  Bradamante, 
O  di  mérto  a  Ruggiero  andare  innante. 

II.  45 


■  tesT  in  e  laft»  sfcsM»  espraasi 

i  Kl'Kkàer  Caffo  chp  le  < 
.  da  xT^^ie  a  fv  fwri  r« 
Or  ftta  fOTT^  a  Lem  €:he  ^  ^ 
Evcper  ceUrsL  e  d  car*  Ti 
E  lircjc»  a  Xarfìsa  :  Eoe«  là  pn>sl# 
A  icftierri  ^  sé.  4Esr«  1 

j»     Qale  1  caE«!«  Esv«  i 

Si  fa  aEa  B«?Bsa  srdknta  aonrl» 

Che  <;vSj9  eia  a  sbo  fi:rl>9.  al  qolp,  iaslu^So 

L*  ÌB#^oa  BftLlJe*  area  il  tcbeb»  porta  ; 

E  poti»  pcÉ  che  fo«se  ito  ioJvziaBda 

Di  copffscgr  la  «ycaia.  rarrìa  aorta: 

Tal  fa  Marfisa.  quasi»  il  cavalìero 

Ck' odialo  area.  cMiobbe  esser  Rassìera. 

CO      E  corse  snua  ioiazìo  ad  abhiaiciafto, 
yè  di<f«ctar  se  zh  sifca  dal  eoOo. 
Rinaldo,  Orlando,  e  dì  lor  prìsa  Cario 
Di  qua  e  di  U  con  srand*  aaMir  bacioilo. 
Né  DodoD  né  Olirìer  d*  accaiexzario, 
]^è  1  fé  Sobria  si  poò  leder  saloOo. 
Dei  paladini  e  dei  baron  ■e&AAiuo 
Di  DÌr  festa  a  Ruzzier  fvsló  digìaao. 

SI      Leone,  il  qoal  sapea  oiolfo  ben  dite. 
Finiti  che  si  far  sii  abbracciamenti. 
Cominciò  innanzi  a  Carlo  a  riferife. 
Udendo  talli  quei  ch'etan  presentì. 
Come  la  saslìanlìa,  come  F ardire 
(Ancorché  con  sran  danno  di  sne  centi) 
Di  Rossier,  eh'  a  Relgrado  area  redoto. 
Più  d'ogni  offesa  area  di  sé  potato; 

CS      Si  eh*  essendo  di  poi  preso  e  condotto 
A  colei  eh'  ogni  strazio  n'  arria  fatto. 
Di  prigion  egli,  malsrado  di  tutto 
11  parentado  suo,  l' aveva  tratto; 
E  come  il  boon  Roggier,  per  render  frollo 
E  mercede  a  Leon  del  suo  riscatto. 
Fé  l'alta  cortesia,  che  sempre  a  quante 
Ne  foro  o  saran  mai,  passerà  innante. 


J 


CANTO  QUAaANTESIMOSESTO.  ti3i 

63  £  seguendo,  narrò  di  punto  in  pnnto 
Ciò  che  per  lui  faCto  Ruggiero  avea  ; 
£  come  poi  da  gran  dolor  compunto , 
Che  di  lasciar  la  moglie  gli  premea, 
S' era  disposto  di  morire  ;  e  giunto 

V  era  vicin,  se  non  si  soccorrea  ; 
£  con  si  dolci  affetti  il  tutto  espresse, 
Che  quivi  occhio  non  fu  eh'  asciutto  stesse. 

64  Rivolse  poi  con  si  efficaci  prieghi 
Le  sue  parole  all'  ostinato  Àmone, 

Che  non  sol  che  Io  muova,  che  lo  pieghi, 
Che  lo  faccia  mutar  d' opinione  ; 
Ma  fa  eh'  egli  in  persona  andar  non  nieghi 
A  supplicar  Ruggier  che  gli  perdono, 
£  per  padre  e  per  suocero  l' accette  : 
£  cosi  Bradamante  gli  promette; 

65  A  cui  là  dove,  della  vita  in  forse, 
Piangea  ì  suoi  casi  in  camera  segreta, 
Con  lieti  gridi  in  molta  fretta  corse 
Per  più  d'  un  messo  la  novella  lieta  : 
Onde  il  sangue  eh'  al  cor,  quando  lo  morse 
Prima  il  dolor,  fu  tratto  dalla  pietà, 

A  questo  annunzio  il  lasciò  solo  in  guisa. 
Che  quasi  il  gaudio  ha  la  donzella  uccisa. 

66  Ella  riman  d'ogni  vigor  si  vota, 
Che  di  tenersi  in  piò  non  ha  balia  ; 
Benché  di  quella  forza  eh'  esser  nota 
Vi  debbo,  e  di  quel  grande  animo  sia. 

Non  più  di  lei,  chi  a  ceppo,  a  laccio,  a  ruota 
Sia  condannato,  o  ad  altra  morte  ria, 
£  che  già  agli  occhi  abbia  la  benda  negra, 
Gridar  sentendo  grazia,  si  rallegra. 

67  Si  rallegra  Mongrana  e  Chiaramente, 
Di  nuovo  nodo  i  dui  raggiunti  rami  ; 
Altrettanto  si  duol  Gano  col  conte 
Anselmo,  e  con  Falcon  Gini  e  Ginami  : 
Ma  pur  coprendo  sotto  un'  altra  fronte 
Van  lor  pensieri  invidiosi  e  grami  ; 

£  occasione  attendon  di  vendetta. 
Come  la  volpe  al  varco  il  lepre  aspetla. 


532  OULANDO  VUKIOSO. 

68  Oltre  che  già  Rinaldo  e  Orlando  uccìso 
Molti  in  più  volte  avean  di  quei  malvagi  ; 
Benchò  V  ingiurie  fur  con  saggio  avviso 
Dal  re  acchetate,  ed  i  comun  disagi; 
Avea  di  nuovo  lor  levato  il  riso 

L' ucciso  Pinabello  e  Bertolagi  : 
Ma  pur  la  fellonia  tenean  coperta, 
Dissimulando  aver  la  cosa  certa. 

69  Gli  ambasciatori  bulgari,  che  in  corte 
Di  Carlo  eran  venuti,  come  ho  detto, 
Con  speme  di  trovare  il  guerrier  forte 
Del  liocorno,  al  regno  loro  eletto  ; 
Sentendol  quivi,  chiamar  buona  sorte 
La  lor,  che  dato  avea  alla  speme  effetto; 
£  riverenti  ai  pie  se  gli  gittaro, 

E  che  tornasse  in  Bulgheria  il  pregare; 

70  Ove  in  Adrianopoli  servato 

Gli  era  lo  scettro  e  la  real  corona  : 
Ma  venga  egli  a  difendersi  lo  stato  ; 
Ch'  a  danni  lor  di  nuovo  si  ragiona 
Che  più  numer  di  gente  apparecchiato 
Ha  Costantino,  e  torna  anco  in  persona: 
Ed  essi,  se  '1  suo  re  ponno  aver  seco, 
Speran  di  torre  a  lui  V  imperio  greco. 

Ti      Ruggiero  accettò  il  regno,  e  non  conlese 
Ai  preghi  loro,  e  in  Bulgheria  promesse 
Di  ritrovarsi  dopo  il  terzo  mese. 
Quando  Fortuna  altro  di  lui  non  fesse. 
Leone  Augusto,  che  la  cosa  intese. 
Disse  a  Ruggier,  eh'  alla  sua  fede  stesse, 
Che,  poich'egli  de' Bulgari  ha  il  domino, 
La  pace  è  tra  lor  fatta  e  Costantino  : 

72      Né  da  partir  di  Francia  s'  avrà  in  fretta, 
Per  esser  capitan  delle  sue  squadre  ; 
Che  d'ogni  terra  ch'abbiano  suggetta. 
Far  la  rinunzia  gli  farà  dal  padre. 
Non  è  virtù  che  di  Ruggier  sia  detta, 
Ch'  a  muover  si  l' ambiziosa  madre 
Di  Bradamante,  e  far  che  '1  genero  ami. 
Vaglia,  come  ora  udir  che  re  sì  chiami. 


CANTO  QUARANTESIMOSESTa  533 

73  Fansì  le  nozze  splendide  e  reali , 
Convenienti  a  chi  cura  ne  piglia  : 
Carlo  ne  piglia  cara,  e  le  fa  qaalì 
Farebbe  maritando  una  saa  figlia. 
I  merli  della  donna  erano  tali, 
Oltre  a  quelli  di  tutta  sua  famiglia, 

^   Ch'  a  quel  signor  non  parria  uscir  del  segno, 
Se  spendesse  per  lei  mezzo  il  suo  regno. 

74  Libera  corte  fa  bandire  intorno, 
Ove  sicuro  ognun  possa  venire  ; 

E  campo  franco  sin  al  nono  giorno 
Concede  a  chi  contese  ha  da  partire. 
Fé  alla  campagna  V  apparato  adorno 
Di  rami  intesti  e  di  bei  fiori  ordire  » 
D' oro  e  di  seta  poi,  tanto  giocondo, 
Che  '1  più  bei  luogo  mai  non  fu  nel  mondo. 

75  Dentro  a  Parigi  non  sariano  state 
L' innumerabii  genti  peregrine. 
Povere  e  ricche  e  d'ogni  qualitate, 
Che  v'eran,  greche,  barbare  e  latine. 
Tanti  signori,  e  imbascerie  mandate 
Di  tutto  '1  mondo,  non  aveano  fine: 
Erano  in  padiglion,  tende  e  frascati 
Con  gran  comodità  tutti  alloggiati. 

76  Con  eccellente  e  singolare  ornato 
La  notte  innanzi  avea  Melissa  maga 
Il  maritale  albergo  apparecchiato. 
Di  eh'  era  stala  già  gran  tempo  vaga. 
Già  molto  tempo  innanzi  desiato 
Questa  copula  avea  quella  presaga  : 
Dell'avvenir  presaga,  sapea  quanta 
Boutade  uscir  dovea  dalla  lor  pianta. 

77  Posto  avea  il  genial  letto  fecondo 

In  mezzo  un  padiglione  ampio  e  capace, 
11  più  ricco,  il  più  ornato,  il  più  giocondo 
Che  giammai  fosse  o  per  guerra  o  per  pace, 
O  prima  o  dopo,  teso  in  tutto  '1  mondo; 
E  tolto  ella  l' avea  dal  lito  trace  : 
L'avea  di  sopra  a  Costantin  levato, 
Ch'  a  diporto  sul  mar  s' era  attendato. 

43* 


534  ORLANDO  FURIOSO. 

7S     Melissa  di  consenso  di  Leone  ^ 
O  piattosto  per  dargli  maraviglia , 
£  mostrargli  dell'arte  paragone, 
Ch'ai  gran  vermo  infernal  mette  la  briglia, 
E  che  di  lai,  come  a  lei  par,  dispone, 
£  della  a  Dio  nimica  empia  famiglia  ; 
Fé  da  Costantinopoli  a  Parigi 
Portare  il  padiglion  dai  messi  stigi. 

79     Di  sopra  a  Costantin,  ch'avea  l'impero 
Di  Grecia,  lo  levò  da  mezzo  giorno, 
Con  le  corde  e  col  fusto,  e  con  l'intero 
Guernimento  ch'avea  dentro  e  d'intorno: 
Lo  fé  portar  per  l' aria,  e  di  Ruggiero 
Quivi  lo  fece  alloggiamento  adorno  ; 
Poi,  finite  le  nozze,  anco  tornollo 
Miracolosamente  onde  levoUo. 

SO     Eran  degli  anni  appresso  che  duo  milìa, 
Che  fu  quel  ricco  padiglion  trapunto. 
Una  donzella  della  terra  d' Ilia, 
Ch'avea  il  furor  profetico  congiunto, 
Con  studio  di  gran  tempo  e  con  vigilia 
Lo  fece  di  sua  man  di  tutto  punto. 
Cassandra  fu  nomata,  ed  al  fratello 
Inclito  Ettor  fece  un  bel  don  di  quello. 

81  II  più  cortese  cavalier  che  mai 
Dovea  del  ceppo  uscir  del  suo  germano 
(Benché  sapea,  dalla  radice  assai 

Che  quel  per  molli  rami  era  lontano), 
Ritratto  avea  nei  bei  ricami  gai 
D' oro  e  di  varia  seta,  di  sua  mano. 
L'ebbe,  mentre  che  visse,  Ettorre  in  pregio, 
Per  chi  lo  fece  e  pel  lavoro  egregio. 

82  '  Ma  poi  eh*  a  tradimento  ebbe  la  morte, 
E  fu  il  popol  troian  da' Greci  afflitto; 
Che  Sinon  falso  aperse  lor  le  porte, 

'  E  peggio  seguitò  che  non  è  scritto  ; 
Menelao  ebbe  il  padiglione  in  sorte. 
Col  quale  a  capitar  venne  in  Egitto  » 
Ove  al  re  Proteo  lo  lasciò,  se  volse 
La  moglie  aver  che  quel  tiran  gli  tolse. 


CANTO  OUABANTESIBIOSESTO.  ti3tÌ 

83  Elena  nominata  era  colei , 

Per  cui  lo  padiglione  a  Proteo  diede  ; 
Che  poi  successe  in  man  de'ToIomei, 
Tanto  che  Geopatra  ne  fu  erede. 
Dalle  genti  d' Agrippa  tolto  a  lei 
Nel  mar  Leucadio  fu  con  altre  prede: 
In  man  d'Augusto  e  di  Tiberio  venne, 
£  in  Roma  sin  a  Gostantin  si  tenne  ; 

84  Quel  Gostantin,  di  cui  doler  si  debbo 
La  bella  Italia  finché  girl  il  cielo. 
Gostantin,  poi  che  '1  Tevere  gì'  increbbe^ 
Portò  in  Bisanzio  il  prezioso  velo. 

Da  un  altro  Gostantin  Melissa  V  ebbe. 
Oro  le  corde,  avorio  era  lo  stelo  ; 
Tutto  trapunto  con  figure  belle, 
Più  che  mai  con  pennel  facesse  Apelle. 

85  Quivi  le  Grazie  in  abito  giocondo 
Una  regina  aiutavano  al  parto  : 

Sì  bello  infante  n'  apparia,  che  '1  mondo 
Non  ebbe  un  tal  dal  secol  primo  al  quarto. 
Yedeasi  Giove,  e  Mercurio  facondo, 
Venere  e  Marte,  che  Y  aveano  sparto 
A  man  piene  e  spargean  d'eterei  fiori. 
Di  dolce  ambrosia  e  di  celesti  odori. 

86  Ippolito  diceva  una  scrittura 
Sopra  le  fasce  in  lettere  minute. 
In  età  poi  più  ferma  l'Avventura 
L'avea  per  mano,  e  innanzi  era  Yirtute. 
Mostrava  nuove  genti  la  pittura 

Gon  veste  e  chiome  lunghe,  che  venute 
A  domandar  da  parte  di  Gorvino 
£rano  al  padre  il  tenero  bambino. 

87  Da  Ercole  partirsi  riverente 

Si  vede,  e  dalla  madre  Leonora  ; 
E  venir  sul  Danubio,  ove  la  gente 
Gorre  a  vederlo,  e  come  un  Dio  l' adora. 
Vedesi  il  re  degli  Ungari  prudente, 
Ghe  '1  maturo  sapere  ammira  e  onora 
In  non  matura  età  tenera  e  molle, 
E  sopra  tutti  i  suoi  baron  l' estolle. 


'WIW 


036  ORLANDO  FUBIOSO. 

58  V  ò  che  negr  infantili  e  teneri  anni 
Lo  scettro  di  Strigonia  in  man  gli  pone  : 
Sempre  il  fancìallo  se  gli  vede  a'  panni, 
Sia  nel  palagio,  sia  nel  padiglione  : 

0  centra.  Torchi  o  contra  gli  Alemanni 
Quel  re  possente  faccia  espedizione, 
Ippolito  gli  è  appresso,  e  fiso  attende 
A'  magnanimi  gesti,  e  virtù  apprende. 

59  Quivi  si  vede  come  il  fior  dispensi 
De'  saoi  primi  anni  in  disciplina  ed  arte. 
Fosco  gli  è  appresso,  che  gli  occulti  sensi 
Chiarì  gli  espone  dell'  antiche  carte. 
Questo  schivar,  questo  seguir  conviensi, 
Se  immortai  brami  e  glorioso  farte, 

Par  che  gli  dica  :  cosi  avea  ben  finti 

1  gesti  lor  chi  già  gli  avea  dipinti. 

90  Poi  cardinale  appar,  ma  giovinetto, 
Sedere  in  Vaticano  a  consisterò, 

E  con  facondia  aprir  V  alto  intelletto, 
£  far  di  sé  stupir  tutto  quel  coro. 
Qual  fia  dunque  costui  d'età  perfetto? 
Parean  con  meraviglia  dir  tra  loro. 
Oh  se  di  Pietro  mai  gli  tocca  il  manto, 
Che  fortunata  età!  che  secol  santo I 

91  In  altra  parte  i  liberali  spassi 
Erano  e  i  giuochi  del  giovene  illustre. 
Or  gli  orsi  affronta  su  gli  alpini  sassi. 
Ora  i  cinghiali  in  valle  ima  e  palustre  : 
Or  s' un  giannette  par  che  '1  vento  passi, 
Seguendo  o  caprio,  o  cerva  multilustre. 
Che  giunta,  par  che  bipartita  cada 

In  parti  uguali  a  un  sol  colpo  di  spada. 

92  Di  filosofi  altrove  e  di  poeti 

Si  vede  in  mezzo  un'  onorata  squadra. 
Quel  gli  dipinge  il  corso  de' pianeti, 
Questi  la  terra,  quello  il  ciel  gli  squadra: 
Questi  meste  elegie,  quel  versi  lieti, 
Quel  canta  eroici,  o  qualche  oda  leggiadra. 
.  Musici  ascolta^  e  vari  suoni  altrove  ; 
Né  senza  somma  grazia  un  passo  muove. 


CANTO  QUABANTESIMOSEStO.  Q^f 

03     In  questa  prima  parl^  era  dipinta 
Del  sublime  garzon  la  puerìzia. 
Cassandra  l'altra  avea  tutta  distinta 
Di  gesti  di  prudenzia,  di  giustizia, 
Di  valor,  di  modestia,  e  della  quinta 
Che  tien  con  lor  strettissima  amicizia  ; 
Dico  della  virtù  che  dona  e  spende  ; 
Delle  quai  tutte  illuminato  splende. 

84      In  questa  parte  il  giovene  si  vede 
Col  duca  sfortunato  degl'  Insubri, 
Ch'  ora  in  pace  a  consiglio  con  lui  siede, 
Or  armato  con  lui  spiega  i  colubri  ; 
E  sempre  par  d'una  medesma  fede, 
O  ne'  felici  tempi  o  nei  lugubri  : 
Nella  fuga  lo  segue,  lo  conforta 
Nell'afflizion,  gli  é  nel  periglio  scorta. 

95      Si  vede  altrove  a  gran  pensieri  intento. 
Per  salute  d' Alfonso  e  di  Ferrara  ; 
Che  va  cercando  per  strano  argomento, 
E  trova,  e  fa  veder  per  cosa  chiara 
Al  giustissimo  frate  il  tradimento 
Che  gli  usa  la  famiglia  sua  più  cara; 
E  per  questo  si  fa  del  nome  erede. 
Che  Roma  a  Ciceron  libera  diede. 

M      Yedesi  altrove  in  arme  relucente, 
Ch'ad  aiutar  la  Chiesa  in  fretta  corre; 
E  con  tumultuaria  e  poca  gente 
A  un  esercito  instrutto  si  va  opporre; 
E  solo  il  ritrovarsi  egli  presente 
Tanto  agli  ecclesiastici  soccorre. 
Che  '1  fuoco  estingue  pria  ch'arder  comince; 
Si  che  può  dir,  che  viene  e  vede  e  vince. 

97     Yedesi  altrove  dalla  patria  riva 
Pugnar  incontra  la  più  forte  armata, 
Che  centra  Turchi  o  centra  gente  argiva 
Da'  Veneziani  mai  fosse  mandata  : 
La  rompe  e  vince,  ed  al  fratel  captiva 
Con  la  gran  preda  V  ha  tutta  donata  ; 
Né  per  sé  vedi  altro  serbarsi  lui , 
Che  r  onor  sol,  che  non  può  dare  altrui. 


Ì(38  ORLANDO  FURIOSO. 

98  Le  donne  e  i  cavalier  mirano  fisi , 
Senza  trarne  conslrutto,  le  figure, 
Perché  non  hanno  appresso  chi  gli  avvisi 
Che  tulle  quelle  sìen  cose  fu  Iure. 
Prendon  piacere  a  riguardare  i  visi 
Belli  e  ben  falli,  e  legger  le  scrillure: 
Sol  Bradamanle,  da  Melissa  instralta. 
Gode  tra  sé  ;  che  sa  V  isloria  tulta. 

99  Ruggiero,  ancor  eh'  a  par  di  Bradamanle 
Non  ne  sia  dotto,  pur  gli  torna  a  mente 
Che  fra  i  nipoti  suoi  gli  solea  Atlante 
Commendar  questo  Ippolito  sovente. 

Chi  potria  in  versi  appieno  dir  le  lanle 
Cortesie  che  fa  Carlo  ad  ogni  gente  ? 
Di  varj  giochi  è  sempre  festa  grande, 
£  la  mensa  ognor  piena  di  vivande. 

100     Vedesi  quivi  chi  è  buon  cavaliere  ; 
Che  vi  son  mille  lance  il  giorno  rotte  : 
Fansi  ballaglie  a  piedi  ed  a  destriero, 
Allre  accoppiale,  altre  confuse  in  frolle. 
Più  degli  altri  valor  mostra  Ruggiero, 
Che  vince  sempre,  e  giostra  il  di  e  la  notte; 
E  cosi  in  danza,  in  lotta  ed  in  ogni  opra, 
Sempre  con  mollo  onor  resta  di  sopra. 

iOi     L' ultimo  di,  neir  ora  che  '1  solenne 
Convito  era  a  gran  festa  incomincialo  ; 
Che  Carlo  a  man  sinistra  Ruggier  tenne, 
E  Bradamanle  avea  dal  destro  lato  ; 
Di  verso  la  campagna  in  fretta  venne 
Centra  le  mense  un  cavaliere  armato. 
Tutto  coperto  egli  e  '1  deslrier  di  nero. 
Di  gran  persona  e  di  sembiante  altiero. 

i02     Quest'  era  il  re  d' Algier,  che  per  lo  scorno 
Che  gli  fé  sopra  il  ponte  la  donzella , 
Giuralo  avea  di  non  porsi  arme  intorno, 
Né  stringer  spada,  nò  montare  in  sella. 
Finché  non  fosse  un  anno,  un  mese  e  un  giorno 
Stato,  come  eremita,  entro  una  cella. 
Cosi,  a  quel  tempo  solean  per  sé  stessi 
Punirsi  i  cavalier  di  t^li  eccessi.  ' 


CANTO  QUAKANTESIMOSESTO.  039 

i03      Sebben  dì  Carlo  in  questo  mezzo  intese 
E  del  re  suo  signore  ogni  saccesso  ; 
Per  non  disdirsi,  non  più  V  arme  prese, 
Che  se  non  pertenesse  il  fatto  ad  esso. 
Ma  poi  che  tutto  V  anno  e  tatto  '1  mese 
Vede  finito,  e  tutto  il  giorno  appresso, 
Con  nuove  arme  e  cavallo  e  spada  e  lancia 
Alla  corte  or  ne  vien  quivi  di  Francia. 

104  Senza  smontar,  senza  chinar  la  testa, 
E  senza  segno  alcun  di  riverenzia , 
Mostra  Carlo  sprezzar  con  la  sua  gesta, 
E  di  tanti  signor  V  alta  presenzia. 
Maraviglioso  e  attonito  ognun  resta. 
Che  si  pigli  costui  tanta  licenzia. 
Lasciano  i  cibi  e  lascian  le  parole. 

Per  ascoltar  ciò  che  '1  gaerrier  dir  vuole. 

105  Poi  che  fu  a  Carlo  ed  a  Raggiero  a  Tronte, 
Con  alta  voce  ed  orgoglioso  grido, 

Son,  disse,  il  re  di  Sarza,  Rodomonte, 
Che  te,  Ruggiero,  alla  battaglia  sfido  ; 
E  qui  ti  vo',  prima  che  '1  Sol  tramonte, 
Provar  eh'  al  tuo  signor  sei  stato  infido  ; 
E  che  non  merli,  che  sei  traditore, 
Fra  questi  cavalieri  alcuno  onore. 

106  Benché  tua  fellonia  si  vegga  aperta, 
Perchè  essendo  Cristian  non  puoi  negarla  ; 
Pur,  per  farla  apparere  anco  più  certa, 
In  questo  campo  vengoti  a  provarla  : 

£  se  persona  hai  qui  che  faccia  offerta 
Di  combatter  per  te,  voglio  accettarla. 
Se  non  basta  una,  e  quattro  e  sei  n'  accetto  ; 
E  a  tutte  manterrò  quel  eh'  io  t' ho  detto. 

107  Ruggiero  a  quel  parlar  ritto  levosse, 
E  con  licenzia  rispose  di  Carlo, 

Che  mentiva  egli,  e  qualunqu'  altro  fosse. 

Che  tradìtor  volesse  nominarlo  ; 

Che  sempre  col  suo  re  cosi  pertosse. 

Che  giustamente  alcun  non  può  biasmarlo  ; 

E  eh'  era  apparecchiato  sostenere 

Che  verso  lui  fé  sempre  il  suo  dovere  : 


540  CILAXWI  FOKIOM. 

101     E  ck'a  difender  U  sua  causa  era  allo» 
Seoza  torre  io  aiuto  suo  yerano  ; 
E  che  speraYa  di  mostrargli  in  fatto 
Ch'assai  n'avrebbe,  e  forse  troppo,  d'ano. 
Qoìtì  Rinaldo,  qoivi  Orlando  tratto. 
Quivi  il  marchese,  e  1  figlio  bianco  e  1  brano, 
Dodon,  llarfisa,  contra  il  pagan  fiero 
S'eran  per  la  difesa  di  Ruggiero; 

109     Mostrando  eh'  essendo  egli  nuore  sposo» 
Non  dovea  conturbar  le  proprie  nozze. 
Ruggier  rispose  lor  :  Stoto  in  riposo  ; 
Che  per  me  foran  questo  scuse  sozze. 
L'arme  che  tolse  al  Tartaro  famoso 
Vennero,  e  fur  tutte  le  lunghe  mozze. 
Gli  sproni  il  conte  Oliando  a  Ruggier  strinse, 
£  Carlo  al  fianco  la  spada  gli  cinse. 

fio     Bradaroante  e  Marfisa  la  corazza 
Posto  gli  aveano,  e  tutto  l' altro  arnese. 
Tenne  Astolfo  il  destrier  di  buona  razza, 
Tenne  la  stalTa  il  figlio  del  Danese. 
Feron  d' intorno  far  subito  piazza 
Rinaldo,  Namo,  ed  Olivier  marchese: 
Cacciaro  in  fretta  ognun  dello  sleccato 
A  tai  bisogni  sempre  apparecchialo. 

Hi     Donne  e  donzelle  con  pallida  faccia 
Timide  a  guisa  di  colombe  stonno, 
Che  da'  granosi  paschi  ai  nidi  caccia 
Rabbia  de'  venti  che  fremendo  vanno 
Con  tuoni  e  lampi,  e  '1  nero  aer  minaccia 
Grandine  e  pioggia,  e  a'  campi  strage  e  danno; 
Timide  stanno  per  Ruggier  ;  che  male 
A  quel  fiero  pagan  lor  parea  uguale. 

412     Cosi  a  tutta  la  plebe,  e  alla  più  parte 
Bei  cavalieri  e  dei  baron  parea; 
Che  di  memoria  ancor  lor  non  si  parte 
Quel  eh'  in  Parigi  il  pagan  fatto  avea  ; 
Che,  solo,  a  ferro  e  a  fuoco  una  gran  parie 
N'avea  distrutta,  e  ancor  vi  rimanea, 
E  rimarrà  per  rooUi  giorni  il  segno  : 
Né  maggior  danno  altronde  ebbe  quel  regno. 


CANTO  QUABANTESIM08EST0.  541 

ii3     Tremava,  più  eh'  a  loUi  gli  altri,  il  core 
A  Bradamante;  non  ch'ella  credesse 
Che  '1  Saracin  di  forza,  e  del  valore 
Che  vien  dal  cor,  più  di  Raggier  potesse  ; 
•  Nò  che  ragion,  che  spesso  dà  l' onore 
A  chi  r  ha  seco,  Rodomonte  avesse  : 
Pur  stare  ella  non  può  senza  sospetto; 
Chò  di  temere,  amando,  ha  degno  effetto. 

ile      Oh  quanto  volentier  sopra  so  tolta 
L'impresa  avria  di  quella  pugna  incerta , 
Ancorchò  rimaner  di  vita  sciolta 
Per  quella  fosse  stata  più  che  certa  ! 
Avria  eletto  a  morir  più  d' una  volta, 
Se  può  più  d'una  morte  esser  sofferta. 
Piuttosto  che  patir  che  '1  suo  consorte 
Si  ponesse  a  pericol  della  morte  : 

ii6     Ma  non  sa  ritrovar  priego  che  vaglia. 
Perché  Ruggiero  a  lei  l' impresa  lassi. 
A  riguardare  adunque  la  battaglia 
Con  mesto  viso  e  cor  trepido  stassi. 
Quinci  Ruggier,  quindi  il  pagan  si  scaglia, 
£  vengonsì  a  trovar  coi  ferri  bassi. 
Le  lance  all'  incontrar  parver  di  gielo  ; 

I  tronchi,  augelli  a  salir  verso  il  cielo. 

416     La  lancia  del  pagan ,  che  venne  a  corre 
Lo  scudo  a  mezzo,  fé  debole  effetto  ; 
Tanto  r  accìar  che  pel  famoso  Ettorre 
Temprato  avea  Vulcano,  era  perfetto. 
Ruggier  la  lancia  parimente  a  porre 
Gli  andò  allo  scudo,  e  glie  le  passò  netto; 
Tuttoché  fosse  appresso  un  palmo  grosso. 
Dentro  e  di  fuor  d' acciaro,  e  in  mezzo  d' osso. 

id7      E  se  non  che  la  lancia  non  sostenne 

II  grave  scontro,  e  mancò  al  primo  assalto, 

E  rotta  in  schegge  e  in  tronchi  aver  le  penne 
Parve  per  l' aria,  tanto  volò  in  alto, 
L'osbergo  aprìa  (si  furiosa  venne), 
Se  fosse  stato  adamantino  smalto, 
E  finia  la  battaglia  ;  ma  si  roppe  : 
Posero  in  terra  ambi  i  destrier  le  groppe. 

11.  "40 


S42  ORLANDO  FURIOSO. 

ii8     Con  briglia  e  sproni  i  cavalieri  instando, 
Risalir  feron  subito  i  destrieri  ; 
£  d' onde  gittàr  l' aste,  preso  il  brando, 
Si  tornare  a  ferir  cradeli  e  fieri. 
Di  qua  di  là  con  maestria  girando 
Gli  animosi  cavalli  atti  e  leggieri. 
Con  le  pungenti  spade  incominciaro 
A  tentar  dove  il  ferro  era  più  raro. 

ii9     Non  8i  trovò  lo  scoglio  del  serpente 
Cbe  fa  si  darò,  al  petto  Rodomonte, 
Né  di  Nembrotte  la  spada  tagliente. 
Ne  '1  solito  elmo  ebbe  qael  di  alla  fronte; 
Che  rasate  arme,  quando  fa  perdente 
Centra  la  donna  di  Dordona  al. ponte, 
Lasciato  avea  sospese  ai  sacri  marmi. 
Come  di  sopra  avervi  detto  parmi. 

i20     Egli  avea  nn'  altra  assai  buona  armatara, 
Non  come  era  la  prima  già  perfetta  : 
Ma  né  questa  né  quella  né  più  dura 
A  Balìsarda  si  sarebbe  retta  ; 
A  cui  non  osta  incanto  né  fattura. 
Né  finezza  d' acciar  né  tempra  eletta. 
Ruggier  di  qua  di  là  si  ben  lavora, 
Ch'  al  pagan  l' arme  in  più  d' an  loco  fora. 

i2i     Quando  si  vide  in  tante  parti  rosse 
Il  pagan  V  arme,  e  non  poter  schivare 
Che  la  più  parte  di  quelle  percosse 
Non  gli  andasse  la  carne  a  ritrovare  ; 
A  maggior  rabbia,  a  più  furor  si  mosse, 
Ch'a  mezzo  il  verno  il  tempestoso  mare: 
Getta  lo  scudo,  e  a  tutto  suo  potere 
Su  r  elmo  di  Ruggiero  a  due  man  fere. 

i22      Con  quella  estrema  forza  che  percuote 
La  macchina  ch'in  Po  sta  su  due  navi, 
£  levata  con  uomini  e  con  ruote 
Cader  si  lascia  su  le  aguzze  travi  ; 
Fere  il  pagan  Ruggier,  quanto  più  puote, 
Con  ambe  man  sopra  ogni  peso  gravi: 
Giova  r  elmo  incantato  ;  che  senza  esso, 
Lui  col  cavallo  avria  in  un  colpo  fesso. 


CANTO  QUARÀNTESIMOSESTO.  543 

i23     Raggiero  andò  due  volte  a  capo  chino, 
E  per  cadere  e  braccia  e  gambe  aperse. 
Raddoppia  il  fiero  colpb  il  Saracino, 
Che  quel  non  abbia  tempo  a  riaverse  ; 
Poi  vien  col  terzo  ancor:  ma  il  brando  fino 
Si  lungo  martellar  più  non  sofferse; 
Che  volò  in  pezzi,  ed  al  crudel  pagano 
Disarmata  lasciò  di  sé  la  mano. 

d24     Rodomonte  per  questo  non  s'arresta. 
Ma  s'avventa  a  Ruggier  che  nulla  sente; 
In  tal  modo  intronata  avea  la  testa, 
In  tal  modo  offuscata  avea  la  mente. 
Ma  ben  dal  sonno  il  Saracin  lo  desta  : 
Gli  cinge  il  collo  col  braccio  possente  ; 
E  con  tal  nodo  e  tanta  forza  afferra, 
Che  deli'  arcion  lo  svelle,  e  caccia  in  terra. 

i2b     Non  fu  in  terra  si  tosto,  che  risorse. 
Via  più  che  d'ira,  di  vergogna  pieno; 
Però  che  a  firadamante  gli  occhi  torse , 
E  turbar  vide  il  bel  viso  sereno. 
Ella  al  cader  di  lui  rimase  in  forse, 
E  fu  la  vita  sua  per  venir  meno. 
Ruggiero,  ad  emendar  presto  quell'onta, 
Stringe  la  spada >  e  col  pagan  s' affronta. 

i26      Quel  gli  urta  il  destrier  contra,  ma  Ruggiero 
Lo  cansa  accortamente,  e  si  ritira  ; 
E,  nel  passare,  al  fren  pigliali  destriero 
Con  la  man  manca,  e  intorno  lo  raggira  ; 
E  con  la  destra  intanto  al  cavaliere 
Ferire  il  fianco  o  il  ventre  o  il  petto  mira  ; 
E  di  due  punte  fé  sentirgli  angoscia, 
L' una  nel  fianco,  e  V  altra  nella  coscia. 

i27     Rodomonte,  eh'  in  mano  ancor  tenea 
Il  pome  e  l'elsa  della  spada  rotta, 
Ruggier  su  l'elmo  in  guisa  percotea. 
Che  lo  potea  stordire  all'  altra  botta. 
Ma  Ruggier,  eh' a  ragion  vincer  doyea, 
Gli  prese  il  braccio,  e  tirò  tanto  allotta. 
Aggiungendo  alla  destra  l'altra  mano. 
Che  fuor  di  sella  alfin  trasse  il  pagano. 


tu  ORLANDO  BORIOSO* 

488      Sua  forza  o  saa  destrezza  vaol  che  cada 
Il  pagan  si,  eh'  a  Ruggier  resti  al  paro: 
Vo'  dir  che  cadde  in  pie  ;  che  per  la  spada 
Ruggiero  averne  il  meglio  giudicare. 
Ruggier  cerca  il  pagan  tenere  a  bada 
Lungi  da  sé,  nò  di  accostarsi  ha  caro  : 
Per  lui  non  fa  lasciar  venirsi  addosso 
Un  corpo  cosi  grande  e  cosi  grosso. 

129  E  insanguinargli  pur  tuttavia  il  fianco 
Vede  e  la  coscia  e  V  altre  sue  ferite. 
Spera  che  venga  a  poco  a  poco  manco, 
Si  che  alfin  gli  abbia  a  dar  vinta  la  lite. 

L' elsa  e  '1  pome  avea  in  mano  il  pagan  anco, 
E  con  tutte  le  forze  insieme  unite 
Da  so  scaglioni,  e  si  Ruggier  percosse, 
Che  stordito  ne  fu  più  che  mai  fosse. 

130  Nella  guancia  dell'  elmo  e  nella  spalla 
Fu  Ruggier  colto;  e  si  quel  colpo  sente , 
Che  tutto  ne  vacilla  e  ne  traballa, 

E  ritto  si  sostien  difficilmente. 
Il  pagan  vuole  entrar  ;  ma  il  piò  gli  falla, 
Chò  per  la  coscia  offesa  era  impotente: 
E  '1  volersi  affrettar  più  del  potere, 
Con  un  ginocchio  in  terra  il  fa  cadere. 

i^ì      Ruggier  non  perde  il  tempo,  e  di  grand' urlo 
Lo  percuote  nel  petto  e  nella  faccia  ; 
E  sopra  gli  martella,  e  tien  si  corto. 
Che  con  la  mano  in  terra  anco  lo  caccia. 
Ma  tanto  fa  il  pagan,  ch'egli  ò  risorto; 
Si  siringe  con  Ruggier  si,  che  l' abbraccia: 
L' uno  e  l'altro  s'aggira  e  scuote  e  preme, 
Arte  aggiungendo  alle  sue  forze  estreme. 

i32      Di  forza  a  Rodomonte  una  gran  parte 
La  coscia  e  '1  fianco  aperto  aveano  tolto. 
Ruggiero  avea  destrezza,  avea  grand' arte, 
Era  alla  lotta  esercitalo  mollo  : 
Sente  il  vantaggio  suo,  nò  se  ne  parte; 
£  d' onde  il  sangue  uscir  vede  più  sciolto, 
E  dove  più  ferito  il  pagan  vede, 
Pon  braccia  e  petto,  e  l' uno  e  V  altro  piede. 


CANTÒ  QUABÀNTBStBiOSBSTÒ.  Htó 

433      Rodomonte,  pìen  d' ira  e  di  dispetto, 
Raggier  nel  collo  e  nelle  spalle  prende  : 
Or  lo  tira,  or  lo  spinge,  or  sopra  il  petto 
Sollevato  da  terra  lo  sospende  ; 
Quinci  e  quindi  lo  ruota,  e  Io  tien  stretto, 
E  per  farlo  cader  molto  contende. 
Raggier  sta  in  sé  raccolto,  e  mette  in  opra 
Senno  e  valor,  per  rimaner  di  sopra. 

i34      Tanto  le  prese  andò  mutando  il  franco 
£  buon  Ruggier,  che  Rodomonte  cinse: 
Calcògli  il  petto  sul  sinistro  fianco, 
E  con  tutta  sua  forza  ivi  lo  strinse. 
La  gamba  destra  a  un  tempo  innanzi  al  manco 
Ginocchio  e  all'  altro  attraversògli  e  spinse  ; 
E  dalla  terra  in  allo  solle  vello, 
E  con  la  testa  in  giù  steso  tornello. 

135  Del  capo  e  delle  schene  Rodomonte 
La  terra  impresse,  e  tal  fu  la  percossa. 
Che  dalle  piaghe  sue,  come  da  fonte, 
Lungi  andò  il  sangue  a  far  la  terra  rossa. 
Ruggier  e'  ha  la  Fortuna  per  la  fronte, 
Perchè  levarsi  il  Saracin  non  possa, 
L'una  man  col  pugnai  gli  ha  sopra  gli  occhi, 
L'altra  alla  gola,  al  ventre  gli  ha  i  ginocchi. 

136  Come  talvolta,  ove  si  cava  Toro 
Là  tra'  Pannoni  o  nelle  mine  ibere, 
Se  improvvisa  ruina  su  coloro 

Che  vi  condusse  empia  avarizia,  fere. 
Ne  restano  si  oppressi,  che  può  il  loro 
Spirto  appena,  onde  uscire,  adito  avere; 
Cosi  fu  il  Saracin  non  meno  oppresso 
Dal  vincitor,  tosto  eh'  in  terra  messo. 

137  Alla  vista  dell'  elmo  gli  appresenta 
La  punta  del  pugnai  eh'  avea  già  tratto  ; 
E  che  si  renda,  minacciando,  tenta, 

E  di  lasciarlo  vivo  gli  fa  patto. 
Ma  quel,  che  di  morir  manco  paventa. 
Che  di  mostrar  viltade  a  un  minimo  atto, 
Si  torce  e  scuote,  e  per  por  lui  di  sotto 
Mette  ogni  suo  vigor,  né  gli  fa  motto. 

40' 


546  ORLANDO  FURIOSO. 

i38     Come  mftstin  sotto  il  feroce  alano, 
Che  fissi  i  denti  nella  gola  gli  abbia. 
Mollo  s*  affanna  e  si  dibatte  invano 
Con  occhi  ardenti  e  con  spumose  labbia, 
£  non  poò  uscire  al  predator  di  mano. 
Che  Yince  di  vigor,  non  già  di  rabbia  ; 
Cosi  falla  al  pagano  ogni  pensiero 
D' uscir  di  sotto  al  vincitor  Ruggiero. 

i39     Pur  si  torce  e  dibatte  si,  che  viene 
Ad  espedirsi  col  braccio  migliore  ; 
£  con  la  destra  man  che  '1  pugnai  tiene, 
Che  trasse  anch'  egli  in  quel  contrasto  faore, 
Tenta  ferir  Ruggier  sotto  le  rene. 
Ma  il  giovene  s' accorse  dell'  errore 
In  che  potea  cader,  per  differire 
Di  far  queir  empio  Saracin  morire  ; 

140     £  due  e  tre  volte  neir  orribil  fronte. 
Alzando,  più  eh'  alzar  si  possa,  il  braccio, 
Il  ferro  del  pugnale  a  Rodomonte 
Tutto  nascose,  e  si  levò  d'impaccio. 
Alle  squallide  ripe  d' Acheronte, 
Sciolta  dal  corpo  più  freddo  che  ghiaccio, 
Bestemmiando  fuggi  l' alma  sdegnosa , 
Che  fu  si  altiera  al  mondo  e  si  orgogliosa. 


troTS* 


Si.  i»  ^.  l-S.  —  Or^  se  mi  mostra 
U  mia  carta  il  vsro  ee.f  ora,  se  la  carta 
della  mia  naTÌgaBione  Don  erra,  non  h 
lungi  il  porto,  ov'  io  la  termini,  e  renda 
grasie  a  chi  mi  ha  sorretto  in  cosi  luogo 
viaggio,  ch*io  non  credei  compire  sema 
disgrafie.  E  fuori  d'allegoria  t  ora  ch'io 
sono  presso  al  ^ne  del  mio  lungo  a 
diffieil  lavoro, 

St,  8.  «r.  M,^J  chi  in  eterno 
deggio  t  verso  cui  mi  corre  obbligo  di 
gratitudine  eterna.  —  Veronica  da 
Gambera:  matrona  d'illustre  famiglia  , 


da  Corteggio,  celebre  rimatrìcé  e  iniitH 
trice  del  Bembo. 

St,  4.  p.  Z'k,^Emilia  Pia  t  di  no- 
bilissima  famiglia  Carpigiana.  Ne  parla 
con  lode  il  Castiglione  nel  suo  CortìgU- 
no.— 'Eia  notrita  Damigella  Tridui* 
zia  al  sacro  speco.  Questa  era  figlia  di 
Giovanni  Trivalsio^  milanese}  di  quat- 
tordici anni  si  dedicò  alla  letteratura,  e 
▼i  fece  progressi  maravigliosL  Ve  sacro 
speco  a*  intende  una  grotta  ddb  Fod- 
de,  presso  Delfo,  rinomata  dai  poeti  per 
le  ispiraiioni  apollinee. 


CANTO  QUARANTESIMOSESTO. 


;»« 


SL  5.  V.  2-8. — Barbara  Turcat 
allude  forse  il  Poeta  alla  6glia  del  duca 
di  Brandeburgo,  maritala  a  Lodovico 
Gooiaga,  fecondo  marcbeie  di  Manto* 
va,  soprannominato  il  Turco  per  le  sne 
prodene.— ZtfMra.*  probabilmente  qui 
s'intende  la  teria  moglie  del  duca  Al* 
fonso,  nata  in  umile  condisione»  ma 
donna  d*  alto  ingegno  e  di  molta  pru- 
denia.  —  Ecco  Ginevra  che  ec»f  Gine- 
vra d'Este,  sorella  del  duca  Ercole,  ma- 
ritata a  Sigismondo  Malatesta,  signore 
di  Rimini. 

SL  7.  V.  i.  — I?e/  mio  signor  di 
SoMolot  Federico  Gonsaga,  detto  da 
Bosolo,  castello  auUa  sinistra  dell'Oglio, 
fu  valente  capitano,  e  si  distinse  nelle 
guerre  di  Francia. 

St.S.  v.i-S. — Giulia  Gonzaga  ee.t 
moglie  di  Vespasiano  Colonna!  era  tanto 
rinomata  per  Pavvenenta,  che  il  corsaro 
Barbarossa  mandò  gente  in  Fondi  a  ra- 
pirla; ed  ella  appena  pol^  salvarsi,  fug- 
gendo in  camicia.— Za  cognata  h  con 
lei»  Isabella  Colonna,  moglie  di  Luigi 
da  GaBolo.-*itfiiRa  d' Aragonjtice  del 
Vasto  I  era  figlia  di  Ferrante  d'Arago- 
na, e  moglie  di  Alfonso  d'Avalos,  mar- 
chese del  Vasto. 

St,9,  f.  3.S.— Za  sorella  ò  con  lei. 
Parlasi  di  Giovanna,  sorella  della  mar- 
chesa del  Vasto,  e  moglie  di  Ascanio  Co- 
lonna.^—fcco  chi  tolto  ha  dalla  scura 
spiaggia  ee.t  Vittoria  Colonna,  moglie 
di  Ferdinando  Francesco  d' Avalos,  mar-  I 
chese  di  Pescara.  Vedi  su  di  lei,  nel 
Cauto  XXXVII,  le  St.  i6,i7ei8,non 
chela  nota  a  queir  ultima  Stanaa. 

St,  iO.  V.  S.—  V  unico  Jccoltit 
cavaliere  d*Areiio,  sul  quale  molto  si 
diffonde  il  Cortigiano  del  Castiglione. 

4^^  1 1.  «».  1-4. — Benedetto^  il  nipo» 
lei  detto  il  cardinale  di  Ravenna;  mori 
in  Firenae  di  morte  subitanea.  —  Col 
cardinal  di  Mantma,eeol  Campeggio. 
Il  primo  fa  Ercole  Gonzaga,  fratello  di 
Francesco  ultimo  marchese,  e  di  Fer- 
dinando primo  duca  di  Mantova;  Taltro 
IttLoreoso  Campeggio,  giureconsulto  l 


bolognese.  Ambidue  ebbero  il  cappello 
cardinalizio  da  Clemente  VII. 

St.  12.  v.U%.-~Lattanzio  e  Clau* 
dio  Tolomei:  due  letterati  di  Sienai  e 
Claudio  fu  altresì  distinto  oratore  e  poe* 
ta.  —  Paulo  Pansas  genovese,  che  col- 
tivò molto  lodevolmente  la  poesia  lati* 
na. — £  '/  Dresino  t  Giorgio  Trissino 
di  Vicenza,  dotto  nelle  lettere  greche, 
e  valente  poeta,  autore deir/£a/ia  libc" 
rata  e  della  Sofonisba,.~^tatino  Gio- 
y^nal:  letterato  parmigiano,  rinomato 
ai  tempi  di  Leon  X  e  di  papa  Clemente, 
nella  corte  dei  quali  si  distinse.  —  Et 
Capilupi  miei.  Erano  cinque  mantovani 
di  questa  £|^miglia;  ma  il  Poeta  intende 
forse  di  Lelio  e  d' Ippolito,  noto  qoe- 
st'  ultimo  come  scrìttor  di  sonetti  e  di 
centoni  latini. — E*l  Sasso:  modenese, 
scrittor  di  rime  italiane  e  latine.-* £  '/ 
MoUat  di  lui  si  disse  in  fine  della  nòta 

alla  St.  12  del  Canto  XXX VII Gi«- 

iio  Camillo  t  rimatore  anch*egli,  e  au- 
tore del  Teatro  delle  scienze ,  opera 
scritta  per  facilitare  agli  studiosi  le  vie 
del  sapere,  adombrate  qui  sotto  il  nome 
di  rivi  ascrei. — Marco  Antonio  Fla»^ 
minio  r  da  Imola,  buon  poeta  latino  e 
scrittore  di  cose  sacre  e  filosofiche.  •— 
//  Sangag  abile  ciferista,  e  per  ciò  gra- 
dito a  Clemente  VII. — Il BematVTzn" 
Cesco  Berni,  canonico  fiorentino,  dagli 
scritti  festevoli  di  cui  ha  preso  nome  Io 
stile  bernesco. 

SU  13.  9.1'%.— Ecco  Messane 
dro  ect  il  cardinale  Alessandro  Farne- 
se, nomo  di  lettere,  e  amainte  de'  lette- 
rati, crealo  papa  col  nome  di  Paolo  III. 
—  Fedro  i  da  Volterra,  familiare  del 
cardinale  Pompeo  Colonna,  e  professore 
d'eloquente,  come  lo  fu  Camillo  Por- 
aio,  nominato  in  questo  stesso  verso.— 
Jl  bolognese  Filippo.  Rammenta  vero- 
similmente Filippo  Beroaldo,  molto  ac- 
cetto a  Leon  X,  e  da  quel  pontefice  pre* 
posto  alla  Biblioteca  Vaticana.  —  // 
Volterrano:  Raffaello  da  Volterra,  uo- 
mo di  grande  studio  e  versato  in  tutte  le 
buone  discipline. ~-//  Madalenat  ri- 


K48 


OfiLANDO  FÙBIOSd. 


guardato  nella  cotte  romana  come  in* 
gegooso  e  leggiadro  lerittore.— 'jff/oijof 
di  nome  Palladio,  eccellente  poeta,  e 
segretario  di  Clemente  VII.  —  Pieriot 
gentiluomo  di  Cividal  di  Belluno,  egre- 
gio ed  erudito  scrittore  prosaico,  e  ver- 
seggiatore.-'// Vida  eremonesBt  Gi- 
rolamo Vida,  cbe  trattò  in  versi  latini 
di  varj  soggetti,  •  scrisse  ani  filugelli  e 
sul  giuoco  degli  scacchi.^  J?  Laseari, 
e  Musuro  e  Navagerot  Giovanni  La- 
scari  di  Costantinopoli,  fu  dottissimo 
grecista  e  caro  a  Lorenio  il  Magnifico. 
Il  Musuro  era  di  Creta;  espose  in  Pa- 
dova i  classici  greci,  ebbe  da  Leon  X  la 
sede  vescovile  di  Ragusi,  e  poco  prima 
dì  sua  morte  ottenne  il  cappello  cardi- 
naliiio.  Il  Navagero  fu  gentiluomo  ve- 
netiano,  culto  e  castigato  latinista,  e  fu 
in  pregio  anche  per  le  sue  rime  italiane. 
—  Andrea  jl/arone  f  bresciano,  gratis- 
simo  a  Leone  X,  ledi  cui  cene  rallegrava 
colle  sue  latine  ed  estemporanee  poesie. 
^-E*l  monaco  Severo.  Stcondo  il  For- 
nari,era  questi  don  Severo  da  Fireniuo- 
la,  dotlo  cistcrciense,  complice  o  parte- 
cipe  della  congiura  tramata  dal  cardinal 
Sauli  contro  Leon  X  i  ma  il  Porcarchi 
vnole  che  si  debba  intendere  don  Severo 
da  Volterra, monaco  camaldolese,  amico 
deir Autore,  e  gentil  poeta. 

St.  14.  V.  1-8.  —  Ecco  altri  duo 
Aleesnndri  ee,t  Alessandro  dall'Orolo- 
gio, nobile  padovano,  e  Alessandro  Gua- 
rino, illustri  letterali.— .Wflr/o  d'Olvi" 
tot  Mario ^aicola  da  Olvito  nel  regnò 
di  Napoli,  fu  lungo  tempo  in  corte  di 
Federico  marchese  di  Mantova,  e  scrisse 
di  cose  d*  amore,  d'antichitSi  e  di  storia. 
— Pietro  Aretino:  soggetto  troppo  co- 
nosciuto, perchè  s*al)bia  a  parlarne.  -^ 
,  Duo  Jer animi t  di  questi  due,  il  vero- 
nese Girolamo  Verità  è  noto  come  scrit- 
tore di  poesie  xXzWznt.^^  Il  Mainardof 
era  ferrarese ,  dotto  nella  seienxa  medi, 
ca,  cui  illustrò  con  gli  scritti,  e  con  la 
scoperta  di  semplici  fino  allora  ignorati. 
— //  Leonieenot  dottissimo  medico  vi- 
cenlitto,  fu  il  primo  a  tradurre  le  opere 


di  Galeno;  ed  era  assai  gradito  ad  Er- 
cole II  e  al  di  lui  figlio  Alfonso. 

St.  15.  V.  7-8.—  //  Fraeattoriùf 
Girolamo  Fracastoro,  medico  veronese, 
astronomo,  ed  autore  del  poema  sulla 
Sifilide.'^  Il  Bevauuano  :  era  venesia- 
no,  e  atimato  nella  corte  di  Leon  X  e  di 
papa  Clemente.—  Tri/on  Gabriele f 
venesiano  anch*  esso,  e  nomo  di  gran 
giudieio,  benché  ,  come  Socrate,  nulla 
abbia  lasciato  di  scritto. — E  il  Tasso  : 
Bernardo  Tasso,  bergamasco,  celebra 
poeta,  e  padre  di  Torquato. 

St.  16.  V.  1-8. — Niccolò  Tiepólì! 
senatore  veneto  di  grande  autorità,  e 
uno  fra  i  primi  riformatori  dello  Studio 
di  Padova.  —  Niccolò  Amanio  t  poeU 
cremasco.-.-  //  mio  Valerio  t  il  veneto 
Gian  Francesco ,  di  cui  si  h  detto  uà 
Canto  XXVII,  Su  137.—  Col  Bari- 
gnan  :  Piero  Barìgnano,  bel  dicitore  hi 
rima,  e  accademico  in  Roma  ai  tempi 
di  Leon  X. 

StM.v.2-%.—llPico:  Gian  Fran- 
cesco Pico  della  Mirandola. —  //  fìto: 
Alberto  Pio,  signore  di  Carpi,  ornato  di 
lettere  e  di  gentili  costnmL  —  laeoho 
Sannasaar  ec,  s  di  lui  si  è  detto  altro- 
ve; e  qui  resta  da  notarsi  per  l'intelli- 
gensa  dell'ottavo  verso,  d>*egU  fd  il 
primo  a  comporre  Eclogke  piscatorie. 

St.  18.  V.  S-7. —  />i>(o/r/or  Bona- 
ventura Pistofilo,  segretario  del  duca  di 
Ferrara.  Ad  esso  VAutore  iodiriciò  Tnl- 
tima  delle  sue  salire.  —  Cogli  Ac" 
ciaiuoli:  fiorentini  di  origine;  furono 
tre  i  lodati  dal  Giraldi  come  valenti  poe- 
ti; Antonio  cioè,  Iacopo,  ed  Ardidao. 
Annibal  MalaguM  t  il  Poeta  Io  dice 
suo /^ArenCe^  perchè  la  madre  sua  appar> 
tenne  a  quella  famiglia.— JDe/  mio  nm» 
tivo  nido  :  di  Reggio  :  ove  nacque  il 
Poeta  nel  U74. 

St.  19.  <».  1.—  Fittor  Fatui»  t 
greco  di  naiione,  professore  di  lettere 
greche,  e  soprintendente  ali*  arsenale  di 
Venesia. 

St.  46.  V.  4.  —  Disfatioj  noftot 
nel  quale  significato  adoperò  tal  voce 
..     .  -^ 


CANTO  QOARAMTESIltÒSEgTO. 


HM 


r  Alighieri  ntW  Inferno,  Canto  VI, 
▼.41 

Si,  69.  V.  1-6.  —  Qna/e  il  canato 
Egeo  ee.s  ve  di  Atene,  che,  ad  istiga- 
aiooe  di  Medea  sua  moglie,  fa  sul  punto 
di  avvelenare,  non  conoscendolo,  Te- 
seo nato  da  Ini  e  da  Etra.  Ma  ravvi- 
sando ]a  spada  di  Teseo  per  quella 
ch'egli  medesimo  aveva  lasciata  ad  Etra, 
si  astenne  da  quel  misfatto. 

Si,  65.  9.  6.  —  Pietas  angoscia. 
St,  67.  V,  3-4.— Gano  eoi  conte 
Anselmo  ec,  Gano  o  Ganellone  di  Ma« 
gODia,  il  eonte  Anselmo  d*  Altariva ,  ri- 
cordati altrove,  erano,  insieme  con  gli 
altri  tre  nominati  nel  quarto  verso,  ne* 
mici  delle  due  famiglie  Mongrana  e 
Chiaramonte. 

St,  78.  V.  4-8.  —  Al  gran  vermo 
infemah  al  diavolo;  e  cosi  s'intenda 
di  diavoli  1*  a  Dio  nimica  empia  fami- 
glia, come  sono  diavoli  i  messi  stigi, 
St,  80.  V.  5-7.  —  Trapunto  :  rica- 
mato. —  Della  terra  d' Illa  .•  di  Troia, 
detta  anche  llio.-^  Cassandra:  BgViz 
del  re  Priamo,  e  profetessa,  com'è 
detto  nel  quarto  verso. 

St.  8S.  V,  Z.%.-^  Sinon  falso  iqptì 
perfido  greco ,  che  persuase  i  Troiani  ad 
accogliere  nella  cittSt  il  cavallo,  entro  cut 
stavano  nascosi  i  Greci,  che  poi  la  disfe- 
cero.—-il/eiie/ao;  re  di  Sparta,  marito 
di  Elena,  che  fu  rapita  da  Paride.— -Pro- 
teo:  re  d'Egitto,  di  cui  Erodoto  narra 
che,  spinto  essendo  dalla  burrasca  Pa- 
ride con  la  rapita  Elena  a  Canopo ,  i  due 
amanti  furono  mandati  in  Menfi  a  Pro- 
tro, il  quale  si  tenne  Elena,  e  rimandò 
il  drudo.  Finita  la  guerra  troiana,  Me- 
nelao andò  in  Egitto  e  riebbe  la  moglie, 
la  quale  dal  Poeta  si  finge  riscattata  col 
padiglione  che  nella  precedente  Starna 
si  è  naentovato. 

St,  84.  u,  U9,^Di  cai  doler  si 
debba  La  bella  Italia,  per  la  male  au- 
gurata traslocasione  della  sede  imperiale 
in  Costantinopoli. 

St,  85.  —  Questa  e  le  StanM  se- 
guenti finn  a  tutta  la  97  ridondano  di 


lodi  proface  al  cardinale  Ippolito  d'Este, 
nato  dal  duca  Ercole  I  e  di  Leonora  d'Ara- 
gona ;  le  quali  si  compendieranno  qai  ia 
non  molte  parole,  riserbandoci  il  dichia- 
rar qualche  voce  che  nelle  Stanse  ap- 
presso s'incontri  averne  bisogno.Beatrice 
d' Aragona,  sua  eia  materna  e  moglie  di 
Mattia  Corvino  re  d' Ungheria,  volle  Ip- 
polito presso  di  ah ,  essendo  egli  per  an- 
che fanciullo.  Tenuto  in  gran  conto  dal 
re,  ottenne  l' arcivescovato  di  Strigonia* 
Poscia  chiamato  a  Milano  da  sua  sorel- 
la, consorte  di  Lodovico  Sforia,  fu  ar- 
civescovo di  Milano  e  cardinale,  ed  ebbe 
gran  parte  nel  governo  dello  Stato.  Giu- 
stificò la  fiducia  in  lui  posta  da  Lodovi- 
co, restandogli  fedele  anche  nell'avversa 
fortuna.  Divenne  poi  vescovo  d*  Agria  , 
ed  ebbe  onorifiche  preminente  sull'alto 
clero  di  Roma,  intelligente  nelle  cose  di 
guerra,  diede  saggio  di  questa  sua  abilità 
contro  i  Veneti,  di  che  più  volte  si  è 
fatta  menzione  nel  corso  del  Poema  ;  e 
salvò  lo  Stato  da  interne  perturbaaioni, 
scoprendo  la  congiura  ordita  contro  di 
Alfonso  da  Giulio  e  Ferdinando  d' Este, 
e  accennata  nella  nota  alla  St.  60  del 
Canto  II f. 

1$*^  88.  V,  3-4.  —  vtf'pann/.*  appres- 
so. Simile  espressione  adoperò  1'  Ali- 
ghieri, e  nello  stesso  significato,  nel 
XV  dell'Inferno,  v.  *0.-^Sia  nel pa» 
loigio,  sia  nel  padiglione:  in  pace  o  in 
guerra  ;  ovvero  nelle  civili  e  militari 
bisogne, 

St.  89.  V.  3.  r—i^Mjco. •  Tommaso 
Fusco,  prima  precettore,  poi  segretario 
d'Ippolito. 

Si.  94.  V,  S.  ~  Col  duca  sfor» 
tanaio  degV  Insubri:  con  Loilovico 
Sforza  duca  di  Milano,  cacciato  da 
Luigi  XII. 

St,  95.  V.  7-8.  — Jlr/a  del  nomt 
erede  ec.f  acquista  il  diritto  di  esser 
chiamato  padre  della  patria,  dopo  aver 
scoperta  la  congiura  de'  due  Estensi , 
come  fu  detto  padre  della  patria  Cice- 
rone, sventata  eh'  egli  ebbe  la  congiura 
di  Caiilioa, 


Ò50 


UBLANOO  FURIOSO. 


Si.  99.  V.  S.  —  Viene  e  vede  e  vin- 
ce, k  il  laconico  ragguaglio  dato  da  Ce» 
sare  sulla  guena  contro  Farnacc,  appli- 
cato dal  Poeta  al  cardinale  Ippolito* 

St*  i04.  V.  3.^  Con  U  sua  gè* 
sta:  con  1'  atteggiamento  della  per* 


St,  108.  V.  6.— J7'/  figlio  bianco 
€*l  brmmoi  Grifone  e  Àqoilante. 

<Sr.  109.  V.  6.  -^  Fw  tutte  le  lunghe 
e*  furono  levati  tutti  gl'indugi. 


St,  120.  ¥,  5.  —  Fottmrot  strego- 
neria» 

St.  123.  9,  8-4.— La  macchina 
qui  accennata  chiamasi  Gatto. 

St.  136.  V.  2.~Xà  tra'Peuuenis'ìA 
Ungheria,  detta  dai  Latini  Pennouie.— 
Nelle  mine  iberet  neUe  minieie  delli 
Spagna ,  anticamente  chiamata  Ibeiii. 

St.  138.  9.  1 lfa«(iiif  canedi 

mandria.— Alano  z  cane  feroce,  di  raiu 
inglese. 


651 


IIVJDICE 

DEI  NOMI  PROPRJ  E  DELLE  COSE  NOTABILI 


NEI.IP  OBIiAWDO    FUHIOSO. 


(//  numero  romano  indica  il  Canto j  rarabico  la  Starna,) 


Adokio.  Sua  Dovella,  XLIII,  74. 

AcnAMAiiTi.  Si  prepara  ali*  assedio  di 
Parigi,  XII,  70;  XIY»  67.— fa  la 
rassegna  dd  suo  esercito,  XIII,  81  % 
XIT,  ii.  —  suo  esercito  innumerabi<* 
le,  ivi,  99.^d^  l'assalto  a  Parigi,  ivi, 
109.  —  assale  una  porta  di  Parigi,  e 
si  troTa  Carlo  contro,  XV,  6. —  va 
contro  gV  Inglesi,  XVI.  75  e  83.  — 
vien  abbattuto  da  Rinaldo,  ivi,  84.  — 
combatte  di  nuovo  con  Rinaldo , 
XVUI,  40.—^  rotto  dai  Cristiani  e 
si  ritira,  ivi,  -158.  >->  Tiene  assediato 
nel  dimpo, XXIV,  108  e  seg.— resta 
liberato  da  Rodomonte  e  da  altri  Sa- 
racini  sopraggiunti,  XXV1I,15  e  seg. 

—  assedia  di  nuovo  Carlo  in  Parigi, 
ipi^33. — cerca  invano  di  comporre  le 
difference  insorte  fra' suoi  campioni, 
ivi,  44, 68,  81  e  seg.  ;  XXX,  1 9  e  seg. 

—  permette  che  Mariisa  si  vendichi 
di  Brunello,  XXVII,  94 e  seg.— Ri- 
ceve  in  dono  Brigliadoro  da  Ruggie- 
ro, XXX,  75. — il  suo  esercito  fe  mal- 
trattato dalle  squadre  di  Rinaldo, 
XXXI,  51.  —  si  ritira  in  Arli,  ivi, 
84.  —  cerca  riparare  i  danni  della 
scon6tta,  XXX 11,  4.  —  fa  impiccar 
Brunello  ,  restituitogli  da  Marfisa, 
ivi,  8.  —  tien  consiglio  per  de- 
liberare circa  al  ritorno  in  Alirica, 
XXXVIII,  37.  — fa  una  parlata  ai 
s  uoi,  ivi,  38. — conviene  con  Carlo  di 
rimet  ter  la  somma  della  guerra  in  due 


combattenti,  uno  per  parte,  ivi,  65. 
•—rompe  il  patto,  XXXIX,  6.  •—  viea 
disfatto  dai  Cristiani,  e  abbandonato 
dai  suoi,  iVi^  9e  66.  —  naviga  verso 
l' Africa,  ivi,  73.  -~  vien  battuto  in 
mare  da  Dodone.  ivi,  81 1  XL ,  6. 
—  si  dispera,  ivi,  36.  —  si  rifugge 
aell'  isola  di  Lìpadusa ,  ivi,  44.  — 
manda  a  disfidare  Orlando  e  i  suoi 
compagni,  ivi,  54  e  seg.  •— combatte 
con  Oliviero,  XLI,  68  e  71 .  — 
poi  con  Brandimarte,  ivi,  91.  —  uo* 
ciso  da  Orlando,  XLII,  8. 

AoBiGALTB.Co*suoi  alla  rassegna  d'Agra- 
mente, XIV,  SS.— battuto  da  Rinal- 
do, XVI,  81.  —  fatto  prigioR  di  Du- 
done,  XL,  71.—-  liberato  da  Ruggie- 
ro, XLI,  6.<— >sna  morte,  ivi,  21. 

AxABDo.  Riceve  Bradamante  sua  sorella 

in  Montalbano,  XXIII,  SS parte 

con  Rinaldo  da  Montalbano,  XXX, 
94.....  vien  battuto  da  Guidon  S^Xm 
maggio»  XXXI,  10. 

AtCBSTX,  amante  di  Lidia,  XXXIV, 
16.— suo  valore,  /•»<,17  e  seg. — avuta 
una  ripulsa  dal  padre  di  Lidia ,  gli 
muove  aspra  guerra,  ivi,  20  e  seg.  — 
d^  a  conoscere  troppo  il  suo  amore  a 
Lidia,  ivi,  25  e  seg.— restituisce  nel 
primo  suo  stato  il  padre  di  lei  colla 
morte  del  re  d' Armenia ,  ivi,  35  • 
aeg.-~esposto  da  Lidia  a  varj  cimenti 
pericolosissimi  perchè  perisca ,  ivi^ 
38.^ sua  afflisione  e  morte  per  l'in- 
gratitudine di  Lidia,  ivi,  43. 

Alciha.  Sua  isola  incantata,  VI,  19.-^ 


btf2 


IMDICB  DEI  NOMI  PROPBJ 


$no  cuUtììoìnfnUìo,Mfib^ — ^ubbi- 
dita da'pesci,  ivi,  38.  — volubile  Del- 
l' anuire ,  cangia  gli  amauti  in  varie 
forme,  ivi,  M).  —  cangiò  Astolfo  in 
mirto,  ivi,  61.  — sua  cittli  descrittai 
iVi^&8>71  e  scg. —  mostri  di  detta  iso- 
la, ivi,  61.  — •  sue  bellesse  descritte, 
VII,  lOe  seg.—  innamora  di  th  Rug- 
giero, ivi,  16.  —  sua  bratteata  da 
Ruggiero  scoperta ,  ivi,  73.  —  iose* 
goa  Ruggiero,  Vili,  IS;  X,  48.— 
vista  da  Logistilla,  fugge,  ivi,  53. 

▲iDioino  di  Cbiaramonte.  Sue  virtù 
XXV,  72.  —  raccoglie  Ruggiero  e 
Ricciardetto  nel  castello  d'Agrismon- 
te,  ivi,  73.  —  va  con  loro  a  liberar 
Malagigi  e  Viviano,  ivi,  95.  —  sente 
da  Malagigi  la  spiegasione  delle  scol- 
ture  della  fonU  di  Merlino,  XXVf, 

88 è  gettalo  da  cavallo  da  Mao- 

dricardo,  tvi,  76. 

Alibia.  Porge  aiuto  a  Guidone  e  ai  suoi 
compagni  per  uscir  d'Alessandria, 
XX,  74,  80  a  95.— sbarca  a  Mar« 
silia  con  Guidone  ,  ivi,  103.  >—  in 
compagnia  del  medesimo  incontra 
Ricciardetto,  XXXI,  8. 

Albssaxdba,  una  delle  femmina  omi- 
cide. Suoi  amori  con  Elbanio,  XX, 
39  a  aeg. 

Alessandria  (ora  Alessandretta),  c\\\k 
abitata  dalle  femmine  omicide,  XIX, 
67;  XX,  9.  —  sua  origine,  ivi,  68. 

Alfbo,  medico,  mago  ed  astrologo.  E 
ucciso  da  Cloridano,  XVI II,  174. 

Almoxio, ministro  fedele  di  Zerbino  nel 
ratto  dMsabella,XIII,17.  — è  ingan- 
nato, da  Odorìco,  il  quale  gli  toj^lia 
Isabella,  ivi,  23.  —  conduce  Odorìco 
legato  a  Zerbino ,  XXIV,  16.  — >  sua 
vittoria  sopra  Odorìco  in  un  duel- 
\Otivi,  26. —  impicca  Odorìco,  iVi',45. 

AijnRDO,  re  di  Tremisenne.  Scontrato 
colle  sue  squadre  da  Orlando  presso 
a  Parigi,  Xi  I,  69.  —  s6da  arrogante* 
mente  Orlando,  e  resta  ucciso,  i>Ì474 
e  seg. — sue  genti  distrutte  da  Orlan- 
do, ivi,  76  e  seg.  — •  h  atteso  invano 
alla  raasegna  d'Agramente,  XIV,  28. 

Amomb,  avendo  promessa  Bradamante, 
sua  figlia,  a  Leone,  la  nega  a  Ruggie- 
ro, XLIV,  36.—- stabilisce  con  Bea- 
trice, di  lei  madre,  di  mandarla  a 
Rocca  Forte,  ivi,  72.  —  si  pente,  e 
chiede  scusa  a  Ruggiero,  pregan«iolo 
ad  accettarla  in  isposa,  XLVI,  64. 


Analabdo.Id  mostra  co* tuoi, XIV,  46. 

AvuRoriLo,  cognato  di  Coitantino.Per« 
de  il  figlio  in  battaglia,  ucciso  per 
mano  di  Ruggiero,  XLIV,  86.  ^-  ri- 
ceve Costantino  in  Beletieebe,  XLV, 
11. 

ABOBomcA,  donna  valorosa  diLogistil- 
la,  X,  52. — accompagna  Astolfo  Tcr- 
io  Occidente,  e  gli  spiega  molte  cose 
di  geografia,  ec,  XV,  11  a  seg. 

Amdbopomo,  sacerdote.  Gettato  da  Ro- 
domonte giuda'  merli  di  Parigi,  XIV, 
124.  —  ucciso  da  Cloridaao,  XVIll, 
177. 

Anello  incantato  e  contro  gì'  incanti, 
posseduto  da  Brunello,  111,69.— di- 
fende Angelica  dallo  splendore  dello 
scudo  incantato,  X,  107. — dopo  es- 
aere stato  in  varie  mani,  ritorna  in 
quelle  di  Angelica,  XI,  3  a  seg. 

Abobuca.  Ritornata  con  Orlando  ia 
Ponente,  gli  vien  tolta  da  Carlo, 
I,  7.  —  promessa  in  premio  a  quel 
guerriero  che  nella  giornata  da'  Pire- 
nei avesse  mostrato  maggior  valore, 

ivi,  9  e  46 fugge  dopo  la  rotta 

de'  Cristiani  in  quella  battaglia, 
a  incontra  Rinaldo,  a  Ferraù,  <rr« 
iO  e  14.  — fugge  da  loro,  ivi,  17 
e  32.  —  sua  superbia ,  ivi,  49.  — 
prende  Sacripante  per  guida,  ivi,  50. 
—odio  che  ha  verso  Rinaldo,  11,11. 

—  ai  trova  coli' eremita,  iVr,  12;  e 
VILI,  29.— vien  portata  in  mare  dal 
cavallo  indemoniato  ,  e  poi  al  Udo 
inospite,  ec,  ivi,  35.  —  sua  beUesaa 
quanti  acci^nti  produsse  sulla  terra, 
ivi,  62.  —  vien  condotta  dai  corsari 
per  cibo  all'Orca,  iWj  64.~.rìcnpefa 
r  anello  incantalo,  X,  107.  —  resta 
liberata  da  Ruggiero,  ivi.  111.  — 
prove  fatte  con  queir  anello,  XI,  4. 

—  s'invola  a  Ruggiero,  IW,6.— sua 
bellessa  singolare,  ivi,  11.  —  arriva 
al  palasao  incantato  d'Atlante,  XII, 
25.  —  si  scopre  a  Sacripante,  ad  Or- 
lando a  a  Ferreo,  a  poi  si  nasconda 
loro,  ivi,  28.— prende  la  via  d'Orien- 
te, ivi,  65.  —  superila  per  1*  anello 
riavuto,  XIX,  18.  —  impietosita  di 
Medoro,  gli  medica  la  ferita,  ivi,  *0 
a  seg.— s'invaghisce  di  lui,  ivi,  26. 

—  lo  sposa  ,  ivi,  33.  —  regala  gli 
ospiti  pastori,  e  parte  con  Medoro, 
iVi.  40.  —  incontra  Orlando  passo, 
XXIX  9  58.  —  gli  ai  nasconda  col 


S  DELLE  COSE  NOTABILI. 


«53 


mesBO  dell'anello,  IW^  64.—- ntoroa 
finalmente  ncll'  india  col  sao  Medoro, 
XXX,  46. 
Angelo  MiCBiLB.   D'ordine  di  Dio, 
cerca  il  Sìlensio  tra'  frati,  XIV,  78. 

—  tì  trova  la  Discordia,  ivi,  81.  — 
la  manda  tra  i  Saracini,  ivi,  85.  — 
trova  il  Silenzio  alla  casa  del  Sonno, 
ivi,  94.  —  Lo  conduce  al  campo  di 
Rinaldo,  ivi,  95. —  accorcia  miraco- 
losamente la  via  alle  truppe  di  Rinal- 
do, ivi,  96.  — •  riconduce  la  Discor- 
dia al  campo  Saracino,  XXVII,  37. 

AnsuMO  d'Altaripa.Sue  castella,XXIII, 
4. — suo  dolore  per  la  morte  di  Pina- 
bello  suo  figlio,  ivi,  46. — suo  bando 
contra  V  uccisore  di  suo  figlio,  ivi,  47. 
— erede  alla  falsa  accusa  contro  Zer- 
bino ,  e  fattolo  prendere,  sema  pro- 
cesso lo  condanna  a  morte ,  ivi,  50. 
— aue  inimiciaie  colla  stirpe  di  Ghia- 
raroonte,  ivi,  hi. 

Aquilauts.  Combatte  con  Orrilo,  XV, 
67.— va  in  Gerusalemme  con  Astolfo 
e  Grifone,  ivi,  93.  —  cerca  Grifone, 
XVIII,  73.-— trova  Martano  con  Or- 
rigille,  e  legati  li  conduce  in  Dama- 
sco, ivi,  TI.  —  trova  Grifone,  ivi, 
87.— è  abbattuto  da  Astolfo,  ici^  118. 
—si  riconcilia  con  Marfisa,  e  ricono- 
sce Astolfo,  ivi^  132. — va  in  Cipro, 
ivi,  136 vien  battuto  dalla  tem- 
pesta, i9i,  141 1  XIX,  43. —ap- 
proda coi  compagni  ad  Alessandria, 
ivi,  54.  —  fngge  da  quella  cittìi  al 
suono  del  corno  di  Astolfo,  XX,  92. 

—  naviga  a  Marsilia,  ivi,  101.— 
va  al  castello  di  Pinabello,  iW^104| 
XXII ,  53.  —  giura  di  osservar  la 
legge  di  quel  castello ,  ivi,  54.  — 
cade  allo  splendore  dello  scudo  incan- 
tato di  Ruggiero,/»'!^  85.— intende  da 
Fiordiligi  la  pascià  d'Orlando,XXXI, 
43.  —  va  coi  compagni  ad  assalire  i 
Mori, /W^  51. 

Ahbàhts.  Pretende  Olimpia  in  ispo- 
sa,  IX,  35.  —  viene  da  hi  ucciso, 
iW^41. 

Abcbidahtb.  In  mostra  co* tuoi,  XIV, 
16. 

Ardenna,  selva.  Sua  fonte  cangia,  a  cbi 
VI  bee,  l'amore  in  odio,  e  viceversa, 
I,78,e  XLII,  35  e  60.  —  avventure 
di  Rinaldo  in  essa,  ivi,  45. 

Argalia.  Sua  ombra  apparsa  a  Ferraù 
nel  meiso  di  un  fiume,  I,  35. 


Argaliffk,  bestia  eavaleaU  da  Berlin- 
giero,  XVIII,  44b 

Aboahio.  In  mostra  co' suoi,  XIV,  18. 

Abgbo,  marito  di  Gabrina,XXI,14.  — 

.  crede  alle  calunnie  di  lei  contro  Fi- 
landro, iV<«  34.— assale  Filandro  per 
vendicarsi,  e  lo  fa  prigione,  ivi,  36. 

—  resta  da  lui  ucciso  in  fallo,  per 
inganno  di  Gabrina,  ivi,  48. 

Aboia,  moglie  di  Anselmo  giudice.  Sua 
norella,  XL III,  73  e  seg. 

Abikako,  duca  di  Sormosedia.  Alla  ras- 
segna di  Rinaldo  in  Londra,  X,  81, 

—  h  ricevuto  in  Parigi  assediato, 
XVI,  85.  —  va  contro  Rodomonte» 
entrato  in  Parigi,  XVIII,  10. 

Abiodamtb  ,  amante  di  Ginevra  corri- 
sposto, V,  16  e  aeg.— cerca  far  prova 
dell'  amor  di  lei,  ivi,  41.— disperato 
per  le  prove  in  contrario  cbe  crede  di 
averne,  ivi,  53.  —  si  getta  in  mare  , 
ivi,  57. —  si  ritrova  salvo,  e  ritorna 
a  Ginevra,  VI,  5.  —  la  difende  dalle 
accuse  di  Lurcanio,  di  lui  fratello,  e 
la  sposa,  ivi,  9  e  seg.  —  va  con  Ri« 
naido  in  Francia  a  difesa  di  Carlo, 
X,  86.  —  muove  contro  i  Saracini, 
XVI,  55.  —  suo  valore,  ivi,  59  e  78. 

—  soccorre  2Serbino,  ivi,  64.  —  sue 
furie  contro  Dardioello  uccisore  di 
Lurcanio,  XVIII,  56. 

Abiosto  (Lodovico).  Mandato  ambascia* 
tore  al  pontefice  Giulio  II  dal  duca 
di  Ferrara  ,  XL,  3.  —  persone  sue 
amiche  nominate  e  lodate ,  ivi,  4 1 
XLVI,  3  e  seg. 

Arpie,  infeste  al  Senapo  di  Etiopia, 
XXXIII,  108  e  119.  —  scacciate  da 
Astolfo  col  corno  incantato,  ivi,  135; 
XXXIV  ,  4.  —  chiuse  in  una  spe- 
lonca, ivi,  46. 

Abtbkia,  una  delle  più  crudeli  donne 
d'  Alessandria.  Suo  consiglio  contro 
Elbanio,  XX,  50. 

Astolfo.  Ritrovato  da  Ruggiero  nel- 
l' isola  di  Alcina  in  forma  di  mirto, 
VI, 37.  —  fu  amante  di  Alcina,  ivi, 
46.  —  cangiato  da  lei  in  mirto,  ivi, 
51.  —  ricupera  1'  umana  forma  per 
opera  di  Melissa,  VIII,  16.  —  si  ri- 
trova da  Logistilla,  X,  64.  —  doni 
prodigiosi  dì  un  corno  e  di  un  libro 
incantato  che  da  lei  riceve  nel  par- 
tire, XV,  13.  •—  col  corno  caccia  i 
ladroni  e  le  fiere,  ivi,  38.  —  col  me- 
desimo mette  in  foga  Caligorante  » 

47 


804 


INDICE  DEI  NOMI  PROPIU 


M,  6S.  —  Io  condnce  mco  legato, 
ivit  60.  —  ritrova  a  Daroiata  Aqoi- 
lante  e  Grifone,  cho  combattono  con 
Orrilo,  ivi,  66. —  etmbatte  aoch'egli 
con  Orrilo,  ivi,  81.  —  gli  recide  il 
capello  fatale,  e  lo  uccide,  ivi^  87.  — 
dona  Caligorante  a  Sanionetto  trovato 
in  Gerusalemme,  ivi,  97,  —  va  con 
Sansonetto  alla  gioitra  in  Damasco , 
XVIII996.  —  sua  lancia  d'oro  incan- 
tata, ivi,  il8.—  getta  da  cavallo 
Grifone  ed  Aquilante,lc/.  —  Sbattuto 
dalla  tempesta,  lifi^  141  ;  XIX,  43. 

—  approda  coi  compagni  ad  Alessan- 
dria, ivi,  64.  —  riconosce  in  quella 
cittli  il  suo  cugino  Guidon  Selvag- 
gio ,  XX ,  65.  —  mette  in  fuga  col 
corno  le  donne  di  quella  città,  ivi, 
87  i  XXII,  5.  —  suoi  viaggi  a  Londra 
e  in  Francia,  ivi,  7  e  10.  — *  giunge 
ti  pilasao  incantato  di  Atlante ,  ivi, 
i3.  —  scioglie  l'incanto,  e  acquista 
l'Ippogrifo,  1VI4S3  e  seg.  —-consegna 
Rabicano  e  la  lancia  d'oro  a  Brada- 
mante,  XXIII,  11 va  in  Etio- 
pia sàBMppogrilb,  XXXIII,  99.— 
arriva  alla  capitale  della  Nubia,  ivi, 
101.  •— vien  creduto  dal  Senapo  uno 
spirito  caletta,  ivi,  114.  .—caccia  col 
corno  le  arpie  che  infestano  la  mensa 
al  Senapo,  ivi,  185 ;  XXXIV,  4.  — 
trova  la  porta  dell' Inferno,  ivi,l.  ~ 
— •  sente  dall'ombra  di  Lidia  le  scia- 
gure di  lei,  ivi,  7.  —chiude  le  arpie 
io  una  spelonca,  ivi,  46.  —  ascende 
nel  Paradiso  terrestre,  ivi,  48.  —  vi 
h  accolto  da  San  Giovanni  Evangeli- 
sta, ivi,  54.  —  vien  dal  medesimo 
condotto  nel  cerchio  della  luna,  ivi, 
68.  —  vede  colà  «ose  mirabili,  e  poi 
ne  parte  col  senno  di  Orlando  in  una 
ampolla,  XXXVIII,  23.— restituisce 
la  vista  al  Senapo,  e  da  lai  ottien 
gente  per  espugnar  Biserta,  ivi,  34. 

—  imprigiona  in  un  otre  il  vento 
Noto,  ivi,  29. — cangia  i  sassi  in  ca- 
valli, ivi,  33.  —  lefrondi  in  navi, 
XXXIX,  26.  —  ritorna  il  aenno  ad 
Orlando ,  ivi,  57.  —  espugna  Biser^ 
ta,  XL,  14.—  rimanda  i  Nubi  al 
loro  paese,  e  torna  in  Francia, 
XLIV,  23. 

Astolfo,  re  de'Longobardi.  Sua  no- 
vella, XXVUI,  4.— domato  da  Carlo. 
XXXIII,  16. 

AtUsti,  incantatore.  Rubala  donna 


diPinabello,  II,  88.— ano  eaatdio 
incantato  descritto,  IW,  41  e  scg.| 
III,  67|  IV,  37  e  seg.  —  combatte 
con  Gradasso,  II,  48.  —  suo  scudo 
incantato ,  ivi,  55.  —  ruba  tutte  la 
donne  belle  che  ritrova ,  IV,  6.  — 
resU  vinto  da  Bradamante,  ivi,  25. 

—  cerca  giovar  sempre  a  Enggioo, 
ivi,  35. .-  disfà  il  suo  castello,  ivi, 
38.  —  fa  capitar  Ruggiero  ad  AÌcìbi, 
VII,  44.  —  gli  si  fa  vedere  in  scn»- 
biansa  di  Bradamante,  XI ,  19.  —  si 
mostra  nell'aspetto  di  Angelica  ad 
Orlando,  e  lo  conduce  nel  suo  pa- 
lasso  incantato,  XII,  4  e  seg.  — 
suo  palaaao  incantato,  e  varf  enori 
inesso,XII,8c  21;XIII,49;XXII, 
13. — fugge  dal  medesimo  palatao  al 
suono  del  corno  di  Astolfo,  ivi,  22. 

—  suo  palasBO  da  Astolfo  distrutto , 
ivi,  23.  —  morto,  scopre  dal  suo 
avello  a  Ruggiero  e  a  Maifisa  che 
sono  fratelli,  XXXVI,  59. 

Aurora  descritta,  IV»  68;  VIII,  86; 
X,  20 j  XI,  32jXII,  681  XUI,  43; 
XVII,  129;  XVIII,  10,  103,  I88f 
XX,  82;  XX1II,52;XXV,  Uc 
93;  XXX,  44;  XXXI,  36  ;  XXXII, 
13|  XXXIII,  65;  XXXIV,  61; 
XXXVII, 86;  XXXVIII,76{  XLIII, 
54;XLV,37;  XLVI,  29. 

Auiumno  deacriUo,  IX,  1%  XXI,  15. 


Baiardo ,  cavallo  di  Rinaldo.  Fogge 
dal  suo  padrona  1 ,  12.  —  h  ritro- 
vato da  esso,  e  fugge  di  nuovo, 
ivi,  32.  —  ritrovato  da  Angelica,  si 
laida  prendere  da  lei.  ivi,  72  e  seg. 
—  viene  in  mano  di  Sacr^antc,  ivi, 
76.  —  torna  in  potere  di  Rinaldo^ 
II,  19. —  combatte  con  un  uccello 
mostruoso,  mandato  da  Malagigi  per 
disturbare  la  battaglia  tra  Rinaldo 

e  Gradasso,  XXXIII,  84  e  seg 

fugge  spaventato  in  una  grotta,  ove 
è  trovato  da  Gndasao,  col  quali 
resta,  ivi,  88  e  93. 

Balastbo.  Alla  rassegna  d' Agramanle 
coi  soldati  condotti  prima  da  Tar- 
docco,  XIV,  22.  —  va  contro  Rioal- 
do  e  Zerbino  con  Agramente,  XVI, 
83h— resta  ucciso  da  Lurcanio,XVIII, 
45.— veduto  da  Ruggiero  fra  i  pri- 
gioni di  Dudooe,  XL,73. — liberato 


£  DBLLB  COSE  NOTABILI. 


655 


da  Baggiero,  XLI ,  6.  —  ina  morte, 

ivi,  92. 
Balena  che  per  incanto  d' Alcina  si  fa 

▼edere  ad  Astolfo,  VI ,  S7.  —  lo  in- 

dace  a  salirle  sopra,  e  lo  trasporta 

con  Alcina,  ivi,  40. 
Bal»fboiitb.  In  mostra  co'  suoi,  XIV, 

53. 
Balihtiuio.  In  mostra  co*  suoi,  XIV, 

i6. 
Balisarda,  spade  di  Ruggiero,  VII,  76. 

—  sua  fineasa,  XXVI,  SI  ;  XLI,  75  } 

XLVI,  iSO.  —  capitata  in  mano  di 

Orlando,  XLI,  26 h  restitoita  a 

Rnggiero,  XLIY,  16. 
Balitbbzo,  il  più  ribaldo  fra*  Saradni. 

Va  coi  suoi  soldati  alla  rassegna  di 

Agramante,  XIV ,  S4.  —  assale  una 

Sorta  di  Parigi  con  Agramante,  XV, 
.  —  ira  col  medesimo  contro  gì'  In* 
glesi,XVI,75. 

Balooahtb,  capitano  delle  ganti  del  re- 
gno di  Leone,  XIV,  18.— incoraggi- 
sceiSaracini,  XVIII,  43. 

Bambibaoo.  Va  con  Agramente  contro 
gr  Inglesi,  XVI,  75.  —  atterrato  da 
Rinaldo,  Mj  81.  — prigione  di  Dn» 
done,  XL,  71.  — liberato  da  Rug- 
giero, XLI,  6.—  sua  morte,  ivi,  33. 

Bardixo,  balio  diBrandimarte,XXXIX, 
41.  —  ano  pianto  per  la  morte  di 
Brandimarte,  XLIIf,  168. 

BARicoimo,  capo  de*  Maiorìchini.  Va 
alla  rassegna  d'Agramente,  XIV,  13. 
— >  ira  contro  gì'  Inglesi  sotto  Parigi , 

XVI,  67.— veste  ncdso  dal  duca  di 
Chiarensa,  ivi,  69. 

Batoldo,  cardio  dà  Brandimarte^XXXI, 

67. 
BATABTg.  In  mostra  co'  anoi,  XIV,  16. 
BBATiiieB,madre  di  Bradamante,XLIV, 

71. — sua  ambiiione,XLVI,  73. 
BsBLiBOiBBO.  Va  contro  Rodomonte, 

XVII,  16 1  XVIII,  8.— abbattuto  da 
Ferraù,  ivi,  44b 

Bbbtolaoi,  maganuse.  Tratta  con  Lan- 
lasa  di  comperar  Malagigi  e  Viviano, 
XXV, 74.— resta  ucciso  da  Aldigiero 
e  Ricciardetto,  XXVI,  13. 

BiAKCA,fata.Tondoce  Grifone  ed  Aqni* 
lente  contra  Orrilo,  XV,  73.  — .  li 
tiene  lontani  dalla  Francia,  ivi,  89. 
— incanU  l'armi  a  Grifone,XVII,70. 

Bf AifXABmHo.  In  mostra  co'  suoi,  XIV, 
14. 

BiBBHO,  amante  di  Olimpia^  IX,  33.  — > 


liberato  di  prigione  da  Orlando,  e 
restituito  ad  Olimpia,  ivi,  84.  —  sua 
ingratitudine  verso  di  lei,  X,  4  e  seg. 

—  l'abbandona  in  un'isola,  ivi,  19  e 
seg.  — -  perde  lo  stato,  ed  e  ucciso  da 
Oberto,XI,79. 

^f  #erf  a^minaeciata  dai  IIobi,XXXVI  II, 
35. — assalita  e  difesa,  XL,  14  e  seg. 

—  presa,  ivi,  33. 
BBASAMAim.  Combatte  con  Sacripante, 

I,  60.  —  ama  e  cerca  Ruggiero,  Ily 
83 — incontra  Pinabello,  ivi,  34.  — 
il  <fnale  lasciala  cader  nella  grotta 
di  Merlino,  ivi,  70  e  seg.  —  dova 
Melissa  le  mostra  le  ombre  de'  suoi 
discendenti,  e  la  gloria  che  doveva 
acquistarsi  la  casa  d'Este,  111,9  e 
seg.  — a' accompagna  con  Brunello, 
IV,  9.  *-  e  gli  toglie  l'anello  incan- 
tato,/W^  13.  — combatte  con  Atlan- 
te, ivi,  16.  —  ritrova  Ruggiero  nel 
castello  di  Atlante,  e  lo  mette  in  li- 
berta, ivi,  40.  —  Io  perde  di  nuo- 
vo,  e  ritien  seco  Frontino,  ivi^  48. 

—  cerea  Ruggiero,  VII,  34.  —  d2i 
l'anello  incantato  a  Melissa,  per- 
chè tolga  Ruggiero  ad  Alcina,  ivi, 
47.  — '  avendo  atteso  invano  Rug- 
giero a  Marsilia,  lo  cerca  nel  pa- 
lasao  di  Atlante,  e  vi  si  perde,  XIII, 
45  e  seg.  —  fugge  dal  detto  palasso 
al  suono  del  corno  di  Astolfo,  XXII, 
30.— trova  Ruggiero,  e  va  seco  verso 
Vallombrosa,  ivi,  36. — ode  il  peri- 
glio di  Ricciardetto,  e  risolve  di  soc- 
correrlo, ivi,  38.  —  trova  Pinabello 
al  suo  castello,  e  lo  insegoe,  ivi,  73  a 
aeg.— lo  uccide,  ivi,  96»  XXIII,4.— 
perde  Ruggiero,  XXII ,  98.  — riceve 
da  Astolfo  Rabicano  e  la  lancia  incen- 
tete, XXIII,  11;  XXXII ,  48.  —  si 
ritrova  a  caso  a  Montalbano,  XXIII, 
30.  —  rimanda  Frontino  a  Ruggiero, 
ivi,  36.  "-  h  similissima  nel  sem- 
biante a  Ricciardetto  suo  fratello, 
XXV,  9  e  SO.  —  eecende  di  se  Fior- 
dispina,  ivi,  38.  —  riceve  da  Ippalca 
novella  del  suo  Ruggiero,  XXX ,  76 
e  seg.  —  Ha  di  lui  gelosia  per  Mar- 
fisa,  ivi,  %li  XXXI,  6.  —  lo  attende 
con  impasiensa,  XXXII,  10.  —  sue 
smanie  all'udir  di  lui  male  nuove, 
ivi,  35.  —  va  al  campo,  ivi,  49.  >- 
incontra  i  tre  re  collo  scudo  d'oro, 
ivi,  50  e  seg. — va  alla  rócca  dì  Tri- 
Steno,  ivi,  69.  —  abbatte  i  tre  rt 


556 


INDICE  DEI  NOMI  PROPIU 


dallo  lendo  d'oro,  M^  76.  —  di- 
itaàè  Ullania,  aicchk  non  sia  cac- 
ciata fuor  della  rócca  di  Tristano, 
ivi,  101  e  aeg. — suo  »ogDO,XXXlll, 
60.  —  atterra  di  nuovo  i  tre  re,  ivi, 
69|  XXXV,  31.  —  Ta  io  soccorso  di 
Fiordiligi,  ivi,  38.  —  getu  di  sella 
Rodomonte  colla  lancia  incantata , 
iPì^iS.  —  manda  Frontino  a  Rug- 
giero,  e  lo  sfida  per  meno  di  Fiotto 
diligi,  ivi,  69.  —  abbatte  colla  lan- 
cia incantata  Serpentino,  Grandonio 
e  Ferraù^iW^  67  e  scg. — fa  lo  stesso 
di  Marfisa  per  tre  ▼olte,  XXXVI,  SO 
e  seg.  —  incontra  Ruggiero ,  e  Tuole 
ucciderlo,  ma  si  trattiene,  ivi,  31. 
—  sfoga  la  sua  collera  contro  i  Mo- 
rì ,  ivij  38.  — •  contende  con  Mar- 
fisa,  ivi,  46«— 4i  rappacifica  con  Mar- 
fisa  e  Ruggiero,  sentendo  da  Atlante 
ch'essi  sono  fratelli,  ivi,  68.  — -  pu- 
nisce Marganorre,  nemico  delle  don* 
ne,  XXXVII,  lOi.  — Ta  con  Mar- 
fisa  al  campo  di  Carlo,  XXXVIII, 
7.  —  Tien  promessa  dal  padre  a  Leo- 
ne, figlio  deirimperatorgrecOfXLIV, 
IS.  — incontra  grandi  contrasti  nelle 
sue  nosae  con  Ruggiero,  ivi,  36.  — 
sua  riverenia  alla  madre ,  ivi,  39.  — 
suoi  nuovi  dubbi  della  fede  di  Rug- 
giero ,  XLV,  S8  e  seg.  —  combatte 
con  Ruggiero,  creduto  Leone,  e  re- 
sta vinta  ,  ivi,  70.  —  finalmente  Io 
sposa  con  molte  solennitk,XLVI,73. 

Bbamdimabtb,  grande  amico  d' Orlan- 
do, Vili,  86.  —  va  in  traccia  di  lui, 
ivi,  88.  —  ama  Fiordiligi,  ivi,  89.  — 
va  al  palasao  d'Atlante,  XII,  11.  — 

■  fogge  da  quello  al  suono  del  corno 
d'Astolfo,  XXII,  90.— ritrova  la  sua 
Fiordiligi  al  campo  CTÌstiano,XXXl, 
60.  —  capita  con  essa  al  ponte  di 
Rodomonte,  e  combatte  con  lui,  ivi, 
66.  —  rimane  suo  prigioniero  ,  ivi, 
76.  —  h  liberato  da  Astolfo  in  Afri- 
ca, XXXIX,  33.  -—  ritrova  nova- 
mente  Fiordiligi,  ivi,  38.  -~  è  il 
primo  a'  salir  sulle  mura  di  BiserU 
nell'assalto,  XL,  S3  e  s«g.  —  com- 
batte con  Agramante  in  Lipadusa» 
XLI,  46  e  68. — vien  ferito  a  morte 
da  Gradasso,  ivi,  lUO  e  aeg.  -—  sua 
morte,  XLII,  IS.  —  funerali  fatti- 
gli da  Orlando,  XLIII,  168  e  seg. 

BbAmxaroo.  Difende  Biserta  assalita  da 
Astolfo  •  dai  Nubi,  XXXVUI,  36| 


XXXIX,  i9.  —  presa  dette  cittk,  si 
uccide,  XL,  36. 

Briffliadorù,  cavallo  di  Orlando,  Vili, 
84.  —  non  ha  paragone,  fuorché 
Baiardo ,  IX ,  60.  —  capite  in  mano 
di  Maodricardo,  XXIV,  115 — Rng- 
giero  lo  vince  a  Maodricardo,  e  lo 
dona  ad  Agramante,  XXX,75ea«g. 

BamiA,  fata.  Conduce  Grifone  ed  Aqni- 
lante  contra  Orrìlo,  XV,  7S. —cerca 
tenerli  lontani  dalla  Francia,  tvig 
89.  —  parte  da  essi,  ivi,  91 

Bbohbllo.  Suo  anello  iocanteto.  (Vedi 
Anello  incantato.}  Sua  figura  de- 
scritta, III,  7S.  —  vien  legato  da 
Bradamante,  che  gli  toglie  l'anel- 
lo, IV ,  14.  —  va  alla  rass^na  di 
Agramante,  a  cui  h  caduto  in  di- 
agraaia  per  l' anello  perduto,  XIV, 
19.  — suoi  furti,  XXVII,  71  e  84. 
—riconosciuto  da  Marfisa,  vien  por- 
tato da  essa  ad  una  torre  per  esser 
impiccato,  ivi,  93  e  seg.  -~vien  dalla 
medesima  restituito  ad  Agramante, 
XXXII ,  7.  —  vien  fatto  impiccai! 
dal  re  Agramante ,  ivi,  8. 

BucivABO.  Difende  Biserta  contro  Astol- 
fo. XXXVIII,  35;  XXXIX,  19.— 
rimane  suo  prigioniero ,  ivi,  SI.  — 
viene  cambiato  con  Dudone,  iVi, 
S4.  —  h  ucciso  da  Oliviero ,  XL,  35. 

Salgari.  Eleggono  Ruggiero  in  loro 
re,XLIV,97|XLVI,48,69eseg. 

BuBALDo.  In  mostra  -co*  suoi  alla  rat- 
segna  di  Agramante,  XIV,  18. 


Cagione  della  insuperabile  vite  d*  Or- 
rilo,  XV ,  78.  —  ora  dell*  odio ,  ora 
dell*  amore  di  Rinaldo  verso  Angeli- 
ca, 1,78. 

Calai,  persecutore  insieme  con  Zete 
delle  arpie  infeste  a  Fineo,  XXXI V,  3. 

Catidonia,  selva.  Ricetto  di  cavalieri 
erranti  nella  Scosia,  IV,  61. 

Caligobamtb,  gigante  presso  le  fbd 
del  Nilo.  Sue  crudeltà,  XV,  43  e 
aeg.  —  Intimorito  dal  corno  d'Aatol- 
fo,  resta  preso  nella  rete  propria, 
ivi,  63.  —  condotto  per  vari  paesi 
da  Astolfo,  ivi,  61. — porta  il  car- 
naggio d' Astolfo ,  Grifone  ed  Aqni- 
lante,  ivi,  94. — vien  donato  da  Astol- 
fo a  Sansonetto  in  Gcnualcmne,  tV/. 
97.         . 


fi  t)ELLB  COSfi  I^OTABlLt. 


1^57 


Cablo  Maoho.  Manda  Rinaldo  in  In- 
ghilterra a  chiedere  aoccono^  li,  26. 
—  «noi  proirvedimenti  per  sostenere 
r assalto  di  Parigi,  XIV,  68,  103 
e  seg.  —  sna  preghiera  a  Dio,  ivi^ 
69  e  seg.  —  va  contro  Rodomonte^ 
entrato  in  Parigi  nel  tempo  dell'  as« 
salto,  XVI,  89  e  seg.|  XVII,  6, 13.~ 
lo  costringe  a  ritirarsi,  Xyill,  S  « 
seg.  —  assale  Marsilio,  ivi,  41.  '— 
assedia  i  Saracini  nel  loro  campo,  ivi, 
i63;  XXIV,  408  e  seg.  —  il  suo 
esercito  iriene  notamente  assalito, 
ed  è  messo  in  rotta  dai  nemici  ani- 
mati da  Rodomonte  sopraggiunio  coi 
suoi,  XX VII,  18  e  29.  — sua  disce- 
sa, che  doveva  far  in  Italia,  dipìnta 
da  Merlino  nella  sala  della  rocca  di 
Tristano,  XXX 111,  16. -«  conviene 
con  Agramapte  di  rimettere  la  som- 
ma della  guerra  in  due  combatten- 
ti, XXXV  HI,  65. 

CA8SANOBA.  Padiglione  da  lei  trapun- 
to, e  da  Melissa  apparecchiato  per 
le  noise  di  Ruggiero  e  Bradamante, 
XLVI,77eseg. 

CiLAHOBO,  £glio  di  Marganorre.  Sua 
cortesia ,  XXXVII,  46.  —  condotto  a 
morte  dall*  amore ,  ivi,  48  e  seg. 

CiMosco.  Chiede  Olimpia  per  isposa 
di  Arbante  suo  figlio,  IX,  25.  — 
suo  sdegno  per  la  ripulsa  avutane, 
JW427.— sua  forsa  ed  astnsia,  ivi, 
38.  —  artiglierie  da  lui  usate,  ivi, 
28,  73,  88  e  seg.  —  stragi  da  lui 
fatte  delle  schiere  del  conte  d*  Otan- 
da,  ivi,  80  e  seg.  —  ha  nelle  mani 
Olimpia,  iWj  3ò.  —  fa  prigione  Bi- 
reno,  ivi,  40 — cerca  di  avere  Or- 
lando vivo  nelle  mani,  ivi,  64.  — 
il  suo  esercito  è  disfatto  da  Orlan- 
do, ivi,  70.  —  spara  un*  artiglieria 
contro  Orlando,  ma  non  lo  coglie, 
ivi,  74.— rimane  ucciso  da  Orlan- 
do, ivi,  80.— le  sue  artiglierie  sono 
da  Orlando  trasportate  altrove  per 
disperderle,  ivi,  88.  —  indi  da  lui 
gittate  in  mare,  ivi,  &1. 

Clodiomb.  Sua  donna,  XXXII,  83. <— 
sua  gelosia  per  essa ,  ivi,  86.— scor- 
tesia da  lui  usata  a  Tristano,  ivi,-~» 
ne  vien  gastigato  dal  medesimo,  ivi, 
86.  —  legge  da  lui  imposta  alla  sua 
rocca,  ivi,  93. 

Cloridamo.  Suo  amore  verso  Dardi- 
nello,  XV III,  166«— sua  amiciiia 


con  Medoro,  ivi,  171;  XIX,  4.— 
▼a  di  notte  nel  campo  di  Carlo,  « 
uccide  Alleo,  XVIII,  175.  —  nells 
stessa  occasione  uccide  altri  soldati  ^ 
ivi,  177  e  seg.  — combatte  coi  sol- 
dati di  Zerbino  solo  per  salvare  il  ca- 
davero  di  Dardiocllo,  e  vendicar  Me- 
doro, ed  h  ucciso,  XlX,  15. 

Coccodrillo,  Sua  natura,  XV,  68. 

Condizioni  poste  tra  Carlo  e  Agramante 
nel  duello  tra  Ruggiero  e  Rinaldo, 
XXXVIII,  83. 

Contiglio  dell* Ariosto  alle  giovani,  X,  5. 

CoRKBO  di  Bilbao, uno  de' rapitori  d'Isa- 
bella, XIII,  17.  — la  difende  dagli 
insulti  di  Odorico,  i>i«  26. -^  resta 
vinto  da  Odorico ,  ivi,  26.  -^  col- 
l' aiuto  d'Almonio  prende  Odorico, 
e  lo  conduce  a  Zerbino,  XXIV  ,  16. 
— moril»ondo  per  le  ferite,  vien  fatto 
medicare  da  Almonio,  ivi,  23  e  seg. 

Corno  incantato,  dato  da  Logistilla  ad 
Astolfo ,  XV  ,  14.  —  adoperalo  dal 
medesimo,  mette  in  fuga  ladroni  e 
fiere,  ivi,  38.  —  fuga  Caligorante, 
ivi,  63.  —  le  donne  omicide  di  Ales- 
sandria, XX,  87.— Atlante  cogli  al- 
tri tenuti  da  lui  nel  suo  palasao, 
XXII,  20.  — e  le  arpie  dalla  mensa 
del  Senapo,  XXXIII,  12à}  XXXIV,  4. 

CosTAHTiHO  imperatore,  padre  di  Leo- 
ne. Accampato  sotto  Belgrado,  XLIV, 
79. — sua  pugna  contro  ai  Bulgari, 
ivi,  80  e  seg.  —  sconfitto  dai  Bulgari 
guidati  da  Ruggiero  ,  ivi,  84.  —  si 
ritira,  XLV,  11. 

Costume  delle  femmine  omicide,  XIX, 
67. 


DALiNDA.  Liberata  dalle  mah!  de*sir.atj 
da  Rinaldo,  IV,  69.  — «  suo  amore 
verso  Polinrsso,  V,  7  e  47.  —  tra- 
dita dal  medesimo,  ivi,  71.  — con- 
vertita, si  rende  monaca  in  Dacia, 
VI.  16. 

Damasco,  Sua  descrlsione, XVII,  18  e 
aeg.  — feste  e  giostre  ivi  fatte  dal 
re  Norandino,  ivi,  20|  XVIII,  96 
e  132. 

Danno  dell* artiglierie,  XI,  26. 

Daboihrllo.  Va  alla  rassegna  d*  Agra- 

47* 


{$58 


INDICE  DEI  NOMI  PROPRJ 


mante,  XIV,  27.  —  muove  contro 
gli  Scozzesi  sotto  Parigi,  XVI,  64 
e  83.  —  tuo  valore  contro  i  nemici, 
XVIIÌ,  47.  — uccide  Guglielmo  di 
Burnich ,  ivi,  52.  —  uccide  Lurca- 
nio,  ivi,  55.  —  viene  ucciso  da  Ri- 
naldo, ivi,  i52.  —  suo  cada  vero. 
Vedi  CLoaiDAMo  e  Medoro. 

Demonio  entrato  in  corpo  al  cavallo 
di  Angelica.  (Vedi  Angelica.) — Con- 
duce i  migliori  guerrieri  in  aiuto 
di  Agramante,  XXVil,  13. 

Descrizione  del  castello  d'Atlante,  IV, 
7.  —  dell' Ippogrifo,  ivi,  IS. — d'una 
fonte,  II,  34.  — dell'arca  di  Merli- 
no.  III,  14. —  del  luogo  ove  disce- 
se Ruggiero  coli' Ippogrifo,  VI,  21. 
— delie  bellesse  d'Alcina,  VII,  11. 

—  della  sua  bruttezsa ,  ivij  73.  — -^ 
deU'archibuso,  IX,  2S.  — della  for- 
tezza del  paese  di  Logistilla,  X,  58. 

—  delle  genti  mandate  dal  re  di  Sco- 
sta in  aiuto  di  Carlo,  ivi,  71. — delle 
bellezze  d'Olimpia,  XI,  65.  — della 
spelonca  ove  Orlando  trovò  Isabel- 
la,  XII ,  90.  —  della  primavera ,  XI , 
82.— della  Discordia,  XIV,  81.— 
della  Fraode,  iVi\,  87. — delle  arpie, 
XXXIII,  120.— della  casa  del  Son- 
no,  XIV,  92.— di  Parigi,  iVi^  104. 

—  della  grandezza  del  Cairo,  XV, 
63.  —  di  Damasco,  XVII,  18.  — 
della  prosapia  di  casa  d'Este,  III, 
17  e  segg.— d'un  edificio,  nel  quale 
l'Ariosto  sotto  certe  immagini  loda 
alcuni  scrittori  del  suo  tempo ,  e  le 
donne  da  loro  celebrate.  Tra  queste 
pone  la  sua  e  se  medesimo ,  tacendo 
modestamente  il  nome,  XLIl,  73 
e  seg.  —  della  schiera  di  cavalieri,  da- 
me e  letterati  che  l' Ariosto  imma- 
gina congratularsi  con  lui  per  esser 
giunto  al  fine  del  suo  poema ,  XLVI, 
2  e  segg.  —  d'una  burrasca  di  mare, 
XV HI,  142  e  seg.;  XLI,8esegg.— 
del  Paradiso  terrestre,  XXXI V,  48. 

Descrittone  e  virtù  dello  scudo  incan- 
tato d'Atlante,  II,  56. 

DiciLLA,  donna  virtuosa.  Mandata  da 
Logistilla  in  aoccorso  di  Ruggiero, 
X,52. 

Difesa  delle  donne,  XXVIII,  78. 

Discordia  fra  Rodomonte,  Ruggiero, 
Gradasso,  Mandricardo  e  altri,  per 
la  quale  la  vittoria  d*  Agramante  h 
Ìnlerrolla,XXVU,4a. 


DoRALiCK,  destinala  sposa  a  Rodo- 
monte, XIV,  40.  — sue  bellezze  de- 
scritte, iVi^  50. —  vien  rapita  da 
Mandricardo ,  ivi,  53. — ^si  trova  pre- 
sente alla  Buflfa  di  Mandricardo 
con  Orlando,  XXIII,   70    e    seg. 

—  andando  con  Mandricardo  scon- 
tra Gabrina,  a  cui  levano  dal  ca- 
vallo la  briglia,  ivi,  94.  —  ad 
istanza  d*  Isabella  induce  Mandricar- 
do a  far  la  pace  con  Zerbino,  XXIV, 
72.  —  ricompone  Rodomonte  con 
Mandricardo,  ivi.  111.  —  portata 
via  da  un  cavallo  indemoniato  per 
incanto  di  Malagigi,  il  quale  cosi 
cercò  di  finir  la  pugna  tra  Rodo- 
monte e  Riirciardetto ,  XXVI,  138; 
XXVll,  5. — si  dona  a  Mandricar- 
do, e  rifiuta  Rodomonte,  ivi,  107. — 
procura  di  pacificar  Mandricardo  con 
Ruggiero,  ma  indarno,  XXX,  31. — 
e  volubile  in  amore,  iVi.,  72. 

DoBicoHTX.  In  mostra  co'  suoi  alla  ras- 
segna di  Agramante,  XIV,  16. 

DoBiFBBO.  In  mostra  co'  suoi  alla  ras- 
segna di  Agramante,  XIV,  11. 

DoBiLONB.  In  mostra  co'  suoi  alla  ras- 
segna di  Agramante,  XIV ,  22. 

Drusilla.  Tolta  al  suo  sposo  da  Ta- 
nacro,  XXXVII,  55.  —  suo  odio 
verso  Tanacro,  ivi,  58.  —  medita  la 
vendetta,  e  finge  amore,  ivi,  59.  — 
avvelena  Tanacro,  iWj  69.  —  muore 
di  veleno ,  ivi,  75. 

DudoKb.  Capitato  con  Rinaldo  ed  Astolfo 
nel  paese  d'Alcina,  VI,  34  e  41.— 
fatto  prigioniero  da  Rodomonte  sot- 
to Monaco,  e  ritenuto  in  Biserta, 

XXXIX,  22  e  seg cambiato  da 

Astolfo  con  Bucifaro  suo  prigione, 
ivi,  23  e  seg.  —  incontra  Agramante 
con  la  sua  armata  navale,  iVi.,  78.— 
lo  rompe,  ivi,  81.  —  combalte  con 
Ruggiero,  XL,  75. — ^fa  pace  col  me- 
desimo, XLI,  6. 

Duello  di  Ruggiero  e  Mandricardo, 
XXX,  44.  —  di  Rinaldo  e  Ruggiero, 
XXXVIII ,  87.  —  di  Bradamaote  « 
Ruggiero,  creduto  Leone,  XLV,  72. 

—  di  Ruggiero  e  Rodomonte,  XLVI, 
115. 

Durindana,  spada  d' Orlando ^  IX, 3. 

—  sua  finezza,  ivi,  70;  XII,  79. — 
la  Morte  si  compiace  di  lei,  ivi,  80. 
— pretesa  da  Mandricardo ,  XIV ,  43} 
XXIII,  78;  XXIV,  58.  —  geUat» 


U  DELLE  cose  NOTABILI. 


Hm 


perla  foresta  da  Orlando  impaisito» 
iW^  50.  —  raccolta  da  Zerbino,  ivi^ 
57.— tolta  da  Mandricardo,  ivi,  5S. 
— passa  in  mano  dì  Gradasso  per  la 
morte  di  Mandricardo,  XXX,  74. 

E 

Ebisda,  isola  spopolata  dai  mostri  ma- 
rini ,  e  saa  favola ,  VII 1, 51 .  —  i  suoi 
abitatori  rapiicooo  le  donne  altrui 
per  darle  a  divorare  all'Orca,  IX, 
12.— detta  Isola  del  Pianto,  X,  93. 

—  -vana  religione  de*  suoi  abitatori, 
XI,  46— Vedi  Orca. 

Elbanio.  Capita  nella  terra  delle  donne 
omicide,  XX ,  36. — sue  bellesse,  ivi, 
37.  —  suo  amore  con  Alessandra , 
ivij  39  e  seg. 

Elia.  Trovato  da  Astolfo  nel  Paradiso 
terrestre,  XXXiV,  59.  — suo  carro, 
ivt,  68. 

Embico,  duca  di  Chiareoca.  Si  trova 
alla  mostra  che  si  fa  sul  Tamigi,  X  , 
78 — assale  i  Mori,  XVI ,  67. 

Eremita  che  trasporta  Angelica  in  un 
luogo  deserto,  il,  13  e  seg.j  Vili, 
36  e  seg. 

Eremita  che  persiiade  Astolfo  a  fuggir 
da  Caligorante,  XV,  42. 

Eremita  che  conforta  Isabella ,  XX  fV, 
87  e  seg.  — la  conduce  ad  un  moniste* 

To,  ivi,  92;  XXV Ili,  96 l'esorta 

a  star  ferma  nel  suo  proponimento 
contro  le  persuasioni    contrarie    di 

Rodomonte ,  ivi,  101  ;  XXIX,  4 

vìen  maltrattato  e  scagliato  verso  il 
mare  da  Rodomonte,  ivi,  5. 

Eremita  che  raccoglie  Ruggiero  nau- 
frago sopra  uno  scoglio ,  XLI,  52.— 
sua  corresione  fatta  a  Ruggiero,  ivi^ 
63.  —  sua  vita»  ivij  58.  —  battesxa 
Ruggiero,  ivi,  59.  -^  lo  istruisce  di 
cose  spirituali,  e  d*  altre  spettanti  alla 
sua  discendenca,  ivi,  60 e  seg.  —  prò* 
dig)  da  lui  operati,  XLIII,187  e  seg. 

—  raccoglie  Orlando»  Oliviero ,  So- 
brinoed  altri  nella  sua  cella,  ivi^  190. 

—  risana  •  miracolosamente  Oliviero, 
ivi,  192.  —  battesxa' Sobrino,  e  lo  ri- 
sana, ivi,  194.  —  vita  menata  da  lui 
coi  detti  guerrieri ,  ivi,  196;  XLIV, 
4  e  sfg.  —  persuade  Rinaldo  a  pro- 
mettere Bradamante  a  Ruggiero,  ivi, 
9.  ^-  benedire  quei  guerrieri ,  i  quali 
si  partono  da  lui ,  ivi,  1 8. 


Ebifilla,  gigantessa  dell'isola  d'Alcina, 
VI,  78.  —  combatte  con  Ruggiero,  e 
resta  vinta ,  VII ,  6  e  seg. 

Ebmonids  di  Olanda.  Si  batte  con  Zer- 
bino per  togliergli  Gabrioa,  XXI,  6. 
—rimane  ferito  a  morte,  ivi,  10. — 
racconta  a  Zerbino  le  scelleragginì  di 
Gabrina,  ivi,  12  e  seg.  —  muore, 
ivi,  67. 

Esortazione  ai  principi  cristiani  alla  li- 
beraxione  del  sepolcro  di  Cristo, 
XVII,  74. 

Espugnatone  di  Parigi,  XXIV,  108. 


Falamto,  figlio  di  Clitennestra.  Sua 
novella,  XX,  13. 

Falsironb.  In  mostra  co'  suoi  alla  ras- 
segna di  Agramante ,  XIV ,  12. 

Fabubahtb.  Conduce  i  suoi  alla  rasse- 
gna di  Agramante,  XIV,  21.— .va 
contra  gì'  Inglesi  sotto  Parigi,  XVI, 
75.  —  e  prigioniero  di  Dudone,  XL, 
71.  —  vien  liberato  da  Ruggiero, 
XLI  ,6.  —  sua  morte ,  ivi,  22. 

Ferbaìt.  Combatte  con  Rinaldo  in  di- 
fesa di  Angelica ,  I »  16.  —  cerca  l'el- 
mo cadutogli  nel  fiume,  ivi,  24.  — 
rimproverato  dall'  ombra  di  Argalia , 
ivi,  26. — suo  spavento  per  l*  appari- 
zione di  delta  ombra,  ivi,  29. — giura 
di  toglier,  l'elmo  ad  Orlando,  ivi,  30; 
XII,  31.  —  si  perde  nel  palazzo  di 
Atlante,  ivi,  11.  —  si  batte  con  Or- 
lando, ivi,  46.  —  fatato  nella  persona, 
fuorché  nell'  ombelico ,  ivi,  48.  -^ 
trova  l'elmo  d' Orlando , iW^  69.— 
va  co'  suoi  alla  rassegna  d' Agraman- 
te, XIV,  15.  —  dà  l'assallo  agi'  In- 
glesi sotto  Parigi,  XVI,  71.  —  inco- 
raggisce  i  Saracini,  XVIII,  42.  — 
vien  gettato  di  sella  da  Bradamante, 
XXXV,  79. 

FiERAMOMTB.  Va  alla  rassegna  presso 
Londra,  X,  78.  —  assale  i  Morì  sotto 
Parigi,  e  fa  prigioniero  FoUicone, 
XVI,  69. 

FiLAHDBo,  fratello  di  Ermonide.  Sua 
origine,  XXI,  13.  —  sua  amicizia  con 
Argeo,  ivi,  14.  —  schiva  l'amor  di 
Gabrina,  moglie  di  Argeo,  ivi,  16. 
—  è  da  lei  calunniato  presso  Argeo, 
ivi,  20. — ingannato  da  Gabrina ,  no» 
cide  ArgeO)  ed  è  costretto  a  sposarci 


m 


INDICE  bEt  mm  PAOPBi 


M,  48  e  leg.^k  dt  lei  avvelena* 
to,  ivi,  69. 

FiiiADu«ao.Compamoe  alla  rasiegna  di 
Agramaate,  XIV ,  2S.  —  ncciso  da 
Zerbino,  XVIII,  45. 

FifiMont  dell*  Ariosto  in  lode  d*fia1icl- 
)a,XXlX,S6. 

FfOBDiLiGi, amante  di  Brandimarte.  Lo 
cerca  fuor  di  Parigi  ;  V 1 1 1 ,  90;  XX I V» 
64  e  74.— -arriva  al  ponte  di  Rodo* 
monte,  ivij  XXIX,  43.  —  le  rie- 
ace  di  paisarlo,  ivi,  49.  —  con  Gri- 
fone ed  Aquiiante  incontrasi  in  Ri* 
na]do  ed  altri,  XXXI,  37  e  seg.  — 
reca  loro  la  noova  della  pascià  di  Or- 
lando, ivi,  43  e  seg.  —  trova  Bran- 
diroarle  in  Africa,  XXXIX ,  38.  — 
Booi  timori  intorno  all'esilo  della  pu* 
gna  in  Lipadusa,  XLf,32. — suo  do- 
lore, udita  la  morte  di  Brandimarte, 
XLIII,  167.  — '  muore  accanto  al 
medesimo,  ivi,  i83  e  seg. 

FfOMispiHA.  Sua  novella,  XXV,  S6  e 
»eg. 

FoLLicoMB  d^Almeria.  Comparisce  alla 
rassegna  d* Agramente,  XIV,  16.^ 
va  contro  gì*  Inglesi  sotto  Parigi, 
XVI,  67. —•  rimane  prigioniero  di 
Fieramonte,  ivi,  69. 

Folto.  Lasciato  da  Agramente  al  go* 
verno  dcll*Arrira,  vien  fatto  prigione 
nalla  presa  di  Biserta,  XL,  36. 

Francesi,  Danni  da  essi  soffèrti  nella 
guerra  contro  i  Saracini,  XIV,  1.  — 
loro  guerre  in  Italia  dipinte  nella  sala 
della  rocca  di  Tristano,  XXXI il,  6  a 
seg.  —  sfortunati  nelle  guerre  fatte 
in  Italia,  ivi,  10. 

Fhombsia  ,  donna  di  Logistilla,  X,  62. 

Frontino,  cavallo  di  Ruggiero,  IV,  46. 
—  rimane  presso  Bradamanle,  ivi^ 
48.  -^  restituito  da  Bradamante  a 
Ruggiero,  XX 1 1 1, 26. —suo  primiero 
padrone,  XXVII,  71.  ^passato  in 
mano  di  Brandimarte,  XLI,  29.  — . 
sua  destressa  e  valore,  ivi,  80. —  sue 
lodi,  XLV,  92.— posto  in  liberti  da 
Ruggiero,  ivi. 

FuLGoso  (Federico).  Sua  obbiesione  al- 
J*Ariosto,  e  risposta  di  questo,  XLII, 

Funera/i  di  Brandimarte,  XLIII,  176. 

Ftuberta,  spada  di  Rinaldo,  II,  10 

tua  finesaa,  XVI,  49. 


GASAiMA.TrovaUda  Orlando  nella  spe- 
lonca de'  malandrini,  XII,  92.  — 
fugge  vedendo  i  malandrini  appesi, 
XIII,  42.  — incontra  Marfiia,  XX, 
106.  —  viene  da  lei  protetta  e  soe- 
coraa,  ivi,  109.  —  motteggiata  dalla 
donna  di  Pinabello,  ivi,  113.— vien 
da  Marfisa  ornata  colle  vesti  della 
donna  di  Pinabello,  Jv/«  116. —  sue 
bruttesee,  ivi,  116e  I20;XX1II,  94. 
•^  consegnata  da  Mar6sa  a  Zerbino, 
XX,  138.  —  per  far  dispetto  a  Zer- 
bino gli  dk  notizie  dubbie  ed  occore 
d*  Isabella,  iW^134  e  seg.— sue  ini- 
quiili  raccontate  da  Ermooide  d'Olan- 
da, XXI,  12  e  seg.— sua  infedeltà  al 
marito  Argeo,  i*d  ,  14.  •—  calunnia 
Filandro  presso  Argeo,  ivi,  20.  — & 
in  maniera  che  Filandro  uccide  Ar- 
geo, ivi,  46. — costringe  Filandra  a 
sposarla,  ivi,  56.  — rulia  alcune  spo- 

5lie  delcadaverodi  Pinabello,  XXI  II, 
1.—  calunnia  Zerbmo  come  ucci- 
sore di  Pmabello,  ivi,  48.  —  fogge, 
dopo  liberalo  Zerbino,  e  s'incontra 
in  Mandricardo  e  Doralice,  ivi,  92. 
•—  le  vien  tolta  da  essi  la  briglia  al 
cavallo,  ivi,  94.  •— >  ritorna  in  potere 
di  Zerbino,  XX IV,  36.— consegnata 
da  esso  ad  Odorico,  per  suo  castigo, 
ivi,  40.  —  retta  impiccata  per  mano 
di  Odorico,  ivi,  46. 

GALBBAifA.  Orlando  vuol  darle  per 
compagna  Fiordiligi,  XLIII,  184. 

Gamo  e  i  suoi  parenti,  nemici  di  Brada- 
mante e  del  suo  parentado,  XLVI, 
67. 

Gelotia.  Va  al  campo  Saracino  colla 
Superbia,  XVIII,  28.  —  investe  Ro- 
domonte, <W^  33. -^provata  da  Or- 
lando al  vedere  le  memorie  degli  amori 
di  Angelica  e  Medoro,  XX  111,  103. 
^^  da  Rinaldo  al  sentire  clie  Ange- 
lica era  con  Orlando,  XXVII,  9. — 
da  Bradamante  nell*  intendere  che 
Ruggiero  andava  in  compagnia  di 
Marfisa,  e  mostrava  di  amarla,  XXX, 
87|  XXXI,  6|  XXXII,  1,  80e61; 
XXXVI,  44.— provata  da  Clodione 
per  la  sua  donna,  XXXII,  85  •  88. 
—  da  Anselmo  giudice  per  la  moglie^ 
XLIII,72e»eg. 


&  DELLE  COSE  NOTABILI. 


I$6i 


GiHiTBA.  Saa  novella,  IV,  57;  V,  5 
e  seg.j  VI,  lòeseg. 

Giocondo.  Sua  norellaf  XXVlIf,  8  e 
aeg. 

GioTAKHi  (San)  Evangelista.  Accoglie  il 
paladino  Astolfo  nel  terrestre  paradi- 
so, XXXI V,  54. — lo  conduce  nel  cer- 
chio della  Luna,  ivi,  68. — lo  istrui- 
sce di  varie  cose,  e  Io  licenzia > 
XXX VI  II,  24. 

Gbadasso.  Si  ritrova  al  castello  di 
Atlante,  II,  45;  IV,  40.  — combatte 
con  Atlante,  II,  4S. — è  veduto  nel 
palaaso  del  medesimo,  XII,  il. — li- 
bera LncinadaU*Orco,  XVII,  63.— 
fugge  dal  palatgo  d* Atlante  al  suono 
del  corno  di  Astolfo,  XXII,  20. —  va 
con  Sacripante  in  soccorso  di  Agra- 
mante,  XXVII,  i4 — fa  strage  dei 
Cristiani,  ivi,  i8. —  muove  lite  a 
Mandricardo   per  aver  Durindana, 

ivij  54.  —  si  batte  seco,  ivi,  64 

per  difendere  le  sue  ragioni,  viene 
estratto  a  sorte  Ruggiero,  XXX,  24 
e  seg.— ottiene  Durindana  per  la  vit- 
toria di  Ruggiero  sopra  Mandricar- 
do, ivi,  74.  —  combatte  con  Rinaldo 
per  conservar  Durindana,  ed  ottener 
Baiardo,  XXXI,  95;  XXXllI,  78.— 
trova  Baiardo  a  caso,  è  lo  prende, 
ivi,  93.  —  si  trova  in  Lipadusa 
con  Agramante,XL,  46.— suo  duello 
con  Orlando,  XLI,  46  e  68.  —  uo- 
cide  Bravdimarte,  ivi,  101. — resta 
morto  per  mano  di  Orlando,  XLII^ 
dijXLlII,i5l. 

Gbàhdomio.  Conduce  gli  Algarbi  alla 
rassegna  di  Agramante,  XIV,  iS.  — 
incoraggisce  i  Saracini,  XVI il,  42. 

—  gettato  in  terra  da  Bradamante, 
XXXV,  71. 

GBiroHB.  Combatte  con  Orrilo,XV,  67. 

—  intende  male  nuove  di  Orrigille, 
da  lui  amata,  ivi,  iOO. — suo  dolore, 
ivi,  103. — stabilisce  di  cercarla  per 
vendicarsi,  JW,  i 05. — la  trova  con 
Martano,  XVI,  6. —  crede  alle  fin- 
sioni  d' Orrigille,  e  va  seco  in  Dama- 
sco insieme  con  Martano,  ivi,  i2| 
XVII,  17.— sue  armi  fatate,  ivi,  70. 

—  va  alla  giostra  con  Martano,  e 
n*ha  per  lui  vergogna,  ivi,  91.  — 
vince  tutti  nella  giostra,  ivi,  93.— 
esce  di  Damasco  con  Martano  ed  Or- 
rigille, ivi,  107. — questi  gli  rubano 
Tarmi,  il  cavallo,  ed  altra  co»e|  ivi. 


110.  — ritorna  in  DamaKO,  ove  lo 
credono  Martano,  e  viene  condotto 
ignominiosamente  per  la  citici  sopra 
un  carro,  ivi,  131.  —  sciolto  ripiglia 
Tarmi,  e  fa  strage  del  popolo,  ivi, 
135;  XVIII,  3  e  59 — h  risarcito 
dal  re  Norandino  con  molti  onori, 
ivi,  64  e  95 — si  batte  con  Astolfo, 
e  resta  perdente,  ivi,  118. — va  con 
molti  compagni  in  Cipro,  JW^  136.— 
approda  in  Alessandria,  battuto  dalla 
tempesta,  XIX,  54. — fugge  di  là  al 
auono  del  corno  d' Astolfo,  XX,  92. 
—  naviga  a  Marsilia,  ivi,  101.  — 
giunge  al  castello  di  Pinabello,  ivi, 
i04;  XXII,  52.  —  giura  di  man- 
tenere il  rito  di  Pinabello,  ivi,  53. 
— rimane  vinto  dallo  splendore  dello 
scudo  di  Ruggiero,  ivi,  84. 

Grotta  di  Merlino  descrìtta,  IL  70 1 
llf,6. 

GuGLiBLVo  di  Burnieh  inglese  di  gi- 
gantesca statura.  Ucciso  da  Dardi- 
nello,  XVIII,  52. 

GuicciARDo.  Parte  da  Montalbano  con 
Rinaldo,  XXX,  94.  —  vien  battuto 
da  Guidon  Selvaggio,  XXXI,  11. 

GuiDON  Sklvaooio.  Ritrovato  tra  le 
femmine  di  Alessandria,  XIX,  78. — 
combatte  con  Marfisa,  e  resta  del  pari, 
ivi,  92  e  seg.  —  racconta  a  lei  i  suoi 
casi,  XX,  5. — racconta  alla  mede- 
sima l'istoria  delle  femmine  omicide, 
ivi,  10.  — fugge  da  Alessandria  al 
auon  del  corno  d'Astolfo,  iW,  92.  — 
naviga  verso  Marsilia,  ivi,  101.— 
va  al  castello  di  Pinabello,  e  giura  di 
osservare  la  legge  imposta,  tfW^  104 
e  seg.;  XXI  1,62. — resta  vinto  dallo 
splendore  dello  scudo  di  Ruggiero, 
ivi,  85.  —  getta  a  terra  Ricciardetto 
ed  altri,  XXXf,  8. .^combatte  con 
Rinaldo,  ivi,  13.— riconosce  Rinaldo 
per  fratello,  ivi,  28. — va  seco  a  Pa- 
rigi, ivi,  37. 


Impresa  di  Rodomonte  usata  nella  tua 
bandiera,  XIV,  114. 

Intelletto  umano,  in  oaante  guise  ai 
perde,  XXXIV,  85. 

IppALCA,  confidente  di  Bradamante, 
XXIII,  28.  —  va  in  cerca  di  Rug- 
giero per  consegnargli  Frontino,  ivi, 
32|  che  le  vico  tolto  da  Rodomonte  | 


«62 


INDICE  DEI  DOMI  PROPBJ 


<W«33.<— troT»  Aoggiero  con  altri 
alla  fonte  di  Merlino,  •  lo  conduce 
contro  Rodomonte,  XXVI,  54.  —ri- 
toma a  Bradamante  con  una  lettera 
di  Ruggiero,  ivi,  89  e  seg.— conse- 
gna a  Bradamante  la  lettera,  e  le  d^ 
noTclla  di  Ruggiero  e  di  Rodomonte, 
XXX,  78. 

Ippogrifo.  Usato  da  Atlante,  II,  37  e 
seg.;  tv,  4  seg.  e  i8.—  preso  da 
Ruggiero,  ivi»  44;  VI,  16.  — per 
opera  di  Logistilla  viene  usato  al  fre- 
no, X,  66. — ritorna  con  Ruggiero 
in  Ponente,  ivi,  68.  — fugge  dalle 
mani  di  Ruggiero,  XI,i 3.— trovato 
da  Astolfo  nel  palasto  d'Atlante,  « 
da  lui  adoprato,  XXII,  S4.  —  porU 
Astolfo  in  Etiopia,  XXXIII,  96.  — 
indi  in  Europa,  XLIV,  33. —  vien 
posto  in  libertà,  ivi»  24. 

Iboloo.  Trovato  nel  castello  d'Atlante, 
IV,  40.  —  fugge  al  suono  del  corno 
d'Astolfo,  XXil,  SO. 

Isabella.  Trovata  da  Orlando  nella 
grotta  dei  malandrini,  XII,  91.  —• 
racconta  al  medesimo  le  sne  sciagu- 
re, XIII,  2.  —  k  amante  di  Zerbino, 
i^i^  Q,  _  viene  da  lui  rapita  per 
messo  di  Odorico,  ivi,  iS. — battuta 
dalla  tempesta,  si  salva  con  Odorico 
al  lido,  ivi»i%. — si  difende  dagli  as- 
salii del  medesimo,  ivi,  28. — vien 
presa  e  tratta  dai  malandrini  alla  spe- 
lonca, ivi,  30.  — liberata  e  condotta 
altrove  da  Orlando, fW^  43. — ritrova 
Zerbino,  XXIII,  67.  — incontrano 
Odorico  preso  e  legato,  XXIV,  i6. 
—  induce  Doralice  a  trattar  la  paco 
tra  Mandricardo  e  Zerbino, <ci«  72.— 
vede  Zerbino  morirle  in  braccio,  ivi, 
85.— suo  dolore,  ivi»  86.— confor- 
tata da  un  eremita,  stabilisce  di  darsi 
a  Dio,  ivi,  89. — capita  in  mano  a 
Rodomonte,  ivi,  93;  XXVIII,  95; 
XXIX ,  3.  —  suo  stratagemma  per 
aalvare  la  sua  onestà  dagl' insulti  di 
Rodomonte,  ivi,  13  e  seg.— suo  se- 
polcro, ivi,  31. 

l8ouBBO,capitano  de*Navarresi.In  mo- 
stra co' suoi  alla  rassegna  di  Agra- 
mente, XIV,  11. —  salva  Brunello 
dalla  forca  preparatagli  da  Agramen- 
te, ivi,^. — muore  in  battaglia  con- 
tro gli  Scossesi  sotto  Parigi,  XVI^ 
54  e  seg. 

IsoTTAi  amata  da  TrisUD0,XXXlI,89. 


Lameutù  d'Angelica  portata  dal  i 
Dio  nel  mare,  VIII,  40. — di  Brada- 
mante, XXX,  82.  —  della  stessa, 
per  gelosia  di  Ruggiero,  XXXII, 35. 
—della  stessa,  veggendosi  tnfi>ar  le 
nosse  con  Ruggiero,  XLVI,  4(1.— ^ 
della  stessa,  credendo  che  quello  da 
cui  reato  vinta  fosse  Leone,  XLV, 
97.— di  Fiordiligi,  avvaduUri  della 
morte  di  Brandimarte,  XLIII,  158. 

—  di  Olimpia,  X,  25.— di  Orlan- 
do, Vili,  73.— dello  stesso,  sopra  3 
corpo  di  Brandimarte,  XLUI ,  170. 

—  di  Sacripante,  1, 40. 
Lamibahtb.  In  mostra  co'suoi  alla  cas- 

segna  di  Agramente,  XIV,  16. 

Lamghibamo.  In  mostra  co'suoi  aUa 
rassegna  di  Agramente,  XIV,  16. 

Laboalifa.  In  mostra  co'suoi  alla  raa- 
segna  di  Agramente,  XIV,  16. 

Latihi  Fausto,  con6dente  d'Astolfo  ic 
de  Longobardi,  XXVIII,  6. 

Legge  di  Sc99ia;  la  qaale  dannava  a 
morte  ciascuna  donna  che  con  «n 
ano  amante  fosse  trovata,  IV,  58. 

Lbomb,  figlio  di  Costantino.  Promeaso 
sposo  a  Bradamante,  XLIV,  12.  — 
assalta  Belgrado,  ivi,  79.  — osa  cor- 
tesia a  Ruggiero  suo  nemico,  ivi,  91; 
XLV,  41.  —libera  il  medesimo  daDe 
mani  di  Teodora,  i9l,  49  e  seg.  — 
ottiene  Bradamante  in  upoaa  per 
messo  di  Ruggiero,  IW,  64  e  seg.— la 
cede  a  Ruggiero,  XLVI,  39. 

Lborbtto,  duca  diLincasiro.  Comparso 
alla  rassegna  sul  Tamigi,  X,  67.  — 
assale  l'esercito  di  Spagna  sotto  Pa- 
rigi, XVI,  66. 

Lettera  di  Bradamante  mandata  a  Rog- 
giero,  XLIV,  60. 

Libamio.  In  mostra  6o*sn<n  alla  raaio- 
gna  di  Agramanu,  XIV,  21. 

Liberazione  d'Orlando  e  d'altri  cava- 
lieri nel  palasso  d'Atlante  per  virtù 
dell'anello  di  Angelica,  XII,  29. 

Lidia.  Sua  ombra  trovata  da  Astolfo 
alla  porta  dell'Inferno,  XXXI V,  7. 
—racconta  i  suoi  casi  al  medesimo» 
ivi,  11  e  seg. — sua  ingratitudine  ad 
Alceste  suo  amante,  ivi. — fu  bella, 
e  insieme  altera,  fW«  15.— dima»> 
data  al  padre  da  Aloesle,e  negatagli, 
ivi,  18.-*  ina  andcltà  td  alterigia 


} 


B  DBLLB  COSB  NOTABILI. 


tt63 


vtf so  Alcttlt,  ipl,  9S.—  suoi  inganni 
al  medesimo  usati,  ivij  31  e  seg*  — 
sua  pena  ndl*  Inferno,  ivi,  43. 

Lip^dusa^  isola.  Sua  descriaione,  Xt., 
45. ^scelta  per  loogo  del  combatti- 
mento di  Orlando,  Brandimarte  e 
Oliviero  contro  Agramante,  Sobrino 
e  Gradasso,  XL,  oA  e  seg.;  XLI,  68 
«seg. 

Lodg  e  virtù  di  Logistilla,  X,  45.— di 
alcuni  principi,  le  cui  immagini  finge 
l'Ariosto  che  fossero  intagliate  in  una 
delle  fonti  di  MerIino,XXVI,  30  e  seg. 
—di  alcuni  antichi  e  moderni  pittori, 

XXXIII,  1,  S.— d'Ippolito  da  Este, 
XXXV,  8.  —  d*  alcuni  scrittori  a 
comroendaiion  delle  donne,XXXVII, 
.\^di  Ferrara,  XLIII,  56.  — dd 
cardind  Ippolito  da  Ferrara,  di  cui  in 
un  ^diglione  si  vede  trapunta  la 
virtuosa  vita,  XLVI,  86. 

LooiSTiuA,  donna  casta,  sorella  d*  AI* 
Cina,  VI,  43  e  seg. — suo  regno,  VIII, 
i9.— suoi  pregi,  X,  45.^—  vince  Alci» 
na,  e  racquista  lo  slato,  ivi,  53.  — 
accoglie  Ruggiero,  «  gl'insegna  a 
reggere  1*  Ippogrifo,  ivi,  64  e  seg.  — 
istruisce  Astoifo  nel  partirsi  da  lei, 
XV,  iO.  —  gli  fa  van  doni,  ivi,  13. 

Lucina,  sposa  di  Norandino,  XVII,  86. 
—  rapita  al  medesimo  dall'Orco  di 
Boria,  ifi^  3S. — veste  le  spoglie  di 
heceo  per  usargli  di  mano,  ivi,  53. 
— vien  conosciuto  l'inganno  dall'Or» 
co,  che  la  castiga,  ivi,  56. —  resta  li* 
barata  da  Gradasso  e  Mandricardo, 
ivi,  6S.— >vien«  lestituitaa  Horan- 
dino,  ivi,  66. 

Lima.  Perchè  delta  triforme,  XVIII, 
183  e  seg.  —  suoi  paesi  descritti, 

XXXIV,  70. 

LuBCAHio.  Accusa  Ginevra  al  padre, 
IV,  58;  V,  63.  —  va  in  aiuto  di 
Anodanta  suo  fratello ,  ivi,  45.  — 
alla  rassegna  in  Inghilterra,  X,  86. 
—si  unisce  con  Zerbino,  XVI,  64  e 

78|   XVIII,  45 uccide    alcuni 

guerrieri,  ivi,  64.— viene  ucciso  da 
Dardinello,  ivi,  55. 


Masabasso.  In  rooatraco'suoiallani- 

segna  di  Agramantc,  XIV,  i2. 
Malabufsbso.  Mena  le  sue  squadre  alla 


rassegna  d*Agramant6,  XIV,  32.— 
assale  una  porta  di  Parigi,  XV,  7. 

Malaoioi,  prigioniero  di  Lanfusa  coia 
Viviano,  condotto  ai  Magansesi, 
XXV,  74.  —  liberato  da  Marfisa  o 
dagli  altri  ch'erano  con  lei,XXVI,  10 
e  seg.—  spiega  le  allusioni  delle  scut 
ture  della  fonte  di  Merlino,  iVi^  38.— 
virn  gettato  a  terra  da  Mandricardo 
iVI«74.  — è  dotto  nelParte  magica, 
ivi,  i28.  —  manda  un  demonio  in 
corpo  al  ronsino  di  Doralice  per  soc* 
correre  Ricciardetto,iVi^l28jXXVII, 
8.  — parte  con  Rinaldo  da  Montai* 
bano,  e  va  verso  Parigi,  XXX,  94. 
~-  credesi  che  per  ria  d'incanti  soc- 
corresse Carlo  nella  battaglia,  XXXI, 
86.  —  racconta  a  Rinaldo  i  casi  di 
Angelica,  XLII,  39. 

Malagob.  In  mostra  co'suoi  alla  rasse« 
gna  di  Agramante,XIV,  16. 

Maloabimo.  In  mostra  co'  suoi  alla  ras- 
segna di  Agramante,  XIV,  15. 

Mauabisb.  In  mostra  co'suoi  alla  ras* 
segna  di  Agramante,  XIV,  15. 

Mahobicaboo.  Va  contro  Orlando  per 
vendicare  Alsirdo  e  Manilardo,  XIV, 
32  a  seg.  —  sbaraglia  le  guardip  di 
Doralice,  /Wj  41.—- non  porta  spada 
per  aver  giurato  di  togliere  Durin* 
-dana  ad  Orlando,  ivi,  43 1  XXIII, 
78.  —  innamorato  di  Doralice,  XIV, 
53.— se  la  rende  benevola,  ivi,  57 
e  seg.— con  Gradasso  libera  Lucina 
dall'Orco,  XVII,62.— trova  Orlando, 
e  combatte  con  lui,  XXIII,  70  e  seg. 
— viene  portato  via  dal  cavallo  senaa 
freno,  ivi,  88.  — ^  leva  il  freno  al  ca- 
vallo di  Gahrioa ,  e  poi  lo  mette  in 
fuga,  ivi,  94.— combatte  con  Zer« 
bino,  e  lo  uccide,  XXIV,  60  e  seg. 
—si  batte  con  Rodomonte,  ivi,  98.— 
fa  tregua  col  medesimo,  e  va  con  esso 
a  Parigi,  ivi,  112.  —  combatte  con 
Viviano,  Malagigi,  Aldigiero,  Ricciar- 
detto e  Marfisa,  XXVI,  71  e  seg.  — 
sfida  Ruggiero  per  levargli  l'insegna, 
iVf  «98.— si  batte  con  Ruggiero  e  Mar- 
fisa,  ivi,  116  e  seg. — corre  dietro  a 
Doralice  portata  dal  cavallo  indemo- 
niato, ivi,  131.  —  giunto  all'esercito 
di  Agramante  assediato,  fa  strage  dei 
Cristiani,  XXVII,  48.— rinnova  le 
sue  contese  con  Rodomonte  e  Bug" 
giero  davanti  ad  Agramante,  ivi,  40. 
—  a  lui  tocca  in  sorte  cumballere  il 


b64 


INDtCB  DBI  NOMI  PROPBi 


primo  eon  Rodomonte,  M,  45. — si 
batto  prima  eoo  Gradasso  per  Darin- 
dana,  o  poi  con  Ruggiero,  ivi,  63  e 
Mg.— Tiene  anteposto  da  Doralice  a 
Rodomonte,  ivi,  iU7.  —  non  si  piega 
alle  di  lei  interposisioni  per  far  pace 
con  Ruggiero,  XXX.  31.— combatte 
col  medesimo,  M^  45«— resta  morto, 
Wi^  64. 
Makilaeoo,  re  di  Norìsla.  Blesso  in 
rotta  da  Orlando,  XII,  69 — h  at- 
teso invano  alla  rassegna  d'Àgraman* 
tc,Xiy,  SS.  •vien  trovato  prigione 

Sresso  Dodone,  XL,  71. — h  liberato 
a  Ruggiero,  XLI,  6.  —  sua  morte, 
M^  ti. 

Mamto,  fata.  Vedi  Mantova. 

Mmntwu.  Suo  nome ,  ed  origine  deri- 
vata da  Manto,  XIII,  69;  XLI II,  74 
e  97.  —  descritto,  XXXYII,  3; 
XLIII,  11. 

Makbalusto,  gigante,  re  d'Orano.  In 
mostra  co*  suoi  alla  rassegna  di  Agra- 
manto  ,  XIV ,  17.  —  sua  statura,  ivi, 
103.  —  b  ucciso  da  Rinaldo,  XVI, 
47. 

Mabfisa.  Va  alla  giostra  in  Damasco, 
7LVIII,  99.  — suo  costume,  ivi,  101 
«  US.  —  Tede  in  Damasco  le  sue  ar- 
mi perdute,  e  le  prende,  ivi,  108.-~ 
sbaraglia  quel  popolo,  ivi,  113. — sua 
fama ,  ivi,  \tb,  —  dice  sua  ragione 
a  Norandino,  ivi,  137  e  seg.  —  va  in 
Cipro  con  alcuni  compagni,  ivi,  136. 

—  soffre  una  tempesta  di  mare ,  ivi, 
i41  e  seg.i  XIX,  43.  —  approda  ad 
Alessandria,  ivi,  54.  —  vince  novo 
guerrieri,  ivi,  SS.  —  suo  usbergo  in- 
cantato, ivi,  84.—  combatte  con 
Gnidon  Selvaggio,  ivi,  93. — fa  tre- 
gua seco,  ivi,  101  e  seg. — ascolta  da 
lui  le  sue  vicende,  XX,  5.  — intende 
l'orìgine  delle  donne  d'Alessandria, 
ivi,  9  e  seg.  —  fugge  da  quella  città 
al  suono  àt\  corno  d'Astolfo,  ivi,  9S. 

—  naviga  in  Francia,  iVi,  101. — 
prende  a  proteggere  Gabrina,  iVj^l06 
e  seg.  —  la  veste  degli  abiti  tolti  alla 
donna  di  Pinabello,  da  lei  battuto, 
ivi,  115. — vince  Zerbino,  e  lo  co- 
stringe a  prender  seco  Gabrina,  ivi^ 
iS6.  — in  compagnia  di  altrì  libera 
Malagigi  e  Viviano,  XXVI,  7  e  14. 

—  sente  da  Malagigi  la  spiegasione 
delle  sculture  della  fonte  di  Merlino, 
ivi,  38  e  seg. — si  fa  vedere  vestita  da 


donna,  ivi^  69.  —  si  batte  con  Man- 
dricardo,  ivi,  81.  —va  con  Maodri- 
cardo  e  Rodomonte  in  difesa  d'Agra- 
mente, ivi,  87.  —  si  batte  nova- 
mente  con  Mandricardo,  ivi,  118. — 
va  a  Parigi  per  ritrovar  Rodomonte  e 
Mandricardo,  ivi,  1 33j  XXVII,  15.— 
fa  strage  dei  Cristiani,  ivi,  33  e  seg. 
—rinnova  le  contose  con  Rodomonte, 
ivi,  41.  —  riconosce  Brunello,  che  le 
rubò  Vtxmif  ivi,  86.  —  lo  trae  seco 
ad  una  torre,  ivi,  93.  -—  va  contro 
Bradamante,  XXXVI,  16.— sua  al- 
terigia e  viu  casto,  ivi,  18.  -—  resto 
vinta  da  Bradamanto,  ivi,  SO. — sua 
nuova  contesa  con  la  medesima,  ivi, 
46. — e  poi  con  Ruggiero,  ivi,  51. — 
sento  da  Atlante  che  Ruggiero  è  suo 
fratollo,  ivi,  59.  —  sua  orìgine,  ivi, 

70;  XXXVIII,  14 ai  ricompone 

con  Ruggiero  e  Bradamante,XXX  VI, 
68. — punisce  Marganorre,  XXXVII, 
100.  —  stabilisce  per  legge  nel  paese 
di  Marganorre,  che  gli  uomini  sian 
soggetti  alle  donne,  ivi,  115. — va 
con   Bradamanto   dinaosi  a  Carlo, 

XXXVIII,  8.  — si  fa  battesxarr,  iVa, 
SS.  —  si  oppone  alle  nosae  di  Brada- 
mante con  Leone,  XLV,  103. 

Mabgahobrb.  Suo  castello  •  sua  tiran- 
nia, XXXVII,  38  e  43.  -.  tien  le 
donne  separate  dagli  uomini,  ivi, 
89.  —  sua  forse  e  statura  gigantesca, 
ivi,  41. — va  nel  tempio  per  assistere 
alle  nosse  di  Taoacro  suo  figlio,  ivi, 
68.  —  suo  dolore  e  suo  sdegno  ve- 
dendo morto  Tanacro  avvelenato  da 
Drusilla,  ivi,  76.  —  infierìsoe  contro 
le  donne,  ivi,19. —  bandisce  le  donne 
dal  suo  stoto,  ivi,%i. — legge  da  lui 
promulgato  contro  le  donne,  ivi,  SS. 
~-  vien  preso  da  Marfisa ,  e  conse- 
gnato alle  donne,  ivi,  103.— -vien 
tormentato  dalle  donne,  ivi,  108.  — 
legge  in  favore  delle  donne  fatta  al 
suo  castello,  ivi,  115. — muore  pre- 
cipitata da  una  torre,  ivi,  131. 

Mabsilio.  Sen  va  co' suoi  in  aiuto  di 
Agramanto,  XII,  71.  —  viene  assa- 
lito da  Carlo,  XVI li,  41.— si  ritira 
colle  sue  truppe  dalla  battoglta,  iVt« 
166. — consiglia  Aaramantea  prose- 
guire la  guerra,  XXXVI II,  41  e  seg. 
—  toma  ne'  suoi  stoti  per  difenderli, 

XXXIX,  74. 

Mabtaho,  amante  di  Orrigilloy  XV, 


E   DELLE   COSE   NOTABILI. 


^65 


10 1.  —  andando  con  essa,  scontra 
Grirone^XVI,  6.— suoi  costumi,  ivi. 
—  creduto  da  Grifone  fratello  d' Or- 
rigille,  ivi,  H.  —  va  alla  giostra  in 
Damasco  con  Grifone,  XVII,  71  e 
86. — fugge  con  disonore  dalla  gio- 
stra, ivij  88.  —  esce  della  città  con 
Grifone  ed  Orrigille,  ivi,  107.  —  si 
ve»te  deirarmi  di  Grifone,  e  riceve 
gli  onori  della  vittoria,  ivij  110. — 
sfugge  Grifone,  ivi,  129.  —  viene 
scontrato  da  Aquilante,  fratello  di 
Grifone,  XVIII,  77.  — pretesto  per 
salvarsi,  ivi,  82.  —  vien  fermato  da 
Aquilante,  e  condotto  con  Orrigille 
in  Damasco,  ivi,  85  e  seg.  —  viene 
scopato  dal  boia,  ivi,  92. 

Matalista.  Va  colla  sua  schiera  alla 
rassegna  di  Agramante,  XIV,  14.  -- 
muove  contro  gì'  Inglesi  sotto  Pari- 
gi, XVI,  67.  — resta  prigione,  ivi, 
69. 

Mbooro.  Suo  amore  e  fedeltà  a  Dar* 
dinello  suo  padrone,  XVIII,  165.  — 
sua  bellessa  descritta,  ivi,  166. — 
uccide  alcuni  Cristiani,  iVi,  179. — 
resta  ferito  e  morto,  XIX,  13. — vien 
medicato  da  Angelica ,  ivi,  22.  — 
amato  da  lei,  ivi,  26.— la  sposa,  ivi, 
33. —  va  con  essa  verso  V  India ,  ivi, 
40, —  s'incontrano  con  Orlando  pas- 
so, dal  quale  viene  ammassato  a  Me- 
doro il  cavallo,  XXIX,  58  e  63.  — 
va  con  Angelica  nell'  India,  ed  è  fatto 
re  nel  di  lei  regno,  XXX,  16. 

Melissa,  maga.  Nella  grotta  di  Merli- 
no mostra  a  Bradamante  le  immagini 
de*  suoi  discendenti,  III,  8  e  seg.  —  va 
per  liberare  Ruggiero  dai  lacci  amo- 
roiidi  Alcina,  VII,  45  e  seg.— pren- 
de la  forma  di  Atlante,  e  rampogna 
Ruggiero ,  ivi,^  51.  —  gli  si  scopre, 
ii,i^  66. — usa  le  arti  di  buona  mes- 
saggiera  d'amore,  ivi,  69. — guida 
Biadamante  al  palazzo  d*  Atlante, 
istrutta  avendola  del  modo  di  libe- 
rar Ruggiero,  XIII,  48.  —  predice 
a  Bradamante  le  glorie  delle  donne 
Estensi,  ivi,  67. — promette  a  Bra- 
damante d'  impedire  il  duello  fra 
Ruggiero  e  Rinaldo,  XXXVIll,  72  e 
seg.  —  si  finge  Rodomonte,  e  induce 
Agramante  a  rompere  il  patto  con 
Carlo,  XXXIX,  4.  —  suoi  amori 
giovanili,  XLIII,  19.  — sua  scienza 
magica,   ivi,    21.   —  procura    che 


seguano  le  nozze  di  Ruggiero  e  Bra- 
damante, XLVI,  20.  —  padiglione 
maraviglioso  da  essa  trasportato  a 
Parigi  per  le  dette  nozse,  ivi,  77 
e  seg. 

Meblino.  Sua  grotta  descritta,  II,  70. 
—  parla  dalla  tomba  a  Bradamante, 
Ili,  16.  —  sua  fonte  con  varie  scuU 
tuie  rappresentanti  i  casi  avvenire, 
XXVI,  30. —  fa  dipingere  in  una 
sala  le  guerre  de'  Francesi  in  Ita- 
lia, XXXII  1,4. 

MoltGANA,  fata ,  sorella  d' Alcina,  VI, 
38. 

Moro  ANTE.  In  mostra  co'  suoi,  XIV, 
15. 

Moschino.  Vien  gettato  nella  fossa  di 
Parigi  da  Rodomonte,  XIV,  124. 


sr 


Naito.  Va  contro  Rodomonte  in  Pa- 
rigi, XVII,  16;  XVIII,  8. 

NoBANDiHO,  re  di  Damasco.  Sue  fe- 
ste fatte  in  quella  ciltà,  XVII,  20 
e  69.  —  sue  nozze  con  Lucina,  ivi, 
26.  —  ratto  di  essa  commesso  dal- 
l'Orco, ivi,  37.  —  suo  stratagem- 
ma tentato  per  riaverla,  JW^  38, 
45  e  60.  —  inteso  the  h  libera,  la 
cerca,  e  la  ritrova,  ivi,  66.  —  co- 
nosce l'ingiustizia  fatta  a  Grifone 
nella  giostra,  XVIII,  59 — fa  ban- 
dir nuova  giostra  in  grazia  del  me- 
desimo, ivi,  96. — rende  l'armi  a  Mar- 
fisa,  ivi,  130. 

Novella  di  Anselmo  dotlore,XLI II,  72. 

—  d'Argia ,  ivi,  87.  —  d'Astolfo  re 
dei  Longobardi,  XXVIII,  4.  —  di 
Ginevra,  V,  12.  —  di  Giocondo, 
XXVIII,  7.— di  Lidia,  XXX IV,  il. 

—  di  Lucina  e  dell'Orco,  XVII,  29  e 

seg— dell'Orca,  Vili,  51 d' Isa- 

l>ella,  XIII,  2.— di  Falanto  e  delle 
femmine  omicide,  XX,  14  e  seg. —  di 
Gabrina,XXI,  1 2. — di  Ricciardetto  e 
Fiordispina,  XXV,  50.  — dì  Clodio- 
ne  e  Tristano,  XXXII,  82.— di 
Drusilla   e   Marganorre,   XXXVII, 

43.— di  Melissa,  XLIII,  21 d'A- 

donio,  ivi,  74. 

Nubj,  Popoli  condotti  da  Astolfo  alla 
presa  di  Biserta,  XXXVIll,  28. 

4S 


566 


INDICE  DEI    NOHI  PROPRJ 


Obbbto  ,  re  d*  Iberoia.  Accoglie  Or- 
Jaodo,  XI,  59. — s'innamora  d' Olim- 
pia, ivi,  66  e  seg.  —  spoglia  Bireao 
de' suoi  stati,  e  lo  uccide,  ivij  79. 

Ob/iù,  RitroTato  alla  porta  del  Sonno, 
XIV,  94. 

Odoardo  d' Inghilterra.  Va  alte  rasse- 
gna di  Rinaldo,  X,  82. — entra  in 
Parigi  durante  l'assedio,  XVI,  85. 

—  va  contro  Rodomonte,  XVIII,  iO. 
Odorico.  Rapisce  Isabella  per  Zerbino, 

XIII,  12.  —  battuto  dalla  tempe- 
sta ,  si  salva  con  Isabella  al  lido , 
ivi,  i8.  —  s'innamora  di  lei,  ivi, 
20.  —  manda  Almonio  alla  Rotella  , 
ivi,  22.  —  abbatte  Gorebo,  ivi,  26. 

—  insalta  l'onore  d' Isabella,  ivi,  28. 

—  preso  e  legato  da  Almonio  e  da 
Corebo,  incontra  Zerbino  ed  Isa- 
bella, XXIV,  16.  —è  astretto  a 
prender  Gabrina  in  compagnia  per 
suo  castigo,  ivi,  40.  —  la  impicca, 
contro  la  fede  data,  ivi,  45. — viene 
impiccalo  da  41n>onio,  ivi. 

Oldrado,  duca  di  Glocestra.  Alla  ras- 
segna d' Inghilterra,  X,  78. — assale 
i  Mori  sotto  Parigi,  XVI,  67.  — fa 
suo  prigioniero  Matalista,  ivi,  69. 

Olimpia.  Racconta  ad  Orlando  le  sue 
avventure,  IX,  22.  —  amante  di  Bi- 
Ttno,  ivi,  23.  —  richiesta  e  negata  ad 
Arbante  per  isposa,  ivi,  25  e  seg.  -^ 
sposa  Arbante  a  forca,  ivi,  40.  — 
l'uccide,  ivi,  41.  — cerca  liberar 
Bireno  dalla  prigionia,  ivi,  48.  ■— 
lo  ricupera  per  messo  d'Orlando, 
ivi,  84.— lo  sposa,  ivi,  86.  — 
viene  dal  consorte  abbandonata  so- 
pra una  spiaggia ,  X ,  20.  —  resta 
presa  da' corsari ,  ed  esposta  all'  Orca 
marina ,  XI ,  33 ,  55  e  58.  —  viene 
liberata  da  Orlando,  ivi,  69. — ^amata 
ardentemente  da  Oberto,  e  da  lui 
condotta  in  Irlanda,  ivi,  77. — morto 
Bireno,  sposa  Oberto,  ivi,  79  e  seg. 

Olimpio  della  Serra,  musico  eccellen- 
te. Morto  nella  battaglia  sotto  Pa- 
rigi, XVI,  71. 

Oliadro  di  Longavilla.  Capita  al  ca- 
stello di  Tanacro,  XXXVII,  51.  — 
viene  da  lai  ucciso  per  rapirgli  Dru« 
siila,  ivi,  56.' 

Oliviero.   Va  contro  Rodomonte  in 


Parigi,  XVII,  16;  XVIK,  8.<-baU 
tute  da  Rodomonte  sul  ponte,  vi 
lascia  le  armi ,  che  poi  veogono  tro- 
vate da  Bradamante,  XXXV,  53.~ 
prigioniero  di  Rodomonte,  XXXIX, 
30.  —  liberato  da  Astolfo  ed  altri, 
ivi,  33.  —  uccide  Bncifaro  nell'  as- 
salto di  Biserta ,  XL ,  35.  —  com- 
batte con  Agramante  ed  altri  in  Li- 
padusa,  XLI ,  46  e  68. — è  mo» 
ribondo  per  le  ferite,  XLIII,  151. 
—  vien  sanato  da  un  eremita,  ivi, 
192. — ritorna  coi  ctnnpagni  in  Fran- 
cia, XLIV,  26. 

Ombruro.  Ucciso  a  caso  nella  giostra 
di  Damasco,  XVII,  87. 

Orano  (d')  re.  Vedi  Marbalosto. 

Ore»  dell'isola  d' Ebuda,  Vili,  57; 
IX,  12.  —  descritta,  X,  100.— viola 
da  Ruggiero  collo  scudo  incantato, 
ivi,  101.  —  presa  da  Orlando,  ed 
uccisa,  XI,  34. 

Orco  di  Soria  descrìtto,  XVII,  29.— 
piglia  le  genti  di  Norandino,  ivi, 
32.  —  sua  grotta,  sua  compagnia, 
e  suo  gregge,  ivi,  33.  —  mangia 
la  carne  umana  ,^ivi«  35.  —  non 
mangia  donne,  ivi,  40. 

Orlando.  Ritorna  in  Ponente  con  An- 
gelica, la  quale  gli  vien  tolta  da  Car- 
lo, I,  5  e  7.  — contende  con  Rinaldo 
per  lei,  ivi,  8.  —  suo  elmo  làmoso, 
ivi,  28  ;  XII,  31.  —  addolorato  per 
la  perdita  d'Aoaelica,  Vili, 71.— par- 
te di  notte  da  Parigi  per  rcKare  An- 
gelica, ivi,  86. — sua  grande  amicisia 
con  Brandimarte,  ivi,  88.  —  sdegna 
uccidere  i  Saracini  che  dormono,  IX, 
4.  .—cerca  Angelica,  iW. — naviga  al- 
l'isola di  Ebuda,  ivi.,  16. —ode  le  vi- 
cende di  Olimpia,  iWj  21  e  seg. — suo 
carattere,  ivi,  57.  — combatte  colle 
genti  del  re  Cirtiósco,  ivi,  67. — ^a 
a  perìcolo  di  essere  ucciso  dall'aKbi- 
bugio  di  Gimosco,  ivi,7b. — uccide 
Cimosco,  e  libera  Bireno,  iVì.,  80.  — 
rimette  Olimpia  nel  suo  stato,  e  le 
rende  il  suo  Bireno,  ivi,  86.  —  getta 
in  mare  rarchibugio,iVÌ4  88. — pren- 
de r  Orca  con  uno  stratagemma,  XI, 
36  e  seg. — sua  gran  forsa  iVt^Al. — 
liliera  Olimpia  già  esposta  all'Orca, 
ivi,  45.  —  riceve  insulti  dagli  abi- 
tatori di  Ebuda,  ivi,  46.  —  li  disper- 
de ed  uccide,  ivi,  51. —  inconln 
Oberto  re  d'Ibernia,  ivi,  69.  — Io 


E   DELLE  COSE   NOTABILI. 


567 


lascia  con  Olimpia,  e  torna  in  Fran- 
cia,  M,  78. — vede  Angelica  rapita  da 
un  guerriero,  Xlf,  4  e  seg.^peT  rag- 
giungerlo entra  nel  palatso  d'Alian- 
te, e  ▼■  si  perde,  ivi,  9.  —  incontra 
colà  molti  guerrieri,  ivi,  11.  -—  vien 
deluso  da  false  immagini  di  Angeli- 
ca, ivi,  14. — viene  all'armi  con  Fer- 
raù,  ivi,  46  e  seg.  —  fatato  ed  in- 
vulnerabile per  tutta  la  persona,  fuor- 
ché sotto  le  piante,  ivi,  49;  XXIV, 
10. —  il  suo  elmo  famoso  gli  vien 
tolto  da  Angelica,  e  capita  in  mano 
di  Ferraù,X  ll,ò2e  seg. — sbaraglia  le 
squadre  di  Manilardo  e  d'Altirdo,  il 
quale  resta  morto,  ivi,  76.  —  trova 
Isabella  nella  spelonca  de'  malandrini 
con  Gabrioa,  ivi,  91.  — fa  strage  di 
essi,  XllI,  37.  —  cooduce  seco  Isa- 
liella,  ivi,  43. — salva  Zerbino  caduto 
in  mano  di  Anselmo,  XX III,  53.  — 
la  sua  spada  Durindana  vien  pretesa 
da  Mandricardo,  ivi^  78.  —  vien  seco 
a  battaglia,  ivi,  81.  —  lascia  Isn- 
bella  con  Zerbino,  ivi,  96.  —  trova 
incisi  negli  alberi  gli  amori  di  Ange- 
lica e  Medoro,  ivi,  103.  —  suo  do- 
lore per  tale  avvenimento,  ivi,  103 
e  seg.  —  impaizisce,  ivi,  132. — va- 
rie panie  da  lui  commesse,  ivi,  133; 

XXIV,  4;  XXVII,  8 giunge  al 

ponte   di    Rodomonte,  XXIV,    14j 

XXIX,  39.  —  sua  lotta  con  Rodo- 
monte, iV/«  44. -~  maltratta  due  pa- 
stori ed  un  asino  ne' Pirenei,  ivi,  5S. 

—  sua  figura  contraffatta,  ivi,  59. — 
incontra  Angelica,  e  corre  per  fer- 
marla, ivi,9i.  —  schiaccia  la  testa 
al  cavallo  di  Medoro,  ivi,  63. — perde 
di  vista  Angelica, mercè  l'anello  in- 
cantato ch'ella  tiene,  ivi,  64. — pren- 
de la  di  lei  giumenta ,  e  ne  fa  mal 
governo,  ivi,  68.  —  altre  sue  paszie, 

XXX,  5.  —  attraversa  a  nuoto  lo 
stretto  di  Gibilterra,  e  giunge  sul 
lito  di  Setta,  ivi,  10  e  seg. — doni  a 
lui  fatti  da  Dio,  XXXIV,  63.  —  ca- 
stigato da  Dio  colla  pazzia,  e  perchè, 
ivi,  64. —  suo  ingegno  in  un'  ampol- 
la, preso  da  Astolfo  nrl  cerchio  della 
Luna,  XXXVIII,  S3. — vien  trovato 
in  Africa,  XXXIX,  36. —  sua  lotta 
con  Astolfo  ed  altri  paladini,  ivi,  49. 

—  ricupera  il  senno  per  mezzo  dei 
medesimi,  ivi,  57.  —  da  Y  assalto  a 
Biserta  coU'esercito  cristiano,  XL,  14. 


—  va  inLipadosa,  e  combalte  con 
Gradasso  e  con  gli  allri  suoi  compa- 
gni, XLI,  46  e  68.  —  uccide  Agra- 
maote,  XLIl,  8;  XLIII,  151.  --.  uc 
cide  Gradasso,  XL1I,1I;XLIII,  151. 
—assiste  ai  funerali  di  Brandimarte, 
ivi,i6Q. — torna  co'suoi  compagni 
in  Parigi, ed  è  accoltomagnificamente 
da  Carlo,  XLIV,  S8  e  seg. 

Orrioillb,  amala  da  Grifone.  Lo  tra. 
disce,  XV,  101  e  seg.  —  viene  da  lui 
incontrata  in  Damasco  con  Martano, 
XVI,  6.  —  suoi  costumi,  ivi.  —  si 
finge  sorella  di  Martano  suo  drudo, 
ivi,  12. —  unitamente  con  Martano 
rapisce  l'armatura  a  Grifone,  XVII, 
110.  —  è  fermata  con  Martano  da 
Aquilante,  fratello  di  Grifone,XVIII, 
79.— viene  tenuta  in  carcere,  ivi,  93. 

Obbilo.  Ladrone  di  Damiata,  XV,  65. 
—  per  incanto  non  può  morire,  ivi, 
66.  — combatte  con  Grifone  ed  Aqui- 
lante, ivi,  67.  —  suo  capello  incan- 
tato, ivi,  79.  —  combatte  con  Astol- 
fo, ivi,  81.  —  gli  vien  reciso  il  ca- 
pello da  Astolfo,  e  muore,  ivi,  87. 

Obmida.  In  mostra  co'suoi  alla  rasse- 
na  di  Agramante,  XIV,  18. 

Obomtbà.  Sua  novella,  XX,  S4. 


Padigfione  maraviglioso,  il  quale  Me- 
lissa per  onorar  Bradamante  fece 
togliere  da'  demonj  a  Costantino, 
XLVI,  77. 

Palestina.  Sua  situazione  descritta, 
XV,  93.  —  tolta  a'  Cristiani,  e  non 
ricuperata,  XVII,  75. 

Paradiso  terrestre  descritto,  XXXIV, 
48  e  seg. 

Parche,  trovate  da  Astolfo  nella  Luna, 
XXXIV,  88  e  seg. 

Parigi,  Suo  assedio,  VIII,  69.  —  sua 
situazione,  XIV,  105.  —  difesa  dal- 
l'assalto de'Mori,  ivi,  110. — sue  case 
di  legno  incendiate,  XVI,  36  e  87. 
—  mezzo  distrutta  da  Rodomonte, 
IP/,  85;  XVII,  6. 

Patbixio  (San).  Suo  pozzo  famoso  in 
Ibernia,  accennato,  X,  93. 

PiN A bbllo. Trovato  da  Bradamante, II, 
34.  —  sua  donna  rapita  da  Atlante, 
ivi,  37  e  seg. — va  al  castello  d'Atlan- 
te, ivi,  41.  — cade  abbagliato  dallo 
scudo  di  Atlante,  ivi,  56. — suo  odio 


568 


INDICE  DEI  NOMI  PROPIU 


colla  casa  di  Cbiaramonle,ii'«,66. — 
getta  Bradamante  nella  grotta  di  Mer- 
lino, ivi,  70. — incontra  Marfisa  con 
Gahrina,XX,i09.— sua  donna  altera 
e  bella,  «V/,  HO — vien  battuto  da 
Marfisa,/vi,H3.— gli  viene  spogliata 
da  Marèsa  la  sua  donna  per  vestirne 
Gabrina,iw,il5.— legge  da  lui  mes- 
sa per  questo  al  suo  castello,  XXII, 
47.— fa  giurare  adAquilante  e  a*stt0t 
compagni  di  mantenere  tal  legge,  ivi, 
63.  —  viene  inseguito  da  Bradaman- 
te, ivi,  Tò  e  seg.  —  resta  ucciso  per 
mano  della  medesima,  ivi,  96  ;  XXII I, 
4.  —  suoi  funerali,  ivi,  46. 

Po,  fiume  che  tanto  più  cresce ,  quanto 
più  s'accosta  al  roare,XXXVII,92. — 
accennato,XL,  'ò\  ;  XLII,92.— sua 
riviera  e  sue  foci,  XLllI,  ò'ò  e  145. 

PoLiMXSSo.  Sua  ingratitudine  verso  Da- 
linda,  V,  6  e  72.  —  prima  amante  di 
lei,  ivi,  7.  —  poi  di  Ginevra,  da  cui 
6  mal  corrisposto,  ivi,  1*2.  —  sua  tra- 
ma per  infamarla,  ivi,  22.  —  mala 
opinione  che  aveva  di  lui  il  popolo, 
ivi,  87. — confessa  la  frande,e  muore 
ucciso  da  Rinaldo,  ivi,  88  e  seg. 

FiiASiLOo.Si  trova  nel  castello  di  atlan- 
te,  IV ,  40.  —  fugge  di  là  al  suono 
del  corno  di  Astolfo,  XXII,  W. 

Pboteo,  amante  della  figlia  del  re  di 
Ebuda,  Vlll,62.  —  sua  vendetta 
contro  lo  slesso,  perchè  uccise  la  fi- 
glia, ivi,  òì, —  fugge  spaventalo  da 
Orlando  vincitore  dell' Orca,  XI,  44. 

Pbusionx.  Va  co'  suoi  alla  mostra  di 
Agramanle,  XIV,  27.  —  assale  una 
porta  di  Parigi  con  Agramante,  XV, 
7.  —  va  col  medesimo  contro  gì*  In- 
glesi, XVI,  7ó.  —  ucciso  da  Rinaldo, 
ivi,  81. 

Puliamo. —  In  mostra  co* suoi,  XIV, 
!22.  —  resta  ucciso  da  Rinaldo,  XVI , 
44  e  seg. 

R 

Rabicano,  cavallo  d'Astolfo,  VII,  77. 

—  sue  qualità,  XV,  40s  XXXV,  49. 
—vien  rubato  ad  Astolfo  da  Atlan- 
te, XXII,  12 torna  in  sua  mano, 

disfatto  il  castello  d*  Atlante,  iVi^  22. 

—  da  Astolfo  è  consegnato  a  Brada- 
mante, iV^  28,  xxni,il. 

Be  (tre),  che  accompagnavano  in  Fran- 
cia Ullania  con  lo  scudo  d'oro, 
XXXII,  50. — battuti  da  Bradamante 
alla  rocca  di  Tristano, /fi^  71  e  seg. — 


vinti  dalla  medesima  la  seconda  vol- 
ta, XXX li  1,69.  —  loro  dispiacere  e 
giuramento,  ivi,  74  e  seg. — capitali 
in  roano  di  Marganorre,  e  liberali  da 
Marfisa,  Ruggiero  e  Bradaoiante, 
XXXVII,  112. 

Rete  fatta  da  Vulcano,  descritta,  XV, 
56. — tolta  a  Caligoranle  da  Astol- 
fo, e  donata  a  Sansonetto,  ivi,  97. 

Riccardo,  conte  di  Varvecia.  Va  alla 
mostra  sul  Tamigi,  X,  78.  —  assale 
i  Mori  sotto  Parigi,  XVI,  67. 

Ricciardetto. Sue  avventure  con  Fior- 
dìspina,  XXII,  39;  XXV,  8  e  49. 

—  raccolto  da  Aldigiero  al  suo  castel- 
lo, ivi,  73.— unito  con  altri ,  libera 
Malagigi  e  Viviano,  XXVI,  10.— 
sente  da  Malagigi  la  spiegacione  delle 
sculture  della  fonte  di  Merlino,  iW^3S. 

—  combattendo  con  Mandricardo, 
rade  sotto  il  cavallo,  ivi,  77.  —  va  a 
Mootalbano,  ivi,  136.  —  ne  parte, 
e  segue  Rinaldo,  XXX,  94.  —  atter- 
rato da  Gttidon  Selvaggio,  XX  XI,  10. 

Ricciardo.  Va  contro  Rodomonte  io 
Parigi,  XVIII,  10.—- parte  con  Ri. 
naido  da  Montalbano,  XXX,  94. 

RmsDONTB.  Si  trova  co' suoi  alla  rasse- 
gna d' Agramante,  XIV,  23.; — pri- 
gioniero di  Dudone,  XL,  73.  —  libe- 
rato da  Ruggiero,  XLI,  6. —  sua 
morte,  ivi,  22. 

RiH ALDO.  Contende  con  Orlando,  I,  8. 

—  incontra  Angelica ,  ivi ,  10.  — va 
contro  Sacripante,  ivi,  77.  —  spedito 
da  Carlo  in  Inghilterra,  11,26, — en- 
tra nella  selva  Calidonia,  IV,  61.  — 
vede  l'abbaaia  di  quella  selva,rVi,  54. 

—  libera  Dalinda  dai  sicarj,  ivi,  69. 

—  va  per  liberar  Ginevra  dall'infa- 
mia, V,  78. —  uccide  Polinesso,  ivi, 
88, —  tenta  invano  di  liberare  Astolfo 
dalla  balena  d'Alcina,  VI,  42.— ot- 
tiene dal  re  di  Scosia  soccorso  per 
Carlo,  V 1 1 1, 22.  —  passa  in  Inghilter- 
ra, iVi^  25. —  ottien  gente  per  soc- 
corso di  Carlo,  ivi,  27.  —  vien  con- 
dotto da  San  Michele  e  dal  Silensìo  a 
Parigi  con  mirabil  prestessa  e  quiete, 
XIV,  96.— soccorre  Parigi, XV  1,38. 

—  sua  parlata  all'esercito, ivi^  32. -~ 
assale  i  Mori,  e  uccide  Puliano,  ìW« 
43.  —  soccorre  Zerbino  ,  ivi^  78.  — 
rampogna  gli  Scossesi  fuggitivi,  ivi, 
80.  —  uccide  alcuni  guerrieri, ivi,  81 . 

—  atterra  Agramante,  ivi,  84.  —  fa 
strage  dei  Saracini,  XVIII,  45.  —  va 


E  DELLE  COSE  NOTABILI. 


569 


contro  Dardinello,  ivi,  58  e  i46. — 
l'uccide,  ivi,  i52.  —  cerca  Angelica, 
XX VII,  8.  —  conduce  seco  da  Mon- 
talbano  alcuni  guerrieri  «  XXX ,  93; 
XXXI,  7.  —  combatte  con  Guidon 
Selvaggio, da  lui  non  conoiciuto,  ivi, 
13.  —  lo  riconosce,  ivi,  28.  —  rompe 
la  gente  di  Agramante  in  tempo  di 
notte,  ivij  50.  —  combatte  con  Gra- 
dasso per  salvar  Baiardo ,  ed  ottener 
Durindana,  ivi,  94;  XXXUI,  79. 
— eletto  da  Carlo  a  combatter  contro 

.  Ruggiero  in  luogo  di  tutto  l'esercito, 
XXXVIII, 65  eseg. —  suo  amore  per 
Angelica,  XLI  1,28. —  cercandola,  ca- 
pita nella  selva  di  Arde  una,  ivi,  45. 
— assalito  dal  mostro  d'Amore,  vien 
lilierato  dalloSdegno,iW^46e  seg. — 
beve  alla  fonte  che  caccia  l'amorryiV^, 
63. — suo  viaggio  per  l'Italia,  iW,69; 
XLIII,53e  145. — ricusa  di  far  prova 
della  fedeltà  della  moglie, XLII,  104. 
"promette  Bradamante  a  Ruggiero, 
XLIV,  Uè  35.  — sbarca  a  Marsilia 
coi  compagni,  ivi,  18. — va  con  essi 
a  Parigi,  ove  sono  magniBcamente 
accolti  da  Carlo,  ivi,  28. 

Rodomonte.  Comparisce  co' suoi  alla 
rassegna  di  Agramante,  XIV,  25. — 
sua  insegna,  ivi,  114.—-  sua  ferocia, 
iVjjlld.— sua  discendenia  da  Nem- 
brotte,  ivi,  ili. — entra  in  Parigi  in 
tempo  dell'assedio, iVi,  121.— strage 
da  lui  fatta,  ivi,  122.  —  conduce 
le  sue  genti  a  morte  sensa  riguardo, 
XV,  3. — fa  strage  del  popolo  di  Pa- 
rigi,XVI,22. —  dislruggeParigi,icf^ 
85;  XVII,  6.  —  rovina  la  reggia  di 
Carlo,  ivi,  10.  —  vien  raggiunto  da 
Carlo  co' suoi  campioni,  ivi,  13; 
XVIII,  8.  —  esce  di  Parigi,  ivi,  20. 

—  sua  fona,  ivi,  24.  —  sua  collera 
alla  nuova  di  Doralice  presa,  ivi,  34. 

—  toglieFronlino  adIppalca,XXlll, 
33.  —  si  batte  con  Mandricardo, 
XXIV, 99. — fa  tregua  con  Io  stesso, 
e  va  in  soccorso  de'Mori,  iW^  112. 

—  ritrova  Marfisa  con  altri  guerrie- 
ri, XXV,  4. — ricusa  la  battaglia  con 
Ruggiero  per  andare  in  soccorso  del 
suo  re,  XXVI,  92. —  combatte  con 

Ruggiero  per  Frontino,  ivi^  116 

corre  in  soccorso  di  Doralice, portata 
dal  cavallo  indemoniato,  iW^  131. — 
fa  strage  dei  Cristiani,  XXVII,  18. 
— rinnova  le  contese  con  Ruggiero  e 
Mandricardo  per  opera  della  Discor- 


dia, ivi,  40.  ^^  viene  estratto  il 
primo  a  combattere,  ivij  45.  — 
ba  lite  con  Sacripante  per  Fronti- 
no,  ivi,  73. — sua  superbia,  ivi,  75. 
e  83.  —  posposto  da  Doralice  a  Man- 
dricardo, iVr,  107. — parte  dal  campo 
Saracino,  ivi^  110.  —  naviga  verso 
rAfrica,XXVIII,86.-— siferma  pres- 
so a  Mompelieri  e  prende  stanza  in 
una  chiesa  abbandonata,  JW«93, 94. — 
si  accende  d'Isabella,iW^98)XXIX, 
3. — la  uccide  involontariamente,  in- 
gannato da  lei  medesima,  ivi,  25. — 
ne  sotterra  il  cadavere  nella  chiesa  ove 
abitava,  ivi,  31.  —  ponte  ivi  fabbri- 
cato, e  legge  imposta  da  lui,  ivi, 
33. — sua  lotta  con  Orlando,  ivi,  41. 
—combatte  con  Brandimarte,XXXI, 
67. — si  contenta  di  tenerlo  prigione, 
ad  intercession  di  Fiordiligi,  ivi,  75. 
—  è  gettato  di  cavallo  da  Bradaman- 
te, XXXV,  48. —  cede  a  Bradamante 
le  armi  e  i  prigionieri ,  e  va  in  una 
grotta  per  un  anno,  un  mese  e  un 
giorno,  ivi,  51, 52. — finito  il  tempo, 
viene  alla  corte  di  Carlo,e  sfida  Rug- 
giero, chiamandolo  traditore,  XLVI, 
102  e  seg.  — combalte  con  Ruggiero 
davanti  a  Carlo  e  alla  sua  corte ,  ivi, 
115. — uccìso,  ivi,  140. 

Ruggiero.  Da  lui  discesero  gli  Estensi, 
1,4. — amante  di  Bradamante,  11,32. 
— va  al  castello  incantato  d'Atlante, 
ivi,ib.  —  sua  origine  raccontata  da 

*  Atlante,  IV,  30;  XXXVI,  70.  —  tro- 
vato da  Bradamante  nel  castello 
d'Atlante,  IV,  40. —  portato  in  aria 
dall' Ippogrifo,  ivij  46.  —  nel  mare 
Atlantico,  VI,  17.— e  nell'isola  d'Al- 
cioa,  ivi,  19.  —  conforta  Astolfo 
cangiato  in  una  pianta ,  iW^  54.  ^ 
combatte  co'mostri  di  quell'isola, iVi« 
65. — combatte  e  vince  Erifilla,  VII, 
5, 6. — e  amante  d'Alcina,  jf  i^  16.-— 
si  ravvede  del  suo  errore,  ivi,  65. — 
odia  Alcina,  ivi,  70. — lascia  la  città 
di  lei,  iV j^  75  e  seg.;  V 1 1 1, 3.— affronta 
l'augel  grifagno,  ivi,  7.  —  vien  per- 
seguitato da  Alcina,  ivi,  12  ;  X ,  48. 
— andando  a  Logistilla,- incontra  tre 
donzelle,  ivi,  36.  —  noi^tiene  il  loro 
invito,  ivi,  39.  —  apprende  l'arte 
di  guidar  l' Ippogrifo,  e  torna  in  Po- 
nente, iVi^  67.  —  vede  sul  Tamigi  le 
truppe  destinate  al  soccorso  di  Carlo, 
ivi,! A. —  giunge  all'isola  del  Pianto, 
fVi.,92. — libera  Angelica  dall'Orca 


570 


INDICE   DEI  NOBII  PROPBJ 


marina,  ivi,  iil. —  perde  Angelica, 
XI,  7. —  perde  insieme  l'anello  e 
r  Ippogrifo,  ivi,  i4.  —  pargli  veder 
Bradamante  rapita  da  un  gigante,  iVi« 
18.  —  la  cerca  invano  nel  palatio  di 
Atlante,  dal  quale  vien  deluso  colla 
finta  immagine  di  lei,  X  11,1 8. — fugge 
di  1^  alsuon  del  corno  d*  Astolfo,XX  II, 
20  e  seg.  —  ritrova  Bradamante, 
e  va  seco  a  Vallombrosa,  ivij  31.  — 
intende  il  pericolo  di  Ricciardetto,iVI« 
38. — sente  la  legge  di  Pioabello,  < W^ 
47.  —  va  al  castello  di  Pinabello ,  e 
batte  Sansonetto,  ivi,  69. -a.  con  lo 
scudo  incantato  vince  le  genti  di  Pi- 
nabello, ivi,  85. —  getta  in  un  pozio 
lo  scodo  incantato,  ivi,  9 1  ;  XX  V,  4.— • 
salva  Ricciardetto  condotto  a  morte, 
ivi,  8  e  seg. -«sua  fona,  ivi,  14.^ 
va  al  castello  di  Aldigiero  con  Ric- 
ciardetto, ivi,  71.  —  sua  lettera  a 
Bradamante,  ivi,  86.  —  va  con  alcuni 
compagni  a  liberar  Malagigi  e  Vivia- 
no, XXVI,  3;  ivi,  16, — suo  valore, 
JW^^O.  —  ode  da  Malagigi  la  spie- 
gazione delle  sculture  della  fonte  di 
Merlino,  iVi,  38.  — va  con  Ippalca 
contro  Rodomonte ,  ivi,  62.  —  invia 
Ippalca  con  lettera  a  Bradamante,  iV/, 
89. — sfida  Rodomonte  per  Frontino, 
ivi,  92  e  seg.  —  sfidato  da  Mandri- 
cardo  per  l'insegna  che  porta,  ivi, 
116.  —  unUo  a  Marfisa  fa  strage  dei 
Cristiani  sotto  Parigi,  XXVII,  23. 

—  rinnova  le  contese  con  Rodo- 
monte e  con  Mandricardo,  ivi,  40.  — 
si  batte  con  Mandricardo  e  con  Gra. 
dasso,  ivi,  65. — estratto  a  sorte  per 
combattere  con  Mandricardo,  XXX, 
24.  — -  comincia  il  duello,  ivi,  44.  — 
ha  il  popolo  in  suo  favore,  ivi,  53 
e  68.  —  uccide  Mandricardo,  e  resta 
padrone  dell' augel  bianco  e  di  Bri- 
gliadoro,  ma  soffre  lunga  malattia,  ivi, 
64e  seg. — dona  Brigliadoro  ad  Agra- 
mante,if  1^75. — riceve  in  donoTron- 
tino  da  Bradamante,  da  cui  viene  sfi- 
dato, XXXV,  63e  76;  XXXVI,  11 

sua  confusione  a  tal  disfida,  ivi,  14. 

—  suoi  dubbj  dell'amore  di  Brada- 
mante, ivi,  15.  —  suoi  timori  in- 
torno alla  pugna  di  lei  con  Marfisa, 
ivi,  26.  —  le  divide, e  poi  si  balte  con 
Mar6sa,  ivi,  50.  — ode  da  Atlante 
che  Marfisa  gli  è  sorell.i,iW,  59.  — 
punisce  Marganorre,  XXXVII,  101. 

—  viene  scello  da  Àgramante  a  com- 


battere contro  Rinaldo,  XXXVIII, 
64.  —  il  duello  s'incomincia,  e  poi 
s'interrompe  per  colpa  d'Agramante, 
ivi,  88;  XXXIX,  7.  — combatte  con 
Dudone ,  XL ,  75.  —  suo  naufragio, 
XLI,19  e  47. — h  batteszato  da  un  ere- 
mita sopra  uno  scoglio,  ivi,  59. — dal 
detto  eremita  gli  vien  predetta  la  mor- 
te, cVi^  61.— i  vien  accolto  da  Carlo  in 
Parigi,  XLIV,  29.  —  incontra  molfi 
contrasti  per  le  sue  nozze  con  Brada- 
mante, ivi^  36  e  seg.  —  va  per  ucci- 
dere Leone,  ivi,  76.  —  Ta  in  soccorso 
de'BuIgari,  ivi,  84  e  seg. — eletto  dai 
Bulgari  in  loro  re ,  ivi,  97;  XLV1 , 
48  e  69. —  vien  fatto  prigione  a  tradi- 
mento da  Uogiardo,  XLV,  9. — vien 
consegnato  a  Teodora,  ivi,  19. —  re- 
sta liberato  da  Leone ,  ivi,  42  e  seg. 
—combatte  per  lui  con  Bradamante, 
e  la  vince,  iVi,  64  e  seg. — sua  dispe- 
razione, joi,  84;  XLV  1,26.— gli  vien 
ceduta  Bradamante  da  Leone,  ivi, 
42. —  sue  nozze  con  Bradamante,  ivi, 
73.  — combatte  con  Rodomonte,  ivi, 
115 lo  uccide,  ivi,  140. 

Sacbipantb.  Incontrasi  con  Angelica,!, 
38.  —  sua  doglia  amorosa,  ivi,  39. — 
combatte  con  Bradamante  e  resta  vin- 
to, ivi,  60  e  seg. —  va  contro  Rinaldo, 
iW^80. — vien  trovato  nel  castello  di 
Atlante,  IV,  40.' — va  con  Gradasso  io 
soccorso  d'Agramante,  XXVII,  14. — 
fa  strage  de'Cristiani,  ivi,  1 8. — muo- 
ve lite  a  Rodomonte  per  Frontino,  e  ti 
batte  seco ,  ivi,  73.  —  sua  destrezza , 
ivi,  78. — segue  Rodomonte  che  si  al- 
lontana dal  campo,  ivi,  113.  —  è  ri- 
tardato da  varj  accidenti,  ivi,  114.— 
vinto  da  Rodomonte  al  suo  ponte,  vi 
lascia  le  armi,  XXXV,  54. —  va  die- 
tro Angelica  verso  l' Oriente,  iVij  56. 

Sahsombtto.  Trovato  in  Gernsalemme 
da  Astolfo,  XV,  95.  —  riceve  da  luì 
in  dono  il  gigante  Caligorante  e  la 
rete,  ivi,  97.  —  va  alla  giostra  in  Da- 
masco, XVIII,  96.-— sue  avventure 
passate,  e  suo  valore,  ivi,  97.  —  eoo 
Astolfo  si  muove  contro  il  popolo  di 
Damasco  in  aiuto  di  Marfisa,  iVj,  114. 
— guadagna  la  giostra  di  Damaaco,iVf, 
133. .-va  con  nralti  compagni  in  Ci- 
pro, ivi,  iZ6. — è  battuto  dalla  tempe- 
sta, ivi,  141  ;  XIX,  43. — approda  coi 
compagni  ad  Alessandria,  ivi,  54.—